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L’addio all’UE firmato dai sovranisti
Messo in ordine, o quasi, il Mediterraneo, il vice-Presidente del Consiglio e Ministro degli Interni Matteo Salvini ha formulato il suo piano per la conquista dell’Unione Europea. In vista delle elezioni del Parlamento Europeo che si terranno nella seconda metà del maggio 2019, Salvini ha proposto di dare vita a una Lega delle Leghe. Tutte le formazioni politiche che, al governo, come Orbàn in Ungheria, o all’opposizione, a cominciare da Marine Le Pen in Francia (che, però, “leghista”proprio non sembra), dovrebbero giungere a un accordo complessiva per un’Europa diversa. Facile sarebbe quello sui migranti, contro l’accoglienza indiscriminata, a favore dei respingimenti e della redistribuzione, ma qui, Salvini non può non saperlo, i suoi potenziali alleati, in particolare i paesi del gruppo di Visegrad, di redistribuzione non vogliono sentire neppure parlare. Comunque, la proposta di Salvini non è soltanto pubblicitaria. È una sfida diretta e frontale all’Unione Europea com’è. Con tutta la sua, nota e criticabile, inadeguatezza, l’Unione Europea è stata fino ad oggi il luogo istituzionale e politico nel quale gli Stati-membri hanno affrontato e risolto problemi e crisi (da ultimo, quella economica originatasi negli USA nel 2207-2008) e hanno, in sostanza, non solo garantito la pace, ma prodotto prosperità. La Lega delle Leghe di Salvini vorrebbe che ciascuno Stato riacquisisse parti cospicue della sua sovranità, che non è stata, come sostengono i sovranisti, perduta o espropriata, ma consapevolmente ceduta alle istituzioni comunitarie. Per questo, lasciando da parte il troppo vago aggettivo populista, epiteto senza contenuti, è opportuno definire sovranisti coloro che intendono riprendersi poteri ceduti all’Unione (anche in materia di moneta unica). Nell’attuale profonda difficoltà dei partiti di sinistra europei, oggi nel gruppo parlamentare Alleanza dei Democratici e dei Progressisti, e nelle tensioni interne ai Popolari che, per esempio, non osano sanzionare né il partito di Orbàn per le costanti violazioni dei diritti dei suoi cittadini né i Popolari austriaci per avere fatto il governo con Liberali di credo leghista, perché perderebbero la maggioranza relativa nel Parlamento Europeo, la Lega delle Leghe è in condizione di aspirare a diventare il gruppo parlamentare di maggioranza relativa. Acquisirebbe così la prerogativa di designare il prossimo Presidente della Commissione Europea. Alcuni commentatori minimizzano sostenendo che la Lega delle Leghe non distruggerebbe l’UE. La ridefinirebbe facendone un’Europa delle nazioni, come avrebbe voluto de Gaulle. Sarebbe certo una delle ironie della storia che proprio un’esponente della famiglia Le Pen, acerrimi nemici del Generale, ne attuasse la politica. Al contrario, l’esito di una vittoria della Lega delle Leghe sarebbe la disgregazione dell’Unione, con i sovranisti ciascuno alla ricerca del suo tornaconto immediato. Al momento non s’intravede minimamente la risposta degli europeisti.
Pubblicato AGL il 6 luglio 2018
Renzi sbaglia ad attaccare l’Europa
L’Unione Europea è, certamente, come afferma Renzi, non soltanto, ma anche “un’accozzaglia di regole”. Lo lamentano da tempo, magari con una più misurata scelta di parole, tutti governanti inglesi. L’Unione Europea è già, altrettanto certamente, come vorrebbe Renzi, un “faro di civiltà e di bellezza”. Lo hanno scritto, nelle motivazioni con le quali hanno conferito proprio all’UE il Premio Nobel per la Pace, i severi norvegesi, i quali, pure, hanno per due volte rifiutato, con apposito referendum, di entrare nell’Unione Europea. Dunque, Renzi non è originale né nelle critiche né nelle indicazioni di obiettivi. Naturalmente, l’Unione Europea continua ad avere molto da fare sia per diventare più snella nelle procedure e nelle regolamentazioni sia per mantenersi “faro di civiltà e di bellezza”, qualità, indirettamente riconosciutele anche dai milioni di migranti che rischiano la vita per approdarvi. Questo da fare può essere conseguito criticando aspramente e sommariamente la Commissione Europea, che è, da qualunque prospettiva la si guardi, il motore dell’Unione, oppure scontrandosi con la Germania della Cancelliera Merkel, che è il paese più potente dell’Unione e che è seguita e appoggiata con convinzione da più della metà degli Stati-membri? Dalle due risposte inevitabilmente negative discende la domandona che conta di più. Se il Presidente del Consiglio italiano vuole cambiare le regole europee, a cominciare da quella che lo vincola di più, vale a dire i criteri relativi alla flessibilità del bilancio, e spingere Angela Merkel a sostenere politiche diverse, le sue critiche frequenti, dure, al limite dell’offesa, come sono state interpretate e respinte dal Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, sono utili oppure controproducenti? Qui la risposta è facile. Quand’anche gli altri europei e persino lo stesso Juncker, candidato dei Popolari ed eletto alla sua carica da Popolari e Socialisti, non le ritenessero controproducenti, sono comunque inutili, quasi irrilevanti. E’ possibile anche interrogarsi sul perché Renzi abbia usato toni esagerati e parole offensive, rispondendo che la sua è stata una mossa astuta con obiettivi elettorali: togliere armi ai populisti italiani, da destra e da sinistra, anti-Euro/pa. E’ possibile anche affermare che, nella sua irruenza, Renzi ha non soltanto esagerato, ma semplicemente sbagliato. In Italia, forse, battere i pugni sul tavolo del governo e dire che la maggioranza andrà avanti perché ha i voti, qualche volta è decisivo. In Europa, per battere i pugni su qualsiasi tavolo, bisogna essere presenti accompagnando i pugni con proposte formulate in maniera credibile che siano convintamente sostenute da una coalizione di Stati-membri. Contrariamente a quel che sostiene Renzi (“prima di lui il diluvio”), i governi italiani che lo hanno preceduto non sono mai stati telecomandati da una non meglio precisata Europa. Hanno semplicemente dovuto seguire politiche di austerità e di conformità insieme a tutti gli altri Stati-membri, un po’ di più poiché spesso quei governi violavano regole e criteri il più importante dei quali continua ad essere il debito pubblico. L’Italia con il debito pubblico del 130 per cento rispetto al Prodotto Nazionale Lordo eccede il limite posto al 60 per cento e non sembra né incline a sforzarsi di rientrarvi né capace di farlo. Infine, l’Italia di Renzi non è finora stata capace di trovare alleati inclini a sostenere le sue posizioni né in materia di flessibilità né in materia di immigrazione. Alzare la voce, quand’anche lo si faccia dalla restaurata Reggia di Caserta o dall’Expo del successo non serve. Prima continua a essere imperativo fare proprio i famigerati compiti a casa, tutt’altro che finiti. Poi, con i quaderni in ordine il Presidente del Consiglio dovrebbe con molta pazienza e con qualche idea chiara e originale trovare alleati a Bruxelles. Alzare la voce non è mai stato il modo migliore per convincere qualcuno, meno che mai chi pensa, come la maggioranza dei capi di governo degli Stati-membri dell’Unione Europea, che gridare non conferisce nessuna credibilità aggiuntiva.
Pubblicato AGL 19 gennaio 2016