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La tecnologia non salverà la democrazia, servono più cultura e più pensiero

La tecnologia non salverà la democrazia, servono più cultura e più pensiero
Se non c’è una discussione informata che precede la decisione, secondo Pasquino, è meglio astenersi. Ma su Internet prevalgono le immagini, è difficile riuscire a comunicare ragionamenti complessi, spesso si preferiscono le battute più o meno sagaci. Con gli strumenti digitali, quindi, possiamo al massimo dire se chiudere una strada alle automobili, cioè prendere decisioni elementari. Si potrebbe stare un attimo a decidere sulla pena di morte, ma se prima non si è strutturato un discorso sulla decisione, gli esiti che emergono dalla rete possono essere drammatici. La democrazia che ha in mente Pasquino è l’agorà: quel luogo dove i cittadini si incontrano, si scambiano le idee, si confrontano anche con chi ne sa di più. Per questo serve più cultura e più pensiero. Ad esempio, le élite sono tali nella misura in cui sono in grado di elaborare idee. Molto spesso non sono particolarmente ricche, ma hanno una cultura. Il problema è che le élite culturali sono una minoranza che ha ormai molte difficoltà ad influenzare la maggioranza, in più coloro che ne fanno parte sono restii ad impegnarsi in politica per paura di farsi etichettare come casta.

“La tecnologia non salverà la democrazia,
servono più cultura e più pensiero”

Intervista a Gianfranco Pasquino di Gabriele Giacomini, 21 giugno 2017

Gianfranco Pasquino è Professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna e membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Attualmente è James Anderson Senior Adjunct Professor alla SAIS-Europe. È editorialista dell’Agenzia Giornali Locali del gruppo L’Espresso.

Come stanno i partiti italiani?
Purtroppo la crisi dei partiti italiani è una realtà oramai accertata, assodata e anche sostanzialmente irreversibile. Oggi in questo paese è rimasto un unico partito, che non sta molto bene in salute, che si chiama Partito Democratico. Tutti gli altri non si chiamano neanche più partiti, non sono organizzazioni partitiche, ma sono perlopiù dei comitati elettorali o delle reti di utenti del web che si scambiano qualche informazione, qualche polemica, si espellono a vicenda e così via. Nessuno di questi gruppi si chiama partito, sia giustamente perché partiti non sono, sia per evitare il discredito – uso questo termine – di cui godono i partiti definiti tali.

C’è chi parla di partiti personali.
Infatti, la maggior parte delle organizzazioni che ci sono attualmente possono essere definite personalistiche. Quindi abbiamo il movimento di Grillo, Forza Italia di Berlusconi, la Lega di Salvini, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e poi ci sono gli Alfaniani, i Verdiniani. Tutto ruota attorno ai nomi. Dietro i nomi, però, non c’è granché dal punto di vista dell’elaborazione programmatica. Ci sono ambizioni personali che si mettono insieme e che qualche volta ottengono un po’di soddisfazioni e qualche seggio in parlamento.

Che ruolo hanno avuto i media, prima la televisione e poi Internet, nella crisi dei partiti?
La televisione ha un po’ di responsabilità. Internet parecchia perché chi comunica su Internet spesso non ha la capacità di comunicare ragionamenti complessi, altre volte non lo vuole fare deliberatamente e si limita alle battute più o meno spiritose e sagaci. Ma credo sia stata soprattutto la stampa, quotidiana e settimanale, per intenderci testate come La Repubblica e Il Corriere, L’Espresso e Panorama, a diffondere ampiamente discredito nei confronti dei partiti. Se dovessi indicare il maggior responsabile per la crisi dei partiti in questi ultimi dieci, quindici anni, direi che è il libro di Stella e Rizzo, La Casta che ha colpito profondamente l’immaginazione di un milione di lettori e che ha diffuso il discredito, lasciando intendere che gli uomini e le donne dei partiti di questo paese sarebbero tutti o quasi esponenti di una casta.

Prima accennava al fatto che manca elaborazione programmatica.
Questo dipende sostanzialmente dal crollo dei partiti tradizionali che in passato avevano governato il paese, certamente qualche volta anche nella forma peggiore, la partitocrazia. Quando il Partito comunista nell’89 va in difficoltà, giustamente perché non si era rinnovato durante gli anni precedenti, gli elettori sentono che non hanno nemmeno più bisogno di votare Democrazia cristiana, nel senso che non c’è necessità di una diga contro un partito comunista che non pone più nessun tipo di sfida e di minaccia. Nel frattempo, altri partiti avevano avuto dei problemi anche maggiori con Mani Pulite: molti segretari dei partiti politici vengono indagati e a quel punto c’è il crollo. Però il crollo in realtà era già nelle cose, perché era scomparso il fondamento culturale, erano scomparse le culture politiche. Non c’era più una cultura politica socialista, comunista, democratico cattolica. Di marxismo non si parlava più. Di tanto in tanto i comunisti recuperavano Gramsci. Una cultura socialista sopravviveva in parte nella rivista “Mondoperaio”, ma fu rapidamente normalizzata da Craxi. Era scomparsa anche la cultura cattolico democratica, il cui ultimo grande esponente è stato Pietro Scoppola. Senza culture politiche è difficile far vivere o rivivere i partiti politici.

Nella globalizzazione la democrazia ha ancora il potere sufficiente per incidere sulla vita dei cittadini? Forse i cittadini percepiscono che la politica ha un potere limitato.
I tedeschi risponderebbero che sono convinti della capacità della politica di incidere e che la cancelliera Merkel e il ministro Schaeuble fanno delle scelte politiche rilevanti. Ma prendiamo un altro esempio. I grandi operatori economici internazionali, le agenzie di rating, la banca Goldman Sachs attaccano la Danimarca? No. Si potrebbe dire perché il trofeo è troppo piccolo. Ma potrebbe essere che non l’attaccano perché il paese è governato bene, perché i cittadini hanno fiducia nelle loro istituzioni e nel loro stato, perché le banche non hanno fatto pasticci. E quindi in realtà la politica, se fatta bene, è in grado di resistere, di scoraggiare qualsiasi vento della globalizzazione. I paesi governati bene non vengono attaccati dalla globalizzazione finanziaria, non vengono messi in crisi dalla globalizzazione delle comunicazioni. Se fossimo ben governati anche noi non verremmo attaccati. Veniamo attaccati perché siamo deboli, vulnerabili, ma questo è appunto un problema legato alle carenze della politica.

Umberto Eco era molto critico nei confronti di Internet. Sosteneva che Internet da risalto a voci che non meriterebbero questa possibilità. Lei è d’accordo?
Sono molto d’accordo. Aggiungerei che noi naturalmente possiamo difenderci da Internet, nel senso che dovremmo sapere selezionare le persone e le fonti con le quali vogliamo parlare, interagire, delle quali leggiamo i tweet o cose del genere. Però, nel frattempo, sta emergendo un cambiamento culturale che Sartori aveva preveggentemente colto nel suo libro Homo Videns: subiamo una grande esposizione alle immagini e non siamo più in grado di elaborare ragionamenti. Si passa dall’uomo cartesiano “cogito ergo sum” all’uomo insipiens “video ergo sum”. Questo ostacola i ragionamenti, quando invece la politica è un mondo dove le persone si scambiano opinioni che hanno costruito magari attraverso letture e lo studio, è un mondo dove c’è un confronto razionale che però richiede appunto un pensiero. Se invece ci limitiamo a scambiare delle immagini allora entriamo in una situazione che rende difficile la vita della e nella democrazia.

I nuovi media favoriscono risposte populiste?
I nuovi media vengono usati dai populisti nella misura in cui è facile fare affermazioni brevi, fare un tweet, farne tanti. Questo naturalmente favorisce il discorso populista che per definizione non è un discorso particolarmente articolato. Basta dirsi contro, insultare, ripetere le stesse parole, schierarsi con il popolo, spesso la parte peggiore (che c’è, eccome se c’è) del popolo.

Come è possibile creare le condizioni per un confronto politico di qualità migliore?
La risposta standard è insegnare e diffondere cultura. Però, i ragazzini guardano le immagini prima ancora di iniziare ad andare a scuola. E a scuola addirittura si pensa che usando Internet si riesca a offrire un insegnamento migliore. Le élite sono tali nella misura in cui hanno fatto un percorso culturale, si dimostrano in grado di elaborare idee. Molto spesso le élite non sono particolarmente ricche, ma hanno una cultura. Ovviamente ci sono anche élite di tipo economico, ma, ad esempio, Trump non è certamente una élite culturale. Il problema è che le élite culturali sono una minoranza che non riesce più ad influenzare la maggioranza, perché quella maggioranza è raramente in grado di capire che cosa dice l’élite. Anche se le élite sminuzzano il loro pensiero, lo semplificano, quella maggioranza che è andata male a scuola, che ha seguito corsi fatti male, che non legge praticamente mai un libro, non riesce a seguire.

Qual è il ruolo delle élite in democrazia?
R. Come noto Aristotele non aveva grande fiducia nella democrazia, però sperava che mettendo insieme diverse modalità di governo si formasse quella che lui chiamava politeia, cioè il buon governo. Sartori sosteneva che il compito della democrazia è di selezionare una pluralità di élites, e che chi ci rappresenta deve essere migliore di noi. Altrimenti perché lo votiamo? Deve essere migliore di noi, naturalmente. Quando sento Grillo che dice che uno vale uno penso che non abbia capito niente e che stia distruggendo la democrazia rappresentativa. Uno non vale uno. Un parlamentare deve valere di più di un cittadino. Se qualcuno entra in parlamento pensando che gli possono essere sufficienti le conoscenze e le competenze da cittadino ha sbagliato il luogo da frequentare. Non vedo bene il futuro della democrazia perché le élite non vengono selezionate adeguatamente, e in più coloro che fanno parte delle élite politiche non vogliono esporsi al ludibrio di sentirsi chiamare casta. Mentre magari stanno facendo un lavoro davvero importante, anche per i loro cittadini, e parecchi di loro ci rimettono in termini di denaro, di tempo libero, di energie, di attività che stavano compiendo prima. Se non ci rendiamo conto che fare politica non è un gratuito servizio, ma è un compito importante, non riusciremo ad avere il contributo delle élite e tante altre cose.

Che cosa ne pensa dell’utilizzo del digitale per prendere decisioni politiche?
La democrazia che ho in mente io si chiama agorà: quel luogo dove i cittadini si incontrano, si scambiano le idee, parlano anche con qualcuno che ne sa di più. È chiaro che Socrate non lo troveremo più tanto facilmente nel mondo, Ci sono però persone che hanno intelligenze, conoscenze e disponibilità a dialogare. La rete e gli strumenti digitali possono servire qualche volta per prendere delle decisioni, su punti molto semplici, ma se prima non si è stati in grado di strutturare il discorso sulla decisione, gli esiti che vengono fuori dalla rete possono essere drammatici. Faccio un esempio: la reintroduzione della pena di morte. È facile dire sì o no. Ma è opportuno fare prima un dibattito su che cosa significhi tutto questo. Un dibattito di questa complessità non può essere fatto nella rete, certamente non solo. Al massimo. sulla rete possiamo dire se chiudere una strada alle automobili, cioè prendere decisioni elementari. Ma anche in questo caso probabilmente le persone che abitano in quella strada e che hanno l’automobile potrebbero spiegare perché quella strada non deve essere chiusa. Se non c’è una discussione informata che precede la decisione è meglio astenersi.

Quali nuove forme di impegno e partecipazione politica vede all’orizzonte?
Naturalmente ci sono dei movimenti che si attivano. Ad esempio, qualcuno potrebbe dire che i No Tav sono una nuova forma di partecipazione. L’azione di questi movimenti deve però essere valutata nella sua complessità, ad esempio, chiedendosi se è giusto che siano solo gli abitanti della Valle di Susa a decidere sulla Tav, anche per coloro che trarrebbero enormi benefici dalla rete ad ‘alta velocità. Altri potrebbero sostenere che le varie associazioni No Profit sono luoghi importanti di partecipazione, purché, aggiungo io, siano davvero indipendenti. In generale, senza una struttura fondamentalmente partitica, organizzata, che duri nel tempo, questi movimenti e queste organizzazioni sono transeunti, nascono e muoiono. Quelli che reggono sono, ad esempio, quelli vicini alla Chiesa, perché la Chiesa è una struttura molto potente, radicata e che dura nel corso del tempo, una struttura dalla quale una serie di organizzazioni traggono alimento, sostegno, appoggio e qualche volta anche denaro. Tutti gli altri movimenti non organizzati sono molto fragili e traballanti. Possono svolgere un compito importante in democrazia, ma non possono essere loro il fondamento della democrazia.

Pubblicato il 30 gennaio 2018 su fondazionebassetti.org

Dizionario di Politica Bobbio, Matteucci, Pasquino. Perchè le parole contano!

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Intervista raccolta da Annamaria Abbate per la Casa della Cultura

Giunto alla sua quarta edizione, a quarant’anni dalla data della prima pubblicazione, il Dizionario di Politica di Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino resta un’opera unica nel suo genere. Uscito per la prima volta nel 1976, negli anni Ottanta fu tradotto anche in spagnolo e portoghese, lingue parlate in molti Paesi allora nuovi alla democrazia. Diventato un “classico” della Scienza politica, ha accompagnato generazioni di studiosi e ora è riproposto dalla UTET in una nuova edizione aggiornata

Leggo dalle sue note bio-bibliografiche che lei, Prof Pasquino, si dice “particolarmente orgoglioso” di avere condiretto, insieme a Bobbio e a Matteucci, il Dizionario di Politica. Ci racconta perché e com’è successo?

Semplicissimo. Fui cooptato da entrambi, Bobbio, il docente con il quale mi ero laureato a Torino nel marzo 1965, e Matteucci, il docente che mi aveva “reclutato” come professore incaricato di Scienza politica nell’Università di Bologna nel novembre 1969. Svolsi il compito di Redattore capo della prima edizione, sette anni di lavoro, pubblicata nel 1976. Da Bobbio, filosofo della politica, e da Matteucci, storico delle dottrine politiche, ho imparato molto, a cominciare da come si scrive una voce di dizionario (di politica, non di scienza politica), a come si citano gli autori, tutti, anche quelli con i quali si è in disaccordo, a come si riscrive quello che collaboratori disinvolti e sicuri di sé, ma presuntuosi e irritabili, hanno consegnato. Sia Bobbio sia Matteucci, molto esigenti con se stessi, mi parevano, e qualche volta osai dirlo loro, fin troppo arrendevoli nei confronti di alcuni loro colleghi, diciamolo, rigidi. Fu, poi, nel corso della preparazione della seconda edizione, che uscì nel 1983, che Bobbio decise, con il beneplacito di Matteucci, di promuovermi condirettore: un premio straordinario. Ne fui felice e ne rimango, per l’appunto, “particolarmente orgoglioso”.

Che tipo di lavoro vi proponevate e ne siete stati soddisfatti?

Volevamo preparare uno strumento il più articolato possibile di analisi, storica, filosofica, politologica, dei concetti, dei fenomeni, dei movimenti politici più importanti, non solo italiani, di un’analisi che fosse precisa e compiuta, ma anche suggestiva, che offrisse il massimo di informazioni, ma anche prospettive per approfondimenti. Nessuno di noi tre pensava opportuno rincorrere l’attualità e le mode; tutt’e tre abbiamo cercato di illuminare i temi classici della politica. Al proposito, mi fa grandissimo piacere sottolineare che le non poche voci assolutamente fondamentali scritte da Bobbio e da Matteucci hanno retto al passare del tempo. Anzi, rimango convinto che chiunque voglia capire la democrazia e la teoria delle elites, farebbe molto bene a leggere le due voci di Bobbio così come chi vuole conoscere che cosa sono il costituzionalismo e il liberalismo deve assolutamente leggere le due voci di Matteucci. Entrambi scrissero diverse altre voci molto importanti. Vorrei segnalare Disobbedienza civile di Bobbio e Diritti dell’uomo di Matteucci. Naturalmente, tutt’e tre vedevamo problemi irrisolti, inconvenienti analitici, fenomeni insorgenti. Prima nel 1983 e poi, nella terza edizione, del 2004, abbiamo cercato di porvi rimedio. Faccio un solo esempio: la riscrittura delle voci comunismo e socialismo diventate in parte obsolete in parte inutili per chi leggesse il Dizionario nel 2004. Bobbio non poté vedere la 3a edizione poiché morì due settimane prima della pubblicazione, ma avevamo discusso insieme tutti cambiamenti (e gli alleggerimenti).

Come si spiega l’assenza di Giovanni Sartori, il suo “secondo” maestro? Come mai non gli avete affidato nessuna voce?

In quegli anni Sartori, che si trasferì a Stanford nell’estate del 1976, era impegnatissimo a scrivere il suo fondamentale Parties and party systems (pubblicato nel 1976 e del quale celebreremo opportunamente il 40esimo anniversario). Interpellato, ci fece notare che Bobbio e Matteucci potevano scrivere ottimamente le voci, Costituzionalismo, Democrazia, Liberalismo, Scienza politica, sulle quali lui aveva già scritto molto. Quanto ai Sistemi di partiti disse che potevo provarci io stesso che, insomma, dovevo pure avere letto quanto lui aveva scritto. Per le edizioni successive acconsentì a mandarci qualche riga di apprezzamento di cui, conoscendolo, siamo tuttora molto lieti e grati!

E lei, prof Pasquino, di quali voci si sente “particolarmente orgoglioso”?

Premetto che mi è sempre piaciuto cercare di formulare le definizioni più precise dei concetti politici, rintracciando quel che serve nella storia e collegandolo alle trasformazioni avvenute e alle nuove interpretazioni. Potrei dire che tutte le mie voci mi sono care, ma non è così (anche perché, talvolta, mi capita persino di avere un po’ di senso critico nei miei confronti). Sono piuttosto soddisfatto delle voci Forme di governo, Militarismo e Rivoluzione. Nella nuova edizione ho scritto, in maniera che mi pare efficace, le voci Accountability, Deficit democratico e Scontro di civiltà. Mi pongo costantemente in un dialogo ideale con i lettori, le loro curiosità e i loro interessi. Cerco di scrivere in maniera tale da soddisfare i lettori senza ridurre il tasso di inevitabile tecnicismo che ciascuna voce deve contenere. Lo faccio osservando la lezione di Bobbio e di Luigi Firpo: la chiarezza espositiva è una conquista che giova sia a chi scrive sia a chi legge.

Il Dizionario è oramai arrivato alla quarta edizione che esce quarant’anni dopo la prima. Potrebbe dirci che tipo di interventi ha fatto, ha suggerito, ha incluso?

Anche per non produrre un testo troppo voluminoso e non più maneggevole, ho fatto cadere alcune voci di esclusivo interesse storico che si trovano in molti repertori. Abbiamo proceduto al rinfrescamento di diverse voci e alla riscrittura specifica in chiave comparata della voce Mafia (Federico Varese, cervello italiano, brillante studioso, da quasi vent’anni a Oxford), di Terrorismo politico (Luigi Bonanate) per includervi anche il terrorismo cosiddetto internazionale, e di Unione Europea (Roberto Castaldi) perché l’UE cambia, purtroppo, non sempre in meglio, ma merita di essere analizzata con grande attenzione. Poi ci sono diciassette voci del tutto nuove che vanno, ne cito solo alcune, da Alternanza a Capitale sociale, da Cittadinanza a Patriottismo, da Consociativismo a Governance, da Narrazione a Primarie (non poteva mancare!). Tutte le volte che analizzo la politica e che commissiono analisi ai colleghi mi rendo conto quanto sia importante essere attentissimi e chiarissimi nelle definizioni, articolati nelle interpretazioni, non-ideologici nelle valutazioni. Tre qualità che è tuttora possibile apprezzare e tentare di imparare da due maestri come Bobbio e Matteucci.

Conoscendola, prof Pasquino, e avendola spesso ascoltata parlare e, come dice lei, “predicare”, non posso credere che lei non voglia niente di più che definizioni, interpretazioni, valutazioni, dal Dizionario di Politica.

Certamente, conoscendomi, anch’io so che desidero molto di più. Mi piacerebbe che il Dizionario fosse ampiamente utilizzato e diventasse indispensabile non soltanto (la prego di notare l’ordine) ai colleghi e agli studenti, ma anche agli operatori dei mass media, sì, i giornalisti della carta stampata, della radio e della televisione, magari diventasse, come sento che si dice, “virale” in rete (sic) e a un’opinione pubblica che rifiuti di farsi ingannare dagli affabulatori. Ciò detto, chiudo il mio piccolo libro dei sogni. Il predicatore che è in me rinsavisce; si disincanta; torna al realismo, alla politica che c’è; si rimette a studiare, a scrivere, a criticare, cercando di migliorare il linguaggio e le analisi politiche, e si rallegra nel dedicare questa nuova edizione alla memoria di Norberto Bobbio e di Nicola Matteucci (anche loro “predicatori” di una politica esigente e migliore).

Pubblicato il 28 aprile 2016

È nelle librerie il Dizionario di Politica di Bobbio, Matteucci, Pasquino. Nuova edizione aggiornata UTET 2016

Prefazione alla nuova edizione
Le parole contano

La politica cambia e cambia la sua “narrazione”. Di conseguenza, cambiano anche le parole per raccontarla e i concetti per analizzarla. Alcune parole sono effimere; altre sembrano destinate a durare; altre ancora meritano di essere diversamente spiegate. I concetti sempre meritano di essere definiti con attenzione alla loro storia e con precisione rispetto ai loro contenuti. Giunto alla sua quarta edizione, a quarant’anni dalla data della sua prima pubblicazione, questo Dizionario ha regolarmente mirato a includere tutte le parole importanti della politica e offrire le più accurate concettualizzazioni. Né Norberto Bobbio né Nicola Matteucci pensavano di dovere rincorrere l’attualità, spesso confinante con la caducità, ma entrambi furono sempre disponibili a prendere in seria considerazione fenomeni politici nuovi la cui trattazione meritasse di essere inclusa in un dizionario di politica. Ferme restando le grandi voci della politica, molte delle quali scritte, opportunamente, da loro stessi, che contengono tuttora le migliori chiavi di lettura delle strutture portanti della politica, entrambi avrebbero certamente incluso l’analisi dei fenomeni nuovi. Sarebbero anche stati d’accordo sull’opportunità di aggiornare complessivamente il Dizionario da loro impostato e diretto.

La lezione dei classici può e deve accompagnarsi a quanto di nuovo emerge continuamente in politica e serve senza nessun dubbio a illuminare le problematiche contemporanee. Tuttavia, la selezione di quali problematiche nuove includere e di quali fenomeni antichi, diventati minori e oggi non più rilevanti, escludere, si presenta sempre difficile. Però, selezionare è indispensabile, anche al fine di mantenere non esagerate le dimensioni di questa opera che continua ad essere unica, nonostante qualche imitazione, nel panorama italiano e non solo. La mia conoscenza del pensiero politico di Bobbio e di Matteucci, la mia lunga familiarità con i loro interessi scientifici e culturali e la fiducia da loro sempre manifestatami mi consentono di pensare che sarebbero stati fondamentalmente d’accordo con le mie scelte di inclusione del nuovo e di esclusione di alcune voci divenute non più necessarie.

Oltre a rinfrescare alcuni voci, dunque, abbiamo proceduto all’aggiunta di una ventina di voci nuove. Lascio ai lettori, ai colleghi e agli studenti quella che mi auguro sia la gradevole curiosità di scoprire le voci nuove, valutando nei fatti quali conoscenze aggiuntive apportino per una migliore comprensione della politica nel mondo contemporaneo(e, se siamo stati bravi, anche per qualche tempo a venire). Ho la profonda convinzione, certo di condividerla con Bobbio e con Matteucci, che qualsiasi buona analisi politica debba iniziare con la definizione corretta dei fenomeni e con la loro migliore concettualizzazione possibile. Questo Dizionario offre gli strumenti più adeguati per procedere con successo ad entrambe le operazioni. Infine, non posso trattenermi dallo scrivere che buone analisi politiche sono necessarie sia per criticare e contrastare la cattiva politica sia per porre le premesse della buona politica. Almeno, seppure con enfasi differenti, questo è quanto, con Bobbio e Matteucci, abbiamo cercato di fare. Poiché le parole contano.

Bologna, gennaio 2016

Gianfranco Pasquino

 

 

«Il Dizionario di Politica è un’opera importante, unica nel suo genere, non soltanto in Italia, ma anche all’estero dove è stato apprezzato e tradotto. Rigoroso nelle definizioni, articolato e convincente nella trattazione dei termini politici, questo Dizionario, opportunamente rivisto e aggiornato, è uno strumento istruttivo, utile per gli studenti, per i docenti e sicuramente anche per tutti coloro che di politica vogliono saperne meglio e di più.» Giovanni Sartori

Norberto Bobbio Nicola Matteucci Gianfranco Pasquino Dizionario di Politica Nuova edizione aggiornata UTET 2016

Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino
Dizionario di Politica. Nuova edizione aggiornata UTET 2016

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Norberto Bobbio
Nicola Matteucci
Gianfranco Pasquino

Dizionario di Politica
Nuova edizione aggiornata UTET 2016

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18 voci nuove:
ACCOUNTABILITY          Gianfranco Pasquino
ALTERNANZA          Marco Valbruzzi
CAPITALE SOCIALE          Marco Almagisti
scontro di CIVILTÀ          Gianfranco Pasquino
CITTADINANZA          Maurizio Ferrera
COALIZIONI          Marta Regalia
COMPETIZIONE          Marta Regalia
CONSOCIATIVISMO          Francesco Raniolo
DEFICIT DEMOCRATICO          Gianfranco Pasquino
GOVERNANCE          Simona Piattoni
GOVERNO DIVISO          Gianfranco Pasquino
NARRAZIONE          Sofia Ventura
NEO-PATRIMONIALISMO          Francesco Raniolo
PATRIOTTISMO          Maurizio Viroli
POLARIZZAZIONE          Marta Regalia
elezioni PRIMARIE          Marco Valbruzzi
TRANSIZIONE          Gianfranco Pasquino
TRASFORMISMO          Marco Valbruzzi

Copertina dizionario

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… Pace
Pacifismo
Parlamento
Partecipazione politica
Partiti cattolici
Partiti politici
Partitocrazia
Paternalismo
Patriottismo
Pauperismo
Peronismo
democrazia Plebiscitaria
Pluralismo
Polarizzazione
Polis
Politica
Politica comparata
Politica economica
Popolo
Populismo
Potere
Prassi
Primarie
Principato
Processo legislativo
Professionismo politico
Progresso
Proletariato
Propaganda
Proprietà
Pubblica amministrazione
Puritanesimo
Qualunquismo
Quarto stato
Radicalismo
Ragion di Stato
Rappresentanza politica
Razzismo
Referendum
Regime politico
Regionalismo
Relazioni industriali
Relazioni internazionali
Repubblica
Repubblica romana
Repubblicanesimo
Resistenza
Rivoluzione
Romant icismo politico
Scienza politica
Sciopero
Sciovinismo
Secessione errate
Signorie e principati
Sindacalismo
Sistema politico
Sistemi di partiti
Sistemi elettorali
Socialdemocrazie
Socializzazione politica
Società civile
Società di massa
Società per ceti
Sociologia politica
Sottosviluppo
Sovranità
Sovrastruttura
Spazio politico
Sistema delle Spoglie
Stabilità politica
Stalinismo
Stato assistenziale
Stato contemporaneo
Stato d’assedio
Stato del benessere
Stato di polizia
Stato e confessioni religiose
Stato moderno
Storicismo
Stratificazione sociale
Struttura
Tecnocrazia
Teocrazia
Teoria dei giochi
Terrorismo politico
Terza via
Timocrazia
Tirannia
Tolleranza
Totalitarismo
Transizione
Trasformismo
Trotskysmo
Uguaglianza
Unione Europea
Utilitarismo
Utopia
Violenza