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Draghi, Letta e una lezione di europeismo alla Spinelli @DomaniGiornale

Forse è più che una felice coincidenza che gli autori dei due rapporti che aprono il quinquennio del nuovo Parlamento europeo, sul Mercato Unico e sul Futuro della competitività europea, siano stati scritti da due italiani, rispettivamente, Enrico Letta e Mario Draghi. Oltre alle personali prestigiose carriere professionali, Letta e Draghi sono anche stati Presidenti del Consiglio avendo, dunque, accesso alle più alte sedi decisionali dell’Unione Europea. Certamente non è un caso che i loro rapporti convergano sul punto più rilevante per il presente e, in special modo, per il futuro: maggiore coordinamento maggiore condivisione. I problemi dell’Unione Europea si debbono affrontare e si possono risolvere con “una unione più stretta” (uso parole che vengono da Altiero Spinelli che è all’origine di questa Europa).

Indicando il futuro possibile, ma difficile, entrambi i Rapporti suggeriscono, ovviamente, con le differenze che derivano dai compiti a cui dovevano rispondere, che tocca alla politica e alle istituzioni europee prendere le decisioni opportune. Poiché si tratta di decisioni di enorme importanza è ai vertici dell’Unione che bisogna rivolgere lo sguardo e chiedere se, come, quanto siano consapevoli, adeguati e disponibili. Finora la dicotomia europeisti/sovranisti, anche se schematica, è stata sufficientemente chiara per rendere conto della diversità delle posizioni, delle aspettative, dei comportamenti.  Naturalmente, era anche possibile scorgere alcune, non marginali, contraddizioni in entrambi i campi. Più facile coglierle fra i sovranisti, in particolare fra coloro che vogliono strappare, chiedo scusa, riappropriarsi di alcune competenze per le quali, poi, non dispongono degli strumenti per esercitarle. La sfida dei sovranisti agli europeisti finora ha fatto leva su sentimenti e risentimenti, sulla reviviscenza di identità nazionali, su qualche egoismo particolaristico. Con eleganza il Rapporto Draghi non sfiora neppure uno di questi elementi. L’analisi, la sfida, le soluzioni sono tutte improntate all’europeismo e dirette agli europeisti.

Per sentirsi dalla parte giusta per troppo tempo a troppi europeisti, anche a quelli italiani, sembrava sufficiente segnalare con un’alzata di spalle e con qualche critica la loro distanza dai sovranisti. Forse c’è anche molto di questo compiacimento alla base della perdita di competitività dell’Unione e della carenza di innovazione. Personalmente anch’io ho condiviso l’idea che, comunque, l’Unione procedeva e che le sue istituzioni democratiche avevano bisogno di poche sollecitazioni. Erano/sono comunque in grado, proprio perché democratiche, quindi, aperte, intelligenti, reattive, capaci di imparare, di innovare.

Letta, da una parte, ancor di più Draghi, dall’altra, affermano chiaro e forte che le istituzioni dell’Unione Europea debbono essere trasformate, essere rese più coese, più flessibili, più incisive, rapidamente. Il “cattivo” non è esclusivamente il voto all’unanimità, comunque da abolire. Sono tutte le procedure opache e strascicate che proteggono interessi nazionali spesso obsoleti, che debbono essere rivisitate e riformate. Il sovranismo è la ricetta di un ritorno al passato che non potrebbe comunque essere fatto rivivere e che porterebbe costosi conflitti fra Stati costretti a rivendicare i loro esclusivi interessi proprio sulle tematiche più importanti. Invece, fin d’ora è auspicabile e possibile costruire un’Unione Europea a più velocità. Se i “velocizzatori” hanno successo, questa è la scommessa, saranno molti, Stati-membri e associazioni intermedie, quelli che vorranno rincorrerli. E l’Unione Europea (ri)prenderà slancio.

Pubblicato il 11 settembre 2024 su Domani

Le due leader dimostrino di saper incidere anche in Europa @DomaniGiornale

Il parlamento europeo e il Consiglio dei capi di governo vedono arrivare gli italiani, soprattutto le italiane. No, né Meloni né Schlein, pure furbettamente elette, andranno ad occupare il seggio da europarlamentari, ma la loro presenza nella Unione Europea si sentirà, eccome. “Giorgia” è il capo del governo italiano, l’unico dei governi che ha avuto un buon successo elettorale e il cui partito, invece di perderne, ha triplicato i seggi nell’Europarlamento. Elly, già europarlamentare, è la segretaria del partito che avrà singolarmente più seggi fra i componenti dell’eurogruppo dei Socialisti&Democratici. Entrambe godranno, seppur in maniera diversa, di importanti opportunità politiche.

Giorgia ne ha fin da subito due molto significative. Prima opportunità: la sua preferenza e il suo voto potranno essere davvero incisivi nella designazione della/del Presidente della Commissione che, certamente, se ne ricorderà e ne terrà conto nella sua attività. La seconda è più che un’opportunità, un potere effettivo. Come ogni capo di governo, quello italiano ha per l’appunto il potere di nominare un Commissario, se il/la Presidente non è già della sua “nazione” di appartenenza. Meloni dovrà, da un lato, sfuggire alla tentazione dell’amichettismo alla quale troppi nel suo partito sono particolarmente sensibili. Dall’altro, cercherà di confutare tutti coloro che la accusano di non avere una classe dirigente. Individuare la personalità competente, europeista e, ovviamente, anche affidabile alla quale attribuire una carica prestigiosa che può essere importantissima per rappresentare l’Italia, ma con lo sguardo e l’impegno per cambiare l’Europa, è una vera sfida.

   Salvo molto improbabili e imprevedibili sorprese, i Socialisti&Democratici Europei faranno parte della maggioranza parlamentare a sostegno della prossima Commissione e della relativa Presidenza. Hanno ragione coloro che sottolineano che spesso gli europarlamentari danno vita a maggioranze a geometria variabile. Bisogna aggiungere subito che, in primo luogo, è giusto che su molte materie gli europarlamentari votino secondo coscienza e scienza (quello che hanno imparato e che sanno). Questo è il senso della rappresentanza politica. In secondo luogo, in quelle geometrie variabili le destre delle più variegate sfumature di nero non sono mai state determinanti. Resta da vedere quanto vorranno e riusciranno ad esserlo i Fratelli e le Sorelle d’Italia. Non determinante, un aggettivo che nell’Unione Europea non si attaglia quasi mai a un singolo attore politico, partitico e istituzionale, se non in negativo per chi ricorre allo sciagurato potere di veto, ma molto influente potrebbe/potrà essere l’europacchetto dei parlamentari democratici. Chi li guiderà, mi auguro di concerto e con frequente consultazione con Elly Schlein, dovrà anzitutto puntare alla Presidenza di una o più commissioni parlamentari di rilievo e sostanza: Affari Costituzionali, Ambiente, Economia. Dovrà, poi, ma non voglio esagerare nei tecnicismi, avere la capacità di dialogare e interloquire con i Commissari e con i loro collaboratori, alti e competenti funzionari, tutt’altro che burocrati che tramano nell’ombra. Compito che potrebbe essere ricco di ricompense personali e politiche

Concluse la fase del voto e la relativa conta, sconfitti i malamente attrezzati profeti del malaugurio che soffiavano nel vento delle destre sovraniste, qualunquiste, antieuropeiste, da adesso il capo del governo e la leader dell’opposizione hanno l’obbligo, non “divertente”, ma impegnativo, assorbente e potenzialmente gratificante di trovare le modalità di incidere sulle politiche e sul percorso europeo. Quasi tutto quel che si può fare nella nazione Italia dipende da quello che si riesce a fare, con competenza e credibilità, nell’Unione Europea. Anche, forse in special modo, a Bruxelles si misura la qualità della leadership politica. 

Pubblicato il 12 giugno 2024 su Domani

Il plebiscito è più di una truffa @DomaniGiornale

Qualcuno fra gli uomini e le donne in politica ha pensato che fare politica possa essere, sia anche, più di tutto, svolgere un’opera pedagogica: insegnare ai concittadini di tutte le generazioni come stare insieme perseguendo il bene comune, della patria e più. Questo bene non esiste a priori, ma viene definito sulla base dell’aggregazione delle preferenze che gli elettori e le elettrici esprimono di volta in volta anche come risposta all’offerta di programmi e scelte che i candidati e i partiti formulano per ottenere quei voti. Qui si innesta il circuito della accountability, cruciale, e intraducibile, espressione anglosassone: assunzione di responsabilità, in primis dei rappresentanti eletti e dei governanti. Quanto ai cittadini, al popolo che ha votato si renderà conto di non avere affatto sempre ragione, ma di avere sbagliato. Ne capirà le ragioni. Cambierà comportamento elettorale, dando una lezione a coloro che hanno attuato male, se non addirittura, tradito, più o meno consapevolmente, le loro promesse.

   Candidarsi ad una carica che già si sa che non si andrà ricoprire non è solo un inganno degli elettori (e non vale dire che gli elettori, comunque, mai tutti, già lo sanno). Soprattutto è una violazione del principio di responsabilità. Questi eletti e elette non risponderanno mai delle loro promesse. Non avranno nessun interesse a tenere i rapporti con il “loro” elettorato, meno che mai intraprenderanno un’attività pedagogica che risulterebbe profittevole anche per una migliore conoscenza della società in cui vivono, che vogliono rappresentare e governare. Ancora peggio, poi, quando il voto viene chiesto sulla propria persona. Non è un referendum. Tecnicamente, e le parole hanno un senso, è un plebiscito.

    Questa forma di consenso personalizzato all’estremo caratterizza la politica nei regimi autoritari. Nel rapporto elettorato (popolo) e leader (capo) è tipica di quasi tutti i regimi autoritari che abbiamo conosciuto, e conosceremo. Qualche volta il plebiscito è il modo con il quale il capo autoritario rafforza il suo potere, ma può anche perderlo. Augusto Pinochet, Cile 1988, docet. Qualche volta apre la strada all’autoritarismo, in seguito consolidato con procedure e pratiche istituzionali giustificate con esigenze di stabilità e efficacia che si ritiene, erroneamente, senza adeguata evidenza, non siano esaudibili dalle democrazie realmente esistenti, poco o nulla “decidenti”. Naturalmente, nessun plebiscito consente scambi di opinioni e offre la possibilità di apprendimento e di miglioramento della politica. Tutti i plebisciti, nelle loro limitate varianti, si configurano come il massimo di delega. Il leader che sostiene che ascolterà il popolo e ne attuerà le preferenze quasi avesse il dono, la grazia (carisma), di capirle in assenza di modalità di trasmissione oltre e altre rispetto al voto di investitura, e il popolo che, affidandosi alla persona plebiscitanda, butta alle ortiche qualsiasi sua responsabilità.

   Fuga dalla libertà scrisse il grande psicologo sociale Erich Fromm con riferimento ai comportamenti dei tedeschi che aprirono la strada al Führer negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Poiché in qua e in là nel mondo, ma anche in Europa, si manifestano spinte e tendenze di questo genere, sarebbe opportuno non sottovalutarle come elementi folcloristici, ma metterle in evidenza e farne risaltare le possibili conseguenze di riduzionismo della complessità della politica e di erosione non soltanto della qualità complessiva della democrazia, ma di alcune sue componenti essenziali, a cominciare dall’accountability, dalla responsabilizzazione dei governanti-rappresentanti e della cittadinanza, troppo spesso definita positivamente società civile. Si potrebbe cominciare con una narrazione appropriata di quello che sono e potrebbero essere per la democrazia italiana (e non solo) le elezioni del Parlamento europeo.

Pubblicato il 1° maggio 2024 su Domani

L’Europa nel mondo di domani #TavolaRotonda #1marzo #Roma convegno IL PARLAMENTO EUROPEO: VERSO QUALE EUROPA? Accademia Nazionale dei Lincei

CONVEGNO LINCEO
IL PARLAMENTO EUROPEO: VERSO QUALE EUROPA?
29 FEBBRAIO -1° MARZO 2024

Venerdì 1° marzo
Tavola rotonda: L’Europa nel mondo di domani
Interventi:
Giuliano AMATO (già Presidente della Corte Costituzionale)
Gianfranco PASQUINO (Linceo, Università di Bologna)
Alberto QUADRIO CURZIO (Presidente Emerito dell’Accademia Nazionale dei Lincei)

Nel giugno 2024 si terranno per la decima volta le elezioni a suffragio universale per il Parlamento
Europeo. L’attuale è una fase storica molto delicata per l’Unione Europea: la guerra in Ucraina, i postumi
della pandemia da Covid 19, la turbolenza dei mercati finanziari, la crisi ambientale e le difficoltà della
transizione energetica, l’accentuarsi degli squilibri territoriali tra Nord e Sud e Est e Ovest, la crisi
dell’equilibrio mondiale e l’affermazione in molti stati membri di movimenti populisti neo-nazionalisti
producono crescenti difficoltà nei rapporti tra gli stati membri e tra questi e l’Unione Europea, mettendo
in discussione la sua stessa architettura istituzionale.
Si pone quindi l’esigenza di un esame attento e sobrio della situazione sul piano della riflessione scientifica prima che si sviluppi la campagna elettorale.

PROGRAMMA DEL CONVEGNO

Le due leader non ingannino gli elettori @DomaniGiornale

Non è consentito essere contemporaneamente parlamentare nazionale e europarlamentare, Qualora un/a parlamentare nazionale, candidatasi al Parlamento europeo, venga eletta dovrà inevitabilmente optare per l’uno o l’altro parlamento. La candidatura di chi sa e addirittura dichiara preventivamente che, anche se eletta, non andrà al Parlamento europeo costituisce comunque una truffa agli elettori. Non può essere nascosta né sminuita sostenendo che la campagna elettorale offre la grande opportunità di parlare di Europa agli elettori senza nessun doveroso obbligo di accettare l’eventuale elezione. Infatti, è del tutto evidente che questa opportunità può essere sfruttata, a maggior ragione, anche dai segretari dei partiti, dai ministri e dal capo del governo, tutte persone informate dei fatti, dei malfatti e dei misfatti, anche senza che si presentino candidati a cariche che sanno (e dichiarano) di non andare a ricoprire.

   I mass media dovrebbero regolarmente informare l’e/lettorato quantomeno dell’esistenza di quella che è una insuperabile incompatibilità. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni giustifica la sua eventuale candidatura come capolista in tutt’e cinque le circoscrizioni come un servizio reso al partito che trarrebbe grande vantaggio dalla sua notevole capacità di conquistare voti. L’inganno cambia di qualità, ma rimane tale. La persona del leader prevale proprio per la sua capacità attrattiva di voti sul discorso concernente l’Unione Europea, il suo parlamento, il compito degli eletti/e. Non è ancora chiaro se e quanto il gruppo dirigente del Partito Democratico intenda fare pressione sulla sua segretaria Elly Schlein, peraltro, già europarlamentare per un mandato, affinché si candidi, anche lei in versione “specchietto per le allodole”, in almeno una circoscrizione. Per questa eventualità valgono, in misura appena inferiore, tutte le obiezioni rivolte alla candidatura Meloni.

Tuttora incerta e indecisa su come sfruttare le elezioni europee, nel frattempo Meloni sembra più che propensa a un confronto pubblico con la segretaria del PD la quale, naturalmente, non potrebbe permettersi il lusso di rifiutare. L’eventuale duello oratorio ha già trovato ben disposti, addirittura entusiasti sostenitori in alcune reti televisive e in alcuni giornalisti che, a vario titolo, vorrebbero esserne i moderatori. Qualcuno ha già provveduto a resuscitare un importante esempio di duello politico del passato: elezioni del marzo 1994, da una parte Silvio Berlusconi, dall’altra parte Achille Occhetto. Quella competizione elettorale era chiaramente bipolare; la posta in gioco era altrettanto chiaramente Palazzo Chigi. Oggi, in questa fase, nell’attuale contesto partitico, quantomeno tripolare, non esiste nessuna delle due condizioni di fondo. Le elezioni politiche non sono certamente dietro l’angolo. La Presidenza del Consiglio è solidamente nelle mani dell’attuale occupante (il termine inglese incumbent è molto più pregnante).

Pertanto, il duello Meloni/Schlein, per quanto possa avere elementi politicamente interessanti, vedrebbe la componente spettacolare (l’insieme di postura, mimica, atteggiamenti, lessico, abbigliamento) che i mass media esalterebbero attraverso valutazioni e commenti che diventerebbero virali, prevalere sui contenuti politici. Non c’è nessun bisogno di alimentare la politica spettacolo (che fu molto contenuta nel duello Berlusconi/Occhetto). All’ordine del giorno sta non stabilire chi è la più brava oratrice del reame, ma chi ha le idee migliori da portare e esprimere nel parlamento europeo. I dirigenti dei partiti si confrontino in pubblico quando in gioco/in palio c’è una posta politica, non diseducativamente per vincere la sfida dell’audience e dello share. Non farne avanspettacolo, ma dare dignità alla politica, questo è il dovere delle leadership democratiche.  

Pubblicato il 10 gennaio 2024 su Domani

La corruzione almeno dimostra che il parlamento europeo non è inutile @DomaniGiornale

Da Bruxelles (e Strasburgo) viene una lezione sicura, che pare sfuggire a troppi commentatori: il Parlamento europeo è tutt’altro che un organismo marginale e inutile. Al contrario, oltre a dare rappresentanza a centinaia di milioni di cittadini europei, è un importante luogo di decisioni politiche, sociali, economiche, culturali. Per questa ragione, una serie di attori esterni tenta di condizionarlo con una molteplicità di strumenti leciti e illeciti che, comunque, non lo rendono affatto paragonabile alle stalle di Augia. Solo partendo da questa facile, innegabile constatazione diventa possibile capire una serie di fenomeni. In primo luogo, l’esistenza di, sembra, più di 12 mila lobbisti iscritti nell’apposito albo si giustifica proprio con la volontà di un numero molto alto di gruppi, associazioni, enti e, naturalmente, anche, senza nessuna sorpresa, paesi, che vogliono non solo comunicare le loro preferenze agli europarlamentari, ma influenzarne le scelte.

   In qualche modo, un po’ tutti i parlamenti democratici debbono fare i conti con il lobbismo. L’Europarlamento, proprio per la sua natura di Parlamento multinazionale e sovranazionale, ha addirittura bisogno di essere aperto a fonti che gli comunichino informazioni utili, certo non esenti da suggerimenti operativi particolaristici. Qui, semmai, si annida l’insidia della esposizione alle proposte dei lobbisti e della resistenza alle loro pressioni che soltanto parlamentari selezionati bene, competenti, aiutati da assistenti preparati sono in grado di effettuare, combinando senza retorica, gli interessi del loro partito e del loro paese con quelli dell’Unione Europea. Anche quelle che possono apparire decisioni di scarsa importanza, ad esempio, la denominazione di prodotto di origine controllata, tocca una pluralità di interessi dei produttori e dei consumatori. Facilmente immaginabile è quanto le nient’affatto semplici dichiarazioni sulla protezione e la promozione dei diritti dei cittadini, sull’esistenza e il funzionamento della rule of law vengano considerate dagli Stati sotto osservazione nocive al loro prestigio, alla loro economia, alla legittimità dei loro non democratici governi.

   Tenendo conto di queste premesse, è possibile valutare la gravità della corruzione di, al momento, una, ancorché potente, eurodeputata, di un ex-eurodeputato di lungo corso, di un assistente particolarmente intraprendente”. Diradato il primo polverone, da un lato, saranno la magistratura e lo stesso parlamento a procedere alle indispensabili sanzioni. Dall’altro, l’Europarlamento sarà obbligato riflettere sulle sue attuali inadeguate misure di prevenzione. Fin d’ora sarebbe opportuno che tutti s’interrogassero sia sulla diffusione dei fenomeni di corruzione sia sul paragone fra i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo. Non sarà quest’ultimo a uscirne screditato.

Pubblicato il 21 dicembre 2022 su Domani

Perché tocca all’Ue guidare le trattative tra Mosca e Kiev @DomaniGiornale

Non deve essere Macron e non deve essere Draghi. Non tocca a Boris Johnson e neppure alla pensionata Angela Merkel. Negoziare con la Russia, intermediare fra Putin e Zelensky è compito esclusivo e urgente dell’Unione Europea. Pertanto, le due autorità che hanno l’obbligo politico e etico di attivarsi sono la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borrell. Condurre ad una tregua immediata e riportare ad una situazione nella quale le armi cedano ai negoziati sarà più probabile, anche se non facile, grazie al fatto importantissimo che l’Unione Europea ha dimostrato non soltanto la sua compattezza politica, ma anche la sua volontà univoca di potenza di pace per la pace.

   Avendo stabilito una pluralità di pesanti sanzioni economiche nei confronti della Russia, del suo leader, degli oligarchi, e potendo, in assenza di accordi, estenderle e inasprirle, l’Unione va al tavolo delle trattative con risorse di cui può fare uso efficace, scambiandole in maniera appropriata. Abbiamo giustamente plaudito alla inaspettata coesione fra gli Stati-membri e alle loro solidarietà in azione. Abbiamo notato che, con pochissime e limitate eccezioni, le opinioni pubbliche europee sostengono le posizioni dei loro governi. Questo significa che l’azione diplomatica dell’Unione può partire con il piede giusto e con il vigore che le democrazie hanno regolarmente saputo dimostrare nelle ore più buie. Avendo già accettato di prendere in considerazione la domanda di adesione dell’Ucraina all’Unione, il Parlamento Europeo ha segnalato al legittimo governo ucraino che gli garantirà tutti i vantaggi, che sono molti, che derivano dal diventare Stato-membro.

   Poiché l’Unione è stata provatamente in grado di produrre e di mantenere la pace al suo interno dal momento della sua formazione ad oggi, la sua credibilità non dovrebbe sfuggire nemmeno a Putin. Nessun europeo pensa che l’Ucraina nella UE possa diventare una testa di ponte per attacchi alla sicurezza della Russia, una spina nel fianco. Questo implica che l’Ucraina rinuncerà a un suo eventuale, ventilato inserimento nella Nato. Non ne avrebbe, comunque, più nessuna necessità dopo un accordo chiaro fra Unione Europea e Russia. Non abbiamo modo di fare cadere i sospetti dell’autocrate russo sui possibili rischi di contagio democratico. Sul tavolo del negoziato, però, von der Leyen e Borrell non dovranno in nessun modo porre le questioni interne al regime russo. Il Parlamento europeo si è già ripetutamente e giustamente espresso a favore dei diritti degli oppositori. Lì si deve fermare. Infine, potremo continuare a auspicare che le opposizioni a Putin non siano né oppresse né represse, ma questa è un’altra storia (per un’altra volta).

Pubblicato il 9 marzo 2022 su Domani

Oltre la pandemia, l’Unione Europea cresce e avanza

Ieri, in seduta solenne di fronte al Parlamento europeo, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha tenuto il discorso annuale sullo stato dell’Unione. Nonostante la pandemia, anzi proprio per questa sfida, contrariamente a quello che sostengono i troppi profeti del malaugurio, l’Unione ha risposto efficacemente e ha già iniziato una ripresa economica crescendo tassi superiori a quelli degli USA e della Cina. La Presidente ha sottolineato quanto fatto sul piano delle vaccinazioni, ma anche della distribuzione dei vaccini ai paesi non europei che non hanno bisogno. Poi, ha chiarito quali politiche l’Unione formulerà per l’ambiente e per la digitalizzazione. Infine, ha annunciato un nuovo programma ALMA che mira ad aiutare i giovani che non lavorare e non studiano a trovare un’occupazione in qualsiasi paese dell’Unione, un po’ come i giovani più fortunati possono, grazie al programma Erasmus, studiare nelle Università europee che preferiscono.

L’elemento problematico del quadro complessivamente e documentatamente positivo è costituito dalla debolezza della presenza dell’Unione sulla scena mondiale. Quanto è avvenuto in Afghanistan non può essere e non sarà dimenticato poiché la sue conseguenze, non soltanto riguardo ai profughi e ai rifugiati, ma anche con riferimento ai diritti, in particolare delle donne afghane, sono destinati a durare molto a lungo. Giustamente, von der Leyen, già Ministro della Difesa in Germania, ha sottolineato che l’Unione deve dotarsi di una politica estera e di difesa effettivamente comuni. L’Alto Rappresentante è destinato a contare poco, se, da un lato, su entrambe le materie nel Consiglio dei Ministri sono necessari voti all’unanimità e se l’Unione non si attrezza con un contingente militare di una dimensione all’altezza della sfida.

Quasi contemporaneamente, partecipando ad una riunione di una quindicina di capi di Stati europei, il Presidente Mattarella, da sempre convinto europeista, ha a sua volta ribadito la necessità di una politica estera e della difesa comune e criticato la persistenza delle votazioni che richiedono l’unanimità. Salvaguardia per i paesi più piccoli, l’unanimità si è trasformata in uno strumento di blocco e addirittura di ricatto spregiudicatamente minacciato (e usato) da alcuni paesi, in particolare del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), ma non solo. Attribuendo enorme potere anche ad un solo Stato contro una maggioranza anche molto ampia, l’unanimità non è una modalità democratica. L’Unione è riuscita a funzionare, talvolta a bassi e lenti livelli di rendimento, nonostante la necessità di voti all’unanimità su alcune materie, fra le quali, l’immigrazione, la politica fiscale e la revisione dei Trattati. Una maggiore e migliore integrazione dell’Unione Europea, oltre alla grande pazienza e intelligenza degli europeisti, richiede nuove procedure decisionali. È lecito augurarsi che sarà la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen a procedere con successo nella giusta direzione.

Pubblicato AGL il 16 settembre 2021

Discutere il futuro dell’Europa si può (e si deve) #CoFoE con @rsantaniello @rivistailmulino

Chi continua a battere il tasto del «deficit democratico» a livello di Unione o non conosce le istituzioni europee o è in malafede. Molto va aggiustato, ma l’Unione europea resta uno straordinario esperimento di democrazia

di Gianfranco Pasquino e Roberto Santaniello per rivistailmulino.it

Spesso accusata a torto di soffrire di un deficit democratico, l’Unione europea ha programmato una Conferenza sul futuro dell’Europa che si avvierà il 9 maggio, festa dell’Europa. Una data che coincide con l’anniversario della dichiarazione dell’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman che nel 1950 propose la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), considerata la madre di tutte le istituzioni dell’Europa unita.

La Conferenza, prevista inizialmente per la primavera 2020, ma ritardata a causa della crisi pandemica, si basa su una dichiarazione tripartita firmata il 10 marzo scorso da David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, Antonio Costa, attuale presidente del Consiglio dell’Unione europea e da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, si intitola: Dialogo con i cittadini per la democrazia. Costruire un’Europa più resiliente. In essa si descrivono i principi dell’organizzazione e delle modalità di lavoro della Conferenza.

L’obiettivo dichiarato è quello di conferire ai cittadini un ruolo più incisivo nella definizione delle politiche e delle ambizioni dell’Unione europea grazie a uno spazio di incontro pubblico nel quale si svolga «un dibattito aperto, inclusivo, trasparente e strutturato con i cittadini europei sulle questioni che li riguardano e che incidono sulla loro vita quotidiana». Gli argomenti da trattare sono dettati in parte dalla situazione attuale: la salute e i cambiamenti climatici; in parte dalle sfide a cui è confrontata l’Unione europea: equità sociale e trasformazione digitale; in parte da problemi strutturali: ruolo dell’Unione nel mondo e rafforzamento dei processi democratici che governano l’Europa. La scelta degli argomenti e il loro approfondimento dipenderanno dalle preferenze espresse dai cittadini europei che parteciperanno alla conferenza.

La dichiarazione tripartita prevede, inoltre, la governance della Conferenza che è stata conferita a un Comitato esecutivo, organismo coadiuvato da una segreteria comune e composto da rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione, che esercitano congiuntamente la presidenza, e da un certo numero di osservatori provenienti dalle altre istituzioni europee.

Oltre alle plenarie, è prevista l’organizzazione di panel tematici, che coprono l’insieme delle questioni oggetto della Conferenza. I dibattiti nazionali ed europei, da cui scaturiranno idee e proposte, saranno alimentati grazie a una piattaforma digitale multilingue interattiva, allo scopo di diffondere le informazioni necessarie a svolgere una discussione la più ampia possibile. I panel di cittadini europei hanno lo scopo di dare vita a forme e modalità di discussione delle proposte e di valutazione del loro impatto, note come democrazia deliberativa. Le sessioni plenarie avranno cadenza semestrale con il compito di stilare un bilancio degli esiti già conseguiti e a (ri)orientare le discussioni successive. Infine, è prevista una sessione plenaria finale che si concluderà nella primavera del 2022. Da sottolineare, che anche i Parlamenti nazionali invieranno loro rappresentanti in qualità di osservatori.

Come si può vedere, si tratta di un esperimento di discussione transnazionale aperta alla partecipazione di milioni di persone che non ha precedenti. Da un lato, ambiziosissimo; dall’altro, segnale straordinariamente importante di fiducia nella democrazia e nelle sue pratiche. Si incrocerà inevitabilmente con l’attuazione del programma Next Generation Eu, forse contribuendo ad aggiustamenti probabilmente dandogli ancora maggiore vigore. L’Unione europea scommette su sé stessa, sulla capacità di trovare al suo interno le risorse intellettuali e politiche per aprire una nuova fase, di ripresa e di rilancio.

La Dichiarazione comune sul futuro dell’Europa contiene esplicitamente impegni di notevole importanza, che si compenetrano. Come si è visto, il dialogo sulla democrazia con i cittadini è la premessa per costruire un’Europa più resiliente. Ma come sarà possibile contrastare le critiche alle carenze di democrazia nell’Unione e chiarire le modalità attraverso le quali l’Unione riuscirà a diventare e rimanere davvero più resiliente?

Troppo spesso l’Unione europea è accusata di avere notevoli deficit democratici. Tout court di non essere democratica, tanto che qualcuno ha sostenuto che una sua ipotetica domanda di accesso sarebbe respinta perché non rispetterebbe i criteri che l’Unione europea impone ai «pretendenti». Giusto che il dibattito sulla democraticità dell’Unione sia aperto, ma merita di essere molto meglio presentato e discusso. La nostra posizione è che, a prescindere da molte considerazioni, l’Unione europea è comunque una democrazia in the making, in corso d’opera.

È innegabile che l’Ue abbia quasi tutte le caratteristiche proprie delle democrazie liberali, essendo nei fatti il più grande spazio di diritti esistente al mondo. Non solo i cittadini europei godono della più ampia gamma possibile dei diritti civili, ma anche di tutti i diritti politici: votare e essere votati, fare propaganda politica e costruire organizzazioni politiche dei più vari tipi, criticare e contestare la stessa esistenza dell’Ue. Inoltre, questi diritti sono protetti e promossi in maniera impeccabile, troppo spesso sottovalutata e talvolta addirittura ignorata, dalla Corte europea di giustizia. Lungi dall’essere un super-Stato oppressore, l’Unione europea è in realtà uno Stato dotato delle essenziali caratteristiche liberali.

I critici sostengono che il deficit sta nella limitata democraticità delle sue istituzioni, un punto che merita una riflessione limpida e approfondita. In estrema sintesi, il Consiglio è composto dai capi di governo degli Stati. Ciascuno di loro è tale perché ha aggregato a suo sostegno la maggioranza assoluta degli elettori del proprio Stato. Se perde quella maggioranza viene regolarmente e democraticamente sostituito da chi comunque è sostenuto da un’altra maggioranza. Quindi, non è corretto porre in discussione la legittimità di ciascuno dei componenti del Consiglio né del Consiglio stesso nella sua interezza. Debbono, invece, essere prese in seria considerazione le critiche rivolte alle modalità di funzionamento del Consiglio, in particolare, la necessità di votazioni all’unanimità. Pur essendosi ridotto l’ambito delle materie sulle quali è richiesta l’unanimità, questa modalità di votazione (la cui democraticità è del tutto discutibile poiché attribuisce enorme potere a un solo componente), permane per quel che riguarda materie come la politica estera e di sicurezza, la fiscalità e le questioni sociali rendendone molto difficile il ridimensionamento. Quanto ai capi di governo che difendono interessi nazionali, questo semmai è un deficit di europeismo attribuibile ai comportamenti di quei capi di governo che poco ha a che vedere con la democrazia nell’Unione europea.

Non soltanto il Parlamento europeo è l’istituzione democratica per eccellenza nel circuito delle istituzioni dell’Unione, ma è quella che nel corso del tempo ha acquisito maggiore centralità e poteri. Istituzione che garantisce rappresentanza ai cittadini europei da loro eletto, quindi, pienamente legittimato, dai numeri del Parlamento nasce la presidenza della Commissione, dalle udienze conoscitive viene saggiata la qualità dei diversi commissari in quanto a competenza, affidabilità e europeismo, dal voto del Parlamento viene insediata la Commissione nella sua interezza, da quel voto la Commissione è anche sfiduciabile.

Ciò detto e sottolineato, è opportuno prendere in considerazione alcune critiche. La prima molto nota e persino eccessivamente ripetuta è che le elezioni del Parlamento europeo sono di «secondo grado», vale a dire ritenute dagli elettori meno importanti delle elezioni nazionali (di primo grado). La seconda è che sono «combattute» prevalentemente su tematiche nazionali piuttosto che su tematiche effettivamente europee. La terza è che l’affluenza complessiva dei cittadini europei alle urne è piuttosto bassa, oscillando intorno al 50% (nel 2019), comunque nettamente inferiore a quelle delle rispettive elezioni nazionali. Solo in parte queste inadeguatezze, che non giustificano l’accusa di deficit democratico, riguardano la democraticità dell’Unione europea. Piuttosto riguardano i partiti nazionali in attesa che decidano di trasformarsi in autentici partiti transnazionali, a condizione ovviamente che riescano a farlo.

Con i suoi componenti designati dai capi di governo riuniti nel Consiglio europeo, anche se poi «fiduciati» dal Parlamento, la Commissione non può ovviamente godere di legittimità democratica direttamente espressa dai cittadini europei. Tuttavia, farne, con espressione che contiene una valutazione fortemente negativa, un organismo asetticamente tecnocratico (irresponsabile, privo di riferimenti) è del tutto sbagliato. La Commissione è composta da uomini e donne, spesso con competenze di alto livello, ma anche con una biografia politica tutt’altro che irrilevante che include una loro propensione europeista positivamente valutata dal Parlamento europeo al momento della loro nomina. Quanto alla responsabilizzazione politica, tutti i commissari sanno di dovere rispondere del loro operato al Parlamento europeo. Infine, dalle loro memorie e dalle loro dichiarazioni, è possibile accertare che la grande maggioranza di loro ha inteso spogliarsi delle proprie appartenenze nazionali per interpretare e dare forma a (parafrasando de Gaulle) «una certa idea di Europa».

Se, dunque, è possibile sostenere che il deficit democratico dell’Unione europea non può essere fatto risalire alle modalità con le quali le sue istituzioni vengono formate, persistendo le critiche diventa essenziale guardare in maniera più approfondita al loro funzionamento. Due critiche appaiono di una certa consistenza.

La prima riguarda una eccessiva apertura a una molteplicità di interessi organizzati, con quelli più forti che hanno maggiori possibilità di influenza sulle decisioni. L’ansia di includere il maggior numero di interessi nelle procedure decisionali, attuata attraverso varie forme tra cui le consultazioni pubbliche, incide sui tempi e sulla qualità del prodotto. A ciò si aggiunge il processo conosciuto come «comitatologia», utilizzato per l’adozione della legislazione di dettaglio, che rischia di favorire gli interessi dei più forti e a tale scopo dovrebbe (potrebbe) essere oggetto di maggiore trasparenza e di una più severa selezione degli interessi.

La seconda critica attiene alla burocratizzazione delle modalità di funzionamento delle Direzioni generali della Commissione europea con il cosiddetto acquis communautaire che sembra giustificare la continuità («si è sempre fatto così») e al tempo stesso finisce per tarpare sul nascere qualsiasi innovazione. Malgrado la riforma attuata dalla coppia Prodi-Kinnock nel 2000, queste critiche persistono e sollecitano maggiori innovazioni amministrative.

Di recente è emersa una terza critica, più sottile e insidiosa, che riguarda, per ragioni che in parte discendono dalle prime due, l’opacità dei processi decisionali. Per chi ritiene che la democrazia debba vivere e agire in una casa di vetro, l’oscurità del castello europeo impedisce di vedere chi, come, con quali informazioni e con quali intenzioni, prende le decisioni e quindi di ritenerlo responsabile anche per poterne correggere compiacenze, insufficienze e errori. Anche se l’introduzione prevista dal Trattato di Lisbona della possibilità per un milione di elettori europei cittadini di almeno otto Stati membri di sollecitare iniziative legislative da inserire nell’agenda dell’Unione su tematiche importanti evitate o trascurate dagli organismi decisionali dell’Unione, è un passo importante nella direzione giusta, altre misure meritano di essere pensate e congegnate.

Se la Conferenza sul futuro dell’Unione europea che sta per partire è fatta anche per ottenere maggiore coinvolgimento e più ampia e incisiva partecipazione dei cittadini europei, allora i compiti della sburocratizzazione, della trasparenza, della responsabilità di decisioni e non-decisioni dovranno figurare in maniera esplicita sull’agenda. Dovranno, in definitiva, costituirne parte molto rilevante.

Rivista il Mulino 2021
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Crossing Europe #4marzo Il futuro dell’Europa. Conoscenza dell’UE e suo funzionamento. Prospettive future

4 marzo 2021 ore 11 – 13

Gli studenti del Liceo Sabin di Bologna incontrano online il prof. Gianfranco Pasquino per discutere di

Unione Europea: il più grande spazio di libertà e di diritti mai esistito al mondo
Sua costruzione storicopolitica: perché, quando, come, chi
Le istituzioni europee: Consiglio dei Capi di Stato e di Governo; Parlamento; Commissione…
Il futuro della UE

Crossing Europe è realizzato in collaborazione con l’Associazione di docenti dell’Università di Bologna «Parliamone ora»