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Lezioni francesi per chi ha studiato almeno un poco @formichenews del 08/07/2024

Superata una sfida insidiosa e minacciosa, non solo al regime semipresidenziale, ma in special modo ai suoi valori fondanti, la République ha impartito una lezione democratica molto importante un po’ a tutti, anche al papa preoccupato per l’astensionismo, e continua. Alors, bon voyage. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e professore emerito di Scienza politica

Con il 35 per cento dei voti, il risultato del Rassemblement National al primo turno non era una vittoria, e meno che mai un trionfo (come scrissi qui con encomiabile capacità analitica, sic!). Con il 35 per cento dei voti al secondo turno, il Rassemblement perde alla grande. Incapace, forse, meglio impossibilitato a trovare alleati, il partito di Marine Le Pen e del suo delfino, in verità né carne né pesce, Jordan Bardella, non sembra avere ancora afferrato, dopo un quarto di secolo di avventure elettorali tutte inequivocabilmente perdute, la logica del sistema elettorale francese. Vince chi sa fare alleanze. Come disse a proposito delle elezioni russe, uno statista e filosofo politico padano, “quando il popolo vota ha sempre ragione”. Il 65 per cento del popolo francese ha detto “non, absolument pas” alla destra nazionalista, anti europeista, pro putinista, con qualche sottile venatura di discriminazione su base di nascita e colore della pelle. Adesso, come un sol uomo, i commentatori italiani si affannano a denunciare l’ingovernabilità della Francia, l’impossibilità di fare un governo poiché nessun partito ha la maggioranza assoluta.

    Premesso che la nomina del Primo ministro spetta al Presidente della Repubblica che è difficile considerare un sconfitto, va subito aggiunto che quel Primo ministro non ha bisogno di un voto di fiducia (investitura). Chi non lo vuole deve trovare una maggioranza assoluta dell’Assemblea nazionale che gli/le voti contro. Vero è che il Nouveau Front Populaire è il gruppo parlamentare maggioritario, 182 seggi, ma, primo: dovrebbe compattamente unirsi al Rassemblement National, e questa sì sarebbe una alleanza del “disonore” (espressione di Bardella al quale bisognerà spiegare che la politica democratica consiste nel costruire alleanze ampie e rappresentative sia pro sia contro); secondo, almeno la metà dei parlamentari del NFP, grazie alla generosità nelle desistenze che va riconosciuta a Mélenchon, non sono esponenti di France Insoumise, ma socialisti, verdi e, nel lessico francese, divers gauche.

   Dunque, esistono spazi di manovra numerici e politici che, applicando la Costituzione della Quinta Repubblica, il semipresidenzialismo consente non poca flessibilità, Macron potrà abilmente sfruttare con successo. Nell’Assemblea Nazionale, senza troppi ghirigori, intorno al governo e ai governanti, vi saranno deputati disposti a votare molte politiche concordate. Giusto così. Ne risponderanno ai rispettivi elettorati nei collegi uninominali. Si chiama accountability ed è la virtù democratica per eccellenza.

Superata una sfida insidiosa e minacciosa, non solo al regime semipresidenziale, ma in special modo ai suoi valori fondanti, la République ha impartito una lezione democratica molto importante un po’ a tutti, anche al Papa preoccupato per l’astensionismo, e continua. Alors, bon voyage.

Pubblicato l’8 luglio 2024 su Formiche.net

Perché Le Pen non ha vinto. Ora va salvata la République @DomaniGiornale del 3 luglio 2024

No, il Rassemblement National, Marine Le Pen, la destra francese non hanno vinto. I titoli dei giornali, gli articoli dei commentatori, le dichiarazioni dei politici sono sbagliate, ignoranti e fuorvianti. Con il 33,5 per cento dei voti il RN è risultato il partito più votato al primo turno delle elezioni legislative francesi. Però, i due terzi degli elettori hanno preferito altri partiti. Finito il primo tempo, nell’intervallo, i dirigenti degli altri partiti hanno l’opportunità di decidere con quale formazione giocare il secondo tempo, quali candidati desisteranno, quali candidati si contenderanno il seggio con l’esponente del Rassemblement. Il primo turno ha, comunque, offerto informazioni importanti sul gradimento degli elettori riguardo le differenti candidature, sulla loro capacità di attrarre voti, sulla possibilità rispettive di vittoria/sconfitta. Da numerose esperienze del passato anche recente dovremmo tutti avere imparato che i Le Pen, Jean-Marie e Marine, già al primo turno fanno il pieno dei loro voti. Nel secondo turno, al massimo ottengono poche centinaia di migliaia di voti in più. La situazione potrebbe essere migliorata, ma, comunque, non di molto.

Sull’altro versante, dal comunque poco strutturato Nouveau Front Populaire alla fluttuante Ensemble di Emmanuel Macron è sembrata finalmente, forse non tardivamente, emergere la (quasi) piena consapevolezza che al secondo turno per gli oppositori del Rassemblement è imperativo convergere su una sola candidatura collegio per collegio, l’unico modo per rimanere/diventare competitivi. Le destre italiane si scagliano contro questa prospettiva sostenendo che sarebbe una specie di conventio ad excludendum antidemocratica e inaccettabile- In effetti, in Francia una convenzione di accordi contro la destra è esistita fin dal 1946. Si chiama(va) disciplina repubblicana. Fortemente apprezzata e rigorosamente applicata dal Generale de Gaulle imponeva di non fare nessuna alleanza, di non aprire nessuno spazio politico ai successori/estimatori del Maresciallo Pétain, ai collaborazionisti e a tutte le variegate espressioni di destra che la Francia non si è mai fatta mancare, alcune delle quali impegnate in ventisei attentati alla vita del Generale. Quanti gollisti infrangeranno la venerata disciplina d’antan, sotto lo sguardo sprezzante di de Gaulle, è difficile dire, ma i tempi sono cambiati.

Molto scandalizzate le destre italiane denunciano come antidemocratico il difficile, ma cruciale, tentativo di costruire una coalizione di centro-sinistra a sostegno di candidature comuni e uniche collegio per collegio. Fare con pazienza e intelligenza coalizioni politiche è non tanto un’arte quanto un esercizio di immaginazione e pratica politica che, garantendo rappresentanza allargata, può essere molto remunerativo. Le destre tuonano che la coalizione francese dal centro alla sinistra è brutta, negativa, contraddittoria, priva di un programma comune. In parte, certamente e inevitabilmente è così. Tuttavia, opporsi alle politiche economiche, sociali, europee del Rassemblement e del Primo ministro in pectore Jordan Bardella e ai loro propositi di riduzione dei diritti civili, mi pare già un programma apprezzabile. Il resto si vedrà.

Quello che fin d’ora è sicuro è che il secondo turno elettorale offre grandi opportunità agli elettori di ieri e anche a coloro che, misurata la distanza politica fra il RN e il centro-sinistra e vista l’importanza della competizione, sceglieranno di andare alle urne in questa occasione. Saranno i loro voti a fare la différence. Il secondo turno garantisce che la vittoria andrà a chi con le sue proposte, con le sue contrapposizioni, e con la sua partecipazione si è meritato l’approvazione degli elettori. Vive la démocratie. Vive la République.

Pubblicato il 3 luglio 2024 su Domani

Ancora non ha vinto nessuno. Il doppio turno francese spiegato da Pasquino @formichenews del 01/07/2024

Dai seggi francesi non c’è ancora una indicazione su chi ha vinto né su chi ha perso, è il bello del doppio turno. Il ballottaggio sancirà il colore della nuova maggioranza parlamentare, e molto dipenderà da come si muoveranno le forze politiche. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e professore emerito di Scienza Politica

Nelle elezioni, come le legislative francesi, nelle quali si vota con un sistema di doppio turno in collegi uninominali, nessun partito “vince” al primo turno. Più correttamente è in testa se ha più voti degli altri. Vincono, il seggio, i candidati che ottengono il 50 per cento più uno di voti espressi (votanti almeno il 25 per cento degli aventi diritto). Fonte “Le Monde” ore 10.30, 76 eletti al primo turno, leggera prevalenza, forse 40, fra cui Marine, del Rassemblement. Quindi, Le Pen non ha vinto, ma il suo Rassemblement National ha ottenuto più voti dei concorrenti, ancorché con una percentuale un po’ inferiore a quella che le attribuivano i sondaggi.

Adesso, comincia quella che non è una operazione riprovevole, nient’affatto un mercato delle vacche, ma un confronto/scontro aperto e trasparente. Candidati e candidate di RN rimarranno tutti/e in lizza. L’onere di decidere che cosa fare al secondo turno è tutto sulle spalle e, sperabilmente, anche nella testa dei dirigenti nazionali e locali del Nouveau Front Populaire e di Ensemble pour la République. Per loro, il problema da risolvere è quello della desistenza di quale candidato poiché se “corrono” entrambi le probabilità di una sconfitta sono elevatissime. I voti del primo turno contano, chi è in testa fra i due, magari con un buon vantaggio, deve diventare il candidato unico al secondo turno. Però, esistono sicuramente situazioni locali nelle quali i dirigenti sanno che il riporto di voti è più sicuro se uno specifico candidato rimane in campo (largo). Decenni di storia elettorale hanno dimostrato che al secondo turno i candidati dei partiti estremi hanno maggiori difficoltà a fare il pieno dei voti della loro area. Al contrario, il candidato della sinistra moderata sa di potere attrarre tutti o quasi i voti degli elettori “estremi”, che non hanno altra scelta, e di non perdere voti verso il centro.

Un numero nient’affatto trascurabile di elettori ragiona proprio nei termini che gli americani definiscono electability, probabilità/capacità dei candidati di riuscire a essere eletti. Personalità, radicamento, esperienza, credibilità, capacità di rappresentare al meglio la coalizione che si è formata per fare convergere i voti su di lui/lei per eleggerlo sono i fattori cruciali. Talvolta può risultare decisiva la propensione degli elettori a raccogliere e tradurre in voto l’invito dei dirigenti, a loro volta quanto credibili?, dei loro partiti. Quel che sappiamo, infine, è che è sempre stato difficilissimo per i Le Pen, Jean-Marie e Marine, andare oltre il loro perimetro iniziale, trovare voti aggiuntivi al secondo turno. Scampoli di destra disponibile ce ne sono, forse anche qualche gollista che il Generale de Gaulle disapproverebbe sferzantemente. Conta la loro collocazione nei collegi dove potrebbero essere decisivi. Alla fine, una lezione è chiara e significativa: il doppio turno offre grandi opportunità ai candidati, ai dirigenti, ai massa media e ai commentatori (sic!), ma soprattutto agli elettori. Alors, l’esito lo scrivono loro.   

Pubblicato il 1° luglio 2014 su Formiche.net