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Con i partiti destrutturati il Presidente guardi all’Unione @DomaniGiornale
La formazione del governo Draghi è la più chiara smentita della tesi alquanto confusa relativa ad una crisi di sistema. Se il sistema è, come dovrebbe, la democrazia parlamentare, non solo ha tenuto, ma ha offerto per l’ennesima volta la prova che è in grado di risolvere le crisi di governo, anche quelle irresponsabilmente procurate dai leader dei partitini. Certo, se per sistema s’intende il sistema dei partiti, questo è da tempo in crisi. Sostanzialmente destrutturato, il sistema dei partiti barcolla e non è il luogo della soluzione dei problemi politici. Tuttavia, anche in un sistema vacillante possono prodursi fenomeni importanti che meritano di essere valutati con precisione. Il più importante dei fenomeni prodottisi ha influito in maniera molto significativa, quasi decisiva sulla formazione del governo Draghi.
In seguito alla svolta europeista, il centro-destra si è profondamente diviso. Per quanto improvvisa, la svolta non è stata affatto improvvisata, ma preparata con calma e tenacia da Giancarlo Giorgetti, giustamente premiato con un ministero. Salvini ha dovuto convertirsi, a mio modo di vedere in maniera opportunistica più che per convinzione, forse anche avendo ricevuto il messaggio da parte dei ceti produttivi del Nord che in Europa bisogna stare, in Europa bisogna agire. Dunque, anche il sistema europeo ha dimostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, di essere vivo e molto vitale. La lezione europea, spesso rifiutata da Berlusconi, era già penetrata nei ranghi di Forza Italia anche grazie alla sua appartenenza e frequentazione della famiglia dei popolari europei. Adamantina in larga misura per convinzione, ma anche per ruolo, da poco diventata Presidente del Gruppo che può a giusto titolo essere definito dei sovranisti, Giorgia Meloni si è deliberatamente collocata all’opposizione. Potrebbe anche riuscire a sfruttare quelle che ritengono siano definibili come “rendite di opposizione”, a scapito della Lega, ma, forse, anche di una parte dell’elettorato che è in allontanamento dal Movimento 5 Stelle. Quello che è sicuro è che le differenze di opinione nel centro-destra sono destinate a continuare.
Comprensibilmente, la situazione si presenta delicata sia per i Cinque Stelle nei loro rapporti con Berlusconi e il suo partito sia per il Partito Democratico che si trova al governo con la Lega. Affari loro, naturalmente, che, però, debbono essere tenuti in grande considerazione per evitare che si riflettano negativamente sull’azione del governo Draghi. Immagino che a Draghi sia stato comunicato che le coabitazioni promiscue contengono potenziali negativi per i procedimenti decisionali nel Consiglio dei Ministri e in Parlamento. Non sono soltanto le differenti idee intrattenute dai quattro inopinati alleati su quale Italia e quale Europa a dovere preoccupare. Sono soprattutto le ricette che hanno elaborato nel corso del tempo, a riprova non casuale che esistono ancora distanze fra la destra e la sinistra ovvero, se si preferisce, fra i conservatori e i progressisti.
Intravvedo due modalità possibili, peraltro non in grado di evitare che, di tanto in tanto, gli scontri si manifestino, ma per superarli in maniera efficace. Su quasi tutte le tematiche significative, a cominciare, comprensibilmente, da come assegnare e utilizzare gli ingenti fondi del Piano di Ripresa e di Rilancio, il Presidente del Consiglio Draghi dovrebbe “giocare” la carta europea. Sempre formulare soluzioni compatibili con una visione europeistica che lui è in grado di articolare meglio di altri, sempre richiamare tutti agli esempi europei, sempre argomentare con riferimento alle modalità sperimentate nei paesi europei. Il livello del confronto, in materia di giustizia come di scuola, di digitalizzazione come di infrastrutture, deve sempre essere ricondotto a quello che serve all’Italia per cambiare e crescere secondo le direttive europee. Sarà difficile. Richiederà un apprendimento accelerato per il capo del governo, ma, yes, Draghi can (o quantomeno dovrebbe tentare).
Pubblicato il 14 febbraio 2021 su Domani
Quel che Mattarella ha detto a Fico (secondo Pasquino) @formichenews
Il politologo Gianfranco Pasquino si immedesima nel Capo dello Stato e immagina cosa abbia detto al presidente della Camera Roberto Fico nell’affidargli l’incarico esplorativo di trovare una soluzione alla crisi in corso
Caro Presidente Fico, sono costretto a chiederle un grande sacrificio personale. Esperite le dolorose consultazioni, mi sono fatto un’idea su come si potrà giungere a concludere in maniera decente questa crisi di governo aperta in maniera indecente. Tuttavia, vorrei che lei, esponente di spicco del Movimento 5 Stelle di cui ho apprezzato l’equilibrio, il garbo, l’autorevolezza acquisita e dimostrata nell’esercizio delle funzioni di Presidente della Camera, mi apportasse qualche conforto cognitivo. Ripongo in lei molte speranze. Dovrà, anzitutto, convincere i/le parlamentari del Movimento cui lei appartiene che le coalizioni non contemplano necessariamente dichiarazioni d’amore, ma soltanto la convergenza sulle cose da fare. Sono sicuro che lei riuscirà a fare capire a (quasi) tutte le pentastellate/i che essere “governisti” non significa volere stare a tutti i costi al governo, ma porsi l’obiettivo di governare anche per evitare il peggio (e, fra di noi, sappiamo benissimo che cosa è il peggio).
Vorrei che lei esplorasse soprattutto due selve oscure. La prima è quella dei contrasti personali. Sia chiaro che so benissimo che la politica è fatta da persone con i loro umori e malumori. Però, ritengo che buon politico è colui/colei che riesce in qualche modo a combinare le sue ambizioni con una visione nazionale, degli interessi del paese. Quindi, caro Presidente Fico, discuta anche di queste ambizioni con i suoi interlocutori. Una raccomandazione: quando incontrerà colui che “il Manifesto” ha spiritosamente definito “l’arabo fenice” porti con sé un registratore. La seconda selva oscura nella quale lei dovrebbe penetrare è quella degli interessi corposi che, tanto inevitabilmente quanto comprensibilmente, riguardano l’assegnazione dei fondi NextGenerationEU, il loro uso, la loro concreta “implementazione”. Mi pare importante che lei faccia venire alla luce tutto quello che gli italiani dovrebbero sapere su come il governo, a prescindere, ma non troppo, da chi sarà il Presidente del Consiglio, intende/a formulare in maniera definitiva il Piano di Ripresa e di Rilancio.
In buona sostanza, la sua esplorazione dovrebbe riuscire a smussare alcune distanze personali, acquisire l’impegno politico di quella che è stata la maggioranza a sostegno di Conte a rimettere insieme le sue sparse membra per attuare un programma chiaramente concordato e non imposto meno che mai periodicamente ridefinito sotto la minaccia frequente di qualsivoglia (e sento che ne esiste ancora troppa “voglia”) ricatto.
Infine, caro Presidente Fico, ricordi un po’ a tutti i suoi interlocutori che il sottoscritto, Presidente della Repubblica, “rappresenta l’unità nazionale” e che di conseguenza agisce facendo ricorso ai suoi poteri costituzionali che includono quello di sciogliere, ma anche di non sciogliere il Parlamento. Potrei anche formare un governo pre-elettorale, l’attuale parzialmente “rimpastato” oppure un nuovo governo apposito. Concludo scusandomi con lei che, “esploratore”, non potrebbe in tempi brevi essere preso in considerazione fra gli eventuali candidati alla Presidenza del Consiglio. Verrà il suo tempo, Presidente Fico, a maggior ragione se mi porterà su un piatto, d’argento, ma anche di altro metallo più o meno pregiato, la soluzione. Auguri sinceri. A martedì.
Pubblicato il 30 gennaio 2021 su formiche.net
Tutte le ragioni che ha Mattarella per preoccuparsi @DomaniGiornale
Da una parte, i numeri; dall’altra parte, gli interessi, anche corposi: la politica è in larga misura questa combinazione. Per fortuna non soltanto questo, ma nei momenti di crisi gli interessi contano quanto i numeri e persino i numeri sono interessati. Già in partenza il Presidente Mattarella è splendidamente posizionato per avere il quadro degli interessi e per raccogliere le informazioni più convincenti e più aggiornate sui numeri. Notevole è finora stata la mobilità di un piccolo, ma potenzialmente decisivo, gruppo di parlamentari italiani che hanno cambiato “gabbana” più volte e che non hanno ancora trovato il luogo più adeguato per fare contare il loro voto. Incidentalmente, “la” proporzionale non c’entra proprio niente con questi vorticosi movimenti. Tutti costoro sono stati nominati dai capi dei partiti e delle correnti. Non dovranno rendere conto agli elettori dei loro comportamenti. Quindi cercano di tranne il massimo dal seggio di cui dispongono consapevoli che in un certa misura lo possono usare come moneta di scambio.
Per molti parlamentari e per alcuni partiti, la posta in gioco è anche altra: come giungere a contare nella assegnazione e utilizzazione degli ingenti fondi del programma NextGenerationEU. In qualche modo tutti i dirigenti dei partiti, di governo e di opposizione, sono giunti alla conclusione che quei fondi possono non soltanto cambiare la vita dell’Italia e degli italiani, ma anche consentire di allargare il loro consenso elettorale sia nella fase di assegnazione sia nella fase di realizzazione. Impoliticamente oppure troppo politicamente, convinto, in parte giustamente, che quei fondi li aveva ottenuti lui personalmente, Conte ha tentato una operazione di accentramento quasi esclusivo, sicuramente eccessivo e quindi facilmente criticabile. Le critiche di Renzi (e di Confindustria) a Conte fanno leva proprio su un accentramento a Palazzo Chigi che non forniva abbastanza risorse ai suoi gruppi di riferimento (e ad alcune imprese private non molto propositive, ma interessatissime alle fetta della grande torta europea). Gradualmente, forse troppo lentamente, Conte ha ceduto a malincuore su alcune procedure, su alcune modalità, sulla cabina di regia e sui manager, ma questi cedimenti hanno, da un lato, mostrato la sua debolezza, dall’altro, suggerito a chi voleva di più che, in effetti, di più poteva ottenere.
Le dimissioni di Conte e questa convulsa fase di costruzione di un governo rinnovato o di un altro governo hanno riaperto tutti i giochi. Un (in)certo, relativamente piccolo, numero di parlamentari si trovano investiti di molto potere contrattuale che, oltre a lusingare il loro personale ego, eserciteranno/eserciterebbero anche su qualche capitolo del Piano di Ripresa e di Rilancio. Soprattutto, però, sembra diventata possibile, ma al momento in cui scrivo non (ancora) molto probabile, un’altra opzione. Se nascerà il Conte ter, Italia Viva (o dovrei più appropriatamente scrivere Renzi) avrà ministeri e più voce in capitolo su alcune politiche di ripresa con molti fondi da distribuire. Nel caso in cui, come ha dichiarato Emma Bonino, la dis-cont-inuità significasse mettere da parte Conte per dare vita ad una coalizione Ursula, allora, userò la terminologia americana, sarà a whole new ball game. Forse non proprio nuovissimo perché includere nella nuova coalizione di governo Forza Italia, solo in quanto nella UE si trova fra i Popolari Europei che hanno votato Ursula von der Leyen, avrà conseguenze enormi. Anzitutto, dovrà cadere la pregiudiziale negativa dei Cinque Stelle nei confronti di Berlusconi. In secondo luogo, è immaginabile che non siano affatto pochi i parlamentari del PD, non quelli di Italia Viva, che si sentiranno a disagio (splendido understatement). Ma, soprattutto, terzo, si squadernerebbe il problema mai risolto del gigantesco conflitto di interessi dell’imprenditore Silvio Berlusconi. Molte delle sue attività si svolgono e molte delle sue imprese operano nei settori nei quali possono/debbono essere investiti i fondi europei. Ce n’è abbastanza per essere vigili e preoccupati. Non gli faccio un torto se penso che lo sia anche il Presidente Mattarella.
Pubblicato il 29 gennaio 2021 su Domani