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Francesca Albanese cittadina onoraria di Bologna #intervista al prof. Gianfranco Pasquino @RadioRadicale
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Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.
“Francesca Albanese cittadina onoraria di Bologna, intervista al prof. Gianfranco Pasquino” realizzata da Lanfranco Palazzolo con Gianfranco Pasquino (politologo, professore emerito di Scienza Politica all’Università degli Studi di Bologna).
L’intervista è stata registrata venerdì 10 ottobre 2025 alle ore 12:00.
Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Bologna, Cittadinanza, Comuni, Esteri, Gaza, Geopolitica, Guerra, Hamas, Israele, Lepore, Manifestazioni, Medio Oriente, Meloni, Nobel, Pace, Palestinesi, Polemiche, Premio, Terrorismo Internazionale, Trump, Violenza.
Per arrivare alla pace servono veri mediatori @DomaniGiornale

A nessuno sono note le capacità di mediazione del Presidente Trump. Al contrario, le sue esternazioni all’inizio del secondo mandato (tertium non datur!) hanno mostrato propensioni autoritarie e impositive che mal si conciliano, anzi, per niente, con gli assi portanti di qualsiasi mediazione minimamente efficace e produttiva. Infatti, i suoi maldestri passi non hanno finora prodotto nulla di positivo e molto di deprecabile. L’accettazione del cessate il fuoco, tra Russia e Ucraina e tra Netanyahu e Hamas, deve costituire senza se senza ma la premessa imprescindibile di un negoziato che conduca in tempi necessariamente non predefinibili ad una pace decente (sì, lo so che il mantra è “pace giusta e duratura”, ma non sembra funzionare). I mediatori non dovrebbero porsi nessun altro obiettivo né quello di ottenere il conferimento del Premio Nobel per la pace né quello della trasformazione delle spiagge della striscia di Gaza in una riviera internazionale di lusso. I desideri di Trump lo squalificherebbero fin dall’inizio come mediatore credibile se non fossero sostenuti dalla potenza militare gli USA e dalle dimensioni spropositate del suo ego. Quello che è da temere ancor più è la sua visione complessiva, espressa politicamente e visivamente nell’incontro in Alaska con l’autocrate Putin, di come ricostruire l’ordine internazionale, vale a dire con accordi bilaterali. Chi vuole mediare non deve stendere nessun tappeto rosso, meno che mai omaggiando l’aggressore né, naturalmente, deve continuare a vendere armi al governo israeliano.
Trump non è né il mediatore ideale né l’unico mediatore possibile anche se è inevitabile. L’Unione Europea ha l’obbligo politico e, lo scrivo con convinzione, morale di rivendicare un posto di rilievo al tavolo delle trattative. Lo può fare e deve cercare di farlo fin da adesso se le sue autorità, a cominciare dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri Kaja Kallas, prendono l’iniziativa. A quel tavolo dovrebbe essere presente e avere un ruolo anche il segretario generale delle Nazioni Unite. Però, sono consapevole che per le sue posizioni espresse in maniera imprudente e talvolta esagerata, Antonio Guterres è persona sgradita tanto a Zelensky quanto a Netanyahu (che gradisce solo se stesso).
La situazione generale dei due conflitti mi pare talmente grave, complicata, potenzialmente foriera di sviluppi ancora più drammatici da richiedere qualche innovazione che potrebbe essere sostenuta dai policy-makers di una pluralità di stati, anche, forse soprattutto, dai Volenterosi e dalle loro opinioni pubbliche. Non soltanto credo che sarebbe opportuno che a Putin e Zelensky e a Netanyahu e Hamas venisse chiesto di suggerire un certo, piccolo, numero di mediatori a loro graditi e nei quali hanno fiducia, ma anche che emergessero candidature autorevoli di personalità di indiscusso prestigio dotate di competenza in materia. Finora sono circolate idee vecchie, inadeguate, senza retroterra storico-culturale, talvolta essenzialmente desideri, non tutti pii, purtroppo alcuni piuttosto empi.
Più pensieri più proposte più soluzioni verranno affacciate meglio sarà e più probabile sarà trovare le strade da percorrere oggi e domani perché certo porsi anche il compito di evitare la riproposizione di conflitti simili è oramai imperativo.
Tutto questo sembra un futuribile alquanto improbabile a sostegno del quale, peraltro, non sarebbe difficile sollecitare riflessioni condivise, valutazioni dei pro e dei contro, indicazioni che i protagonisti, da Trump ai governi in conflitto e ai loro sostenitori, siano in linea di principio disponibili a muoversi in questa mai sperimentata direzione che, peraltro, presenta, a mio parere, più opportunità che rischi. L’alternativa è sotto gli occhi di tutti: prosecuzione dei conflitti e dei massacri che creano anche situazioni peggiori nelle quali trattare e costruire futuri accettabili.
Pubblicato il 27 agosto 2025 su Domani
PRIMO MAGGIO 2024 Costruiamo insieme un’Europa di Pace, Lavoro e Giustizia sociale #Modena #CGIL #CISL #UIL
1°MAGGIO 2024
Festa di lavoratrici e lavoratori
ore 10.00 in Piazza Grande
Costruiamo insieme un’Europa di Pace, Lavoro e Giustizia sociale
Pace e definizioni* #paradoxaforum

Che il 2024 sia l’anno della pace è tanto auspicabile quanto improbabile. I due conflitti attualmente in corso: l’aggressione della Russia all’Ucraina e la risposta di Israele all’attacco terroristico di Hamas, non appaiono destinati a terminare in tempi brevi. E, poi, quale pace? Troppi parlano di pace avendo in mente e di mira la semplice cessazione dello scontro armato. Tacciano le armi. Ma, no. La pace che i generali di Napoleone gli comunicarono avere insediato a Varsavia era eretta sulle ceneri e sulle macerie di quella città. No, nessuno ha diritto alla sua definizione di pace.
Talvolta, alcuni commentatori e persino, non sempre, il Papa aggiungono al sostantivo pace l’aggettivo giusta. Purtroppo, quasi nessuno si esercita nel dare contenuto a quell’importante, decisivo aggettivo, a definirlo con precisione. Però, la storia della riflessione su guerra e pace ha ricompreso anche come e quando una pace possa e debba considerarsi giusta. Neppur troppo paradossalmente, sembra molto più facile stabilire/definire quando la pace raggiunta è ingiusta. Chi vince impone le sue condizioni: controllo del territorio, dei perdenti e delle loro attività almeno per un certo periodo di tempo; risarcimento dei costi e dei danni di guerra; creazione di un governo amico, vassallo. Pace pagata a caro, spesso eccessivo prezzo da chi è stato sconfitto. Alcuni ricordano che il grande economista inglese John Maynard Keynes criticò nel suo libro Le conseguenze economiche della pace per l’entità irragionevole delle sanzioni economiche imposte ai tedesche. La rivolta contro quelle sanzioni costituì uno dei punti di forza del nazismo nel mobilitare e espandere i suoi sostenitori. Nel caso che riguarda Ucraina e Russia, la richiesta di non pochi “pacifisti” che gli ucraini accettino di cedere parte del loro territorio ai russi in cambio della fine delle ostilità configurerebbe certamente, non solo a mio modo di vedere, una pace ingiusta. Darebbe corpo e modo a un pericolosissimo precedente di cui si farebbero forti altri potenziali aggressori, in primis, la Cina di Xi riguardo a Taiwan.
Chiarita una delle possibili manifestazioni/definizioni di pace ingiusta, rimane da interrogarsi più a fondo sulle qualità indispensabili a configurare e conseguire una pace giusta (gli aggettivi, “giustificata” e “giustificabile” meriterebbero un approfondimento qui non possibile). Sarò assolutamente drastico: giusta può essere la pace che gli aggrediti sono liberamente disposti ad accettare. Comunque, qualsiasi compromesso deve partire dalle esigenze espresse dagli aggrediti e tenerle in grandissimo conto. Quella pace faticosamente conseguita deve essere tale da proiettarsi nel futuro, da diventare, secondo la memorabile espressione di Immanuel Kant, una pace perpetua.
Nel dibattito contemporaneo troppo spesso non vi è sufficiente attenzione al regime politico dei paesi che scatenano le guerre. Da almeno una cinquantina d’anni, gli studiosi di relazioni internazionali hanno accumulato abbastanza dati e prodotto riflessioni sufficienti a suffragare la generalizzazione che “le democrazie non si fanno la guerra fra loro”. Certo, anche le democrazie combattono guerre che non sono giustificabili, guerre coloniali e neo-coloniali. Però, risolvono le differenze di opinione, valutazione, aspettative e prospettive che intercorrono fra loro, non con le armi, ma con i negoziati. Dunque, l’implicazione è cristallina: per ridurre le probabilità che si proceda a conflitti armati è imperativo ampliare l’area delle democrazie. La pace perpetua di Kant comincia e si fonda sull’esistenza di Repubbliche (il termine allora prevalente per designare regimi “democratici”) che vogliono “federarsi” e sanno come farlo. Operando per la costruzione di regimi democratici in Russia e in Palestina si agisce anche per la comparsa e l’affermazione di quella pace che, sola, offre la garanzia di durare. Il resto sono vane parole, malvagia retorica.
*Il riferimento al titolo del libro di Giovanni Sartori, Democrazia e definizioni (Bologna, il Mulino, 1957) è del tutto consapevole e voluto.
Pubblicato il 8 gennaio 2024 su PARADOXAforum
Make Europe Great Again (MEGA). Quel che dobbiamo fare per l’Europa, ovvero per noi @formichenews

Immigrazione, Patto di Stabilità e Crescita, nuove e numerose adesioni, sicurezza e pace sono le sfide che, se troveranno soluzioni condivise tra il 2024 e il 2029, promettono di cambiare per il meglio l’Unione europea e la vita dei cittadini/e europei/e con effetti positivi anche sulla costruzione di un nuovo ordine internazionale. La riflessione di Gianfranco Pasquino, europeo nato a Torino, professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna e Accademico dei Lincei.
Non c’è soluzione specificamente italiana ai problemi che in qualche modo riguardano l’Unione Europea e gli altri Stati-membri e i loro cittadini. Chiamarsi fuori significa per l’Italia non soltanto dovere provvedere da sé, ma rendere più difficile, quasi impossibile prendere decisioni che per funzionare richiedono accordi e concordia europea. Due esempi sono sufficienti: l’immigrazione e la revisione del Patto di Stabilità e Crescita, ma all’orizzonte si staglia l’adesione di nuovi stati a completamento geografico (e politico) dell’Unione Europea. Questa mia premessa è indispensabile per capire quanto alta è e possa diventare la posta in gioco dell’elezione del Parlamento europeo il 9 giugno 2024.
Anche se è giusto rammaricarsene, è inevitabile, comunque, impossibile da proibire, che i dirigenti dei partiti italiani pensino a sfruttare l’esito delle elezioni europee per rafforzare le loro posizioni in Italia. Assisteremo sicuramente ad un consistente travaso di voti e seggi dalla Lega, più che dimezzata, a Fratelli d’Italia che quadruplicherà i suoi voti e i suoi seggi. Lungi da me affermare che questo esito fortemente positivo per quei Fratelli servirà a poco o nulla se non incidesse sulla formazione della prossima maggioranza nel Parlamento europeo. Certo, dirigenti e eletti del Partito dei Conservatori e Riformisti, di cui Giorgia Meloni è presidente, non saranno davvero soddisfatti se mancheranno l’obiettivo di sostituire i Democratici e Socialisti dando vita ad una nuova maggioranza con Liberali, Verdi e Popolari. Poiché in democrazia, e l’Unione Europea è il più grande spazio di libertà, di diritti, di democrazia mai esistito al mondo, i voti contano, anche la, al momento probabile, prosecuzione della maggioranza attuale sarà consapevole della necessità di tenere conto della nuova distribuzione di seggi. Ma i seggi senza idee e proposte non fanno cambiare le politiche, forse neppure le cariche come, per esempio, quella della Presidenza della Commissione.
Spetterà alla campagna elettorale andare oltre i temi nazionali e la conta nazionale, pur, gioco di parole, tenendone conto. Finora non si è visto praticamente nulla di concreto, nulla di nuovo, nulla di affascinante. Peggio. La discussione sulle candidature a capolista e in quante circoscrizioni di Giorgia Meloni e di Elly Schlein (e giù per li rami delle altre liste con la lodevole eccezione di Giuseppe Conte che si è chiamato fuori) segnala la persistenza di una fattispecie di malcostume, politico e etico. C’è incompatibilità fra la carica di europarlamentare e quella di parlamentare nazionale. Dunque, poiché, naturalmente, né Schlein né, meno che mai, Meloni rinuncerebbero alla carica nazionale, è troppo poco denunciare che la loro presenza come capolista è uno “specchietto per le allodole”. Si tratta di un vero e proprio inganno a danno degli elettori, inganno che tutti i commentatori/trici e tutti i media dovrebbero, non assecondare con toto nomi e probabili desistenze a favore di fedelissimi/e, ma denunciare ad alta voce misfatti e misfattiste.
Poiché le decisioni europee nel prossimo parlamento si annunciano molto importanti, la composizione delle liste dovrebbe rispecchiare competenze e esperienze, non solo affidabilità personale e politica che, pure, è giusto che contino. La presenza di europarlamentari capaci è da considerarsi ancor più necessaria e significativa se la maggioranza sarà risicata. Talvolta, una argomentazione convincente riesce a spostare voti, a diventare vincente. Immigrazione, Patto di Stabilità e Crescita, nuove e numerose adesioni, sicurezza e pace sono le sfide che, se troveranno soluzioni condivise tra il 2024 e il 2029, promettono di cambiare per il meglio l’Unione Europea e la vita dei cittadini/e europei/e con effetti positivi anche sulla costruzione di un nuovo ordine internazionale.
Pubblicato il 31 12 2023 su Formiche.net
Pace: il racconto di due piazze
Due piazze: Roma e Milano, due concezioni di pace alquanto diverse. Nella piazza di Roma, più frequentata anche perché più accessibile geograficamente, il significato di pace era la cessazione del conflitto senza nessuna considerazione per la responsabilità della Russia di Putin e delle sue conseguenze: equidistanza. Nella piazza di Milano c’era più consapevolezza che, pacifisti o no, il compito prevalente e l’impegno di tutti dovrebbero tradursi nel riconoscimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina e del suo diritto a difendersi dall’aggressione russa. Nella piazza di Roma, Conte, che si è espresso contro l’invio di armi all’Ucraina, è stato variamente applaudito. Il segretario del Partito Democratico Letta, favorevole a sostenere gli ucraini senza riserve, è stato variamente contestato. Nella piazza di Milano era visibile la presenza di Azione di Calenda e Renzi chiaramente schierati a sostegno degli ucraini e di Zelensky. Curiosamente, però, da entrambe le piazze erano state bandite le bandiere di partito come se agli elettori, agli italiani non si debba/possa fare sapere chiaramente che cosa pensano i partiti da loro votati.
Nelle piazze si esprimono prevalentemente, deliberatamente e consapevolmente le proprie emozioni. Infatti, soprattutto a Roma grande è stata l’esibizione di sentimenti da parte degli oratori e dei manifestanti. Dalle piazze non è né possibile né logico attendersi raffinate analisi strategiche e geopolitiche. Tuttavia, dopo molti mesi di guerra sulla quale non sono affatto mancate le informazioni di ogni tipo, ritengo che sia lecito condividere alcuni punti che non possono giustificare in nessun modo la tanto vantata equidistanza. Che la Russia abbia aggredito l’Ucraina non può essere messo in dubbio. Che l’Ucraina abbia diritto a difendersi dovrebbe essere condiviso da tutti. Che i negoziati potrebbero iniziare un minuto dopo la cessazione delle azioni belliche russe pare innegabile. Stupisce che pochi mettano in evidenza che l’Ucraina è una democrazia, per quanto, come molte democrazie, imperfetta, e che la Russia è un regime autoritario e palesemente oppressivo e repressivo.
Coloro che sostengono l’esistenza di responsabilità dell’espansionismo della Nato e degli stessi ucraini dovrebbero interrogarsi, come fanno i polacchi e gli estoni, come hanno fatto i finlandesi e gli svedesi accedendo alla Nato, sulle conseguenze per l’Europa di un’eventuale vittoria russa. Porre la pace, intesa come cessazione del conflitto, al disopra di qualsiasi altra considerazione significa, l’avrebbe sicuramente detto il grande sociologo tedesco Max Weber, rinunciare all’etica della responsabilità anteponendo le emozioni all’uso della ragione. Passato il momento delle emozioni, preso atto di desideri non del tutto coincidenti e non egualmente accettabili, è augurabile che i dirigenti politici si adoperino con l’Unione Europea per una pace che ristabilisca e soprattutto rispetti i diritti degli ucraini aggrediti. Una pace giusta.
Pubblicato AGL il 7 novembre2022
Guerra e Pace #conferenza #dibattito #Teramo #1settembre
1 settembre ore 18
Sala Polifunzionale della Provincia di Teramo
L’ Associazione Socio-Culturale Hipsis organizza la conferenza/dibattito
GUERRA e PACE
Relatore:
GIANFRANCO PASQUINO
Moderatori:
Filippo Di Giacinto, Federico Gargano, Aldo Navarra-Silverii, Jacopo Trivelli
Presenta Greta Cionci
Con il Patrocinio della Provincia di Teramo
Perché tocca all’Ue guidare le trattative tra Mosca e Kiev @DomaniGiornale


Non deve essere Macron e non deve essere Draghi. Non tocca a Boris Johnson e neppure alla pensionata Angela Merkel. Negoziare con la Russia, intermediare fra Putin e Zelensky è compito esclusivo e urgente dell’Unione Europea. Pertanto, le due autorità che hanno l’obbligo politico e etico di attivarsi sono la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borrell. Condurre ad una tregua immediata e riportare ad una situazione nella quale le armi cedano ai negoziati sarà più probabile, anche se non facile, grazie al fatto importantissimo che l’Unione Europea ha dimostrato non soltanto la sua compattezza politica, ma anche la sua volontà univoca di potenza di pace per la pace.
Avendo stabilito una pluralità di pesanti sanzioni economiche nei confronti della Russia, del suo leader, degli oligarchi, e potendo, in assenza di accordi, estenderle e inasprirle, l’Unione va al tavolo delle trattative con risorse di cui può fare uso efficace, scambiandole in maniera appropriata. Abbiamo giustamente plaudito alla inaspettata coesione fra gli Stati-membri e alle loro solidarietà in azione. Abbiamo notato che, con pochissime e limitate eccezioni, le opinioni pubbliche europee sostengono le posizioni dei loro governi. Questo significa che l’azione diplomatica dell’Unione può partire con il piede giusto e con il vigore che le democrazie hanno regolarmente saputo dimostrare nelle ore più buie. Avendo già accettato di prendere in considerazione la domanda di adesione dell’Ucraina all’Unione, il Parlamento Europeo ha segnalato al legittimo governo ucraino che gli garantirà tutti i vantaggi, che sono molti, che derivano dal diventare Stato-membro.
Poiché l’Unione è stata provatamente in grado di produrre e di mantenere la pace al suo interno dal momento della sua formazione ad oggi, la sua credibilità non dovrebbe sfuggire nemmeno a Putin. Nessun europeo pensa che l’Ucraina nella UE possa diventare una testa di ponte per attacchi alla sicurezza della Russia, una spina nel fianco. Questo implica che l’Ucraina rinuncerà a un suo eventuale, ventilato inserimento nella Nato. Non ne avrebbe, comunque, più nessuna necessità dopo un accordo chiaro fra Unione Europea e Russia. Non abbiamo modo di fare cadere i sospetti dell’autocrate russo sui possibili rischi di contagio democratico. Sul tavolo del negoziato, però, von der Leyen e Borrell non dovranno in nessun modo porre le questioni interne al regime russo. Il Parlamento europeo si è già ripetutamente e giustamente espresso a favore dei diritti degli oppositori. Lì si deve fermare. Infine, potremo continuare a auspicare che le opposizioni a Putin non siano né oppresse né represse, ma questa è un’altra storia (per un’altra volta).
Pubblicato il 9 marzo 2022 su Domani
L’#Europa è il luogo dove potete esercitare la vostra sovranità. Votate! #Europee2019 #ElezioniEuropee2019
Parlamento Europeo. Se votate con il portafoglio pensate che il costo del vostro carrello della spesa è alto non per colpa dell’Euro, ma delle politiche economiche del governo. Con la lira, i vostri stipendi avrebbero ancora meno valore. Votate con il cervello e il cuore. L’Unione è il più grande spazio di libertà, diritti civili e sociali, pace mai esistito al mondo. I sovranisti sono portatori malsani di conflitti. Votate, votate. Votate.
INVITO L’Europa che vorremmo #7maggio #Mira #Venezia
Evento organizzato da ANPI Venezia – Comitato Provinciale
UN’EUROPA PER IL LAVORO, I DIRITTI, LA DEMOCRAZIA, LA SOLIDARIETÀ E LA PACE
Partecipano:
Gianfranco Pollio Salimbeni
Comitato Esecutivo Federazione Internazionale delle Resistenze
Christian Ferrari
Segretario generale CGIL Veneto
Gianfranco Pasquino
Professore emerito di Scienza politica
Modera
Diego Collovini
Presidente comitato provinciale ANPI Venezia
7 maggio ore 17:30
Villa dei Leoni
Riviera S. Trentin, 5
Mira Venezia
