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La politica vive. Chi non si occupa di politica, la politica non si occupa di lui #paradoXaforum

La politica? Offre cattiva prova di sé; non dà risposte; non risolve problemi; è evaporata; è finita; se ne può, anzi, se ne deve, fare a meno. Nel paese che ha una lunga, non nobile, tradizione di antipolitica, e moltissimi commentatori antipolitici, per esempio, coloro che affermavano di “non prendere neanche un caffè con i politici” (Indro Montanelli), queste frasi hanno effetti deleteri. Sono anche sbagliate.

   Politica, da Aristotele in poi, è tutto quello che succede nella polis, nel sistema politico. Dunque, la politica non può evaporare e non se ne può fare a meno. Certo, può scomparire la polis quando la politica viene proseguita con altri mezzi: la guerra (von Clausewitz). Politica è la capacità di costruire le condizioni del possibile, mettendo insieme le preferenze, le competenze e le energie di coloro che vivono nella polis, che vogliono preservarla, cambiarla, migliorarla.

   Non è neanche vero che l’importanza della politica, delle scelte effettuate nell’ambito di ciascuna polis, di ciascun sistema politico, è diminuita, addirittura azzerata dalla globalizzazione. Al contrario, la globalizzazione è una sfida alla politica dei sistemi politici, i quali, se sanno organizzarsi grazie ad una buona politica e a politici buoni, sono in grado di difendersi dalla globalizzazione. Nessuna sfida economica, sociale, della comunicazione si abbatte sulla Danimarca, paese con circa la metà degli abitanti della Lombardia poiché la sua burocrazia è efficiente e integra e la sua democrazia gode di amplissimo consenso. Entrambe saprebbero resistere e la sua politica saprebbe reagire rimodulandosi, rimodellandosi, sconfiggendo gli operatori aggressori. La politica abita in Danimarca, affermerebbe un redivivo Amleto.

   Vero è che in alcuni sistemi politici è cresciuto il numero di coloro che pensano di potere fare a meno della politica. Un tempo li avremmo chiamati individualisti. Si isolavano orgogliosamente, si chiamavano fuori dalla politica, convinti di poterne fare a meno grazie al loro ingegno e alle loro risorse. Oggi sulla scia di un grande studioso recentemente scomparso, Ronald Inglehart, lo dobbiamo chiamare post-materialisti. Non hanno nessun bisogno materiale (ordine/sicurezza e stabilità dei prezzi), ma perseguono obiettivi come libertà di espressione e autorealizzazione e pensano di riuscire a ottenerli, se e quando vogliono, con le loro personal capacità senza la politica, persino, eventualmente, contro la politica.

   Sbagliano. Quando se ne accorgono organizzano proteste e movimenti, come Podemos e Occupy Wall Street. In questo modo, riconoscono non solo l’esistenza della politica, ma la sua importanza anche al più alto livello, quello dei beni immateriali. Sconvolgono e capovolgono la troppo spesso banalmente ripetuta affermazione “se non ti occupi di politica la politica si occupa comunque di te”. No, la politica di cui non i occupi, non si occupa di te. Non organizzerà al meglio il sistema delle comunicazioni. Non ristrutturerà il mercato del lavoro. Non porterà le scuole e le Università al loro rendimento più elevato. Non provvederà né alla salute né alle pensioni dei suoi cittadini, materialisti e postmaterialisti.

   Dove la politica viene sottovalutata e disprezzata dai commentatori e dai cittadini, che sono parte più o meno consapevole, spesso ignorante e male informata, del problema, la vita rischia di diventare, o già lo è, hobbesiana: “solitary, poor, nasty, brutish, and short”.

Pubblicato il 25 settembre 2022 su ParadoXaforum

PD, un’ambizione fallita

l'Indro

Intervista raccolta da Marco Testino per L’INDRO

La storia della sinistra italiana continua ad essere segnata da divisioni e conflitti. Lo è stata sin dai suoi albori, dal quel 1892, quando a Genova nacque il partito socialista (allora Partito dei Lavoratori Italiani) e già con Carlo Dell’Avalle, il primo Segretario, iniziarono a manifestarsi le prime incertezze. La prima scissione, visto che oggi parliamo di questo, arrivò nel 1921, dopo scontri tra massimalisti e minimalisti che condussero alla creazione del Partito Comunista d’Italia. Poi, durante la Guerra Fredda, ecco arrivare lo scontro tra Giuseppe Saragat e Pietro Nenni, dal cui aspro confronto nasce un’altra costola, il Partito Socialista Democratico Italiano.

Altro evento choc per la sinistra nostrana il crollo del muro di Berlino, con il Partito Comunista che conclude il proprio percorso politico e la nascita, ad opera di Achille Occhetto, del Partito Democratico della Sinistra. Dall’altra però ecco arrivare la fondazione da parte di Armando Cossutta, Ersilia Salvato e Lucio Libertini del ‘radicale’ Partito della Rifondazione Comunista, che non avrà vita semplice, visto che nel 1998, in pieno marasma del Governo Prodi, subisce l’ennesima scissione che porta alla nascita dei Comunisti Italiani. Il Pds anche cambia pelle, arrivano i Democratici di Sinistra, con Massimo D’Alema e Walter Veltroni come primi segretari, poi dalla fusione dei Democratici di Sinistra ed alcuni membri della Margherita, arriva nel 2007 un altro passaggio storico, ossia la nascita dell’attuale Partito Democratico. Non ultima poi la scissione di una parte della sinistra con la creazione di Sinistra, Ecologia e Libertà (SEL). Ma la galassia della sinistra continua a muoversi ed ecco che una nuova scissione è pronta a sconvolgere il Pd, che ai più è sembrata solo una convivenza forzata tra elementi troppo diversi per trovare una sintesi vera.

Gianfranco Pasquino, politologo e accademico italiano, considerato tra i massimi esperti di scienza politica a livello internazionale, ci fa luce sulla questione:

Rispetto alle tante scissioni intestine alla Sinistra nel corso degli ultimi novant’anni, cosa c’è di diverso in quello che sta accadendo al Pd oggi?

Di scissioni nella sinistra italiana ce ne sono state diverse, ognuna deve esser valutata in base al partito e in riferimento alle tematiche che hanno portato alla scissione stessa. Certo, paragonare la scissione del partito comunista nel 1921 con quella di coloro che oggi vanno via dal Pd lo trovo poco in linea, bisogna ricordare che anche altrove la sinistra perde ed ha perso pezzi, come per il partito socialista in Francia che al tempo perse un pezzo chiamato poi Partito Socialista Unificato, o come in Inghilterra con i laburisti che nel ’82 persero un pezzo che poi si chiamò Alleanza Socialdemocratica, o come in Germania laddove la Socialdemocrazia perse un pezzo che si è poi riconfigurato nascendo dalla fusione tra il Partito della Sinistra ed il movimento Lavoro e Giustizia Sociale chiamandosi Die Linke. Anche i socialisti spagnoli han perso un pezzo che poi ha preso il nome di Podemos; inevitabilmente, la sinistra subisce scissioni, specialmente laddove non si riesce a raggiungere un comune accordo.

Quali sono stati gli elementi che hanno determinato nel corso del tempo questa scissione?

La Sinistra guarda al cambiamento, una parte è disponibile a cambiare molto e l’altra invece tende ad esser meno propensa a farlo; talvolta il cambiamento può esser un successo ma in questo caso la sinistra si ritrova ad esser colpita, la sinistra deve esser analizzata considerandola di base volta al progresso. I Paesi che non hanno naturale propensione ad un progresso repentino e non lo pretendono dalla sinistra, mantengono un partito unito; i Paesi in costante cambiamento non potranno che avere una sinistra instabile di natura, vuoi per ragioni culturali e generazionali. Questo porterà a decidere se velocizzare o rallentare il processo di cambiamento, sia per andar più in fretta, sia per timore di perdere pezzi preziosi.

Qual’è stato il problema di fondo del Partito Democratico e in che modo si sta muovendo e configurando la sinistra italiana al riguardo?

Il problema del Partito Democratico è che non è diventato quello che i fondatori speravano diventasse, ovvero fin dagli inizi il Pd è stato un caso di ’fusione fredda’ tra una Margherita principalmente ex democristiana con una componente prodiana e gli ex comunisti, che in modo curioso mettevano assieme il meglio della cultura riformista senza pero riuscire a mantenere intatta una riflessione o tantomeno una produzione di cultura dal partito; quello che vediamo ad oggi è il parto di una leadership senza cultura, perché questo è Renzi e la sua amministrazione, o anche la Serracchiani, nessuna cultura politica. Da un lato abbiamo la gestione di Renzi, sprovvista di un’adeguata cultura politica, dall’altra parte quelli che non hanno saputo migliorare e rinnovare i brandelli di quel che un tempo poteva esser considerata cultura politica. Il problema è identificabile dall’inizio, ricordiamo che il Pd è un partito giovanissimo e non riuscendo a produrre alcun tipo di cultura, inevitabilmente ha portato ad una scissione tra la persona di Renzi, assolutamente divisiva e le altre personalità politiche, non aiutando la coesione del Pd stesso.

Parlavamo di Podemos, rispetto alle altre sinistre europee, cosa c’è di diverso rispetto alla nostra e cosa bisogna prendere come spunto per riuscire a progredire evitando ulteriori scissioni e problematiche?

La differenza principale è che la Sinistra italiana ha una componente ex comunista, in tutti gli altri Paesi la componente maggioritaria è socialista invece, come lo è stata in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna. La grossa differenza è che qui non c’è stata una fase socialdemocratica. Chi ha messo su il Partito Democratico doveva assimilare la componente socialdemocratica, non riuscendoci e portando agli esiti che già conosciamo.

La minoranza ‘secessionista’ del Pd come si sta configurando? La questione di cultura politica riformista verrà abbandonata?

Se invece del porre attenzione all’urgenza drammatica del tenere il congresso in tempi brevi Renzi avesse preferito una conferenza programmatica, sicuramente ci sarebbe stata la base di un dibattito culturale; in assenza di tale presupposto, i rimanenti dovranno cercare di conquistare consenso ed essere presenti nella vita politica; in ogni caso il dibattito culturale è stato rimandato fin troppo. Tra gli interventi in assemblea ve ne sono stati solo due rilevanti dal punto di vista culturale, il primo da parte di Epifani che definiva un partito riformista di sinistra, l’altro invece da parte di Veltroni che ridefiniva quello che non è riuscito a fare nella fase di struttura del Pd.

Pubblicato il 22 febbraio 2017 su L’INDRO

Trump no sabe nada de Europa #Página12

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Entrevista. Por Elena Llorente

Página|12 En Italia
Desde Roma

Europa está preocupada por saber cómo marcharán sus relaciones con Estados Unidos a partir del 20 de enero, día de la asunción del flamante presidente Donald Trump. Pese a que luego de la sorpresiva victoria del candidato republicano algunos gobiernos que se habían manifestado abiertamente a favor del presidente Barack Obama y los democráticos hicieron un pequeño paso atrás, las preguntas siguen en pie. ¿Qué sucederá? ¿Se verán afectadas las relaciones entre la Unión Europea y Estados Unidos, incluso dentro de la OTAN? ¿Podrá el magnate inmobiliario de Nueva York alterar los equilibrios internacionales conseguidos hasta ahora poniendo en juego antes que nada su amistad con el presidente ruso Vladimir Putin? ¿Favorecerá esto el avance de la derecha en el mundo?. En una entrevista con PáginaI12 el prestigioso analista y profesor emérito de Ciencias Políticas, Gianfranco Pasquino, respondió a estas preguntas.

¿Cuáles son las posibles consecuencias de la elección de Donald Trump en la Unión Europea?

Es difícil decirlo. Trump no conoce nada de Europa. No tiene ninguna información, a no ser que encuentre algún consejero competente… Trump dirá muchas cosas que luego no sabrá hacer. Europa debe quedarse tranquila, debe tratar de definir qué tipo de relaciones quiere establecer con Estados Unidos y a ese punto se tratará de encontrar algunos acuerdos. Pero todo esto es muy poco claro todavía. Como es poco claro cómo será la presidencia de Trump. Trump está muy interesado por un lado en México y por el otro en China, pero poco interesado en Europa.

¿El escaso interés de Trump en Europa y su acercamiento al presidente ruso Putin, podría tener efectos negativos en la Organización del Atlántico Norte (OTAN)? (N. de la R: la alianza militar de la que participan Estados Unidos y Europa, entre otros, y que nació después de la Segunda Guerra Mundial para contrarrestar el poder soviético)

Podría haber consecuencias sobre la OTAN si Trump decide, por ejemplo, que los estados europeos no aportan suficiente dinero a la OTAN para la propia defensa. Y esto podría ser un problema. Pero no sabemos aún cómo será. Ha dicho cosas que ciertamente debilitan a la OTAN. Ha dicho por ejemplo que no hay necesidad de antagonizar a Putin, incluso ha recibido una carta de felicitaciones después de su elección de parte del presidente ruso. La OTAN debería prestar mucha atención a esto. Porque Putin es de todas maneras un adversario. Si Trump decide tratar directamente con Putin, indirectamente la OTAN se debilita.

¿Cómo puede cambiar el ajedrez mundial ahora que los dirigentes de los dos países, que en principio se odiaban, parecen grandes amigos?

El problema es que Putin es un autócrata, un hombre que controla de manera no democrática los organismos de Rusia, que tiene una política internacional que no puede ser aceptada por los Estados Unidos. Trump debe pensar dos veces antes de asumir una actitud condescendiente respecto de Putin. El otro problema es que en realidad los europeos están divididos. Algunos tienen una posición suficientemente dura contra Putin. Otros en cambio, como Italia, mantienen una actitud ligeramente más blanda porque tienen absoluta necesidad de conservar buenas relaciones comerciales y recibir el gas ruso.

Hay quien decía que después de Brexit y de Trump, el próximo golpe de la derecha iba a ser la victoria del NO en el referendo que sobre la Constitución se hizo en Italia el 4 de diciembre.

Esto es un error gravísimo porque el NO no estuvo solo apoyado por la derecha, sino que hubo componentes de izquierda muy relevantes, como yo mismo. Por lo cual, es una mentira decir que una victoria del NO es una victoria de la derecha. Tampoco hay ninguna razón para decir, como algunos afirman, que Italia saldrá de la Unión Europea. Esto es una mentira en la que han caído algunos medios de difusión europeos. Me preocupa este tipo de análisis porque significa que los periodistas que escriben eso, no conocen suficientemente Italia.

¿El populismo está avanzando de manera incontrolable en Europa después de la elección de Trump en su opinión?

El populismo ha crecido en Europa. Pero yo no diría que se trata de una avanzada incontrolable. Ha crecido, algunos gobiernos tienen matices populistas. En Europa el populismo no ha ganado en ningún lado. Hay tentaciones, en Hungría, en Polonia. Decir que Europa ha sido arrasada por el populismo es un error. Estamos en una fase, tanto Estados Unidos como Europa, en la que ha disminuido la cultura política de los ciudadanos pero también la cultura política de los líderes. Podemos decir que hay una crisis en materia de liderazgo. Tal vez la única en condiciones de proyectarse como líder es la canciller alemana Angela Merkel.

¿Qué dice en cambio del avance de la derecha? ¿No será más fácil con Trump en el gobierno?

No. A la derecha europea no le será más fácil avanzar ahora. Trump es único, por suerte. Un hecho que lo demuestra en parte es que en las primarias presidenciales francesas del centroderecha, el más votado fue el gaullista François Fillon, no Nicolas Sarkozy, que está más a la derecha y tiene algunos matices a la Trump.

 

No hay nada de malo en la gran coalición #España

ABC

JAIME G. MORA entrevista al politólogo Gianfranco Pasquino

San Lorenzo De El Escorial  02/07/2016

El politólogo italiano asegura que un pacto entre PP y PSOE no es un «pecado» ni un «error

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Gianfranco Pasquino (Turín, 1942) es uno de los pensadores italianos más influyentes de Europa. Es profesor emérito de la Universidad de Bolonia y profesor adjunto de la Universidad John Hopkins. Ha sido presidente de la Società Italiana di Scienza Politica, senador entre 1983-1992 y 1994-1996, y ha sido galardonado con el laurea honoris causa por la Universidad Católica de Córdoba, la Universidad de Buenos Aires y la Universidad de La Plata. Pasquino recibió ayer viernes a ABC después de ofrecer una ponencia sobre la antipolítica en el campus FAES, celebrado en los cursos de verano de San Lorenzo de El Escorial.

¿Cuáles son los rasgos de la antipolítica?

La antipolítica tiene enemigos: los que tienen el poder políticos, las élites, los periodistas, los intelectuales, los bancarios, los masones y los judíos, que son los enemigos tradicionales. Según la antipolítica, todos pueden hacer política y quienes la hacen no son admirables. Tiene una visión en la cual la sociedad es mejor que los políticos, lo que no es verdad. Tiene la ilusión de que se puede hacer mejor sin políticos.

¿Es lo mismo la antipolítica que el populismo?

No, porque el populismo pone el acento sobre la figura de un líder y la antipolítica puede hacerse sin líder. El populismo dice que hay un pueblo limpio, que es capaz de apoyar a un líder. Para la antipolítica el líder es un problema, no la solución.

¿Cómo se ha manifestado este fenómeno en Italia?

En Italia no hay populismo porque siempre hubo partidos políticos bastante organizados. Ha habido antipolítica contra la corrupción y el parlamentarismo. En general, ha sido un fenómeno intelectual, de periodistas, escritores y artistas, no un fenómeno político.

¿Qué relación hay entre Podemos y el Movimiento 5 Estrellas?

Poca, porque 5 Estrellas es una forma de hacer política. No es antipolítica. Es un intento de cambiar el sistema político. Reconocen que la política es necesaria, la importancia de las insiticiones, del poder judicial y del Parlamento.

¿Tiene Podemos más similitudes con el populismo latinoamericano?

En España hay partidos organizados. El problema es que los socialistas están menos organizados que años atrás. En América Latina, con pocas excepciones, son partidos débiles. Solamente Chile tiene partidos organizados, y no tiene populismos. Todos los demás países tienen populismos.

¿Es Podemos populista?

Tienen algunos elementos de populismo, pero no es completamente populista. Es difícil serlo del todo. Requiere un tejido social totalmente desorganizado y España no está en esa situación.

¿Por qué estos postulados calan con tanta facilidad?

Es un elemento coyuntural. Es el producto de la crisis económica, de la incertidumbre, del cambio generacional y de la incapacidad de los partidos tradicionales de predicar valores democráticos. Han aceptado el cambio social sin intervenir en ellos.

¿Esta ola antipolítica desaparecerá con el tiempo?

Aparecerán en la escena otros partidos mejor organizados.

Así que serán nuevos partidos los que frenen a Podemos.

Será un PSOE transformado, un PP capaz de crear coaliciones con Ciudadanos, o con los socialistas. No hay nada de malo en la gran coalición. Los alemanes la tienen. En Austria hay una gran coalición. No es un pecado, no es un error. Puede ser una solución temporal.

¿Cree que España va hacia una «italianización» de la política?

La política italiana es normalmente confusa, así que no es una buena solución. Pero los políticos italianos sí saben negociar.

Italia siempre cae de pie.

Eso es verdad, pero podría estar mejor gobernada. Hay mucha confusión; hay estabilidad en la confusión. España nos parecía estable y clara. Lo que ha pasado se debe a la falta de capacidad de los políticos tradicionales de comprender los cambios sociales.

Carlos de la Torre, que ha participado en el Campus FAES, me dijo que el populismo de derechas es más peligroso que el populismo de izquierdas.

Sí, porque el populismo de derechas gana. El populismo de izquierdas raramente gana. En América Latina, Chávez fue de izquierdas, pero en general el populismo es de derechas. El peronismo, en general, es populismo de derechas.

¿Han surgido estos fenómenos de antipolítica cuando más interés hay hacia la política?

Puede ser, aunque no estoy totalmente convencido. Diría que cuando la política parece ser importante nace también la antipolítica. Cuando la política funciona y no crea problemas, no hay antipolítica. Cuando la política no funciona y todos consideran que puede ser importante, puede nacer la antipolítica. Pero insisto en el elemento generacional: es un cambio de generación en España, también en Italia. Y en el Reino Unido, donde los jóvenes han votado a favor de la Unión Europea, a diferencia de los mayores de 55 años. Estamos en un periodo de cambio generacional que abre espacios a la antipolítica. Porque si los jóvenes no están representados, pueden optar por la antipolítica.

Cosa insegna la Spagna. Matteo è ignorante: il suo modello non rispetta la volontà popolare

Il fatto

Con l’esito di questo voto, preannunciato dai sondaggi, la Spagna è diventata in un certo qual modo europea. Non è più una nazione con due grandi partiti a dominare la scena, come era avvenuto negli ultimi 35 anni: ora ha anche altre due formazioni nella Camera bassa, Podemos e Ciudadanos. Ed è lo stesso schema che ritroviamo nel resto del continente, dove non si trovano Paesi con il bipartitismo. Ora la Spagna dovrà imparare quella che Roberto Ruffilli (politologo e parlamentare della Dc, ndr) chiamava la cultura delle coalizioni.

Attenzione però, chi celebra l’Italicum come soluzione all’ingovernabilità dà un segnale di ignoranza assoluta. Gli elettori votano in base ai sistemi elettorali, usano le regole date.

In uno scenario diverso, probabilmente molti elettori di Podemos avrebbero scelto i socialisti per mandarli al ballottaggio, o viceversa. L’Italicum rimane una legge proporzionale fortemente distorsiva della rappresentanza popolare, anche perché al secondo turno costringe tanti cittadini a fare una scelta forzata rispetto al primo voto dato. Quanto ai paragoni tra 5Stelle e Podemos, sono impropri: quello di Iglesias è di fatto un partito.

Pubblicato il 22 dicembre 2015

II M5S è diventato adulto. Potrebbe anche governare

Il fatto

Intervista raccolta da Luca De Carolis per il Fatto Quotidiano

Il Movimento è cresciuto, si è fatto le ossa nei due anni e mezzo in Parlamento. E può vincere le prossime Politiche. Ma per riuscire a governare deve migliorare ancora, nei comportamenti e sulla politica estera. E deve fare i conti con il primo dei suoi limiti, il peso eccessivo di Grillo e Casaleggio. Così Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica presso l’università di Bologna.

Il M5S è in Parlamento dal febbraio 2013. In questi due anni e mezzo è cresciuto, rimasto con i suoi difetti o addirittura peggiorato?

Alcuni esponenti del Movimento hanno imparato che il Parlamento è un luogo complesso, e che non può essere domato solo con un’opposizione dura. Esponenti come Luigi Di Maio o Roberto Fico, che ricoprono cariche istituzionali, hanno appreso rapidamente le tecniche necessarie. Parlo ad esempio della capacità di maneggiare gli emendamenti.

Ha citato Di Maio. Molti lo indicano come il futuro candidato premier, e nei sondaggi è più popolare di Beppe Grillo. Perché?

Innanzittutto gode di molta visibilità, per il suo ruolo di vicepresidente della Camera, e perché va spesso in tv, dove ha dimostrato di saper parlare. In più appare come un giovane rassicurante. Terzo dato, l’impressione generale è che Grillo pensi proprio a lui per la presidenza del Consiglio.

C’è quella frase rivolta a Di Maio, scappatagli in conferenza stampa: “Maledetto, il leader sei tu”…

Esatto. Io però ho la sensazione che Grillo possa fare un’operazione diversa: puntare su un esterno, esperto, che possa sembrare affidabile.

Si è parlato molto di un ipotetico governo a 5Stelle. E l’orientamento pare quello di creare un esecutivo per metà di politici e per metà di tecnici.

La soluzione preferibile sarebbe sempre quella di un governo solo di politici, con esperienze amministrative alle spalle. Ma per realizzarla serve un partito strutturato. I 5Stelle dovranno per forza affidare alcuni ministeri a tecnici di peso. Penso a quello degli Esteri, o al dicastero dell’Economia.

E negli altri ruoli?

Fico potrebbe occuparsi delle Comunicazioni, e anche la senatrice Barbara Lezzi mi pare molto competente sull’economia. Poi, ovviamente, c’è Di Maio.

“La lista per il governo verrà votata sul web” ha promesso proprio Di Maio.

Io non mi limiterei a proporre un elenco, ma aprirei anche a nomi proposti dalla Rete.

Ha parlato della crescita del Movimento. Ma dov’è ancora carente?

Il punto debole principale rimane la politica estera. Per carità, è un tema complicato per tutta la politica italiana, ma le loro posizioni sull’Europa sono davvero controverse, e io non le condivido. E credo che al loro interno siano divisi sull’argomento.

Si spaccarono sull’alleanza con la destra di Nigel Farage nel Parlamento europeo.

Assolutamente sì. E mi pare normale che sia accaduto.

L’altro difetto storico era l’intemperanza in aula. Ma sembrano migliorati.

Sì, ma devono ancora crescere. Devono dimostrare fino in fondo di essere una forza di governo, esprimendo i loro argomenti senza volgarità o aggressività.

E nei Comuni? Come se la stanno cavando?

I sindaci sono sempre il prodotto dei territori. Detto questo, a Parma Federico Pizzarotti sta facendo un buon lavoro. E in generale tutti i loro amministratori sono molto attenti a non finire in situazioni di corruzione. Se la loro linea di trasparenza nelle città passa a livello nazionale, li aiuterà molto anche nelle Politiche.

Pizzarotti lavora bene a suo avviso: ma per i vertici del M5S è un dissidente, quindi un paria.

Grillo e Casaleggio sbagliano nei suo confronti. E il sindaco fa bene a tenere la sua linea di autonomia.

Un altro tema ricorrente è il cambio di regole nel M5S, anche per la selezione dei nuovi eletti. Non più il web come unico giudice, ma parametri più stretti. È davvero necessario?

Nelle prossime Parlamentarie non potranno permettersi di eleggere persone con 500 voti. E dovranno allargare con decisione alle ricandidature. I parlamentari esperti saranno fondamentali, anche per aiutare i nuovi arrivati. Servono norme coinvolgenti e trasparenti, per una platea larga.

E di quale “colore”? Il M5S è di destra e di sinistra?

E un movimento interclassista, e questa è la sua forza. Raccoglie soprattutto elettori da sinistra. Non è di destra, perché non vuole uno Stato forte, ma non è neppure Podemos.

Può davvero vincere?

Con questa legge elettorale sì. Il limite principale rimane sempre quello: dipendono ancora troppo da Grillo e Casaleggio. Se sbagliano loro, per il M5S sono dolori.

Pubblicato il 12 ottobre 2015

Corbyn è il vecchio, Renzi è borioso. La nuova sinistra è un’altra cosa

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Non sta nascendo una nuova forza progressista europea. Troppe differenze tra il leader Labour, Podemos e Syriza

Intervista raccolta da Marco Sarti per LINKIESTA.it

Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, adesso la vittoria di Jeremy Corbyn alle primarie del partito laburista inglese. In Europa sta nascendo una nuova sinistra? Il politologo Gianfranco Pasquino non sembra troppo convinto. Professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, già senatore della Sinistra indipendente dal 1983 al 1992 e dei Progressisti dal 1994 al 1996, l’autore del primo ddl sul conflitto di interessi in Italia spiega: «Corbyn non diventerà mai primo ministro. E questo lo sa anche lui». Le differenze con Podemos e Syriza sono tante, a partire dal gap generazionale che divide il politico britannico dagli altri leader. In compenso è basso il rischio di conseguenze politiche per l’Italia. «Se nel Partito democratico ci sarà una scissione – continua Pasquino – sarà solo per colpa della boria di Matteo Renzi».

Professore, in Europa sta nascendo una nuova sinistra?

La vittoria di Corbyn non mi ha sorpreso. Le possibilità sono cresciute nel corso del tempo e negli ultimi giorni prima del voto la sua affermazione era piuttosto annunciata. Ma non sono sicuro che si tratti di un fenomeno europeo. I leader di Podemos e Syriza rappresentano una nuova sinistra, Corbyn rappresenta la vecchissima sinistra già presente nel partito laburista. Consideriamo che siede in Parlamento già dal 1983. Per i laburisti questo è un ritorno al passato. Gli stessi punti programmatici di Corbyn sono espressione del passato. Penso alle nazionalizzazioni, che dovrebbero far rabbrividire qualcuno.

Spagna e Grecia hanno anche una diversa situazione economica rispetto all’Inghilterra.

Se è per questo Spagna e Grecia sono anche due ex regimi, la Gran Bretagna no. Ma c’è anche un’altra differenza. Corbyn ha quasi 70 anni, forse è mio coetaneo. I leader di Syriza e Podemos sono quarantenni: un gap generazionale che si traduce anche in un gap di idee.

A unire queste diverse esperienze politiche forse sono le crescenti disuguaglianze in Europa?

Il filo conduttore, l’unico elemento che vedo, sono i rapporti con l’Europa. Anzi, l’opposizione contro il modo in cui questa Europa si è autogovernata negli ultimi dieci anni.

I critici assicurano che Corbyn è destinato a rappresentare la protesta, mai una posizione di governo.

Sulla base delle tre elezioni perse dai laburisti dal 1983 al 1992 direi che sono d’accordo. Corbyn può rappresentare una ripresa per i laburisti, la creazione di un nuovo partito. Ma penso che neppure lui abbia mai sognato di diventare primo ministro. Anche con la più fervida immaginazione, nel suo orizzonte non c’è questa aspirazione.

In Inghilterra si teme una scissione nel partito. E se invece la scissione arrivasse in Italia? Qualche esponente del Pd potrebbe decidere di dar vita a un nuovo movimento di sinistra anche nel nostro Paese?

Nel partito laburista una scissione ci fu effettivamente nei primi anni Ottanta, con la nascita del partito socialdemocratico. Se pensiamo che 220 parlamentari su 240 non hanno votato per Corbyn, è possibile immaginare che oggi altri si spostino per cercare nuove alleanze. In Italia è diverso. Chi ha guardato altrove come Stefano Fassina non ha fatto molta strada. E credo che Gianni Cuperlo, nonostante condivida l’iniziale del cognome con Corbyn, non abbia intenzione di intraprendere lo stesso percorso. Le vittorie altrui non devono determinare conseguenze per noi. Se ci sarà una scissione sarà per altre logiche, penso alla ristrutturazione del partito. Contro la boria insopportabile di un presidente del Consiglio che è anche segretario del partito. Ecco una differenza, Corbyn non ha alcuna boria, Matteo Renzi ne ha in gran quantità.

Insomma oggi in Europa chi è fuori contesto? Podemos e Syriza, Jeremy Corbyn o il Partito democratico?

Corbyn non è fuori contesto, nel partito laburista quella sinistra è sempre esistita. Siamo noi difformi rispetto al resto d’Europa. Spesso si dimentica la storia. Questo Partito democratico è il prodotto di una fusione tra quello che restava degli ex comunisti e quello che restava degli ex democristiani, all’epoca Margherita. Ed è un partito guidato da un leader che viene dagli ex Dc. Non c’entra nulla con la tradizione europea. Adesso si tenta di costruire un’identità con l’adesione al partito socialista europeo, ma quel dna comune di cui ha recentemente parlato Giorgio Napolitano non esiste.

Pubblicato il 14 settembre 2015

Vientos de cambio en Europa. Es poco lo nuevo que avanza

PERFIL 2

Las numerosas y coloridas listas de izquierda que le dieron la vida (y la victoria) a Syriza en Grecia y que contribuyeron al crecimiento de Podemos en España son un fenómeno que tiene sus raíces fundamentalmente nacionales. No es una moda que, como la moda, produjo imitaciones, pero, por ejemplo, en Italia, más que imitaciones exitosas, lo que encontramos es el florecer de las ilusiones. También en otras partes, en Europa, aparecieron listas de izquierda en la misma izquierda, desde los Piratas suecos y alemanes hasta la Alternativa para Alemania, pero demostraron que no consiguieron afirmarse en el electorado. El elemento común a todas las nuevas listas de izquierda es la insatisfacción en las capacidades de representación de los partidos de izquierda, a menudo socialistas. En Grecia, esos partidos, más precisamente el Pasok, se derrumbaron y sus potenciales electores se dejaron convencer por Tsipras. En España, el PSOE se mantiene, pero en la oposición, mientras que Podemos creció gracias a la afluencia de jóvenes sin antecedentes, pertenencias partidarias y lealtades electorales. Por otra parte, en Alemania, Suecia, Noruega, Francia y Gran Bretaña, los partidos socialdemócratas y laboristas están en el gobierno y consiguen demostrar la inutilidad de un enfrentamiento con ellos. Por el contrario, cuando el desafío se presenta, se manifiesta mucho más a la derecha que a la izquierda. Aquí está el segundo elemento común: la oposición al euro, la crítica a la UE, la reaparición de un nacionalismo xenófobo (y, a veces, antisemita).

Pensar que éstas son posiciones que prenuncian un futuro practicable me parece francamente no sólo un error, sino una enorme estupidez (una tontería monumental). En el caso de las derechas se trata simplemente de su incapacidad para llegar a la modernidad. En los casos de Syriza y Podemos, hay un poco de infantilismo, destinado a pasar con el tiempo. Hay también una recuperación de la política de los buenos sentimientos: ayudar a los más débiles. Y hay, finalmente, un poco de miedo al futuro y a la competencia global que mancomuna a algunos sectores de derecha, como lo ha demostrado, no casualmente, la alianza antinatural de gobierno entre Syriza y los Griegos Independientes.

En la medida en que son “nacionales”, los fenómenos de izquierda y derecha serán confrontados por los partidos tradicionales. En la medida –variable– en que son antieuropeos, podrán ser combatidos por el Parlamento y la Comisión Europea. Aunque está absolutamente fuera de moda sostener que el horizonte de Europa es luminoso, ésta es mi posición. La UE tiene aún enormes espacios por mejorar desde el punto de vista de la eficiencia, la desburocratización y la democracia. Las nuevas derechas son viejas, pero están destinadas a perdurar. Existen en todas las democracias, incluida la de los Estados Unidos y las de toda América Latina. En cambio, las nuevas izquierdas están destinadas a durar poco, l’espace d’un matin, para luego retroceder. Merecen un poco de atención, pero los analistas deben tener una mirada más amplia. El futuro es de los partidos que, a pesar de todo, supieron reformarse constantemente desde hace más de ciento cincuenta años.

PUBLICADO EN EDICIÓN IMPRESA DE PERFIL 31/01/2015 Traducción: Guillermo Piro