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La guerra è un male. Ma l’autodifesa è un male minore @DomaniGiornale


Dalla sua città natale, Köenigsberg, purtroppo diventata Kaliningrad (ma “il reale è razionale”, dice di avere letto), Immanuel Kant mi comunica che, nonostante il blocco, continua a ricevere libri. Comunque, i più importanti sui temi “guerra e pace” li ha già letti e sono facilmente consultabili nella sua accogliente capiente biblioteca. Oltre alla guerra, quello che lo preoccupa davvero sono coloro che ne parlano senza avere mai letto uno dei classici in materia. No, dice, non è una preoccupazione narcisistica. Il suo piccolo saggio Per la pace perpetua (1795) è notissimo anche se non sempre effettivamente compreso. C’è molto altro anche sul pacifismo. Ma, sostiene Kant, bisogna sapere distinguere fra gli imperativi categorici: “non fare agli altri quello che non vorresti essere fatto a te”, certamente pacifista, e l’interesse nazionale, difendere la patria, efficacemente argomentato da Hans Morgenthau (1948 e 1951). Di recente, aggiunge Kant, è stato scritto e documentato che le democrazie non si fanno la guerra.
Un conto, per le democrazie, è entrare in guerra per una varietà di obiettivi, ciascuno dei quali deve essere motivato: consentire l’autodeterminazione di uno Stato debole, minacciato e invaso; colpire le organizzazioni terroristiche e i loro santuari; persino rovesciare i dittatori e, sì, a determinate condizioni, tentare l’esportazione della democrazia. Molta è la letteratura disponibile, spesso controversa, talvolta illuminante. Un conto molto diverso è identificare situazioni e eventi nei quali lo scontro bellico avviene fra due o più democrazie. Sostanzialmente non esistono esempi di questa fattispecie. Al contrario, l’Unione Europea costituisce la conferma più clamorosa della generalizzazione “le democrazie non si fanno la guerra”. La sua formazione fu consapevolmente e deliberatamente perseguita, fra gli altri da Altiero Spinelli, proprio per impedire il rischio di un ennesimo conflitto fra Francia e Germania. Poi tutti gli Stati che liberamente scelsero di aderire all’Unione hanno rinunciato a qualsiasi soluzione armata dei loro eventuali e possibili conflitti. Da più di settant’anni l’UE è il più grande spazio di libertà e di diritti mai esistito al mondo. È anche, conclude Kant, la migliore prova provata che la pace perpetua può essere conseguita nell’ambito di Stati democratici che danno vita ad una Federazione. Questo è il modo per porre fine alla guerra: federare le democrazie.
Non saranno i singoli che rinunciano a qualsiasi difesa personale, scelta nobilissima se coerentemente mantenuta, a produrre la pace fra le nazioni. Saranno le istituzioni democratiche e federali a conseguire e preservare questo auspicabile esito. Incidentalmente, nessun pacifista può pretendere di imporre la sua scelta ai suoi concittadini, meno che mai a uomini e donne militarmente aggrediti. Può solo tentare di convincerli che la non difesa (ma a quale costo in termini di vite, dignità e libertà?) è comunque la scelta meno grave, in prospettiva più promettente. Sicuramente, guerra è l’aggressione di uno Stato non-democratico a uno Stato democratico. Nessun pacifista può trovare sollievo nella eventuale scoperta di azioni dello Stato democratico caratterizzabili come sfide, minacce, intimidazioni nei confronti dello Stato non-democratico.
Tutti dovrebbero sapere che la storia di aggressioni compiute da regimi non-democratici è ricca di esempi a riprova dei tentativi di quelle leadership di risolvere le loro contraddizioni con un successo militare, i più recenti essendo: la giunta greca nel 1974 alla conquista di Cipro; i governanti autoritari portoghesi con la strenua difesa delle loro colonie africane; i militari argentini nel 1982 per annettersi le isole Falkland. È confortante ricordare che gli sconfitti non hanno perso soltanto la guerra, ma anche il potere politico, il potere di intraprendere altre guerre di aggressione. La democratizzazione di quei regimi autoritari ha portato anche alla fine di qualsiasi mira espansionistica e di qualsiasi tentativo di ricorrere alla guerra per risolvere problemi politici nazionali. Non è azzardato, meno che mai scandaloso, pensare che la sconfitta della Russia abbia come conseguenza un cambio di regime a Mosca. Se, poi, emergesse un regime democratico sarebbe più che lecito pensare che non tenterebbe di risolvere i suoi problemi di funzionamento e di consenso ingaggiando una guerra. Nella piena consapevolezza che la guerra è male, farebbe sempre i conti con il male minore (che è quello che sfugge nell’articolo di Mario Giro, Critichiamo la guerra in sé, in “Domani”, 10 agosto p. 12): la guerra di autodifesa.
Pubblicato il 12 agosto 2022 su Domani
GUERRA E PACE. Nella Costituzione gli strumenti per una pace giusta
Il testo che pubblichiamo è il commento all’art. 11 della Costituzione italiana scritto da Gianfranco Pasquino per il suo libro La Costituzione in trenta lezioni (UTET, fine gennaio 2016)
La vita della maggioranza dei Costituenti italiani era stata segnata da due guerre mondiali e dall’oppressione del regime fascista nato sulle ceneri della Prima Guerra Mondiale e pienamente responsabile della partecipazione alla Seconda. In nome di un nazionalismo malposto e esasperato, il fascismo aveva causato enormi danni all’Italia entrando in una guerra di conquista e perdendola con il sacrificio di molte vite e della stessa dignità nazionale. L’art. 11 è il prodotto di una riflessione sull’esperienza storica, non soltanto italiana, e del tentativo di porre le premesse affinché sia bandito qualsiasi ricorso alla guerra ‘come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali’. Il ripudio, questo è il termine usato nell’articolo, è, al tempo stesso rinuncia e condanna della guerra, più precisamente di esplicite guerre di offesa e aggressione. Il ripudio della guerra non è in nessun modo interpretabile come l’espressione di un pacifismo assoluto e, il seguito dell’articolo lo dice chiaramente, neppure come neutralismo. Al contrario, per assicurare ‘la pace e la giustizia fra le Nazioni’, l’Italia dichiara la sua disponibilità a limitazioni di sovranità e a promuovere e favorire ‘le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’. Naturalmente, la Costituzione riconosce che lo Stato italiano mantiene il diritto di difendere, anche con il ricorso alle armi, il suo territorio e la sua popolazione. Tuttavia, qualsiasi reazione militare deve essere proporzionata alla sfida e non deve sfociare in nessuna conquista territoriale. Coerentemente, neppure le azioni militari condotte sotto l’egida delle organizzazioni internazionali debbono mirare a e tantomeno possono concludersi, per uno o più dei partecipanti, con guadagni territoriali, ai quali l’Italia ha l’obbligo costituzionale e politico di opporsi.
Le limitazioni alla sovranità italiana derivano dall’adesione, deliberata e approvata dal Parlamento, a tutte le organizzazioni internazionali, ma, in particolare, per quello che attiene alla guerra (e alla pace), alla NATO, alle Nazioni Unite e all’Unione Europea. In seguito alla sua adesione, l’Italia si è impegnata a partecipare alle attività decise in ciascuna di quelle sedi, quindi anche ad attività che implichino il ricorso ad azioni di natura militare. Talvolta, queste azioni sono problematiche poiché in non pochi casi vanno contro il principio di non ingerenza negli affari interni di uno o più Stati. Il principio guida di questa giustificabile ingerenza è dato dai rischi e dai pericoli ai quali sono effettivamente esposte le popolazioni di quegli Stati ovvero una parte di loro. Le missioni militari ‘umanitarie’, a favore delle popolazioni, alle quali l’Italia ha il dovere di prendere parte, sono quelle deliberate nelle organizzazioni internazionali, in modo speciale, l’ONU e, quando è minacciata l’indipendenza e l’integrità di uno Stato membro, la NATO. Possono avere una durata indefinita nella misura in cui servono ad alcuni popoli e ad alcuni governanti per costruire le strutture statali indispensabili alla difesa contro pericoli esterni e alla creazione di ordine politico interno rispettoso dei diritti civili e politici dei cittadini.
Nel secondo dopoguerra, in particolare, dopo la caduta del muro di Berlino, si sono moltiplicate le occasioni, da un lato, di oppressione delle loro popolazioni ad opera dei rispettivi dittatori, dall’altro di vere e proprie guerre civili, soprattutto nel Medio-Oriente e in Africa, ma anche nei Balcani. Seppure con qualche controversia interna, tutte le volte che l’Italia è stata chiamata in causa ha risposto positivamente in applicazione degli impegni e dei compiti derivanti dalla sua appartenenza all’ONU e alla NATO. Naturalmente, la valutazione della efficacia, dei costi e degli effetti, e della costituzionalità dell’attività delle missioni militari italiane all’estero e della eventuale necessità di una loro prosecuzione rimane nelle mani del Parlamento.
Che la pace, duratura e giusta, che non significa mai puramente e semplicemente assenza di conflitto armato, possa essere conseguita soltanto fra regimi democratici, lo scrisse memorabilmente il grande filosofo illuminista prussiano Immanuel Kant nel suo breve saggio Per la pace perpetua (1795). In un certo senso, questo obiettivo di pace è stato perseguito anche dall’Unione Europea delle cui organizzazioni l’Italia ha fatto parte fin dall’inizio (1949). Nel 2012 all’Unione Europea è stato attribuito il Premio Nobel per la pace con la motivazione di avere effettuato grandi ‘progressi nella pace e nella riconciliazione’ e per avere garantito ‘la democrazia e i diritti umani’ nel suo ambito che è venuto allargandosi nel corso del tempo fino a ricomprendere ventotto Stati-membri. A sua volta ognuno degli Stati-membri dell’Unione Europea deve avere e mantenere un ordinamento interno democratico e deve accettare le limitazioni di sovranità che conseguono alla sua adesione all’Unione. Preveggente, l’art. 11 della Costituzione mette la parola fine al nazionalismo, non soltanto bellico, ma autarchico e isolazionista, aprendo la strada a molteplici forme di collaborazione internazionale e sovranazionale che costituiscono la migliore modalità per garantire la pace nella giustizia sociale.
Pubblicato il 18 novembre 2015