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Non lasciamo al governo la scelta di come spendere i fondi europei @domanigiornale

Leggo con non poca preoccupazione che il Ministro dell’Economia e forse anche il Presidente del Consiglio sono inquieti poiché al momento i progetti per l’utilizzazione dei fondi NextGenerationEU disponibili per l’Italia riuscirebbero a spendere soltanto poco più di 100 miliardi di Euro sui 209 assegnati. All’uopo il governo italiano ha indicato nove direttrici intese a conseguire i seguenti obiettivi:

1) Un Paese completamente digitale.

2) Un Paese con infrastrutture sicure ed efficienti.

3) Un Paese più verde e sostenibile.

4) Un tessuto economico più competitivo e resiliente.

5) Un piano integrato di sostegno alle fìliere produttive.

6) Una Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese.

7) Maggiori investimenti in istruzione, formazione e ricerca.

8) Un’Italia più equa e inclusiva, a livello sociale, territoriale e di genere.

9) Un ordinamento giuridico più moderno ed efficiente.

Per ciascuno degli obiettivi i singoli progetti dovrebbero essere inseriti in un pacchetto coerente di investimenti e riforme correlate. I costi debbono essere quantificati, ragionevoli e commisurati all’impatto economico, ambientale e sociale. La tempistica deve contenere le modalità di attuazione, indicare i target intermedi e finali, segnalare quali soggetti saranno responsabili dell’attuazione. Sento parlare di assalto alla diligenza che, però, pare smentito dalle cifre che ho riportato sopra. Peraltro, la scadenza per sottoporre i progetti non è imminente, ma, naturalmente, formulare progetti adeguati e convincenti richiede, oltre che significative competenze, molto tempo.

   Mi sarei aspettato dalla recente riunione/confronto organizzata dalla Confindustria che il suo Presidente Carlo Bonomi annunciasse pubblicamente che le imprese da lui rappresentate non soltanto sono impegnate pancia a terra almeno sui punti 3 e 4, nonché 1 e 7, ma che hanno già elaborato o stanno elaborando quantomeno i feasibility projects. Sono sorpreso anche dal silenzio delle Università italiane dove, pure, esistono isole di eccellenza, di sperimentata capacità nella formulazione di progetti, con la presenza di ricercatori che sanno guardare lontano e che hanno più di un progetto nei loro cassetti. Senza nessuna (o poca) intenzione provocatoria mi attenderei che l’Associazione Nazionale Magistrati incarichi un gruppo di lavoro misto, composto, per l’appunto, da magistrati di grande esperienza, anche in pensione, da docenti di materie giuridiche e da avvocati per formulare un piano che finalmente modernizzi il funzionamento della giustizia, le cui lentezze e ritardi sono scoraggianti per gli investitori stranieri e esasperanti per i cittadini italiani.

Potrei proseguire punto per punto, nei limiti delle mie conoscenze, ma ritengo che stia per scoccare l’ora per aprire un grande dibattito pubblico trasparente e coinvolgente (con la partecipazione costruttiva dell’opposizione) dal quale scaturirebbero proposte buone (e cattive) da valutare, scremare, meglio focalizzare. C’è un elemento di metodo che merita ulteriore massima attenzione. I progetti debbono avere grande respiro sia per gli ambiti che andranno a coprire sia per la visione proiettata nel tempo per costruire un futuro migliore. Di conseguenza, suggerirei che tanto coloro che lavorano ai progetti quanto coloro che saranno preposti alla loro valutazione prima di accettarli e per indicare revisioni opportune, sfuggano alla tentazione di confinarsi in una unica esclusiva direttrice. Per esempio, la digitalizzazione è utile sicuramente alla predisposizione di una rete infrastrutturale estesa, ma anche a facilitare l’integrazione e l’efficienza delle filiere produttive e a riorganizzazione la Pubblica amministrazione, una delle più pesanti palle al piede del sistema politico e socio-economico italiano.

Mi piacerebbe potere sostenere che l’integrazione fra loro delle nove direttrici di interventi è operazione semplice. Invece, ne colgo tutta la complessità, ma anche la fecondità poiché, oltre ad essere utile in sé, garantisce sinergie e si estende ad una pluralità di prospettive a loro volta in grado di offrire approfondimenti e di stimolare riflessioni, ricerche e proposte aggiuntive. Dovremmo tutti essere consapevoli che le opportunità aperte dai fondi NextGenerationEU sono enormi e, senza nessuna esagerazione, si presentano una sola volta in our lifetime. Sono convinto che i mass media dovrebbero fornire il massimo di informazioni e che, a sua volta, il governo ha la responsabilità, più volte segnalata da Conte, di impegnarsi con tutte le sue capacità. Alla creatività degli italiani spetta di fare il resto.  

Pubblicato il 2 ottobre 2020 su Domani

 

Mercatisti che chiedono allo Stato #StatiGenerali

Prima le proposte e poi le critiche, o viceversa? Forse, il da poco Presidente della Confindustria il lombardo Carlo Bonomi non si è neppure posto il problema. Quel che Confindustria ritiene necessario è stato consegnato ad un corposo volume intitolato Italia 2030. Proposte per lo sviluppo”. Poiché il messaggio centrale è che “bisogna riorientare il Paese verso la crescita del lavoro, del reddito, della produttività e dell’innovazione”, non si può non essere d’accordo. Poi, si vorrebbe sapere, con la precisione che, secondo Bonomi, manca a Conte, in che modo ottenere tutte quelle cose belle nello spazio di dieci anni, sostiene Bonomi, utilizzando gli aiuti europei. Questo è quanto, in maniera più o meno accentuata, si trova in molte delle proposte, anche quelle del gruppo di lavoro coordinato da Colao, che sono state variamente presentate e parzialmente discusse a Villa Pamphilj.

I ritardi che Bonomi attribuisce al governo Conte sono strutturali. La crescita economica è praticamente cessata e il declino iniziato all’incirca trent’anni fa. Un libro importante (A. Capussela, Declino, LUISS University Press 2019), purtroppo non sufficientemente discusso, lo documenta con ricchezza di dati.

Bonomi ha offerto anche un metodo per raggiungere gli obiettivi da lui indicati. Lo si farà con la “democrazia negoziale”. Non so se c’è una sotterranea critica al Presidente del Consiglio Conte che a me non pare davvero essere un “decisionista”. Non vedo nella democrazia negoziale qualcosa di particolarmente nuovo o sorprendente, dal momento che lo spettacolo di più o meno allegre tavolate delle parti sociali che s’incontrano con il governo è frequente. Nel passato qualcuno aveva annunciato che sarebbe stato necessario procedere alla disintermediazione. Curiosamente, la Confindustria e le sue varie realtà locali si espressero per il sì al referendum costituzionale che avrebbe dato maggiore potere al governo.

In una certa misura, quasi tutte le democrazie contemporanee in sistemi multipartitici sono negoziali. Il punto è sapere dal Presidente Bonomi come si giunge poi alla decisione e all’attuazione, che, notoriamente, è l’anello debole dei procedimenti decisionali dei governi italiani. Espressosi contro i finanziamenti a pioggia, pure, a mio avviso, assolutamente necessari in un sistema socio-economico devastato dal Covid con centinaia di migliaia di operatori che meritano di essere aiutati per il rilancio, Bonomi ha dovuto, obtorto collo, riconoscere il ruolo importantissimo dello Stato. Insomma, né in Europa né in Italia il mercato può garantire qualsivoglia ripresa senza un ingente e intelligente intervento delle istituzioni politiche e dello Stato. Questa è la vera sfida che Conte deve raccogliere: produrre un salto di qualità nel funzionamento della macchina dello Stato, della burocrazia. Altrimenti, neppure i migliori dei progetti, e ne sono stati formulati non pochi, riusciranno a risollevare e rilanciare l’Italia.

Pubblicato AGL il 18 giugno 2020