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Ma la realpolitik sarà sufficiente? #FormicheRivista n° 168 #Aprile2021 Elogio del Pragmatismo @formichenews
Aprile 2021 Elogio del pragmatismo
Ma la realpolitik sarà sufficiente?
L’insorgenza populista e sovranista sembra terminata. Un po’ dappertutto la pandemia sembra avere richiamato il popolo, pardon, i cittadini-elettori, e i dirigenti politici a atteggiamenti e comportamenti più sobri. Non sono in vista miracoli, ma riflessioni, in parte, purtroppo, in piccola parte, ispirate dalla consapevolezza che la scienza conta e che, dunque, bisogna contare anche sulla scienza. Qualcuno, forse, è andato audacemente e ardimentosamente oltre, vale a dire, pensa e sostiene che la politica possa e debba essere sostituita dalla scienza, persino, attribuendo capacità taumaturgiche agli economisti. Più fragorosamente che altrove, ma anche prima e più lungamente che altrove, è in Italia che la politica, intesa in senso molto lato, ha mostrato gravi inconvenienti. Tuttavia, non sarà affatto la tecnocrazia, neppure nella versione Draghi e i suoi boys, a risolvere le difficoltà di lungo corso dei partiti italiani e dei loro dirigenti. Ricorrerei ad una comparazione che fa leva sulla retorica. Per risolvere i problemi della democrazia ci vuole più democrazia proprio come per risolvere i problemi della politica ci vuole più politica. Sappiamo, è una certezza, che l’anti-politica in Italia è da sempre forte. Ė stata ingabbiata da partiti veri e seri per un periodo di cui è giusto essere fieri, dal 1945 a, scusatemi, ma non trovo una data convincente per segnalare la fine di quell’esperienza, forse al 1989. Poi l’antipolitica è tornata in forza sulle ali prima di un imprenditore, poi di un comico ed è rimasta alimentando copiosamente le Stelle.
Altrove, la situazione era diversa in partenza ed è rimasta diversa per tutto il tempo con la clamorosa eccezione degli USA e la Presidenza Trump (il Bolsonaro del Brasile è esperienza peculiare, con minor impatto internazionale). Mi viene regolarmente la tentazione di interrogarmi su che cosa rileverebbe Tocqueville come, al tempo stesso, una sorpresa e una correzione rispetto alle sue acutissime osservazioni dell’America degli anni trenta del XIX secolo. Poi, avendo letto le analisi di Robert Putnam sul capitale sociale, capisco che cosa è successo negli USA per aprire la strada a Trump (molto machismo, persistenza del razzismo, terribili semplificazioni che un elettorato con basso livello di istruzione ha dimostrato di sapere e volere apprezzare). Il trumpismo non è, naturalmente, finito, ma è improbabile che negli USA riconquisti i fasti del passato proprio come il populismo europeo non riuscirà ad ergersi come alternativa al ritorno di una politica non urlata, non stravolta. Dagli USA è venuta anche la lezione che le istituzioni e le regole della democrazia costituiscono un baluardo. Ricorderemo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 come il canto di un brutto cigno, ma anche come la sconfitta di quei “patrioti” bianchi insurrezionisti. Joe Biden è, in effetti, qualcosa di più dell’impossibile ritorno ad una normalità pre-2016. Il Presidente democratico è old, ma, consentitemi di aggiungere subito, giocando con le parole, ha dimostrato di essere bold, ovvero audace. Se Biden proseguirà tenacemente la strada del riformismo, economico e culturale, di ampliamento delle opportunità che è il meglio del “sogno americano”, l’impatto si avrà anche sui sistemi politici europei, sull’Unione Europea.
Oggi è impossibile dire se stiamo assistendo soltanto al ritorno del pragmatismo. Non sappiamo se il pragmatismo sarà sufficiente. Certamente, però, tenere conto dei fatti, delle prassi, costituisce la premessa indispensabile di qualsiasi costruzione di idee e di ideali. Temo che la pandemia offrirà ai politici, agli esperti, all’opinione pubblica nelle sue differenziate espressioni, ai cittadini ancora molto tempo per progettare. Ė un auspicio basato su segni ancora relativamente deboli che con l’impegno potranno rafforzarsi. Insomma, all’orizzonte si prospetta una nuova stagione nella quale politica e conoscenza, potere e sapere avranno modi di interagire liberamente. Voilà.
Insufficienti i 156 voti del Senato. Legittimo rafforzare la maggioranza #intervista @Affaritaliani
Intervista raccolta da Carlo Patrignani
“Se dovesse formarsi un gruppo soprattutto al Senato a sostegno dell’attuale governo giallorosa presieduto da Giuseppe Conte, che ha operato relativamente bene, sarei certamente favorevole.” A questo approda l’analisi del politologo Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna e Accademico dei Lincei, all’indomani del voto sulla fiducia per la crisi provocata da Matteo Renzi e Italia viva, in un momento particolarmente difficile per il Paese dato il combinato pandemia da Covid 19 e crisi economico-sociale.
Dal voto sulla fiducia, non tanto alla Camera dove l’esecutivo ha la maggioranza assoluta (361), quanto al Senato dove l’asticella si è fermata a 156 (maggioranza relativa), il governo Conte, chiosa Pasquino, “è uscito piu’ debole, svigorito, per cui trovo le offerte di rafforzarlo rivolte ad altre forze politiche del tutto legittime“.
Aver raggiunto al Senato solo la maggioranza relativa è del tutto “insufficiente” alla sua prosecuzione minata com’è dalla “non fiducia” di Italia viva.
L’analisi politica di Pasquino, le cui preferenze – rimarca – sono per “una coalizione europeista convinta“, parte anzitutto dalla necessità imprescindibile di “una coalizione sufficientemente coesa e il centro-sinistra potrebbe diventarlo“, mettendosi però al riparo da Iv “attesa alla prova nelle commissioni“.
L’acuto politologo, in passato senatore della Repubblica, non vede quindi “alternative” all’attuale esecutivo: “il centro-destra è diviso tra chi, Forza Italia, è europeista e favorevole al Mes e chi, Lega e Fdl, sono contrarie al Mes e all’Ue“.
Restano sullo sfondo le elezioni anticipate, un rischio che non si può correre per la drammatica situazione sanitaria ed economica.
“Spero che si trovi presto una adeguata soluzione alla precaria situazione di stallo – osserva Pasquino – che si passi a contrastare efficacemente da una parte la pandemia e che dall’altra si faccia presto e bene con il Recovery Plan per la ripartenza del Paese“.
Ultima considerazione: molti hanno messo in risalto la crisi dei partiti politici, a volte la loro stessa mancanza.
“Si scopre l’acqua calda – conclude Pasquino – la crisi dei partiti politici, per come li abbiamo conosciuti, risale al 1992-1994. Oggi di partito ce ne è solo uno: il Pd fermo al 20% che pur avendo una sua struttura e delle sue regole non genera entusiasmo nelle persone. Tutti gli altri non sono partiti politici ma organizzazioni personalistiche e fluttuanti“.
Pubblicato il 21 gennaio 2021 su affaritaliani.it
Noi, le libertà e i diritti @FondCorriere #DialoghiSuDiNoi Autoanalisi per una ripartenza
13 Maggio 2020
Fondazione Corriere della SeraDIALOGHI SU DI NOI Autoanalisi per una ripartenza
NOI, LE LIBERTÀ E I DIRITTI
Gianfranco Pasquino
Professore emerito di Scienza Politica
Università di BolognaMassimo Rebotti
Giornalista Corriere della Sera
[ERRATA CORRIGE Debbo dolorosamente correggere un mio errore: non è un quinto, ma un terzo dei componenti della Camera e del Senato che può (auto)convocarsi (art. 62). GP ]
È giunta l’ora di ripensare cos’è la libertà @fattoquotidiano
La pandemia, con la necessità di porre dei limiti alle libertà personali, obbliga tutti, a cominciare dai politici, che dovranno decidere che cosa, come, quanto, ai giuristi, ai filosofi, agli scienziati della politica, a ripensare al significato di libertà e alla realtà della/e libertà nel mondo contemporaneo. Non possiamo accontentarci della pure feconda, ma anche controversa, distinzione effettuata da Isaiah Berlin fra libertà “da” e libertà “di”. Certo, è importante essere liberi da impedimenti e da interferenze che vengano dallo Stato, dai detentori del potere politico, da chiunque abbia risorse tali da influenzarci in maniera notevole e sgradevole. Proprio se e quando riusciamo a sfuggire alle influenze esterne siamo liberi di agire e di fare. Allora, ci troveremo in condizione di perseguire i fini che desideriamo, di appagare le nostre preferenze. Quelle libertà individuali sono essenziali.
Tuttavia, abbiamo imparato da Thomas Hobbes che quando tutti tentano di ottenere quello che desiderano senza osservare nessuna regola finiscono inesorabilmente per scontrarsi producendo la grave situazione del bellum omnium contra omnes. L’ordine, prodromo di esiti autoritari, dovrà essere e verrà imposto dall’alto a meno che si pervenga ad una condivisione di regole accettate da tutti o quasi. L’ordine politico, premessa della democrazia e sua positiva conseguenza, implica che tutti rispettino le libertà altrui e che nessuno eserciti la sua libertà a scapito di quella degli altri. Forse, il pensiero politico non si è esercitato a sufficienza sui limiti reciproci della libertà.
La riflessione che ho svolto, finora molto carente in Italia, è indispensabile per passare ai casi pratici, a cominciare dalla libertà di circolazione che, riconosciuta nell’art. 16 della Costituzione italiana, è stata fortemente circoscritta dai decreti del Presidente del Consiglio. L’articolo afferma che la circolazione è libera “salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. Quindi, gli interventi limitati possono (debbono?) essere sanati da una legge successiva. Più concretamente, a suo sostegno e giustificazione, il governo deve argomentare che la libertà dei cittadini di circolare sul territorio nazionale, di uscirne e di rientrarvi trova un limite oggettivo nel diritto alla salute qualora esista una ragionevole preoccupazione che i cittadini circolanti siano portatori di malattie. Allo stesso modo e per ragioni simili, possono essere sospesi il diritto di riunione (art. 17) e il diritto di esercitare “in pubblico il culto” (art. 19). Tutti questi sono diritti che definirei sociali. Trovano presenza, protezione e promozione nell’ambito della società, nella socialità.
Se, come pare opportuno e acquisito, attribuiamo allo Stato il compito di proteggere la vita e di promuovere il benessere dei cittadini, allora ne consegue che il governo deve essere in grado di predisporre e di fare osservare le misure necessarie ai compiti primari. Potremo giustamente discutere il contenuto e i dettagli di queste misure (ad esempio, la definizione dei congiunti e il numero massimo di partecipanti ai funerali) chiedendo che il governo offra motivazioni specifiche e precise. Fra queste misure non può non essere collocato il ricorso al contact tracing (rin-tracciabilità dei movimenti e degli incontri) che richiede una trattazione specifica, ma i cui criteri irrinunciabili sono volontarietà, provvisorietà, temporaneità (ovvero la certezza che i dati raccolti saranno rapidamente distrutti dopo l’uso al quale erano stati destinati).
Primum vivere deinde philosophari, ma filosofeggiare sulle libertà nel mondo interdipendente significa andare ripetutamente, ostinatamente alla ricerca dei più accettabili punti di equilibrio fra le libertà dei cittadini. Niente di meno niente di più niente di diverso. Il diavolo potrà anche annidarsi nei dettagli, ma, forse, dobbiamo temere di più i diavoli che fanno un uso spregiudicato dei dettagli con l’intento di oscurare the big picture, il quadro complessivo: una pandemia che colpisce tutti e tutti mette e mantiene in pericolo.
Pubblicato il 8 maggio 2020 su Il Fatto Quotidiano
Da Churchill a Conte, è la responsabilità che fa maggioranza. Il commento di Pasquino @formichenews
Noto con rammarico che nessuno mi ha mai riferito che, mentre Churchill combatteva la sua orgogliosa guerra contro Hitler, i retroscenisti inglesi s’ingegnavano a individuare chi stava facendogli le scarpe pronto a sostituirlo. Lo scoop lo fece il very smart retroscenista del Daily Telegraph. Tutti vennero a sapere che a Cambridge John Maynard Keynes non parlava mai di sudore (very unbritish), di fatica (troppo lower-class british), di lacrime e sangue, ma di buttercookies. Lui, Keynes, era pronto a sostituire Churchill sicuro di debellare la guerra e le sue conseguenze. Non se ne fece nulla, ma, nel frattempo, i gossipari e anche i migliori analisti del dopo guerra (54 milioni di morti, un pochino di più di quelli della pandemia Covid-19) avevano annunciato che, vinta la Seconda Guerra Mondiale, Churchill avrebbe vinto anche le prime elezioni in tempo di pace. Re Giorgio VI non mise bocca e vinsero i laburisti di Clement Attlee, junior partners, pacati e sereni, del governo di unità nazionale.
Più che di essere sostituito adesso, Conte, attento lettore delle vicende anglosassoni, teme per l’appunto le elezioni politiche del 2023. Infatti, come lasciano trapelare alcuni perspicacissimi retroscenisti, sta preparandosi per la Presidenza della Repubblica (gennaio 2022). Quanto a Draghi non dà nessun segno di interesse per ottenere un’alta carica istituzionale in Italia. Sembra che la moglie preferisca una vita tranquilla, senza grane e incoraggi il marito a scrivere articoli per “The Financial Times” che diano la linea alle più o meno frugali autorità europee: “MES or Not MES, this is the problem”. Questo è lo stato del dibattito politico in Italia, rallegrato da qualche accusa di tradimento e da inviti a vergognarsi delle menzogne.
Qualcuno ritiene che più di quello che abbiamo dai politici e dagli avvocati del popolo attualmente al governo non è possibile ottenere. Quindi, bisogna già adesso pensare al dopo e vietare slogan fuorvianti e, forse involontariamente, minacciosi: “tutto tornerà come prima”. Altri pensano che chi scrive “tutto andrà bene” sia non preveggente, ma privo di televisore. Nessuno sembra pensare che non esiste neanche un esempio, lo scrivo per i nostri comparatisti d’eccellenza, di un governo e del suo capo (Commander in Chief) sostituiti nel corso di una emergenza, di una guerra, senza che si facesse un passaggio elettorale come annunciò solennemente chi poi quel passaggio non lo attese.
Altrove, non soltanto nella primavera del nostro scontento, le opposizioni e i loro giornali, l’opinione pubblica i commentatori indipendenti (ah, dite che non ce ne sono?), invece di sprecare tempo nel fare totonomi, metterebbero il meglio delle loro energie sia a individuare i problemi, anche gravi, del fatto, del mal fatto e del non fatto, sia soprattutto a suggerire, con l’avallo della scienza e delle comparazioni fondate, alternative praticabili. Quegli uomini e donne al governo, nazionale e delle regioni, e quegli uomini e donne all’opposizione saranno chiamati ad assumersi le loro specifiche responsabilità alla scadenza elettorale. Meglio se avendo cooperato per alleviare, ridurre, far passare la “nuttata”, la pandemia e il dolore degli italiani. Tutto il resto non serve a niente; anzi, peggiora quello che è già molto brutto di suo.
Pubblicato il 15 aprile 2020 su formiche.net