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Tra errori e pochi soldi. La nuova destra sembra vecchia @DomaniGiornale Meloni e il governo del nuovo che non avanza

Quali sono le priorità del governo Meloni? Avremo, forse, la risposta, almeno un abbozzo, nella Legge Finanziaria? Quel che si è intravisto finora è un misto che può essere utile alla leader di Fratelli d’Italia, ma che complessivamente non produce conseguenze positive per il paese. Meloni volteggia sorridente e apprezzata, anche perché le aspettative le erano contrarie, sulla scena internazionale. Sicura atlantista, vedremo se anche sulle spese militari, Meloni tiene bassissimo il suo sovranismo, ma sta lavorando per farlo crescere numericamente e politicamente con le elezioni per il Parlamento europeo. Le difficoltà, che paiono molto più grandi di quanto i governanti siano disposti ad ammettere, stanno specialmente nell’attuazione del PNRR. Suggeriscono, però, che alcuni nodi europei stanno venendo al pettine. Quei nodi hanno radici italiane.

Nei governi di coalizione alcune differenze programmatiche sono fisiologiche. Sono anche funzionali alla raccolta dei voti che provengono da una società segmentata e frammentata, di difficile ricomposizione come dovrebbero avere imparato i teorici del campo largo. Altre differenze, invece, si traducono in comportamenti concorrenziali patologici che la leader sembra avere scelto di affrontare flessibilmente: silenzio prolungato; spostamento dell’attenzione su altre tematiche; conciliazione, ricordando agli alleati che al governo sono arrivati grazie a lei e che, se vogliono starci e tornarci, non devono prendersi troppe libertà e fare balzi né in avanti né di fianco. Finora la strategia meloniana ha funzionato anche grazie al mediocre avventurismo mediocre di Salvini e allo stato di convalescenza di Forza Italia (per la quale neppure un buon, al momento imprevedibile, risultato alle elezioni europee sarà taumaturgico).

   Con impegno puntiglioso Meloni cerca anche di colpire l’avversario principale. Si appropria, svuotandola, della tematica “salario minimo” per evitare che diventi un successo del Partito Democratico (e dei Cinque Stelle). Mira con determinazione a colpire il grande serbatoio di consenso elettorale e politico del PD che si chiama (Emilia-)Romagna. L’operazione ristoro e ripresa viene centellinata (dispiace che vi si presti anche il Gen. Figliolo). Avrà un rilancio e un’impennata quando si avvicineranno le elezioni regionali. La Finanziaria non è interamente un altro discorso perché il PIL emiliano-romagnolo e le sue propaggini contano, eccome. Almeno quanto i mal di pancia del Ministro Giorgetti al quale è cosa buona e giusta augurare una rapida guarigione anche se nei rumors che circondano l’elaborazione del Documento più importante per l’economia e la società della nazione finora non si individuano eventuali suoi apporti specifici.

    Sembra che il governo Meloni si muova ancora, in parte inconsapevolmente in parte per malposta furbizia (favorire alcuni ceti di riferimento) in parte per incapacità, nel solco di molti governi delle cosiddette Prima e Seconda Repubblica. Sembrerebbe che in ordine sparso alcuni esponenti di Fratelli d’Italia preferiscano far vedere, con affermazioni talvolta risibili, che sono i primi della classe contro il politically correct platealmente e esageratamente praticato da alcuni settori della sinistra politica e intellettuale. Ma nessuna critica di destra delinea una visione alternativa se alla pars destruens non accompagna subito la costruzione del nuovo (e francamente, con riguardo, nessuno di quegli intellettuali si è ancora dimostrato all’altezza). Neppure in ordine sparso, però, governanti, parlamentari, consulenti del centro-destra hanno finora saputo dare un segno concreto del nuovo che vorrebbero fare nascere e avanzare cosicché nell’interregno si producono degenerazioni e fenomeni morbosi.

Pubblicato il 6 settembre 2023 su Domani

Troppa competizione tra Pd e M5s danneggia il centrosinistra @DomaniGiornale

Dove condurrà la competizione in atto fra Elly Schlein e Giuseppe Conte? Può essere positiva per lo schieramento anti-governo Meloni oppure è un ostacolo alla convergenza su programmi, proposte, prospettive? Altrove, per intenderci, dalle democrazie scandinave al Portogallo, alla Spagna e, fino all’avvento di Macron, alla Francia (ma il sistema istituzionale e elettorale fa molta differenza), nell’ambito della sinistra e del centro-sinistra, spesso esiste un partito chiaramente più grande in termini di voti e di consenso. A quel partito spetta indicare la leadership dello schieramento che, se vittorioso, verrà premiata con la conquista della carica di capo del governo. Al momento, secondo i sondaggi e in base ai voti del settembre 2022, la distanza in termini percentuali fra il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle non consente al primo di rivendicare in maniera inoppugnabile la guida dello schieramento più ampio. Inoltre, impegnato nell’estendere il più possibile il suo appello politico elettorale, Conte si dimostra maggiormente orientato a competere con il PD piuttosto che a convergere. Quello che è successo con il sostegno comune al salario minimo appare un’eccezione sicuramente raccomandabile e istruttiva, da valorizzare (anche se, temo, che verrà il momento delle bandierine di rivendicazione). Quello che, invece, è finora mancato ad entrambi (di “+Europa” e “Azione” non parlo poiché mi paiono molto carenti quanto a capacità di mobilitazione) è un disegno di recupero di quel 40 percento di elettorato che per varie ragioni non è andato alle urne.

   La competizione Schlein/Conte non appare l’argomento di maggiore attrattività per quegli astenuti. Anzi, da altri luoghi e da altre elezioni, sappiamo che gli scontri nella sinistra smobilitano specialmente la parte di elettori che vogliono sì un’alternativa di governo al centro-destra, ma, al tempo stesso, vogliono che quel governo sia sufficientemente coeso, con il minimo di tensioni interne e credibilmente capace di attuare le sue promesse. Altrimenti, starsene, pur tristemente, a casa per loro rimane un’opzione preferibile.

Naturalmente, la competizione Partito Democratico/Movimento Cinque Stelle è nelle cose, nei fatti, nello stato del paese. Personalmente, non sono un cantore della necessità assoluta e prioritaria di ridurre le diseguaglianze soprattutto quelle economiche. So, però, che è ai ceti svantaggiati che la sinistra, non soltanto in Italia, sembra avere perso la capacità di parlare e, talvolta, persino, la volontà di andarli a cercare. La questione dovrebbe essere posta in termini di opportunità: aprire spazi di accesso alla buona istruzione, alla buona sanità, alle buone pensioni che possono seguire ad un mercato del lavoro accessibile anche in seguito a procedure di qualificazione e di reinserimento dei lavoratori/trici. Questa, sulle idee, sui progetti, sulle soluzioni, è la buona competizione nella sinistra. Il momento giusto è ora poiché il governo annaspa nel PNRR, colpisce malamente le banche, non ha ricette di ristrutturazione del welfare. Il non originale mantra dei centrodestri è che i problemi sono stati creati dai governi precedenti. La risposta dei due partiti che in quei governi erano le componenti più importanti, oltre a mettere in questione affermazioni infondate, deve consistere in singole proposte chiare, condivise, solidariamente sostenute, quello che si può chiamare “la pratica dell’obiettivo”. Valutando i contributi agli obiettivi conseguiti, PD, M5S e coloro disposti a collaborare saranno in grado di meglio scegliere la leadership più promettente per vincere le prossime elezioni.

Pubblicato il 17 agosto 2023 su Domani

L’onda nera si prepara a invadere Bruxelles @DomaniGiornale

L’Europa non era probabilmente la priorità di nessuno o quasi degli elettori italiani nelle motivazioni di voto per i candidati sindaci di centro-destra. Male, perché le oramai lampanti difficoltà del governo Meloni e le dannose incertezze del Ministro Fitto su come spendere e come riassegnare gli ingenti fondi europei per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dovrebbero occupare il primo posto nelle preoccupazioni per il futuro prossimo (non resisto ad aggiungere per il “domani”!). In Grecia i rapporti con l’Unione europea sono costantemente oggetto di dibattito e critica con il partito Nuova Democrazia da qualche tempo considerato interprete più credibile delle esigenze di un paese che ha ripreso a crescere, mentre Tsipras sperimenta un triste declino. I Popolari spagnoli non hanno mai digerito le manovre che portarono il socialista Sanchez a diventare capo del governo e neppure la sua politica morbida con i catalani e i baschi. Il loro notevole successo nelle elezioni amministrative un po’ dovunque sul territorio nazionale, comprese alcune roccaforti del PSOE, è in larga misura il prodotto del desiderio di rivincita, di rivalsa. Poiché, però, è andato piuttosto bene anche il sicuramente anti-europeista Vox, non è azzardato sostenere che “questa” Europa non voluta e non gradita sia già entrata nelle motivazioni anche degli elettori del centro-destra spagnolo.

Oramai molti, politici, commentatori, associazioni e elettori, sono diventati consapevoli che la sfida europeisti/sovranisti/antieuropeisti è già cominciata. Sarà una sfida con implicazioni cruciali sia per il governo dell’Unione Europea sia per il ruolo dell’Europa sulla scena internazionale. Molto ringalluzzita dalla sua vittoria politica nel settembre 2022, Giorgia Meloni, presidente dei Conservatori e Riformisti Europei, ha subito capito che le sue fortune nazionali dipendono anche dai suoi rapporti europei. Per dirla in termini estremi che, se non nella sua interezza, certamente in buona misura, il Partito popolare Europeo è irrequieto nell’alleanza con socialisti, democratici, liberali e verdi che da tempo guida l’UE. Diversi esponenti popolari, non solo tedeschi, non sono inclini a scartare fin d’ora e del tutto la eventualità di un’alleanza con alcune destre nel prossimo Parlamento europeo, se ci fossero i numeri. Comunque, l’esistenza di quei numeri servirebbe a contrattare da posizioni di maggior forza.

Insomma, è già cominciata la battaglia per Bruxelles che i partiti di sinistra, socialisti, democratici, ambientalisti debbono combattere non all’insegna del “sì, ma”, ovvero del riconoscimento delle, invitabili e superabili, inadeguatezze delle politiche europee, sottolineando, invece, il molto di positivo che continua a essere fatto e che sarebbe sostanzialmente messo in pericolo dai parvenus sovranisti. Adesso.

Pubblicato il 31 maggio 2023 su Domani

Pasquino: «Pd, che errore avere tenuto ai margini la cultura politica socialista» #intervista @Avantionline

Intervista raccolta da Giada Fazzalari

“Solo restando ancorati all’Europa la sinistra e il Pd possono trovare ispirazione per creare una cultura riformista “vera”, anche radicale, che oggi manca nello scenario politico italiano” – dice Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, uno dei più intelligenti e acuti pensatori e intellettuali italiani del secondo dopoguerra. Per Pasquino, che tratteggia un affresco dell’Italia politica, il Terzo Polo, vicino alla rottura, è “una cosa poco interessante, un accordo di potere tra Renzi e Calenda che è servito a qualcuno di loro per rientrare in parlamento e per far perdere la sinistra e il Pd alle elezioni”, mentre il Governo, fatto di persone “con poca esperienza e spesso poca competenza, pratica misure che gettano fumo negli occhi ma sostanzialmente non ha fatto nulla che rimanga”.
“Il lavoro intellettuale
Cos’è, come si fa, a cosa serve”
(Ed. Utet) è il libro di Gianfranco Pasquino in uscita il prossimo 2 maggio 2023

La logica dello scaricabarile rivela i limiti della destra @DomaniGiornale

Scaricabarile (buck passing per fare inquietare l’on Rampelli) è il nome del gioco, non proprio nuovissimo, al quale si stanno esercitando i/le governanti del centro destra e i loro affannati sostenitori. Se i progetti per ottenere gli ingenti fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentano criticità la responsabilità è sostanzialmente del governo precedente. Se la loro attuazione è in ritardo e rischia di sforare i tempi è colpa della burocrazia nazionale. Se molti investimenti non avanzano e appaiono irrealistici dipende dal mancato controllo su fondi che, forse per non scontentare nessuno, sono stati distribuiti a pioggia. Allora, arrivano a sostenere alcuni dirigenti leghisti, meglio rinunciare a qualche tranche di quei fondi. Per fortuna esiste un’alternativa: chiedere le proroghe possibili e correre pancia a terra per attuare l’attuabile in maniera credibile.

   Da quel che so, quando si verifica un’alternanza al governo, alcune delle lamentele sono espresse dai vincitori un po’ in tutti i sistemi politici. In Gran Bretagna, il paradiso delle alternanze, alle lamentele i vittoriosi accompagnavano anche lo smantellamento delle riforme fatte dai predecessori. Il declino britannico degli anni sessanta dello scorso secolo non dipese solo dalla perdita dell’Impero. Comunque, le lamentele, le accuse e le critiche ai predecessori non servono quasi mai a migliorare la situazione se non sono rapidamente seguite da proposte nuove, proposte alternative, proposte originali. Qualcuno aggiungerebbe che quelle proposte dovrebbero essere poi affidate per l’esecuzione proprio ai proponenti, fatte camminare sulle loro gambe. Qui sta il punto più delicato.

   Non sono del tutto sicuro che la burocrazia italiana sia così inadeguata, lenta, incompetente come viene dipinta. Anzi, sono certo che esistono isole di eccellenza. Però, ho letto che la burocrazia è tenuta a eseguire quanto i Ministri le affidano e, di conseguenza, che, per tornare alla metafora, il barile non può non essere di competenza di ciascun ministro. Alcuni ministri di questo governo potrebbero sostenere che hanno trovato il barile bell’e pronto. Discutiamone. Ma di altri, a giudicare da quel che dicono, è possibile mettere in dubbio la competenza, specifica e generale. Guardando al governo Draghi, molti ricorderanno che nei ruoli chiave economici e sociali, il Presidente del Consiglio aveva reclutato, senza timore che gli facessero ombra, personalità di rilievo nel loro settore. Per questo tipo di reclutamento è tardi, ma qualche sostituzione sarebbe apprezzabile. Purtroppo, ministri non abbastanza competenti non sono neppure in grado di farsi aiutare da collaboratori eccellenti. Il gatto si morde la coda e l’Italia tutta rischia seriamente di perdere l’opportunità del secolo. Good bye (ancora per Rampelli).

Pubblicato il5 aprile 2023 su Domani

Meloni non riesce più a nascondere i suoi errori @DomaniGiornale

L’idea iniziale di Giorgia Meloni (non so quanto condivisa dagli alleati Lega e Forza Italia) era buona, e promettente. Procedere alla legittimazione/accettazione internazionale del governo e del Primo ministro italiano serviva/seve a garantire una navigazione non troppo turbolenta. Era anche funzionale a evitare qualsiasi “ritorsione” dell’Unione Europea e ostilità degli Stati Uniti. Meloni ha efficacemente scelto e accentuato la sua posizione apertamente atlantista. Grazie a numerosi viaggi e incontri con i rappresentanti degli Stati membri dell’UE ha smussato il suo sovranismo viscerale muovendosi in una direzione che le consente di non essere più o meno informalmente tenuta lontana dai salotti buoni, dalle stanze dei bottoni europei. Sulla sostanza, però, né Meloni né la Commissione Europea possono nascondere le loro preferenze e le loro differenze.

   Purtroppo, per il governo italiano che, forse, se ne accorge troppo tardi, buona parte delle decisioni che contano, dall’immigrazione all’ambiente e al PNRR, si prendono in maniera formale e informale proprio a Bruxelles. Inoltre, sembra proprio che anche a Bruxelles leggano i quotidiani italiani, ricevano le notizie su quel che accade nello stivale, su quello che dicono i ministri e i dirigenti dei partiti della coalizione di centro-destra. Frasi avventate, annunci battaglieri senza seguito, politiche, come quelle sui diritti, contrarie alle posizioni già assunte in sede europea rafforzano quelli che talvolta sono anche pregiudizi che più o meno tutti i governi italiani hanno dovuto (non scrivo dovranno, ma …) subire e segnalano l’esistenza di sospetti non del tutto mal posti. Affermare che di alcuni ritardi negli adempimenti richiesti entro il 2023 è responsabile il governo Draghi non sembra convincente poiché Giorgia Meloni era più che consapevole di conquistare il governo molti mesi prima della vittoria elettorale. Più in generale nella maggioranza degli Stati europei le pratiche di scaricabarile non godono di popolarità.

   Se la strategia di spostare l’attenzione degli italiani sulla scena europea per nascondere quel che non va nelle politiche nazionali non funziona, allora ecco che proprio quelle politiche segnalano la loro debolezza di concezione e attuazione che smentiscono il bilancio ottimistico fatto dalla Presidente del Consiglio e condiviso dai due partner privi di fantasia e incapaci di progettazione. Quel che si è visto da ottobre a oggi è la frequente produzione di provvedimenti e decreti inadeguati, più o meno rapidamente corretti e cambiati e di linee dure tanto controverse quanto inapplicabili. Nessun vanto potrà trarre Giorgia Meloni dalla sua pratica di correggere più o meno profondamente gli errori già fatti (sugli errori prevedibili alzo un velo di riservatezza). Non le riuscirà di nasconderli con richiami identitari di destra. Sarebbe anche peggio.

Pubblicato il 30 marzo 2023 su Domani

Contro questa destra serve una visione alternativa @DomaniGiornale

Dopo undici anni di guasti vari e profondi, di governi variamente e profondamente irresponsabili, la destra, quella che ha a cuore la nazione e la patria, le eccellenze italiane uniche al mondo, ha dato vita ad un governo espressione del voto degli italiani. Sono gli italiani, che non hanno alcun bisogno di vigilanza esterna, ad avere spinto con forza una donna a spaccare il soffitto di cristallo della più alta carica di governo. Quella donna, tutta politica, che si è ampiamente e personalmente meritata un grande successo elettorale, intende guidare, come minimo, un governo di legislatura. Una donna sicuramente α contorniata da due maschi sicuramente nel migliore dei casi β, il terzo diventato β con gli anni e con gli errori preannuncia la sua battaglia di retroguardia, è diventata Presidente del Consiglio. Vorrà probabilmente essere eletta Presidente di una Repubblica semipresidenziale se riuscirà a introdurre quella riforma per trasformare l’Italia in una democrazia “decidente”, aggettivo di conio e di sapore dei sostenitori delle malaugurate e bocciate riforme costituzionali renziane.

Nel frattempo, il governo tutto (non proprio) politico guidato da Giorgia Meloni ha comunicato il suo travolgente ambiziosissimo programma di legislatura. Le spalle saranno coperte dall’atlantismo e dall’incrollabile sostegno all’Ucraina aggredita dai russi. L’azione di governo si svilupperà nel quadro dell’Unione Europea non rinunciando al tentativo di ridefinirlo anche per quel che riguarda i progetti di oggi e di domani richiesti dal PNRR. La nazione difenderà anche la sua sovranità alimentare insieme ai sacri confini che non dovranno essere superati dagli immigranti illegali, ma che si apriranno ai richiedenti asilo per ragioni politiche. Libertà e merito per tutti, soprattutto lasciando, con il massimo di deregolamentazione e il minimo di tassazione, grande spazio a chi vuole fare.

Il lungo e promettente, nel senso che ha promesso molto, discorso di insediamento del governo Meloni I ha bilanciato le critiche ai predecessori, particolarmente aspre a chi ha affrontato il Covid con misure considerate liberticide, con le promesse in un crescendo anche nel tono di voce a segnalare l’apertura di una nuova era. Dalla destra nessuno doveva aspettarsi di meno, ma piuttosto di più, magari più inventiva. Non saranno comunque le prevedibili critiche, in specie ai diritti dimenticati, a frenare il governo Meloni. Né pare il caso di contare sulle quinte colonne forziste e leghiste.

Quando gli sguardi dei PD si solleveranno dall’ombelico del loro malconcio partito potrebbero utilmente delineare una visione alternativa complessiva che colpisca i singoli disegni di legge della destra nei quali si annideranno insidie non tanto per la democrazia, ma per una società giusta e europea (ripensabile anche da sinistra). Extra Europam nulla salus.

Pubblicato il 26 ottobre 2022 su Domani  

Letta, il Pd e gli elettori indecisi da conquistare @DomaniGiornale

Quel quaranta percento di elettori indecisi qualcuno dovrà pure cercarli, parlare loro, convincerli. Certo, almeno la metà di loro alla fine deciderà che non può o non vuole votare, ma quelli che andranno alle urne sono potenzialmente decisivi. Potrebbero allargare il campetto sul quale gioca la sua partita, spero non della vita, Enrico Letta. Difficile, però, che per farli affluire alle urne, se non entusiasticamente, almeno fortemente consapevoli della posta in gioco, sia sufficiente il pur doveroso richiamo all’antifascismo. Sarebbe come giocare in difesa tutta la partita, spettacolo mai esaltante per gli spettatori, in attesa del contropiede vincente, e poi chi sarebbe il contropiedista capace di segnare? Allora, farebbero meglio Letta e i suoi compagni/e, chiedo scusa, alleati a definire meglio il campo di gioco e a cercare le giocate giuste. L’Europa, quella che c’è e quella che vorremmo, è il campo di gioco della nostra vita, retoricamente, del destino nostro, dei figli e delle nipoti. L’Europa che ci rilancia con il PNRR, che ci darà un gas sostenibile, che ci difende dalle aggressioni, che estende la democrazia. L’Europa che non cancella affatto l’identità degli italiani, ma che la considera parte integrante dell’identità che stiamo costruendoci come europei. Agli elettori, dunque, diremo che fare gli scettici, i furbi, i sovranisti con l’Europa significa non rafforzare l’Italiani e gli italiani, ma indebolirla fino a metterla tristemente ai margini (nella metafora “a bordo campo”). Non basterà, ma ce n’est qu’un début. Da lì si inizia, lì si deve innovare e progredire.

Periodicamente, c’è qualcuno che afferma in maniera saccente che le crisi sono opportunità, possono sprigionare creatività. Cominciamo dai fatti, prima delle innovazioni. Bene ha fatto Letta a insistere su una risposta europea (price cap) al prezzo del gas. Europea è stata, e deve continuare a essere, la risposta all’aggressione russa alla Ucraina. Europea bisogna che sia la risposta all’immigrazione, una risorsa, non solo demografica, ma da guidare e regolamentare. Agli elettori indecisi interessa sicuramente il quadro complessivo nel quale si muoverà l’Italia nei prossimi cinque anni, ma ciascuno di loro/noi desidera ascoltare dai candidati, dai partiti, dai dirigenti promesse credibili di rapida realizzazione. Qualche volta la destra le spara grosse: tassa piatta e bassa e blocco navale. Qualche volta è ripetitiva: le pillole scrostate di Berlusconi. Proposte nuove e realizzabili sarebbero decisive per gli elettori indecisi (bisticcio voluto). La vita è lavoro, meglio se gratificante e adeguatamente remunerato, a partire dal reddito di cittadinanza. Questa è un’idea di sinistra, di progresso, di potenziale successo. Attendo la “declinazione” sintetica e allettante da giocatori e allenatori del campetto/campolargo.

Pubblicato il 31 agosto 2022 su Domani

Sic transit Draghi

Alla domanda del Presidente del Consiglio Draghi, solenne e ripetuta tre volte: “siete pronti a costruire un nuovo sincero patto di fiducia?”, la risposta di quel che resta del Movimento 5 Stelle è stata, insinceramente, che il patto non l’avevano rotto loro. La risposta di Lega e Forza Italia è stata: “no, vogliamo negoziare un nuovo governo con un ampio ricambio nelle cariche ministeriali”, implicitamente perseguendo il loro obiettivo principale, ovvero l’emarginazione dei Cinque Stelle. Poiché l’obiettivo di Draghi, condiviso con il Presidente della Repubblica, consisteva nel tenere insieme tutti coloro che avevano dato vita al suo governo, tutti gli spazi di continuazione si sono bruscamente chiusi. Senza possibilità di recupero. Peggio, però: invece, di assumersi a viso aperto le loro responsabilità politiche, Forza Italia, la Lega e il Movimento 5 Stelle hanno annunciato la non-partecipazione al voto. Poiché il voto di fiducia si esprime attraverso l’appello uninominale, gli italiani, in nome e per conto dei quali i parlamentari sostengono di lavorare, rappresentandoli, non sapranno come il “loro” Senatore/trice ha effettivamente votato. II novantacinque “sì” (Partito Democratico e LiberieUguali) ottenuti da Draghi non sono numericamente e, meno che mai, politicamente sufficienti per rimanere in carica. Dobbiamo augurarci che nessuno li utilizzi per qualche oscura manovra parlamentare.

   Una legislatura inizialmente dominata dagli opposti populismi di Cinque Stelle e Leghisti, continuata con Cinque Stelle e Partito Democratico, si conclude con la rovinosa sconfitta di uno dei governi italiani migliori di sempre per quello che ha fatto, per quello che ha impostato, per il suo prestigio in Europa e per la autorevolezza e credibilità del suo Presidente del Consiglio. Tutto sostanzialmente irripetibile. Naturalmente in una democrazia parlamentare i governi nascono, si trasformano, muoiono in parlamento. Agli elettori viene regolarmente affidato il compito di valutare quello che i partiti da loro votati e i parlamentari da loro eletti hanno fatto, non fatto, fatto male. Chiedere agli elettori di risolvere i conflitti di Palazzo, illuminare tensioni oscure, stigmatizzare ambizioni inconfessabili non è un modo democratico di operare. Chiamare gli elettori italiani a votare con qualche mese di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura, marzo 2023, senza spiegare le conseguenze costose dell’anticipo, prima fra tutte le probabilmente grande difficoltà a completare tutte le opere richieste e abbondantemente finanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza, è molto grave. Certamente non serve per educare i cittadini alla complessità della politica. La fine brusca e brutale del governo Draghi segnala che alcuni partiti italiani perseguono il potere in sé prima che il potere per attuare il programma indispensabile al rilancio dell’Italia. La situazione, nazionale e internazionale, è davvero brutta.  

Pubblicato AGL il 21 luglio 2022

I partiti che vogliono la crisi hanno fatto i conti? @DomaniGiornale

Cinque stelle cadenti, fibrillanti, deluse e deludenti, anche se escono dal governo, non riusciranno, numericamente, a privarlo della maggioranza. Politicamente, di certo Mattarella lo ha fatto sapere alto e forte a Conte, faranno un errore e, soprattutto, un torto, più che altro di immagine, quella che deriva da instabilità/inaffidabilità, all’Italia poichè il governo potrà continuare. “Tiremm innanz” dirà Maio Draghi che, giustamente, non vuole fare pagare al paese il prezzo delle bizze di Conte che ha bisogno di fare la faccia feroce per dimostrare di essere quel capo politico che per provata flagrante mancanza di capacità (e di umiltà di apprendimento) non riuscirà mai a diventare. Fuori all’aperto, libero e svincolato, il Conte incontrerà forse il Di Battista errante, ma quante divisioni di elettori avranno mettendosi insieme? E chi di loro due ha in qualche modo dimostrato di saperli raggiungere, convincere, organizzare e motivare ad andare alle urne? Con quali premesse, prestazioni e promesse? Quale “visione” sta elaborando il Conte, con l’aiuto, indispensabile, di chi? Di un paio di giornalisti e qualche sociologo di riferimento?

   Altra storia sarebbe, sarà, se ad andarsene, più o meno inopinatamente, fosse la Lega di Salvini (quella di Zaia, Fedriga, Giorgetti soffrirebbe, ma si presterà all’obbedir tacendo). Preferibile è continuare a vedere il salasso di punti di sondaggi a a favor della granitica Meloni sperando di recuperare quando gli elettori valuteranno positivamente l’operato della Lega di governo oppure andare ad una tambureggiante campagna elettorale all’insegna del “prima gli italiani” che non si fanno di cannabis, che vogliono meno tasse e più lavoro (no, non anni di lavoro in più!), senza concessioni ai figli di immigrati comunque da integrare evitando scorciatoie?

   Il Presidente del Consiglio guarda e va avanti. Gode di una rendita di posizione e, ce lo ha fatto sapere, un altro lavoro è in grado di trovarselo da solo. Però, quel che non ci ha detto è che risanare e rilanciare (Ripresa e Resilienza) è il compito di una vita, quasi una missione. Dunque, che Conte vada, pazienza; che Salvini continui pure a scalpitare, magari essendo più esplicito in richieste ricevibili, ma rimanga, altrimenti il precipizio della crisi di luglio inghiottirà i cauti e gli incauti.

   Chi vede lungo, ma neanche troppo, non può fare a meno di rilevare che nessuno dei potenziali crisaioli ha, stando così le cose, nulla da guadagnare da elezioni anticipate con la campagna elettorale che inizierebbe ad agosto. Con qualche abile e legittima manovra, il Presidente Mattarella potrebbe anche insediare un governo elettorale che terrebbe a bagnomaria i Cinque Stelle, i leghisti di Salvini e gli speranzosi Fratelli d’Italia. A mio modo di vedere c’è ancora un campo molto largo nel quale ognuno abbia la possibilità di portare un tot di penultimatum a suo piacere. Potrebbero anche utilizzare sei-otto mesi non nello sterile e infantile gioco del pianta-bandierine proprie e strappa le bandierine altrui. Addirittura, si inizierebbe a cogliere tutti insieme qualche frutto del buon uso del PNRR. E, per chi ne ha bisogno, forse sarebbe possibile affermare che il sacrificio di stare al governo è servito proprio a make Italy great again. No, non concludo con nessun richiamo al senso di responsabilità e al patriottismo. Ma /i crisaioli qualche calcolo costi/benefici hanno almeno iniziato a farlo?

Pubblicato il 6 luglio 2022 su Domani