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Le aspettative esagerate sul ritorno al proporzionale @DomaniGiornale

Non sono riuscito a trovare in nessun libro di scienza politica che le leggi elettorali proporzionali ristrutturano i partiti e i sistemi di partito Forse dovevo cercare fra i gialli di Simenon o nella collezione di Urania. E poi dovremmo ristrutturare i partiti esistenti o cambiarli molto più profondamente? Le eleggi elettorali proporzionali, ha sempre sostenuto, correttamente, Giovanni Sartori, “fotografano” i partiti esistenti. Talvolta, se c’è una sana soglia di accesso al Parlamento, per esempio, del 5 per cento, escludono dalla fotografia partiti che hanno percentuali di voto inferiori. Talvolta, a questo proposito i verbi contano, se soglia non c’è, le PR consentono la frammentazione, addirittura facilitano, se non incoraggiano, le scissioni. Ciò detto ci sono buone leggi elettorali proporzionali, come quella tedesca nella sua interezza, e il Voto Singolo Trasferibile dell’Irlanda. Tutte, però, consegnano inevitabilmente ai dirigenti di partito la delega alla formazione del governo. È una constatazione, non una critica, ma che non significa affatto che nelle democrazie sia possibile e neppure auspicabile “eleggere il governo”. Chi ha un minimo di conoscenza del sistema tedesco, che pure giustamente ammiriamo per la sua stabilità di governo e efficacia politica, sa che nel 2017 gli elettori non votarono affatto per la grande Coalizione CDU/CSU-SPD e che nel 2021 nessuno, ma proprio nessuno, poteva prevedere e meno che mai scegliere/votare per un governo Socialdemocratici-Verdi-Liberali. Prima viene posta la parola fine sulla chimera del “governo eletto dai cittadini” meglio sarà.

Adesso, comunque, i soloni elettorali annunciano che torniamo alla proporzionale. Ci sono due, forse tre problemi con questo avventuroso viaggio di ritorno. Primo che il luogo dal quale partiamo, la vigente legge Rosato, non è un maggioritario, ma due terzi proporzionale e un terzo maggioritaria. Quindi, il viaggio di ritorno sarebbe breve. Secondo problema è che non esiste “la” proporzionale, ovvero un’unica, semplice, chiara variante di sistema proporzionale. Ce ne sono molte con elementi diversi, variabili, nel bene e nel male manipolabili, a cominciare dalla soglia di accesso al Parlamento, a continuare con la dimensione delle circoscrizioni (numero dei parlamentari da eleggere) e dal recupero o no dei resti, a finire con l’esistenza o no di premi in seggi. Un sistema elettorale proporzionale che prevede un premio di maggioranza non per questo diventa “il” o “un” maggioritario. Di sistemi elettorali maggioritari in collegi uninominali ne esistono almeno tre varianti: l’originale, inglese; l’australiano, che è davvero majority; e il francese a doppio turno (che non significa ballottaggio). Chi sostiene di volere “il” maggioritario e mira a resuscitare l’Italicum oppure recuperare la legge porcella di Calderoli inganna gli elettori e i commentatori che hanno studiato poco e non sanno quasi niente.

Comunque, nessuna di queste leggi proporzionali, mi spingerei a sostenere meno che mai le varianti con premi di maggioranza, hanno una qualche possibilità di ristrutturare i partiti e i sistemi di partiti. Al contrario, quelle con i premi di maggioranza, nelle condizione date del sistema politico italiano conferirebbero, ricorro ancora alla terminologia di Sartori che se ne intendeva, un potere di ricatto a partiti anche piccoli i cui voti venissero considerati decisivi. Spesso, dimostrerebbero di esserlo. Allora, no, e basta.

P.S. Il Direttore mi ha chiesto con qualche titubanza se potesse ripubblicare questo articolo ogni tre/quattro settimane. Ho graziosamente (sic) accettato.

Pubblicato il 2 febbraio 2022 su Domani

I partiti devono cambiare. Ma attenti a cosa auspicate

Uno dei problemi più importanti e più gravi del sistema politico italiano è rappresentato dal sistema dei partiti. La sua caratteristica principale è di essere destrutturato. Vecchie organizzazioni politiche declinano, nuove organizzazioni politiche nascono, ma sono deboli e non si istituzionalizzano, tentativo che viene attualmente fatto, non con grande successo, dal Movimento 5 Stelle. Tutte queste organizzazioni, una sola delle quali utilizza la dizione partito: il Partito Democratico, sperimentano notevoli variazioni nel loro consenso elettorale da un’elezione all’altra. Quella che tecnicamente si chiama “volatilità elettorale” dipende certamente dall’insoddisfazione dei votanti nei confronti dei comportamenti dei dirigenti di partito, dei parlamentari, delle politiche prodotte, ma anche dalla inadeguata e variegata presenza delle organizzazioni politiche sul territorio. Infine, organizzazioni politiche sostanzialmente prive di una cultura politica, principi e valori, di riferimento, e dipendenti dalle leadership di turno, non possono riuscire ad acquisire consenso stabile nel tempo. Le, talvolta notevoli, fluttuazioni dipendono dalla precarietà della popolarità dei rispettivi leader. A tutto questo si aggiungono i cambiamenti delle regole del gioco elettorale che facilitano o impongono agli elettori di agire secondo le nuove opportunità. Ne consegue che nessuno può permettersi oggi di scommettere che il sistema dei partiti che scaturirà dalle prossime elezioni politiche non più tardi del marzo 2023 sarà simile a quello attuale.

I commentatori, costretti a seguire la quotidianità, spesso perdono di vista la struttura della situazione, qualche volta dimenticandosi anche delle loro precedenti affermazioni e valutazioni. Mi limito a alcuni pochi esempi. Non è coerente dichiararsi a favore di una democrazia bipolare e maggioritaria e poi lamentare la mancanza di un centro. Infatti, il centro, soprattutto se avesse un qualche successo elettorale, disporrebbe di un notevole potere, che Giovanni Sartori definiva di “ricatto”. Potrebbe, cioè, di volta in volta allearsi con il polo di destra oppure di sinistra, a determinate condizioni che lui stesso avrebbe il potere di dettare. La conseguenza è che una vera e propria alternanza non esisterebbe più. Al massimo, potremmo parlare di semi-rotazione, ma, comunque, dovremmo preoccuparci di un centro che si trova costantemente al governo. Gli stessi centristi, se avessero/hanno imparato la lezione dell’esperienza della Democrazia Cristiana, dovrebbero essere molto vigili.

   Sull’altro versante non è coerente annunciare vocazioni maggioritarie e perseguire alleanze dichiarate organiche proclamando la (quasi) assoluta necessità di una legge elettorale proporzionale. Qualsiasi legge di quel tipo, anche la migliore (quindi non la legge Rosato e neppure quella da qualche mese in discussione nella Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati), non soltanto implica, ma incoraggia i partiti a non fare nessuna alleanza preventiva (e neppure dichiararla), a correre da soli, a contarsi poiché è sul conteggio dei voti e dei seggi successivo all’esito elettorale che diventano plausibili, possibili e preferibili le alleanze di governo. Naturalmente, se l’esistenza di una legge elettorale proporzionale, da un lato, agevola la frammentazione dei partiti esistenti, in particolare, non punisce le eventuali scissioni (per fare un esempio, quella nel Movimento 5 Stelle), dall’altro, consente la nascita di nuovi partiti raramente non piccoli (“nanetti” li ha giustamente definiti Paolo Cirino Pomicino, per di più non accompagnati da Biancaneve) che potrebbero ulteriormente complicare la formazione di qualsiasi governo.

Naturalmente, i piccoli partiti difenderanno il diritto a nascere e a sopravvivere in nome del pluralismo. Potranno anche fare notare che la loro nascita è conseguenza della cattiva rappresentanza offerta all’elettorato dai partiti esistenti, alla quale promettono di porre rimedio con le loro capacità e il loro impegno. Non basteranno né l’una né l’altro a ristrutturare il sistema dei partiti italiani. La rappresentanza proporzionale fotografa la frammentazione esistente, ma non offre nessun incentivo al rafforzamento strutturale dei partiti. Comprensibilmente, ciascuno degli attuali gruppi dirigenti si preoccupa della sua sopravvivenza, ma non vuole scommettere sul futuro. L’esito inevitabilmente è/sarà more of the same.

Pubblicato il 7 ottobre 2020 su Domani

Il sistema partitico italiano è destrutturato, per ristrutturarlo è necessaria una buona legge elettorale

Molto di quello che succede nella politica italiana dipende dalla mancata strutturazione del sistema dei partiti. Se un’ex-segretario del Partito Democratico può fare una scissione per conquistarsi e esercitare potere di ricatto (è terminologia tecnica di un fenomeno reale) sul governo e sul suo ex-partito, è perché partiti e sistema dei partiti non sono strutturati. Nessuna legge elettorale proporzionale potrà porre rimedio a questa desolante dinamica.