Home » Posts tagged 'PD'
Tag Archives: PD
«Ma Schlein su Ue e Ucraina non è chiara. Chi le è contro la sfidi invece di criticarla» #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, commenta il voto in Toscana e analizza quanto accade nel Pd, con Paolo Gentiloni che negli scorsi giorni ha chiesto a Schlein «un chiarimento» con il M5S. «Penso che Schlein volte prende posizioni che non mi piacciono ma per sfidarla servono posizioni chiare e precise che al momento ha solo una piccola minoranza guidata da Pina Picierno – dice – Dopodiché un partito deve avere una linea molto chiara sulle questioni più spinose come appunto l’Europa e l’Ucraina, cosa che in questo momento non avviene».
Professor Pasquino, in Toscana Giani ha stravinto e il Pd è ampiamente primo partito: segno che Schlein può dormire sonni tranquilli alla guida dei dem?
I toscani, come i calabresi e i marchigiani, votano sulle questioni che riguardano la Regione e scelgono il loro candidato presidente in base alla persona. Tutto il resto, cioè i Pro Pal, l’idea che possa in qualche modo contare la politica internazionale sulle questioni interne e regionali, esiste solo nella bolla mediatica. Detto ciò, Schlein è la segretaria eletta attraverso le primarie e gli sfidanti se vogliono devono chiederne le dimissioni e proporre le primarie come controllo sul suo operato.
Eppure nel fine settimane Paolo Gentiloni ha detto che serve un «chiarimento» con il M5S sull’Europa, sull’Ucraina, insomma sulla politica estera: che ne pensa?
Penso che Schlein volte prende posizioni che non mi piacciono ma per sfidarla servono posizioni chiare e precise che al momento ha solo una piccola minoranza guidata da Pina Picierno. Dopodiché un partito deve avere una linea molto chiara sulle questioni più spinose come appunto l’Europa e l’Ucraina, cosa che in questo momento non avviene.
Il guru dem Goffredo Bettini dice invece che serve un chiarimento interno al partito, più che con il M5S: che ne pensa?
Bettini non voglio commentarlo. Mi chiedo perché debbano rivolgersi a un guru esterno. Un partito, come diceva il compagno Gramsci, è un intellettuale collettivo e sicuramente la linea al Pd non può darla Bettini ma neanche Cacciari o Canfora. E neanche Albanese.
Casa riformista può essere il progetto centrista che manca alla coalizione?
Il centro è un luogo geografico, per diventare un luogo politico dovrebbe avere politiche chiare e specifiche che invece vengono messe in secondo piano dagli ego di Renzi e Calenda ma anche di Lupi, dall’altra parte. Quindi i centristi possono avere qualche voto, ma non sono decisivi. Come sarebbero invece i Cinque Stelle che però perdono voti di qua e di là con Conte che ha preso posizioni estremiste che renderanno difficile un governo con il Pd.
In Campania De Luca dice che il Pd sta buttando al vento tutti i suoi voti regalando la Regione al M5S per sostenere Fico: ha ragione?
No, perché quando si fanno le alleanze bisogna cedere qualcosa. E Fico è il meno grillino possibile, ha poco a che vedere con Conte, ha imparato moltissimo facendo il presidente della Camera e sostanzialmente è un progressista. Non è un grillino imprevedibile con punte di antipolitica. Insomma, Fico ha complessivamente la consapevolezza della complessità della politica e non è un terribile semplificatore come il grillino medio.
Renzi insiste sul fatto che il campo largo può vincere solo con un centro forte, che faccia da contraltare al M5S… Ribadisco: al centro ci si va in maniera politica. Bisogna trovare tematiche attraenti anche per elettori grossomodo moderati di centro ma che devono andare bene anche al Pd. Perché attenzione: il lavoro che il Pd deve fare non è spostarsi al centro ma trovare tematiche giuste per allargare il proprio bacino elettorale. E ci sono due tematiche sulla quali mi pare che non ci siamo.
Cioè?
La prima è quella dell’ordine pubblico, sulla quale sinceramente non mi ritrovo con il Pd di oggi. Spaccare vetrine per sostenere la Palestina è una stronzata, tecnicamente parlando. L’altra è che questo paese ha bisogno di crescere in maniera significativa e quel che conta è l’istruzione. In questo Paese non ci sono investimenti in istruzione ma bisognerebbe sapere come sfruttare tutte le nuove potenzialità a cominciare dall’IA. Non serve assumere insegnanti e basta, ma serve assumere insegnanti specifici e formati. Se non ci sono bisogna prepararli in maniera molto urgente e se ci sono bisogna assumerli, pagarli meglio e farli circolare.
Pubblicato il 14 ottobre 2025 su Il Dubbio
Francesca Albanese e la cittadinanza onoraria di Bologna, Gianfranco Pasquino: «Lepore sbaglia, questo Pd non avrà il mio voto» #intervista @corrierebologna

intervista di Francesco Rosano
Il professore emerito di Scienza politica critica la scelta caldeggiata dal sindaco Matteo Lepore: «La relatrice Onu non ha tutti i meriti che le vengono attribuiti, è una donna aggressiva e assolutista. Il primo cittadino così insegue la sinistra estrema»
«Un partito che dà la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese è un partito che non avrà il mio voto». Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, critica con forza il riconoscimento alla relatrice speciale Onu per la Palestina voluto dal Pd e dal centrosinistra. E mette in guardia dem e Cgil dal rischio di seguire un movimento di proteste pro Gaza che non sono in grado di governare: «Serve una sinistra che sblocca, non che blocca».
Professore, prima la consegna a Reggio Emilia del Primo Tricolore ad Albanese con la contestazioni e la pubblica reprimenda al sindaco Marco Massari, adesso la cittadinanza onoraria a Bologna caldeggiata dal sindaco Matteo Lepore. Come giudica questo rapporto tra i dem e la relatrice speciale Onu?
«Io credo che il Pd non stia dando un buona immagine di sé. Il Pd è un partito importante, indispensabile nello schieramento italiano, che dovrebbe tenere conto di sensibilità diverse. Francesca Albanese è una donna aggressiva e assolutista, che non ha tutti i meriti che le vengono attribuiti e che si è comportata in modo molto maleducato. Non le avrei dato la cittadinanza onoraria, la sua attività non ha dato nessun contributo specifico alla causa della pace, ed è il motivo per cui il Pd non avrà il mio voto».
Perché Palazzo d’Accursio si è mosso in questa direzione allora?
«Il sindaco Lepore aveva già sbagliato una volta esponendo la sola bandiera palestinese, in certi conflitti prendere parte senza argomentare in maniera approfondita non è mai un buon segnale. Adesso riconoscere addirittura una cittadinanza onoraria per meriti che non ci sono vuole dire rincorrere l’elettorato di sinistra estrema. Ma siamo sicuri che i pro Pal che distruggono le vetrine siano anche elettori e non solo distruttori?».
Quello del sindaco le sembra un autogol?
«Non mi interessa se Lepore fa un autogol, ma che giochi una partita diversa che giovi a tutti i bolognesi».
C’è molto nervosismo nell’area riformista del Pd. Dall’europarlamentare dem Elisabetta Gualmini in poi, molti stanno esprimendo insofferenza per questa «comunione» con le posizioni della relatrice Onu. Crede ci saranno contraccolpi nel partito?
«Non so cosa succederà, ma ho espresso subito il mio apprezzamento a Gualmini e le ho detto che è giusto combattere certe battaglie dentro il Pd, non in futuri partitini che potrebbero nascere. È il Pd che deve cambiare».
Bologna è una delle città dove le mobilitazioni per Gaza sono state più intense. Perché secondo lei?
«Con ogni probabilità dipende dal numero di studenti universitari presenti in città. Il problema è che c’è la convinzione che qui ci sia un clima di permissivismo, che si possano fare della cose che altrove non sarebbero possibili. La rottura delle vetrine, l’assalto alla stazione, i blocchi stradali non sono l’espressione di una sinistra che mi piace e che fa avanzare il Paese».
Lei critica le proteste e il «permissivismo» in città, sembra quasi che si ritrovi nelle posizioni del centrodestra bolognese.
«C’è un fondo di verità in quello che dicono, fermo restando che l’ordine che loro vogliono è quello della quiete che non disturba il governo, io voglio l’ordine del movimento, bisogna sapere sostenere e guidare coloro che si muovono, non vedere negozi distrutti e agenti assaliti».
La Cgil, in tutto questo, è andata un po’ al traino dei sindacati di base che sono stati i veri animatori delle proteste.
«Sono state alcune delle parole d’ordine di Landini ad aprire la strada ai sindacati di base, come quando ha parlato di “rivolta sociale”. Esagera lo scontro perché non ha una linea politica e obiettivi chiari. La Cgil che ricordo io aveva un servizio d’ordine che conteneva e i facinorosi, evidentemente non è più così».
Pubblicato il 10 ottobre 2025 sul Corriere di Bologna

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Professor Pasquino, ieri la segretaria dem Schlein da Pomigliano si è espressa su Stellantis chiedendo a Elkann di essere audito in Parlamento, Conte e Calenda lo avevano già fatto. La sinistra sta tornando tra gli operai?
Già il fatto che si parli di ritorno è preoccupante perché vuol dire che si erano dimenticati degli operai da molto tempo. Davanti alle fabbriche dovrebbero starci in primis i sindacati, altroché che chiamare alla rivolta sociale. Per quanto riguarda Conte, lui va tra gli operai per cercare di ottenere un minimo di consenso soffiando sulle proteste, mentre Schlein dovrebbe avere contatti più frequenti e organizzati. Dovrebbero esistere figure nel partito che curano questi rapporti, perché farsi vedere davanti ai cancelli ogni tanto non serve a granché.
Pensa che i recenti attacchi di Conte al Pd derivino dal fatto che, vista la faida interna con Grillo, l’ex presidente del Consiglio si senta un po’ un leone ferito?
Chiamare Conte leone mi pare eccessivo … Il leader M5S rilascia dichiarazioni, ma non c’è alcuna sostanza nelle sue frasi. Dice che è progressista ma non di sinistra ma non c’è progresso se non si sta a sinistra, visto che la destra è solitamente conservazione. Conservazione anche di cose buone, per carità, ma il progresso sta a sinistra, nel tentativo di cambiare le cose. Se dice che non è a sinistra allora non è neanche progressista. Dopodiché Conte interpreta un elettorato che in parte è progressista ma non tutto, perché una parte è qualunquista e anzi il M5S nasce proprio con questa chiave del no a tutto. Tanto che oggi la guerra con Grillo è proprio sull’anima del Movimento, su quel che il M5S deve essere. Se si abolisce il limite dei due mandati si apre a una nuova classe politica rispetto a quella del primo M5S. Ma ricordiamoci che il 5-6 per cento dei voti è necessario a qualsiasi coalizione di centrosinistra se vuole vincere.
Un’eventuale scissione di Grillo creerebbe danni a Conte?
Diciamo che porterebbe all’indebolimento di entrambi. Anche perché non è che se Grillo fa la scissione allora riporta il M5S al 20-25 per cento. Anzi. Ma il partito di Conte perderebbe molti attivisti. Sarebbe la fine dell’illusione che si potesse tenere sulla corda quel 30% di elettori portandoli su alleanze varie, prima con la Lega e poi con il Pd, sempre al traino di Conte che non essendo né carne né pesce va bene per tutto. Ma è appunto un’illusione che dura un mandato, perché poi rivela tutti i suoi limiti.
Dunque Conte non dovrebbe temere il voto di questi giorni?
Stiamo dando a Grillo, Conte e il M5S un’importanza che non ha. Si tratta di un partito del 10% che forse perderà ancora voti. Grillo forse cercherà di ostacolare Conte ma non sappiamo nemmeno se ce la farà. Lo stesso Conte sta perdendo visibilità e non tornerà mai al governo, perché non può fare il presidente del Consiglio se è a capo di un partito con meno del 10%. Insomma, lasciamoli lacerare al loro interno, poi con quel che resterà torneremo al dialogo.
Chi sta invece incrementando i propri consensi è Avs: i voti di Fratoianni e Bonelli arrivano da quelli in uscita dai Cinque Stelle?
Credo che quelli che hanno votato 5S e che non lo votano più siano elettori fondamentale astensionisti. E che sarebbero stati astensionisti già nel 2013 senza i Cinque Stelle. La crescita dell’astensionismo è data da quel tipo di elettori, che sono prevalentemente giovani. Una parte di loro forse sono interessati all’ambiente o in cerca di lavoro e quindi Fratoianni e Bonelli li raggiungono, ma anche in questo caso non esagererei troppo visto che hanno comunque il 6-7%. Ma qualcosa di utile si sta vedendo.
C’è poi l’incognita della gamba moderata della coalizione: crede che anch’essa sia necessaria per la vittoria, a prescindere da Renzi e Calenda?
Anche quella serve, ma non so come si riesca a prescindere da Calenda e Renzi. In qualche modo bisogna convincerli a fare un tipo di campagna elettore e di politica che permetta di raggiungere un elettorato centrista. Ma se il loro scopo fosse quello di strappare voti al Pd, allora la sconfitta sarebbe di tutti. Devono trovare elettori moderati che però pensano che il paese debba cambiare e portarli nell’ambito del centrosinistra.
Dunque con l’obiettivo di togliere voti a Forza Italia e non al Pd …
Non solo non devono togliere voti al Pd ma non devono nemmeno criticare in maniera ossessiva le scelte del Pd. Devono delineare un’alternativa dicendo cosa farebbero loro, che tipo di visione hanno e soprattutto devono dichiararsi sostanzialmente europeisti, compreso Renzi che ultimamente ha criticato e non poco l’Europa e Ursula von der Leyen, e convincere quella parte di elettori che oggi votano Fi.
Venendo al Pd, crede che l’exploit del partito alle Regionali sia il segnale di un ritorno a un centrosinistra pigliatutto dei tempi di Renzi e Prodi?
Né l’uno né l’altro. Con Prodi l’elemento trainante era il leader stesso. I Comitati per l’Italia erano stati la grande innovazione che gli permisero di raggiungere settori della società civile importanti numericamente e per quello che rappresentavano. Nel 2014 l’elettorato aveva colto in Renzi, giustamente, la novità ma erano Europee e il Pd è da sempre considerato il partito italiano più europeista. Schlein deve tornare all’idea che il partito deve esser davvero presente nel territorio e quindi dire basta alle candidature paracadute e invece dirsi favorevole alle primarie, verso le quali resta diffidente. Insomma, non vedo ancora quel tentativo di strutturazione vera del partito.
Cosa manca perché si arrivi a quella fase?
Manca una cultura politica, se le chiedessi qual è la cultura politica del Pd non saprebbe rispondermi. E neanche gli italiani. Il Pd oggi è una cosa che sta lì grosso modo nel centrosinistra con qualche visione progressista ad esempio sul salario minimo e sulla sanità che condivido ma non saprei aggiungere altro se non l’europeismo. Quest’ultimo tuttavia con importanti cadute di stile come Strada e Tarquinio, impresentabili.
Pensa che proprio la politica estera potrebbe essere lo scoglio più alto per un futuro centrosinistra di governo?
Sul tema non capisco l’opportunismo di Schlein. Due punti a me sono chiari e sono quelli che mi distanziano profondamente dal Pd. Il primo è che si tratta di un’aggressione russa all’Ucraina, il secondo è che si tratta di un’aggressione di un regime a uno stato democratico. Poi si può discutere di come sostenere Kiev ma se il Pd non capisce i due punti fondanti c’è un problema per il partito, per i suoi elettori e per i suoi rappresentanti. Prima ancora che con gli alleati internazionali.
Pubblicato il 7 dicembre 2024 su Il Dubbio
Il vero problema del M5S è Conte, Schlein punti sull’Ue #Intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna e in libreria da poco con il suo Fuori di testa. Errori e orrori di comunicatori e politici, spiega che Conte è un problema per il M5S e che il lavoro è uno dei pochi temi che unisce il campo largo.
Professor Pasquino, l’unità delle opposizioni in piazza ieri con i metalmeccanici significa che il campo largo passa anche dai temi del lavoro?
Il lavoro è l’unico tema sul quale hanno già trovato un accordo, a cominciare dal salario minimo garantito. Certo è un tema che si può utilizzare ma da solo non basta a creare il campo largo: pone le premesse, ma rimane molta strada da fare.
Una strada che passa anche per la difesa della sanità pubblica?
Più che la difesa della sanità pubblica si dovrebbe proporre una sanità pubblica migliore, più concreta e più efficiente che preveda investimenti di breve periodo per rinnovare l’apparato e di lungo periodo perché ci si è resi conto che i medici sono necessari e quindi bisogna riformare i test d’ingresso, preparare più personale e più infermieri. Anche su questo terreno la sinistra potrebbe trovare un accordo.
Sull’immigrazione invece Pd e centristi spingono molto, meno il M5S visti anche i trascorsi con i vari decreti Sicurezza. Su questo tema potrebbero esserci dei problemi?
Potrebbero essercene e potrebbero anche essere in qualche modo esaltati ricordando a tutti che l’immigrazione non la risolve alcun paese europeo da solo. Serve una soluzione che sia effettivamente europea e che sia rispettata in tutti i paesi. Una soluzione per la quale bisogna superare i veti dei sovranisti e poi tradurla in concreto anche in Italia.
Politicamente quanto sono importanti le prossime Regionali per il futuro del centrosinistra?
L’alleanza deve essere costruita di volta in volta, in una regione se ci sono le Regionali, nei comuni se ci sono le Comunali. Nella speranza che creandola si crei anche uno strumento attrattivo per quegli elettori che non votano più. Bisogna anche vedere se si creano delle leadership delle quali gli elettori si fidino. Per tutti questi motivi le prossime Regionali sono molto importanti. Vedremo come va in Liguria, ma tutte queste tappe sono decisive perché si possono anche offuscare le differenze, mettendo ad esempio Renzi all’interno di una lista civica a sostegno di una candidato governatore, come in Emilia- Romagna. Ma bisogna esserci tutti e questo significa che ciascuno deve rinunciare a qualcosa.
Renzi ha rinunciato al simbolo, a cosa dovrebbe rinunciare il M5S?
Il problema principale del M5S è Conte. Il quale crede di poter tornare a fare il capo del governo mentre le cifre e le percentua-li sono chiare. Se mai l’alleanza del centrosinistra riuscirà ad avere abbastanza voti il premier deve essere espressione del partito più grande ed è molto difficile che il M5S superi il Pd. Deve prendere atto che è il secondo e rassegnarsi ai posti di potere che spettano al secondo.
Una sconfitta in Liguria sarebbe un duro colpo per il Pd, dopo la vicenda giudiziaria che ha coinvolto Toti?
La Liguria è diventata importantissima perché se dovesse venire meno il sostegno di coloro che valutano negativamente quello che Toti ha fatto ciò implicherebbe un colpo di arresto non solo alle opinioni ma alle preferenze e alle speranze del centrosinistra.
Molti criticano la scelta di candidare Orlando: che ne pensa?
Orlando è spezzino e ha una storia politica ligure anche abbastanza lunga. È uomo capace ed è stato anche un buon ministro quindi credo sia il candidato migliore in queste circostanze. Non credo sarebbe una sua sconfitta ma di chi non riuscisse a trovare voti aggiuntivi che di solito vengono dagli astenuti.
Abbiamo parlato dei motivi che uniscono il campo largo: da dove potrebbero arrivare invece i problemi?
Beh, la politica estera potrebbe essere un problema ma dopo aver vinto la campagna elettorale, che certamente non sarà condotta su quello, visto che non p nemmeno una priorità per gli elettori. Schlein dovrebbe invece impostare il discorso sulla politica europea, terreno sul quale Conte è ambiguo e debole. Poi certo non si può guidare l’Italia con una politica estera zoppicante, basti pensare all’Ucraina e al futuro del Medio Oriente, oltre che di Israele.
Dopo le Europee Schlein si goduta un partito in salute: è ancora così?
Nel Pd vedo dei problemi che ci sono ma che riguardano il partito solo di riflesso. Nel bene, che è parecchio, e nel male, che comunque c’è, il Pd rappresenta un elettorato diviso su alcune questioni a partire dalla guerra, sia nel sostegno all’Ucraina sia nel sostegno a Israele. Schlein ha accettato di barcamenarsi e secondo me si è spinta un po’ troppo a favore di coloro che dicono basta a Zelensky e che criticano Israele. Ma la capisco, perché non può lasciare campo aperto a Conte che su entrambe le tematiche è su posizioni ben distanti da quelle del Pd.
Pubblicato il 20 ottobre 2024 su Il Dubbio

L’ammuina di Meloni e le proposte da fare in UE @DomaniGiornale

“Non chiedetevi che cosa l’Unione Europea può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per l’Unione Europea”. Questa parafrasi di una delle più efficaci affermazioni contenute nel discorso inaugurale della Presidenza di John Kennedy non può evidentemente diventare patrimonio dei sovranisti, neppure dei più lungimiranti fra loro (no, non rispondo alla richiesta di precisazioni e approfondimenti). Può, tuttavia, oppure, proprio per questo, essere utilizzata per valutare e migliorare le posizioni prese dagli Stati-membri dell’Unione per quel che riguarda il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e il Patto di Stabilità e Crescita.
Del primo, la possibilità per ciascuno Stato-membro di avere accesso a fondi europei in caso di necessità, non sono in discussione le clausole specifiche, che non è possibile cambiare, ma l’adesione dell’Italia, indispensabile a consentirne all’occorrenza a richiesta l’utilizzo a ciascuno e tutti gli altri Stati, dunque, anche Ungheria e Polonia, quando era sovranista. Benvenuto al governo guidato dall’europeista Donald Tusk che segnala l’esistenza di molti ottimi anticorpi nella democrazia polacca. Il Patto di Stabilità e Crescita ha molta più rilevanza per le politiche economiche e sociali degli Stati-membri nei prossimi cinque anni. Riguarda il tetto del debito pubblico da considerarsi accettabile e le modalità previste/formulate per un rientro più o meno graduale, e il deficit tollerabile, comunque da ridursi in particolare, ma non solo, per l’Italia.
Non è chiaro se la Presidente del Consiglio italiano Meloni e il Ministro dell’Economia Giorgetti stiano concordemente utilizzando la ratifica del MES come strumento di pressione per ottenere migliori condizioni per il Patto di Stabilità. Già altri Stati-membri, in particolare i paesi del gruppo Visegrad, hanno proceduto di tanto in tanto ad applicare la strategia dello scambio, talvolta, con successo. Fa certamente parte del gioco agire, non troppo spesso, seguendo i dettami del “do ut des”. Forse, però, gli Stati-membri dell’Unione, non soltanto quelli economicamente più forti, nonostante le sue difficoltà attuali la Germania rimane nel club, ma anche quelli che definiamo più frugali, non gradiscono e non apprezzano queste “ammuine” se non vengono accompagnate da proposte alternative, migliorative, in special modo, credibili. La credibilità di queste proposte dipende in maniera significativa dalla loro provenienza, vale a dire se chi le fa ha un passato di impegni presi e rispettati, adempiuti, e dalla loro per qualità. Le proposte debbono anche, per tornare alla frase di apertura, avere di mira il miglioramento di tutta l’Unione Europea, contribuendo alla sua stabilità, alla sua crescita, ad una sua unificazione più stretta. Quest’ultimo, più ambizioso obiettivo certo non può essere il progetto dei sovranisti tranne di quelli che si stanno pentendo, pensando se e come fare outing nel momento più difficile e delicato ovvero nel corso della già iniziata campagna per l’elezione del Parlamento europeo.
Le opposizioni italiane avrebbero l’opportunità di sfruttare la contingenza favorevole impegnandosi a chiarificare per gli elettori da raggiungere e conquistare quanto alcune proposte, condivisione e azione, contribuendo al buon funzionamento dell’Unione Europeo produrrebbero ricadute positive e rapide sui singoli. Sappiamo, però, che, a causa di molte sue insuperate ambiguità, il Movimento Cinque Stelle non è in grado di dare un contributo efficace a questa strategia. Giusto allora mettere in evidenza l’inconcludenza e la farraginosità della strategia governativa (e delle affermazioni, prese di distanza minimali di Forza Italia), ma impossibile non vedere la trave nell’occhio di una parte delle opposizioni. Una buona politica accetta la sfida e nella campagna elettorale darà il massimo per spiegare agli italiani che quel che vuole fare per l’Unione Europea, anche in termini di proposte operative, e come e quanto servirà a migliorare le condizioni di vita di tutti. Nel passato, spesso è stato proprio così.
Pubblicato il 12 dicembre 2023 su Domani
La condizione di una alleanza Pd-5 Stelle secondo Pasquino @formichenews

Se il Movimento 5 Stelle non è d’accordo con le posizioni che derivano dall’articolo 11 della Costituzione, che mi paiono e mi auguro essere centrali nella visione del Partito democratico e con le prospettive anche operative che ne derivano, è improbabile che nasca un’alleanza di governo dotata di senso sulla scena europea e internazionale. Sull’ambiguità non si costruisce nulla di buono, nulla di solido, nulla di accettabile. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica e accademico dei Lincei
Come elettore sarei molto esigente. Credo che non riuscirei a convincermi a votare per una coalizione che includesse in posizioni dominanti due partiti che sulla politica internazionale si collocano su fronti opposti, incompatibili. Probabilmente, un sistema elettorale proporzionale, grazie al quale i partiti possono consentirsi il lusso di andare in ordine sparso, mi permetterebbe di sfuggire ad una scelta comunque dolorosa. Però, quel che un elettore può evitare i partiti coalizzati in un’alleanza di governo dovrebbero affrontare di petto. Visibilmente. Responsabilmente.
Di fronte ad alcune alternative: dare armi all’Ucraina o no; sostenere Israele o dirsi equidistanti dai terroristi di Hamas, e altre simili che potrebbero (ri)presentarsi, le furbizie al/di governo sarebbero paralizzanti o distruttive. Per di più, poiché l’Italia fa parte di non poche organizzazioni sovranazionali, quelle furbate metterebbero inevitabilmente in discussione il suo ruolo, politico e economico, la sua affidabilità, la sua lealtà. Tutto questo appare sufficientemente chiaro e preoccupantemente delicato quando si confrontano le posizioni del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle sull’Ucraina e, in buona misura, anche sul conflitto Hamas/Israele.
Non so se la mia posizione personale: “sto sempre dalla parte delle democrazie” meriti di essere definita non negoziabile. Sicuramente, costituisce la mia preziosa scorciatoia cognitiva e etica alla quale non intendo rinunciare. Prodotto delle mie conoscenze storiche e delle mie preferenze politiche, la mia posizione si appoggia sulla lettura della Costituzione italiana e ne trae alimento e guida.
Articolo 11
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Grazie alla loro conoscenza storica e alle loro esperienze personali, per non pochi drammatiche, nella stesura di questo articolo i Costituenti si sono rivelati anche preveggenti. Ripudiare qualsiasi guerra di offesa significa anche riconoscere il diritto alla difesa di Stati e cittadini che vengono aggrediti. Significa agire insieme con altri Stati democratici per difendere i diritti degli aggrediti e ristabilire, con fondi e, quando, spesso, necessario, con armamenti, l’indipendenza, la sovranità, la vita.
Se il Movimento 5 Stelle non è d’accordo con queste posizioni, che mi paiono e mi auguro essere centrali nella visione del Partito Democratico e con le prospettive anche operative che ne derivano, è improbabile che nasca un’alleanza di governo dotata di senso sulla scena europea e internazionale. Sull’ambiguità non si costruisce nulla di buono, nulla di solido, nulla di accettabile.
Professore Emerito di Scienza politica, socio dell’Accademia dei Lincei, kantiano.

Pubblicato il 16 ottobre 2023 si Formiche.net
#INVITO Costituzione italiana: tra proposte di modifica e esigenze di attuazione #30agosto #ReggioEmilia @PdReggioEmilia @anpi_re
MERCOLEDÌ 30 AGOSTO 2023 ORE 21
Palco dibattiti- Festa provinciale PD
IREN GREEN PARK CAMPOVOLO Reggio Emilia
Incontro con
GIANFRANCO PASQUINO
professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna
sul tema
COSTITUZIONE ITALIANA: tra proposte di modifica e esigenze di attuazione
coordina Anna Ferrari
vicepresidente vicario ANPI Reggio Emilia
Troppa competizione tra Pd e M5s danneggia il centrosinistra @DomaniGiornale


Dove condurrà la competizione in atto fra Elly Schlein e Giuseppe Conte? Può essere positiva per lo schieramento anti-governo Meloni oppure è un ostacolo alla convergenza su programmi, proposte, prospettive? Altrove, per intenderci, dalle democrazie scandinave al Portogallo, alla Spagna e, fino all’avvento di Macron, alla Francia (ma il sistema istituzionale e elettorale fa molta differenza), nell’ambito della sinistra e del centro-sinistra, spesso esiste un partito chiaramente più grande in termini di voti e di consenso. A quel partito spetta indicare la leadership dello schieramento che, se vittorioso, verrà premiata con la conquista della carica di capo del governo. Al momento, secondo i sondaggi e in base ai voti del settembre 2022, la distanza in termini percentuali fra il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle non consente al primo di rivendicare in maniera inoppugnabile la guida dello schieramento più ampio. Inoltre, impegnato nell’estendere il più possibile il suo appello politico elettorale, Conte si dimostra maggiormente orientato a competere con il PD piuttosto che a convergere. Quello che è successo con il sostegno comune al salario minimo appare un’eccezione sicuramente raccomandabile e istruttiva, da valorizzare (anche se, temo, che verrà il momento delle bandierine di rivendicazione). Quello che, invece, è finora mancato ad entrambi (di “+Europa” e “Azione” non parlo poiché mi paiono molto carenti quanto a capacità di mobilitazione) è un disegno di recupero di quel 40 percento di elettorato che per varie ragioni non è andato alle urne.
La competizione Schlein/Conte non appare l’argomento di maggiore attrattività per quegli astenuti. Anzi, da altri luoghi e da altre elezioni, sappiamo che gli scontri nella sinistra smobilitano specialmente la parte di elettori che vogliono sì un’alternativa di governo al centro-destra, ma, al tempo stesso, vogliono che quel governo sia sufficientemente coeso, con il minimo di tensioni interne e credibilmente capace di attuare le sue promesse. Altrimenti, starsene, pur tristemente, a casa per loro rimane un’opzione preferibile.
Naturalmente, la competizione Partito Democratico/Movimento Cinque Stelle è nelle cose, nei fatti, nello stato del paese. Personalmente, non sono un cantore della necessità assoluta e prioritaria di ridurre le diseguaglianze soprattutto quelle economiche. So, però, che è ai ceti svantaggiati che la sinistra, non soltanto in Italia, sembra avere perso la capacità di parlare e, talvolta, persino, la volontà di andarli a cercare. La questione dovrebbe essere posta in termini di opportunità: aprire spazi di accesso alla buona istruzione, alla buona sanità, alle buone pensioni che possono seguire ad un mercato del lavoro accessibile anche in seguito a procedure di qualificazione e di reinserimento dei lavoratori/trici. Questa, sulle idee, sui progetti, sulle soluzioni, è la buona competizione nella sinistra. Il momento giusto è ora poiché il governo annaspa nel PNRR, colpisce malamente le banche, non ha ricette di ristrutturazione del welfare. Il non originale mantra dei centrodestri è che i problemi sono stati creati dai governi precedenti. La risposta dei due partiti che in quei governi erano le componenti più importanti, oltre a mettere in questione affermazioni infondate, deve consistere in singole proposte chiare, condivise, solidariamente sostenute, quello che si può chiamare “la pratica dell’obiettivo”. Valutando i contributi agli obiettivi conseguiti, PD, M5S e coloro disposti a collaborare saranno in grado di meglio scegliere la leadership più promettente per vincere le prossime elezioni.
Pubblicato il 17 agosto 2023 su Domani
Marciare divisi e colpire uniti. La mobilitazione che serve al Pd @DomaniGiornale


Marciare divisi colpire uniti. Vecchia massima che le opposizioni italiane non sembrano conoscere. Cercare le convergenze su alcuni elementi programmatici, ad esempio, il contrasto al precariato, non danneggia certamente chi converge. Allo stesso modo, accordarsi su quali punti della sedicente riforma della giustizia ad opera di Nordio è imperativo proporre soluzioni alternative, per esempio, recuperando tutto o quasi quello già fatto dall’allora Ministro Orlando, è raccomandabile. Certo, le convergenze vanno comunque costruite. Non basta andare in piazza con i pentastellati senza neppure preoccuparsi di come quella manifestazione è costruita e senza sapere chi parlerà. Poiché non credo alla smania di protagonismo di Elly Schlein e neppure ad un suo desiderio di fuga in avanti, penso sia stata ingenuità. In questo caso da valutare come un errore che l’intendenza correntizia del Partito Democratico non poteva appoggiare giulivamente.
Mi pare che la consapevolezza che, numericamente, i parlamentari e gli elettori del Movimento Cinque Stelle sono essenziali ad una qualsiasi alternativa al centro-destra di Meloni, non sia ancora stata pienamente raggiunta. Poi, naturalmente, si pone il problema della compatibilità politica. Su alcuni aspetti cruciali, il sostegno all’Ucraina aggredita dalla Russia e i rapporti con l’Unione Europea, le distanze sono tali da rendere praticamente impossibile la formazione di una coalizione che si candidi al governo. Senza escludere strascichi, sperabilmente non rancorosi, l’Ucraina potrebbe non essere più un problema fra qualche, breve, tempo. Sarà la campagna per l’elezione del Parlamento europeo nel giugno 2024 a dire quanto distanti/vicini possono trovarsi il PD e le Cinque Stelle. Al momento, le premesse non sono entusiasmanti.
Poco entusiasmo anche in casa del Partito Democratico che la segretaria Schlein ha chiamato alla mobilitazione estiva dalle montagne alle spiagge, dalle Alpi alla Sicilia. Al proposito, il problema non è tanto che la maggior parte dei dirigenti e forse persino dei militanti sono da tempo disabituati alla mobilitazione (una lezione di vita politica) quanto, piuttosto, che non è chiaro con quali attrezzi concettuali e ideali si presentino agli italiani/e. Schlein sostiene che bisogna accentuare (forse scoprire, forse darsi) l’identità del Partito Democratico. Allora di questo dovrebbe prioritariamente discutere negli organismi dirigenti. Dubito, lo scriverò in politichese, che la gente si appassioni all’identità. Quello che ho imparato è che la grandissima maggioranza dei cittadini nel mondo democratico vuole conoscere le priorità che un partito sceglie e le soluzioni che propone. Le une e le altre per essere trasmesse e spiegate necessitano del vigoroso e convinto apporto delle minoranze interne al Partito Democratico. In spiaggia, sui monti, nelle città d’arte.
Pubblicato il 21 giugno 2023 su Domani
Calenda – Meloni, un incontro che non si doveva fare
L’incontro chiesto dal sen. Calenda, capo del partito Azione, e gentilmente concesso dalla Presidente del Consiglio Meloni si presta a molte considerazioni di metodo e di merito non tutte positive. Se l’oggetto era sostanzialmente la Legge di Bilancio e le eventuali correzioni, allora la sede non doveva essere Palazzo Chigi, ma il Parlamento. In una democrazia parlamentare qualsiasi confronto e qualsiasi accordo, ma anche i contrasti e le prese di distanza debbono avvenire in Parlamento. La sovranità del popolo, Meloni dovrebbe saperlo, si esprime attraverso i suoi rappresentanti in Parlamento. Inoltre, in Parlamento la discussione è aperta a tutti, visibile e gli accordi/disaccordi sono destinati ad essere trasparenti. In questo modo, il “popolo”, la nazione vengono informati, imparano, saranno in grado di valutare quanto proposto, eventualmente accettato dal governo e dalla sua maggioranza e, presumibilmente spesso, respinto con quali motivazioni. In Parlamento si dipana la conversazione politica che è il sale della democrazia.
Dunque, Calenda e Meloni hanno scelto il metodo sbagliato che, in qualche modo, è destinato a destare legittimi sospetti sulla disponibilità di Calenda a sostenere alcune scelte di Meloni e sulla disponibilità di Meloni a reciprocare con cosa non so. Cronisti dei lavori parlamentari sapranno raccontarci di scambi più o meno sorprendenti. Andranno quegli scambi a migliorare la Legge di Bilancio? Se i miglioramenti sono conformi sia alle politiche volute dalla Presidente del Consiglio sia agli interessi di Calenda che, in teoria, dovrebbe essere (stare?) all’opposizione, sarà indispensabile valutare i costi di quegli accordi per il Bilancio dello Stato ovvero per le tasche, vado sul politichese, degli italiani.
Calenda accusa le opposizioni del PD e del Movimento 5 Stelle di preconcetti e di rigidità che le renderanno sterili e non porteranno nulla di buono a coloro, persone e imprese, che le hanno votate. Non si vede il fondamento di questa accusa che potrà essere verificata soltanto sugli emendamenti che verranno introdotti in Parlamento e sulle argomentazioni dalle quali saranno accompagnati e sostenuti. Molto spesso Meloni ha rivendicato la novità dell’esistenza di “una maggioranza chiara, un programma comune e un mandato popolare”. Il suo incontro con Calenda segnala la possibilità che nella maggioranza esistano tensioni oscure che sono particolarmente sentite da Forza Italia, che non tutti gli elementi programmatici sono davvero condivisi, e allora, forse, supplirà Calenda, e che il mandato popolare ottenuto dal centro-destra possa essere ritoccato grazie a qualche apporto centrista. Insomma, da un lato, ai propri fini di visibilità e forse anche di egocentrismo, e, dall’altro, con l’obiettivo di avere una carta in più da giocare nei momenti di possibile difficoltà, rispettivamente Calenda e Meloni finiscono per favorire il ritorno di una politica di confusione nei ruoli e nelle responsabilità. Un ritorno che preferiremmo non vedere.
Pubblicato GEDI il 1° dicembre 2022