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Il M5S resterà al governo, non ha niente di meglio Ma è come se non ci fosse #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, spiega che «Letta ha avuto bisogno dei Cinque Stelle ma loro potrebbero anche scegliere di tornare con Salvini» ma tutto dipenderà dalla legge elettorale. «Se ci fosse una legge elettorale proporzionale ciascuno correrà da solo e le alleanze si faranno dopo», commenta. Sulla guerra è netto: «Sono contento che Papa Francesco cerchi di diventare un mediatore, ma è difficile esserlo quando dall’altra parte c’è una chiesa comandata da un chierichetto del regime».
Professor Pasquino, crede che i malumori nel Movimento 5 Stelle porteranno a una crisi di governo nelle prossime settimane?
I Cinque Stelle rimarranno al governo perché non hanno niente di meglio. Ma è come se non fossero già più al governo. Hanno dimostrato di non sapere governare e che il loro programma conteneva un sacco di contraddizioni. Conte guida queste contraddizioni e sta cercando di recuperare qualcuno che se ne è andato. Quindi deve essere un po’ più di lotta e meno di governo ma nessuno può pensare di fare una crisi in questo momento.
Queste contraddizioni potrebbero mettere a repentaglio l’alleanza con il Pd?
L’alleanza è sempre stata molto problematica. Letta ha avuto bisogno dei Cinque Stelle ma loro potrebbero anche scegliere di tornare con Salvini, che però in questo momento è in declino. Ma di tutto questo non parlerei finché non si avrà un orizzonte più chiaro sulla legge elettorale.
Pensa a un ritorno al proporzionale?
Se ci sarà una legge elettorale proporzionale ciascuno correrà da solo e le alleanze si faranno dopo. Bisogna però aspettare di vedere cosa faranno. Mi auguro si arrivi a un proporzionale senza pasticci e stupide clausolette. Poi si conteranno voti e seggi.
È proprio convinto che questa legge elettorale verrà cambiata?
Può darsi anche che non riescano a cambiarla ma qualcosa hanno già fatto. Cioè hanno trovato il modo di usare la stessa legge cambiando i collegi, visto che sono stati ridotti i parlamentari. Non so se questo basterà a incoraggiare l’alleanza tra Cinque stelle e Pd ma c’è un 30 per cento di possibilità che la legge rimanga la stessa.
Crede che dalla legge elettorale passerà anche il futuro della coalizione di centrodestra?
Solo in parte, perché quel che è certo è che c’è una frattura chiara tra Meloni, Salvini e Berlusconi. Sto parlando delle questioni europee e internazionali. Per molte ragioni, alcune buone altre meno, Berlusconi e Tajani sono costretti a essere europeisti. Per altrettante ragioni, meno buone, Salvini e Meloni sono apertamente sovranisti. Soltanto che Salvini deve barcamenarsi tra due fuochi, visto che è al governo, mentre Meloni ha mani libere. Per questo dico che potranno anche trovare un accordo ma non troveranno la compattezza che chiedono gli elettori di centrodestra.
Una delle differenze più evidenti è il dichiarato atlantismo di Meloni e Berlusconi e l’ambiguità di Salvini. Sarà questo a fare la differenza?
Certamente il filoatlantismo è uno dei punti di forza della Meloni. È riuscita a dichiararsi tale senza diventare troppo europeista e nel centrodestra questa è la posizione migliore. Perché non deve far dimenticare nessuna sua dichiarazione avventata nei confronti di Putin, come nel caso di Salvini e Berlusconi, e quindi viaggia in un binario di sufficiente coerenza. Gli altri hanno tutti qualcosa da farsi perdonare.
Anche nel centrosinistra c’è molta dialettica, con Conte che sembra voler strappare a Letta temi storicamente di sinistra, come il pacifismo. Ci riuscirà?
Vedo che nei sondaggi Letta tiene. È quello che ha la posizione più coerente. È la stessa posizione dell’Europa e quindi non ha bisogno di nessuna giustificazione. Sono gli altri che devono fare i conti con la situazione internazionale. Conte è ambiguo, così come lo è una parte della sinistra che è pacifista per ragioni sbagliate e non sa neanche declinare il pacifismo, finendo per sembrare pro Russia e pro Putin. L’unico che mantiene una posizione decente è lo stesso Letta.
A proposito di guerra, che idea si è fatto sulle continue polemiche nella comunicazione, in Italia e non solo?
Dovremmo partire da una posizione inoppugnabile. Si tratta di un’aggressione russa all’Ucraina. E il Papa non può dire che la Nato abbaiava dimenticando che Putin è un cane che morde. Se anche il cane abbaia, ci si può allontanare o comunque prendere provvedimenti, ma se morde bisogna difendersi per forza di cose. Sulla questione dei talk penso che gli ospiti abbiano spesso posizioni ideologiche e quindi non dovrebbero essere coccolati come accade quasi sempre.
Ha criticato le parole del Papa, dunque non crede che quella vaticana potrebbe essere la strada giusta per una mediazione?
Sono contento che Papa Francesco cerchi di diventare un mediatore, ma è difficile esserlo quando dall’altra parte c’è una chiesa comandata da un chierichetto del regime. Come si fa a mediare se si ha una posizione che, giustamente, critica di petto quello che la chiesa ortodossa sta facendo, che ovviamente è drammatico? Se poi riesce a mediare sono contento, se invece mi chiede se questa mediazione porterà a un risultato le rispondo che non sono convinto. Il giusto mediatore potrebbe essere l’Onu, ma Putin ha maltrattato Guterres. Poteva esserlo anche Erdogan, ma è sparito.
Il prossimo viaggio di Draghi a Washington rinsalderà l’amicizia tra Italia e Usa o pensa potrebbe creare qualche grana a Draghi, vista la presenza nel governo di Lega e M5S?
Sbagliamo a pensare che ci sia una ritrovata amicizia tra Italia e Stati Uniti. L’atlantismo è irrinunciabile per l’Italia e per l’Europa democratica. C’è una strada tracciata e di volta in volta facciamo i conti con le posizioni dei presidenti americani, ma l’amicizia è sempre rimasta solida. Draghi mi sembra abbia preso una posizione giusta sia rispetto alla guerra, utilizzando aggettivi non da lui ma che condivido, sia nei confronti degli Stati Uniti, mettendo dei paletti che credo Biden rispetterà.
Pubblicato il 7 maggio 2022 su Il Dubbio
GUERRA E PACE. Nella Costituzione gli strumenti per una pace giusta
Il testo che pubblichiamo è il commento all’art. 11 della Costituzione italiana scritto da Gianfranco Pasquino per il suo libro La Costituzione in trenta lezioni (UTET, fine gennaio 2016)
La vita della maggioranza dei Costituenti italiani era stata segnata da due guerre mondiali e dall’oppressione del regime fascista nato sulle ceneri della Prima Guerra Mondiale e pienamente responsabile della partecipazione alla Seconda. In nome di un nazionalismo malposto e esasperato, il fascismo aveva causato enormi danni all’Italia entrando in una guerra di conquista e perdendola con il sacrificio di molte vite e della stessa dignità nazionale. L’art. 11 è il prodotto di una riflessione sull’esperienza storica, non soltanto italiana, e del tentativo di porre le premesse affinché sia bandito qualsiasi ricorso alla guerra ‘come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali’. Il ripudio, questo è il termine usato nell’articolo, è, al tempo stesso rinuncia e condanna della guerra, più precisamente di esplicite guerre di offesa e aggressione. Il ripudio della guerra non è in nessun modo interpretabile come l’espressione di un pacifismo assoluto e, il seguito dell’articolo lo dice chiaramente, neppure come neutralismo. Al contrario, per assicurare ‘la pace e la giustizia fra le Nazioni’, l’Italia dichiara la sua disponibilità a limitazioni di sovranità e a promuovere e favorire ‘le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’. Naturalmente, la Costituzione riconosce che lo Stato italiano mantiene il diritto di difendere, anche con il ricorso alle armi, il suo territorio e la sua popolazione. Tuttavia, qualsiasi reazione militare deve essere proporzionata alla sfida e non deve sfociare in nessuna conquista territoriale. Coerentemente, neppure le azioni militari condotte sotto l’egida delle organizzazioni internazionali debbono mirare a e tantomeno possono concludersi, per uno o più dei partecipanti, con guadagni territoriali, ai quali l’Italia ha l’obbligo costituzionale e politico di opporsi.
Le limitazioni alla sovranità italiana derivano dall’adesione, deliberata e approvata dal Parlamento, a tutte le organizzazioni internazionali, ma, in particolare, per quello che attiene alla guerra (e alla pace), alla NATO, alle Nazioni Unite e all’Unione Europea. In seguito alla sua adesione, l’Italia si è impegnata a partecipare alle attività decise in ciascuna di quelle sedi, quindi anche ad attività che implichino il ricorso ad azioni di natura militare. Talvolta, queste azioni sono problematiche poiché in non pochi casi vanno contro il principio di non ingerenza negli affari interni di uno o più Stati. Il principio guida di questa giustificabile ingerenza è dato dai rischi e dai pericoli ai quali sono effettivamente esposte le popolazioni di quegli Stati ovvero una parte di loro. Le missioni militari ‘umanitarie’, a favore delle popolazioni, alle quali l’Italia ha il dovere di prendere parte, sono quelle deliberate nelle organizzazioni internazionali, in modo speciale, l’ONU e, quando è minacciata l’indipendenza e l’integrità di uno Stato membro, la NATO. Possono avere una durata indefinita nella misura in cui servono ad alcuni popoli e ad alcuni governanti per costruire le strutture statali indispensabili alla difesa contro pericoli esterni e alla creazione di ordine politico interno rispettoso dei diritti civili e politici dei cittadini.
Nel secondo dopoguerra, in particolare, dopo la caduta del muro di Berlino, si sono moltiplicate le occasioni, da un lato, di oppressione delle loro popolazioni ad opera dei rispettivi dittatori, dall’altro di vere e proprie guerre civili, soprattutto nel Medio-Oriente e in Africa, ma anche nei Balcani. Seppure con qualche controversia interna, tutte le volte che l’Italia è stata chiamata in causa ha risposto positivamente in applicazione degli impegni e dei compiti derivanti dalla sua appartenenza all’ONU e alla NATO. Naturalmente, la valutazione della efficacia, dei costi e degli effetti, e della costituzionalità dell’attività delle missioni militari italiane all’estero e della eventuale necessità di una loro prosecuzione rimane nelle mani del Parlamento.
Che la pace, duratura e giusta, che non significa mai puramente e semplicemente assenza di conflitto armato, possa essere conseguita soltanto fra regimi democratici, lo scrisse memorabilmente il grande filosofo illuminista prussiano Immanuel Kant nel suo breve saggio Per la pace perpetua (1795). In un certo senso, questo obiettivo di pace è stato perseguito anche dall’Unione Europea delle cui organizzazioni l’Italia ha fatto parte fin dall’inizio (1949). Nel 2012 all’Unione Europea è stato attribuito il Premio Nobel per la pace con la motivazione di avere effettuato grandi ‘progressi nella pace e nella riconciliazione’ e per avere garantito ‘la democrazia e i diritti umani’ nel suo ambito che è venuto allargandosi nel corso del tempo fino a ricomprendere ventotto Stati-membri. A sua volta ognuno degli Stati-membri dell’Unione Europea deve avere e mantenere un ordinamento interno democratico e deve accettare le limitazioni di sovranità che conseguono alla sua adesione all’Unione. Preveggente, l’art. 11 della Costituzione mette la parola fine al nazionalismo, non soltanto bellico, ma autarchico e isolazionista, aprendo la strada a molteplici forme di collaborazione internazionale e sovranazionale che costituiscono la migliore modalità per garantire la pace nella giustizia sociale.
Pubblicato il 18 novembre 2015
Il fattore religioso nella Terza Ondata di Huntington riletto 25 anni dopo la caduta del Muro
Registrazione audio, a cura di Radio Radicale, dell’intervento pronunciato il 15 ottobre 2014 al convegno “Paolo VI, Il Concilio Vaticano II e la terza ondata democratica”. Roma, Università la Sapienza.
Ascolta IL FATTORE RELIGIOSO NELLA TERZA ONDATA DI HUNTINGTON RILETTO 25 ANNI DOPO LA CADUTA DEL MURO qui
http://www.radioradicale.it/swf/fp/flowplayer-3.2.7.swf?30207f&config=http://www.radioradicale.it/scheda/embedcfg/423529/2925293
Si ringrazia Radio radicale. Qui la registrazione integrale del convegno
Paolo VI, Il Concilio Vaticano II e la terza ondata democratica
Convegno
mercoledì 15 ottobre ore 15
Dipartimento di Scienze Politiche, Sala delle Lauree – Università la Sapienza
Piazzale Aldo Moro, 5 Roma
Introduce e presiede Fulco Lanchester, Direttore Dipartimento di Scienze Politiche
Relazione di Gianfranco Pasquino, Università di Bologna
Il fattore religioso nella Terza Ondata di Huntington riletto 25 anni dopo la caduta del Muro
Discussant: Oreste Massari, Università “La Sapienza”
Relazione di Marco Damilano, L’Espresso
Giovanni Battista Montini-Paolo VI e la Dc nella ricostruzione di Pietro Scoppola
Discussant: Umberto Gentiloni, Università “La Sapienza”
Relazione di Pamela Harris, John Cabot University
Gli influssi giuridici americani sulla libertà religiosa al Concilio Vaticano II e il discorso di Paolo VI all’Onu
Discussant Luca Diotallevi, Università di Roma 3
Relazione di Carlos Garcia de Andoin, Diocesi di Bilbao, Istituto di teologia e pastorale
Le conseguenze dell’opzione preferenziale per la democrazia del Concilio sulla transizione spagnola
Discussant Gianluca Passarelli, Università “La Sapienza”
Con Francesco si ritorna a Montini?
Confronto tra Gianfranco Brunelli, Il Regno, e Luigi Accattoli, Corriere della Sera
Conclusioni Stefano Ceccanti, Università “La Sapienza”.
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Traccia tematica della relazione Il fattore religioso nella Terza Ondata di Huntington riletto 25 anni dopo la caduta del Muro
Il libro di Samuel Huntington del 1993 su “La terza ondata democratica” (in particolare alle pagg. 951/08) segnala che essa è iniziata in Paesi cattolici (Spagna e Portogallo, poi Polonia e Ungheria, per non parlare di Cile, Brasile, Corea del Sud e Filippine) anche per influsso delle acquisizioni del Concilio Vaticano II (opzione preferenziale per la democrazia nella “Gaudium et Spes” e per la libertà religiosa nella “Dignitatis Humanae”). Gianfranco Pasquino, nell’Introduzione all’edizione italiana di due anni dopo, pur condividendo il giudizio, si chiede però se col nuovo pontificato e lo sviluppo concreto delle transizioni non ci sia stata una parziale regressione, una minore fiducia nella democrazie. Cosa dire a quasi vent’anni di distanza?
Rimandati a settembre
Viviamo in un mondo difficile. Ci sono brutte guerre in diverse aree, la più pericolosa è quella fra Israele e Hamas. Proliferano anche intrattabili guerre civili: dall’Ucraina alla Libia, dalla Siria all’Iraq. Qualcuno critica “il silenzio dell’Europa”, ma certamente non è possibile sostenere che “le parole dell’ONU” si stiano dimostrando utili a porre fine alla guerra in Palestina né altrove. Nessuno Stato nel mondo islamico sa fare di meglio; anzi, spesso, quei governi autoritari e corrotti sono gran parte del problema. Ciò detto, quando il segretario di un partito italiano, il Partito Democratico, si avventura nella sua lunga relazione alla Direzione a parlare della politica e della guerra nel resto del mondo dovrebbe essere in grado di dare indicazioni precise e operative. Altrimenti la sua analisi diventa un diversivo dai temi spinosi che lo riguardano più direttamente. Questa è l’impressione che ho tratto guardandolo e ascoltandolo in streaming. I tiepidi applausi che hanno accolto la relazione di Matteo Renzi suggeriscono che il suo sogno di mezz’estate di produrre riforme incisive e decisive non sta traducendosi in realtà. Lo scarno e moscio dibattito successivo non ha fatto emergere proposte sensazionali.
Certo, la riforma del Senato va avanti con lentezza e con una pluralità di inconvenienti ai quali probabilmente porranno rimedio le doppie letture (ah, il pregio del bicameralismo!). Quanto all’Italicum, ovvero alla riforma della legge elettorale approvata in prima lettura alla Camera dei deputati, il segretario ha sostanzialmente chiesto e ottenuto una sorta di delega a ri-negoziarne il testo in alcuni punti cruciali. E’ un segnale a doppio taglio. Il lato positivo è che il segretario ha, seppur tardivamente, preso atto che, nella sua stesura attuale, l’Italicum non è una buona riforma; dunque, bisogna introdurvi correttivi anche profondi. Il lato negativo è che l’accordo su quali correttivi va cercato con Berlusconi che, dal canto suo, non sa esattamente, non che cosa vuole, ma che cosa gli conviene, tranne, è l’unico suo punto fermo, che gli preme continuare a nominare tutti i suoi parlamentari. Quindi, da Berlusconi verrà un no alle preferenze e, a maggior ragione, un no ai collegi uninominali. Il negoziato con Berlusconi si blocca lì dove, forse, Renzi riuscirebbe a incontrare le richieste e le aspettative del Movimento Cinque Stelle e, se intende abbassare le soglie di accesso al Parlamento (ovvero, prossimamente, alla sola Camera dei deputati), anche quelle di Sinistra Ecologia Libertà. Dall’alto del 40,8 per cento dei voti “europei”, il PD di Renzi annuncia che con il partito di Vendola rimangono le alleanze politiche già in esistenza, ma che nelle prossime elezioni amministrative (e più tardi politiche)il PD è convinto che, anche senza alleanze, otterrà ottimi risultati. Addirittura, Renzi sostiene che l’ostruzionismo parlamentare sta facendo gradualmente, ma inesorabilmente crescere la percentuale dei voti per il PD.
Un conto sono le cose, belle e meno belle, sul piano nazionale e sulle riforme istituzionali, ma dall’Unione Europea non smettono di guardare e di monitorare i comportamenti dei governanti italiani. Probabilmente, le parole dure di Renzi nei confronti dei tecnici, dei tecnocrati e, in buona sostanza, di Cottarelli, che ha il compito di ridurre e tagliare le spese degli apparati dello Stato, non saranno piaciute né ai Commissari europei né agli esperti dei governi dell’UE. Nessuno può credere che sono state le politiche dell’Unione Europea a creare disoccupazione in Italia e a ingrassare il nostro ingente debito pubblico. L’Unione Europea non può essere un capro espiatorio della cattiva condotta nazionale, ma neanche possiede la bacchetta magica per risolvere i problemi di nessun Stato-membro. I famosi “compiti a casa”, adesso certamente da intendersi come “compiti delle vacanze”, è assolutamente necessario farli. Chiamandoli spesso per nome di battesimo, Renzi ha lodato i suoi compagni di classe, vale a dire, i suoi ministri. Però, alla luce dei risultati finora conseguiti, tutta la classe deve ritenersi rimandata a settembre.
Pubblicato AGL 1 agosto 2014