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Come mai adesso l'”ammucchiata” si chiama governo di unità nazionale? @HuffPostItalia

Caro Huffington,

sinceramente preoccupato dalla sorte del paese in cui nacqui, vorrei avere qualche informazione più precisa per farmi un’idea su quale governo potrebbe formarsi. Enuncerò alcune interrogativi semplici e largamente diffusi dai mass media, te Huffington compreso, e da non pochi politici. Primo, il governo Draghi sarà eletto dal popolo? Avrà una legittimazione dal voto? Almeno il capo del governo otterrà un mandato politico-elettorale? Oppure, tutta questa discussione va lasciata alle illusioni/delusioni di Luciano Fontana, Direttore del Corriere della Sera, che intitolava melanconicamente la sua rubrica Lettere al Direttore: “Votare premier e coalizione è solo un sogno proibito?” La mia nota posizione è tutta costituzionale (art. 94): “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere” (incidentalmente, non sta scritto “della maggioranza assoluta”)

Secondo, è vero che molto spesso nel passato qualsiasi tentativo di accordi fra governo e opposizione e fra partiti di opposti schieramenti veniva, anzi, è stato prontamente e da quasi tutte le parti bollato come “inciucio” e “ammucchiata”? Oggi, un eventuale governo che includa Cinque Stelle, Partito Democratico, Lega e i numerosi cespugli centristi (chiedo scusa, ma non troppo, e dirò: i volonterosi, responsabili et al.) diventa governo di unità nazionale, o qualcosa di simile, ma soprattutto ottiene generose valutazioni positive. Terzo, con Draghi siamo, dunque, all’uomo della Provvidenza come fu definito da Papa Ratti, Pio XI il Mussolini che l’11 febbraio 1929 sottoscrisse i Patti lateranensi? Certo, non mi riferisco all’ideologia di Mario Draghi, sicuramente un sincero democratico, ma alle malposte iperboli dei commentatori, uomini e donne, dello stivale. Quarto, i politici e i loro giornalisti di riferimento si sono regolarmente riempiti la bocca con le parole: “prima i programmi poi i nomi”. Non mi pare che questo sia stato il punto di partenza delle varie dichiarazioni di sostegno al Presidente del Consiglio incaricato. Giusto ricordarne i molti meriti e decisivi nel salvare l’Euro e l’Unione Europea, ma non sarebbe stato opportuno che i capi partiti e partitini dicessero: “Draghi ottima scelta, adesso vediamo i programmi” (o nel loro lessico “andiamo a vedere le carte”)? Ma almeno una carta dovrebbe essere chiara: “dentro l’Italia nell’Europa dentro l’Europa nell’Italia”. Ė lecito interrogarsi se Draghi ha posto questa condizione preliminare? Tu Huffington chiamala pure discriminante.

   Da ultimo, almeno allo stato delle cose, “ricostruire la politica” (con la molto discutibile affermazione che “il sistema è fallito” quale “sistema” “che cosa è il fallimento, come lo si misura”?) è un compito che può essere credibilmente affidato a chi di esperienza politica (che non significa trattare con altri banchieri e con le cancellerie) non ne ha? Però, se davvero Draghi volesse/dovesse ricostruire la politica, non sarebbe lecito fin da subito chiedergli quali sarebbero le linee essenziali di questa ricostruzione? Caro Huffington, mi fermo qui, ma spero, anzi, sono certo che presto, molto presto tu mi chiederai di commentare il governo dei migliori, giusto?

Pubblicato il 6 febbraio 2021 su huffingtonpost.it

L’attacco di Salvini al Papa è un segno di debolezza

Il leader della Lega e ministro dell’Interno deve fare i conti, per la prima volta, con un calo di consensi. Colpire sempre più in alto è la strategia, ma il risultato potrebbe non essere quello sperato

 

L’ORMAI FAMOSA BESTIA

Ho sempre pensato e (da Bobbio e da Sartori) ho imparato che la politica non è solo il luogo dello scontro “amico-nemico” come scritto da Carl Schmitt, giurista nazista, apprezzato anche a sinistra (sovranisti di qualsiasi provenienza compresi). Non so quanto di vero ci sia nell’espressione “molti nemici molto onore”. So, però, che l’oramai famosa Bestia che guida la comunicazione politica di Salvini ha deciso che lo slogan può servire ottimamente a caratterizzare tutta l’attività non soltanto del leader della Lega, ma anche del Ministro. È facile dare del nemico a chiunque non condivida le nostre idee. D’altro canto, qualcuno pensa che, invece, di trovarsi dei nemici è preferibile avere degli interlocutori rispetto ai quali dissentire, magari, addirittura, imparando qualcosa per migliorare i propri messaggi, la propria linea politica. Dai tweet e dalle fake news c’è poco da imparare anche se dai primi un po’ di capacità di sintesi si può acquisire e qualche presa in giro può essere brillantemente trasmessa.

L’EFFETTO BOOMERANG

Le bordate di Salvini, direbbero gli esperti di comunicazione politica, hanno avuto successo nel definire e delimitare, persino ampliandolo, il campo dei sostenitori. Adesso, l’aggressione ossessiva e parossistica ai nemici sembra diventare controproducente, ritorcerglisi contro. Affari suoi, ma vediamo perché. Salvini non sarà certamente sconfitto dal papa che predica accoglienza (che non è una misura né di destra né di sinistra, ma di civiltà) e dal suo elemosiniere che accende la luce (fiat lux) per gli occupanti abusivi. Non sappiamo ancora oggi quale sia la risposta giusta alla domanda di Stalin sul numero di divisioni a disposizione del Papa. Per stare più vicino a noi, sappiamo, però, che Mussolini andò ai Patti Lateranensi e al Concordato riconoscendo la fortissima presenza cattolica nella società e nelle associazioni in senso lato assistenziali. Sappiamo anche, ma almeno i consigliori lombardo-veneti della Lega dovrebbero riferirlo al loro Capitano, che, in via di principio, in quelle zone, i preti sono tutt’altro che pregiudizialmente contrari alla Lega e a non poche politiche leghiste. L’attacco indiretto al Papa non può piacere a quei preti, rischia di creare loro alcuni problemi di coscienza, di farne predicatori di una solidarietà che non è proprio il segno prevalente dell’azione di governo del Ministro degli Interni.

Il fatto è che, un tempo arrembante e sicurissimo di sé, traboccante autostima, il Salvini si è improvvisamente trovato a fare i conti con un non del tutto imprevedibile, ma cospicuo, calo nei sondaggi. Ha dovuto cedere sul sottosegretario Siri, è diventato nervosetto. Ha deciso di alzare la posta prospettando le elezioni europee non soltanto come un referendum (affermazione sbagliata, ma, almeno in parte comprensibile), ma addirittura come una scelta fra la vita e la morte. I politici assennati sanno che debbono sempre mantenersi una posizione di ricaduta –e Salvini l’avrebbe: rientrare nel centro-destra rivendicandone il ruolo di leader indiscusso. Che Salvini cerchi di drammatizzare è un brutto segno, per lui. Giusto richiamare il referendum perduto da Renzi, con conseguenze disastrose. Altrettanto giusto ricordare che anche il conservatore David Cameron perse il referendum e la carica di capo del governo, coerentemente uscendo dalla politica. Altro luogo, altro stile, altra classe (ma adesso sappiamo che quel pudding è immangiabile). Qui, invece, c’è da temere (aspettarsi?) che il Salvini nervoso ne spari di più grosse accelerando la morte del governo per salvare la sua vita politica. In questo senso, le elezioni europee potrebbero davvero diventare questione di vita e di morte. Sarebbe cosa buona e giusta.

Pubblicato il 13 maggio 2019 su formiche.net