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Altro che arbitro. Mattarella è un protagonista della politica @DomaniGiornale

Una notevole maggioranza di commentatori ha, talvolta alquanto ipocritamente, tessuto le lodi di Sergio Mattarella in occasione dei dieci anni della sua Presidenza. Giustamente e opportunamente. Nei commenti l’accento è stato posto in maniera quasi esclusiva sulle sue qualità personali, sulle sue capacità e competenze politiche e sulla sua esperienza nelle istituzioni. Tutto vero. Equilibrato e sobrio, dotato di altissimo senso dello Stato, che ha mostrato come parlamentare, ministro, giudice costituzionale, la Presidenza della Repubblica costituisce il degno completamento della sua prestigiosa carriera politica. Non ne è, però, in nessun modo, il termine. Infatti, da Presidente, Mattarella si è inevitabilmente trovato a svolgere un compito impegnativo affrontando sfide impreviste e imprevedibili. Altre ne verranno. Affermare che le risposte del Presidente Mattarella siano tutte attribuibili alle sue qualità personali, mi sembra riduttivo, fuorviante, al limite anche sbagliato, con qualche preoccupazione per il futuro (Presidente) che verrà.
Nell’impossibilità di tratteggiare qui l’operato di tutti i Presidenti della Repubblica che si sono finora susseguiti, mi limito a sottolineare che, seppure con non poche diversità di stile, Oscar Luigi Scalfaro, Giorgio Napolitano e, per l’appunto, Sergio Mattarella con il loro operato hanno tutti smentito le definizioni troppo prevalenti del ruolo attribuito al Presidente della Repubblica italiana. No, nessuno di loro è stato un notaio e neppure un arbitro. No, nessuno di loro ha mai svolto il compito di (ri)equilibratore. Tutt’altro. Con la propria visione politica e istituzionale, ciascuno è stato (e, ovviamente, Mattarella continua ad esserlo) un protagonista. Eppure, tutti hanno saldamente operato nei limiti della Costituzione, magari con qualche piccola forzatura, sfruttandone la sua effettiva flessibilità.
Enigmatico e problematico è il ruolo del Presidente che i Costituenti, non potendo rifarsi a precedenti, finirono per delineare non del tutto intenzionalmente, certamente con fortuna, ma anche per virtù. Grande è lo spazio, se si preferisce, la discrezionalità di cui può godere il Presidente in quelli che sono i due momenti/atti più importanti in una democrazia parlamentare: la formazione del governo e lo scioglimento del Parlamento.
La formazione del governo comincia con la nomina del Presidente del Consiglio ad opera del Presidente della Repubblica e continua con la nomina dei Ministri su proposta del capo del governo, e quindi anche del rigetto, avvenuto meno raramente di quel che si pensa, di una o più candidature. Lo scioglimento del Parlamento viene legittimamente esercitato dal Presidente quando il Parlamento non è più in grado di dare vita e sostenere un governo che sia operativo. Altrettanto legittimamente, può, deve essere negato qualora esista una maggioranza parlamentare capace di esprimere un governo per l’appunto operativo. Sono tutte fattispecie presentatesi con Scalfaro, Napolitano e Mattarella, in particolare nella legislatura 2018-2022, quando molti, compresa la leader dei Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, gridavano contro i governi non eletti popolo.
Esercitando con competenza e fermezza entrambi i suoi considerevoli poteri costituzionali Mattarella ha garantito quel che era possibile in termini di stabilità politica e istituzionale che riflettesse i mutevoli equilibri parlamentari. Credo sia più che corretto dedurne che le regole costituzionali, una vera bussola anche per tutti coloro che occupano cariche di rilievo, meritano parte delle lodi rivolte al Presidente. Pertanto, è più che logico e necessario interrogarsi sui rischi che comporterà una riforma che, pur mantenendo la lettera di quei due poteri, ne elimini la sostanza. L’elezione popolare del Presidente del Consiglio toglie al Presidente della Repubblica il potere reale della sua nomina. Lo scioglimento del Parlamento affidato alla richiesta del Presidente del Consiglio eletto dal popolo e “premiato” con seggi aggiuntivi, oppure dal suo successore scelto dentro la stessa maggioranza, risulta sostanzialmente sottratto al Presidente della Repubblica.
Pubblicato il 5 febbraio 2025 su Domani
L’analfabetismo costituzionale dei nostri partiti @DomaniGiornale

All’incirca un terzo degli italiani sono analfabeti funzionali, vale a dire che, definizione formulata nel 1984 dall’Unesco, sono “incapaci di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità». Per molte buone ragioni e prove già provate, è probabile che almeno un terzo di coloro che fanno politica in Italia e la commentano siano altrettanto deficitari (non ho scritto “deficienti”, ma potevo). Come spiegare altrimenti che insistono a criticare il bicameralismo italiano definendolo perfetto e quindi, più o meno implicitamente (e spassosamente), suggeriscono di migliorarlo rendendolo imperfetto? Giustificano l’astensionismo con il “disagio”, sociale, giovanile, del Sud et al., non curandosi né del fatto che, quando fra il 1945 e il 1960, il disagio era certo più diffuso dei nostri giorni, votava più del 90 per cento degli italiani. Dimenticano, poi, di sottolineare che l’esercizio del voto è (art. 48 della Costituzione) “dovere civico”. Sostengono, senza tenere conto delle squilibrate situazioni di partenza, che l’autonomia differenziata produrrà una competizione virtuosa fra le regioni migliorando la vita dei cittadini. Si schierano a favore di una povera definizione di governabilità che fa leva sulla stabilità dei governi, anzi, del capo del governo, senza neppure porsi il problema delle capacità dei governanti e, per l’appunto, del loro capo. Grazie unicamente alla sua elezione popolare diretta, il capo dell’esecutivo sarà posto in grado di governare con le sue decisioni una società complessa (ancorché per un terzo analfabeta funzionale e, proprio per questo, più facile preda di populisti).
Certamente, buone regole e buone istituzioni costituiscono un fecondo punto di partenza per migliorare la politica. Però, se poi il miglioramento è affidato a chi il funzionamento di quelle istituzioni non lo capisce anche perché non ha gli strumenti per effettuare le indispensabili comparazioni con le altre democrazie parlamentari, presidenziali, semi presidenziali, gli esiti non saranno (non sono stati) affatto positivi. Invece, ne seguiranno nervose e pericolose forzature.
Insistere ad attribuire al Parlamento come prioritaria e fondante l’attività legislativa va contro i numeri: il 90 per cento delle leggi sono di origine governativa e in qualche modo rappresentano il tentativo delle coalizioni di governo di tradurre in politiche pubbliche le loro promesse programmatiche sottoposte agli elettori che li hanno votati. La quantitativamente esagerata decretazione d’urgenza risolve in maniera non costituzionale i problemi di governanti incapaci di guidare le loro spesso rissose maggioranze e di un Parlamento che non riesce a svolgere appieno, libero e forte, il suo compito cruciale: controllare il governo, valutarne e correggerne l’operato, in questo modo informando e istruendo i commentatori e l’opinione pubblica ancorché spesso segmentata e manipolata.
Che poi, all’incirca negli ultimi trent’anni, troppi politici e commentatori si aspettino che la fisarmonica del Presidente gliele suoni ai politici e soprattutto ai governanti, è un’altra spesso mal posta aspettativa, destinata ad essere delusa. Dal Presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità nazionale, sono di frequente venute necessarie parole di verità, stiracchiate secondo le loro convenienze e ignoranze dagli interpreti politici. Triste è doversi interrogare se anche i solenni messaggi presidenziali di fine anno non si siano oramai logorati. Ne ho intravisto qualche segnale nel discorso del Presidente Mattarella. “Le democrazie nascono con i partiti; i partiti nascono con le democrazie” scrisse nel 1942 il professore di Scienza politica Elmer Schattschneider. L’inquietante implicazione è che il declino dei partiti accompagna, non voglio scrivere né condiziona né, tantomeno causa, il declino quanto meno della qualità delle democrazie. Intraprendere una vigorosa azione di pedagogia politica, istituzionale e costituzionale è assolutamente indispensabile e urgente. Può anche dare insperati frutti di consenso politico elettorale. Facciamoci gli auguri.
Pubblicato il 3 gennaio 2025 su Domani
Mattarella e le lezioni di diritto alla destra @DomaniGiornale

Arbitro, equilibratore, notaio: nel corso del tempo, ai Presidenti della Repubblica italiana è stata data una collocazione super partes e attribuito un ruolo variamente definibile come asettico. Con Cossiga e soprattutto con Scalfaro e poi Napolitano, quel ruolo divenne di grande protagonismo costituzionale. Memorabile la risposta di Napolitano a chi lo accusava di essere di parte: “sì, sto dalla parte della Costituzione”.
Ricordare e spesso insegnare la Costituzione alle nipotine e ai nipotini di coloro che votarono contro, sempre contrapponendo il presidenzialismo alla democrazia parlamentare, e a coloro che, anche quando, raramente, l’hanno letta, non sono andati oltre la prima riga dei diversi articoli, è il compito, come ha scritto Daniela Preziosi, di “pedagogia costituzionale” nel quale Mattarella dà il meglio di sé. Con buona pace delle diplomatiche smentite del Quirinale, è spesso possibile cogliere nelle brillantemente dosate parole del Presidente severe critiche alle azioni e alle dichiarazioni del governo e dei partiti, non solo di governo. Inevitabilmente, se le politiche governative contrastano palesemente con il dettato costituzionale, il Presidente della Repubblica ha non soltanto il diritto, ma il dovere di intervenire. Quando il riferimento è ad un articolo della Costituzione sembra utile per una migliore comprensione fare riferimento alle conoscenze e alle motivazioni che stanno a fondamento di quell’articolo. Ad esempio, non pochi Costituenti erano stati costretti all’esilio dal fascismo. Insieme a loro molti oppositori avevano avuto vita grama nei paesi che li ospitarono. Il riconoscimento, sancito nell’art. 10, del diritto d’asilo politico, è la logica conseguenza di esperienze di vita vissuta nonché di una visione del mondo ispirata a giustizia e solidarietà.
Il Presidente della Repubblica non è un freno e un contrappeso costituzionale al governo, a nessun governo di qualsiasi composizione. Sono, comunque, governi da considerare legittimi in quanto espressione di una maggioranza parlamentare scaturita dalle elezioni, governi il cui capo ha lui stesso nominato e i cui ministri ha approvato. Nella misura in cui si sente costretto a intervenire il Presidente lo fa in nome della Costituzione non per favorire qualsivoglia opposizione. È sufficiente ricordare il sostegno esplicito agli aiuti alla “martoriata” (l’aggettivo più frequentemente usato dal Papa) Ucraina. Con l’art. 11 i Costituenti, ancora una volta per esperienze personali e per maturata concezione del mondo, ripudiarono le guerre “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, accettando la partecipazione italiana ad azioni coordinate che conducano alla pace e alla giustizia.
Non mi pare necessario procedere a calcolare tutte le volte che gli oppositori dell’attuale governo hanno espresso posizioni contrarie a quelle, pienamente in linea con la Costituzione, argomentate e sostenute da Mattarella. Mi limito a sottolineare con forza che non si deve fare uso della Costituzione italiana à la carte, prendendo quel che piace e manipolando quel che va contro le proprie preferenze politiche. Il Presidente, instancabile predicatore costituzionale, ricorda a smemorati, opportunisti e manipolatori che le loro posizioni sono semplicemente sbagliate.
La riforma del cosiddetto premierato toglierebbe al Presidente della Repubblica i suoi due poteri costituzionali più importanti: nomina del Presidente del Consiglio e scioglimento o no del Parlamento. Rimarranno sulla carta, totalmente svuotati di sostanza. Quanto questo svuotamento inciderebbe sul ruolo complessivo del Presidente è un quesito tanto legittimo quanto rilevante. Appare molto improbabile, persino a prescindere dalle sue qualità personali e competenze, fattore comunque da non sottovalutare, che un Presidente fortemente ridimensionato, disarmato, riuscirebbe a diventare e rimanere un convincente predicatore costituzionale, protagonista della vita della Repubblica. Memento.
Pubblicato il 18 dicembre 2024 su Domani
Maggioranze educate alla democrazia. Governo, politiche, diritti @DomaniGiornale del 6 luglio 2024

In democrazia, il principio fondante è majority rule: la maggioranza governa. Scriverlo in inglese è un giusto omaggio alla cultura politica, liberale, costituzionale e democratica che si basa su quel principio, ma non si ferma lì. Nella sua storia complessa, quel principio è stato variamente declinato e si è fatto accompagnare da una pluralità di diritti. La maggioranza ha il diritto e anche il dovere politico e istituzionale di governare, ma, qualche volta, come ha fatto opportunamente notare Norberto Bobbio, non ha neppure la necessità di essere una maggioranza assoluta. È sufficiente che sia maggioranza relativa se, comunque, le decisioni che prende non sono controverse né dannose, ma accettabili. In molti parlamenti decisioni di questo tipo sono frequenti. D’altronde, qualsiasi richiesta di controprova metterebbe le cose a posto. Quel che più conta, però, è che in democrazia ci sono anche alcune decisioni per le quali la maggioranza assoluta non basta: l’elezione ad alcune cariche, le votazioni su alcune tematiche. Mi limito ad un unico esempio perché mi pare molto significativo, ma anche controverso, in quanto posto a tutela di una minoranza nient’affatto debole. Nel Senato USA l’ostruzionismo (filibustering nel colorito linguaggio del XIX secolo) può essere fatto cessare soltanto da una maggioranza qualificata: 60 senatori su 100. Quindi, anche se i 40 senatori filibustieri non danno vita a una dittatura della minoranza, sicuramente ostacolano il governo della maggioranza, senza scandalo, ma con grande e giustificato fastidio dei maggioritari.
Governo della maggioranza significa che, confortata e prodotta dal voto degli elettori, quella maggioranza è autorizzata e, ogniqualvolta e fintantoché rimane tale, avrà il potere di fare approvare le sue politiche, economiche, sociali, culturali, internazionali, meglio se saranno quelle presentate in campagna elettorale. Ma i diritti, civili, politici, sociali delle persone sono cosa molto diversa. Le Costituzioni liberal-democratiche definiscono quei diritti inalienabili. Non possono essere ceduti; non sono disponibili. Nessuna maggioranza, non importa di quale dimensione, può toccare, ridimensionare, eliminare quei diritti. Quando Orbán annuncia petto in fuori che ha fatto della Ungheria una democrazia illiberale sta certificando che priva i suoi concittadini di alcuni diritti: libertà di parola, di stampa, di insegnamento, del due process of law (giusto processo), della libertà e integrità personale (habeas corpus). Nessun regime che non riconosce, protegge e promuove i diritti dei suoi cittadini può dirsi democratico. Dove non ci sono i diritti che discendono dal liberal-costituzionalismo non esiste nessuna democrazia.
Quello che preoccupa gli studiosi e i politici che denunciano, non sempre a proposito, la crisi della democrazia è l’erosione più o meno lenta, più o meno deliberata, più o meno sistematica dei diritti. Questa erosione, se condonata dalla maggioranza, conduce a forme di autoritarismo blando, di fascismo temperato. Con classe e cautela, ma con chiarezza, il Presidente Mattarella ha inteso richiamare l’attenzione su questi possibili svolgimenti. Qualche sedicente liberale incoerente e fellone, qualche ex comunista arrivista con coda di paglia potranno anche denunciare la sussistenza del complesso del tiranno a fondamento di un capo del governo, come quello italiano, solamente primus inter pares e annunciare l’incomprimibile bisogno di renderlo forte, primissimus. Come si fa a trascurare che un conto sono maggioranze assolute prodotte dal libero voto degli elettori e un conto enormemente diverso sono le maggioranze diventate tali in seguito a cospicui premi in seggi assegnati in maniera truffaldina.
Grande è il torto che faremmo al Presidente della Repubblica se pensassimo oppure, peggio, dicessimo che nelle sue parole sulla dittatura della maggioranza non si trova un riferimento ai poteri che avrebbe un capo del governo di (ancora indefinita) elezione popolare diretta e al rischio di un suo sfuggire al controllo di un Parlamento manipolato dal premio. In conclusione, sento di dovere ricordare e sottolineare che, comunque, a nessuna maggioranza democratica è concesso di cambiare le regole del gioco per rendere difficile, se non addirittura impedire alla minoranza di crescere, sconfiggerla e sostituirla. Tempestivo e limpido, il discorso del Presidente è radicato nella storia del pensiero e della prassi liberal-democratica e opportunamente guarda avanti.
Pubblicato il 6 luglio 2024 su Domani
Perché il richiamo di Mattarella è necessario. La versione di Pasquino @formichenews

Il richiamo del Presidente Mattarella al non ricorso ai manganelli per mantenere l’ordine pubblico è totalmente conforme allo spirito della Costituzione italiana e, aggiungo con una sommessa enfasi retorica, della sua democrazia fintantoché sapremo preservarla. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei
Le immagini degli agenti di polizia che, a Pisa più che a Firenze, manganellano giovani studenti delle scuole superiori, sono conturbanti anche per me, uomo d’ordine. Ho cercato di guardare nei dettagli quelle immagini variamente trasmesse. Non ho visto né passamontagna né sbarre e bastoni che mi avrebbero permesso di diventare “pasoliniano”: studenti di famiglie borghesi contro poliziotti di origine proletaria. Quindi, posso schierarmi con quel borghese del Presidente della Repubblica “l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli” e “con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». Mi permetto di non citare le prevedibilissime, non impara mai niente, parole di Matteo Salvini. Mi preoccupano, invece, quelle di Antonio Tajani: “sanzionare chi ha sbagliato, ma le forze dell’ordine non si toccano”. Se alcuni appartenenti alle forze dell’ordine hanno sbagliato, opportuno e giusto che vengano sanzionate. Punto.
Il Presidente Mattarella ha parlato in piena conformità con il dettato costituzionale. All’art. 87 sta scritto che il Presidente della Repubblica “rappresenta l’unità nazionale”. I manganelli sui volti e sulle schiene degli studenti che manifestano incrinano quell’unità nazionale che si fonda anche sulla libertà di espressione e di dissenso esplicitato in forme non violente. Sappiamo che molte telefonate fra i responsabili istituzionali avvengono in maniera riservata. La telefonata intercorsa con il Ministro Piantedosi è stata resa pubblica perché riguarda i rapporti fra cittadini e le forze dell’ordine. Non può essere interpretata come critica puntuale dell’operato di quelle specifiche forze di polizia, non come riprovazione generale del governo. Quindi, sarebbe stato meglio se tanto Salvini quanto Tajani avessero scelto la apprezzabile opzione del silenzio. Il Presidente ha voluto anche fare un richiamo più ampio a comportamenti che non debbono essere mai tollerati.
Leggo interpretazioni fantasiose secondo le quali Mattarella avrebbe/ha inteso procedere ad un “assaggio” di quello che potrebbe succedere se la riforma del premierato elettivo andasse in porto. Quella riforma toglierebbe al Presidente della Repubblica due poteri istituzionali significativi, vale a dire quello di nominare il Presidente del Consiglio e quello di sciogliere, ancor più di non sciogliere, il Parlamento. La riforma, per quanto sbagliata e piena di azzardi, non toglie la parola al Presidente. Personalmente nutro molti dubbi sull’attribuzione a Mattarella di operazioni subdole con inconfessabili fini. Il premierato elettivo, una volta approvato, dovrà essere valutato con riferimento alla costituzionalità delle sue clausole, alcune delle quali, attualmente, alquanto pasticciate. Il richiamo del Presidente Mattarella al non ricorso ai manganelli per mantenere l’ordine pubblico rimarrà comunque necessario poiché è totalmente conforme allo spirito della Costituzione italiana e, aggiungo con una sommessa enfasi retorica, della sua democrazia fintantoché sapremo preservarla.
Pubblicato il 26 febbraio 2024 su Formiche.net
Un Presidente della Repubblica molto persuasivo
In questi giorni i cosiddetti quirinalisti si affannano a difendere preventivamente il Presidente della Repubblica da eventuali, possibili critiche provenienti dalle opposizioni. Secondo molti di loro che conoscono, o almeno così dicono, i retroscena meglio della Costituzione, il Presidente sarebbe sostanzialmente obbligato dall’art. 87 a autorizzare la presentazione alle Camere del disegno di legge sulla riforma della giustizia. Però, non solo ancora non conosciamo il testo preparato dal Ministro Nordio, già ampiamente criticato su punti molto importanti, abuso d’ufficio e concorso esterno in associazione mafiosa, da esponenti di Fratelli d’Italia e della Lega, ma già sappiamo che Mattarella ha avuto un lungo colloquio con la Presidente del Consiglio Meloni proprio su alcuni punti rilevanti. Più che ipotizzabile, è certo che il Presidente della Repubblica abbia sollevato numerose obiezioni di merito.
I quirinalisti, ma non solo, sottolineano che in questi colloqui e in altri, a seconda dei casi, il Presidente esercita la cosiddetta moral suasion. Quanto si tratti di persuasione morale è tutto da vedere e valutare. Molto più probabile è che il Presidente abbia messo in chiaro le sue perplessità suggerendo alla Presidente del Consiglio i cambiamenti necessari che non potranno essere solo cosmetici. Su almeno due aspetti, il Presidente deve essere stato molto fermo. Primo, nessuna parte della riforma può contraddire i principi dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea, ad esempio nel contrasto alla mafia. Secondo, nessuna riforma può essere congegnata come punitiva nei confronti dei magistrati. Agitare il cosiddetto garantismo che, un giorno bisognerà pure declinare nelle sue componenti, non implica affermare che i magistrati e coloro che li sostengono siano tutti “giustizialisti” e operino schiacciando e travolgendo i diritti dei cittadini.
Il Presidente della Repubblica conta sull’accettazione da parte del governo di alcuni suoi rilievi. Sa anche che il governo potrebbe procedere senza tenerne conto, caso nel quale la sua autorizzazione non mancherà, ma verrà accompagnata da sue osservazioni puntuali derivanti dalla Costituzione e da quello che vige in Europa. Dopodiché, nel dibattito parlamentare, sperabilmente non troncato da apposizioni di voti di fiducia, maggioranza e opposizioni decideranno se e quali modifiche accettare e introdurre. A norma di Costituzione il testo che sarà approvato dal Parlamento tornerà sulla scrivania del Presidente (anche questo Mattarella ha sicuramente ricordato con cortesia istituzionale a Giorgia Meloni) che ha la facoltà di promulgarlo oppure di restituirlo al Parlamento con le sue critiche ai punti discutibili e anche con le indicazioni su come cambiarli e migliorarli. Questa procedura sì merita di essere configurata come in buona misura “moral suasion”. Certo, qualora la maggioranza di governo procedesse imperterrita senza cedere su nessun punto, si aprirebbe una situazione a dir poco delicatissima.
Pubblicato AGL il 16 luglio 2023
Le prediche di Mattarella? Sono rivolte agli ignoranti @DomaniGiornale


Interpretare e valutare i discorsi del Presidente Mattarella come se intendessero essere e fossero un controcanto alle affermazioni e alle azioni dei governanti e degli esponenti del centro-destra è tanto riduttivo quanto sbagliato. Significa anche fare un torto al Presidente quasi che quei suoi discorsi, le parole da lui specificamente utilizzate, le sue indicazioni avessero bisogno di stimoli esterni, fossero la conseguenza di dissenso politico, se non addirittura di irritazione congiunturale. Anche se è certamente immaginabile che siano molte le occasioni in cui il Presidente della Repubblica ha provato fastidio ascoltando quello che il centro-destra, ma non solo, si fa scappare dalle viscere, magari asserendo di avere ricevuto un mandato popolare, per lo più il Presidente ha fin qui fatto leva su e riferimento a fenomeni storici importanti da commemorare e ricordare, da celebrare per trarne insegnamenti.
Che gli italiani abbiano scarsa e selettiva memoria della storia e del loro passato è sufficientemente noto. Che la conoscenza della Costituzione non sia propriamente il forte dei suoi concittadini, comici, giornalisti, scienziati, parlamentari e ministri, è altrettanto risaputo. Consapevole del ruolo assegnatogli dalla Costituzione, il Presidente ha inteso fin dal suo primo mandato porvi rimedio nella misura del possibile. Ogniqualvolta possibile, e finora le occasioni sono state molte, presumibilmente ve ne saranno ancora, il Presidente ha declinato i suoi interventi, da un lato, come pedagogo, dall’altro, come predicatore. Dal Colle più alto sono venute e verranno lezioni in materia di Costituzione in tutta la sua profondità e ricchezza, di europeismo, acquisizioni, problemi, opportunità, di pace e di guerra. Le prediche sono incoraggiamenti a evitare egoismi e brutalità, a aiutare i più deboli, a lavorare per una convivenza civile, per la costruzione di una società giusta.
Talvolta la pedagogia si incrocia con la predicazione. Si alimentano reciprocamente. Talvolta, inevitabilmente e felicemente, entrambe contengono critiche, anche volute e necessitate, a chi poco sa e molto sbaglia. Le attività di pedagogia e di predicazione sono tanto più efficaci quanto più il Presidente è colto, politicamente preparato, capace di rappresentare l’unità nazionale (non le autonomie differenziate). Ciascuno dei presidenti eletti dal “popolo” negli USA, in Francia, nelle repubbliche latino-americane si affretta a dichiarare che sarà il Presidente di tutti, non solo di chi l’ha eletto. Tuttavia, in quei sistemi istituzionali non è mai difficile ricordare al Presidente quale è la base politica che lo legittima e lo sostiene. Difficilissimo, invece, è che la predicazione presidenziale, quando l’eletto ne ha le capacità, non sia di parte. Mattarella non ha bisogno di dirlo.
Pubblicato il 24 maggio 2023 su Domani
Predicare dal Colle più alto è cosa buona e giusta @DomaniGiornale


Non è una novità che dal Colle più alto possano venire le prediche. Il Presidente Luigi Einaudi ritenne, sommessamente gli direi sbagliando, che fossero prediche inutili. Altri presidenti non ebbero fra i loro meriti (e demeriti) il volere e sapere predicare. Non abbiamo apprezzato abbastanza le esternazioni di Cossiga, non sempre assimilabili a prediche. Meglio, con i loro stili personali, caratteriali, più o meno politici, i predicatori Pertini, Ciampi e Napolitano il quale più dei suoi predecessori aveva il gusto della predica anche perché convinto che il suo “verbo” fosse più conforme alla storia, alla Costituzione e alla politica di cui questo paese (chiedo scusa: nazione) ha bisogno. Da tempo, anche il Presidente Mattarella ha scelto la strada della predicazione per molti temibile anche perché li invita a pentirsi. Lo fa con parole chiare, raramente diplomatizzate, con riferimenti precisi non affidati all’opera di decodifica dei “quirinalisti/e”, con rimandi sempre opportuni alla Costituzione e in un’efficacissima prospettiva europea. L’ambiguità della figura della Presidenza della Repubblica, rilevata per tempo da pochissimi giuristi, consente un’espansione della sfera di influenza presidenziale. Chi poco sa parla a sproposito di “presidenzializzazione”, mentre si tratta piuttosto della flessibilità di cui godono le democrazie parlamentari dotate di un buona Costituzione. Flessibilità che non si trova affatto nelle Repubbliche presidenziali e che per suo prestigio personale Macron rischia di dimostrare che non abita neppure a Parigi, in un semipresidenzialismo riformato non proprio come avrebbe gradito il suo fautore, il Gen. de Gaulle. La Costituzione italiana non solo consente a Mattarella di appoggiare le sue prediche su quanto vi sta scritto. Lo sostiene e lo incoraggia. E il Presidente ne trae alimento. Predicare il ruolo guida del Presidente del Consiglio non significa acconsentire silenziosamente alla pratica deleteria della decretazione d’urgenza abbinata alla imposizione del voto di fiducia che non solo schiaccia il Parlamento, ma rende irrilevante l’opposizione. E non sappiamo quante critiche il Presidente ha avanzato in via informale. Nel contesto in cui viviamo da qualche anno il meglio delle prediche presidenziali ha riguardato le due tematiche più importanti: la guerra e l’Europa. A riprova della cultura, della esperienza vissuta, della preveggenza dei Costituenti, l’art 11 le contiene entrambe. C’è il fermo, esplicito ripudio della guerra di aggressione e c’è l’indicazione della disponibilità a condividere la sovranità a fini di pace e di prosperità. Di recente, se lo sono sentiti dire i polacchi, ma nelle orecchie di Orbán più di un fischio è arrivato. Quella predica vale anche per il 25 aprile degli italiani.
Pubblicato il 19 aprile 2023 su Domani
Costituzione à la carte? Proprio no. Scrive Pasquino @formichenews

Si lasci la predicazione, la pedagogia della Costituzione a luoghi più appropriati nei quali il desiderio di conoscenza conti più che la audience e l’eventuale contraddittorio serva a mettere in rilievo gli errori e le manipolazioni. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore Emerito di Scienza Politica e Accademico dei Lincei
La Costituzione italiana è un documento storico-politico, prima ancora e più che giuridico, che non è mai stata ritenuta “la più bella del mondo” dai Costituenti. Su questa iperbole l’artista Roberto Benigni, al quale nessuno ha mai chiesto di spiegare i criteri a base della sua valutazione, ha costruito la sua fama di aedo della Costituzione italiana. Questa fama non è stata scalfita neppure, come ha giustamente e severamente stigmatizzato Stefano Feltri, Direttore del “Domani”, dal suo esplicito contraddittorio, opportunistico (?) sostegno al referendum(-plebiscito) di Matteo Renzi sulle sue riforme che negavano alla radice la bellezza di una Costituzione che ne sarebbe stata profondamente cambiata (stravolta, secondo molti preparati interpreti).
La Costituzione italiana (come molte altre Costituzioni democratiche) è un sistema architettonico, così inteso dai Costituenti i quali mai sarebbero stati d’accordo con coloro che dichiarano riformabile la seconda parte: l’Ordinamento della Repubblica, e intangibile la prima parte: Diritti e doveri dei cittadini. Si incrociano; si rafforzano o indeboliscono reciprocamente. Buone istituzioni proteggono e promuovono i diritti e i doveri. Esercitati nella loro pienezza quei diritti e quei doveri fanno funzionare al meglio le istituzioni. Naturalmente, l’esercizio richiede la previa conoscenza delle norme che, di nuovo, non è solo faccenda giuridica. Per conoscere le norme la lettura deve avere attenzione al contesto, alle motivazioni, agli obiettivi.
Citando in maniera del tutto monca l’art. 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra”, Benigni ha compiuto un’operazione assolutamente scorretta e riprovevole. Senza leggere l’articolo nella sua interezza “…come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni: promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” (c.vo mio), Benigni ne ha, consapevolmente, credo, e deliberatamente sconvolto il senso. No, nessuno dei Costituenti era per cultura e per storia, per preferenza politica e personale, un pacifista assoluto. Non pochi di loro avevano combattuto, armi in pugno (armi spesso ricevute dagli alleati), per liberare l’Italia dal nazifascismo. Nessuno di loro era un “sovranista”. Anzi, la grande maggioranza di loro vedeva nelle organizzazioni internazionali un embrione di federalismo. Certo, quasi nulla di questo può essere raccontato sulla scena di un Festival della canzone italiana, neppure se nobilitato dalla, forse non del tutto opportuna, presenza del Presidente della Repubblica che, mi consento di immaginare, quantomeno preoccupato dalle parole di Benigni. Allora, si lasci la predicazione, la pedagogia della Costituzione a luoghi più appropriati nei quali il desiderio di conoscenza conti più che la audience e l’eventuale contradittorio serva a mettere in rilievo gli errori e le manipolazioni. Non è questione di interpretazioni di destra o di sinistra. In questione, è la correttezza, totalmente assente nella affannata esibizione di Roberto Benigni.
Pubblicato il 9 febbraio 2023 su Formiche.net
Per chi suona la fisarmonica del Capo dello Stato @formichenews

Partiti deboli e divisi saranno costretti a lasciare spazio al Presidente sia nella formazione del governo sia nello scioglimento o no del Parlamento. Partiti forti e compatti diranno al Presidente se e quando sciogliere il Parlamento e chi nominare presidente del Consiglio e ministri. Meloni non ha nessun titolo, oggi, per dire a Mattarella che deve nominarla. Il commento di Gianfranco Pasquino Accademico dei Lincei e autore di Tra scienza e politica. Una autobiografia (UTET 2022)
La fisarmonica (del Presidente della Repubblica) non è affatto, come ha perentoriamente scritto Carlo Fusi (28 agosto), un “funambolismo tutto italiano e rappresentazione tra le più eclatanti della crisi di sistema in atto”. Al contrario, è una metafora delle modalità elastiche del funzionamento delle democrazie parlamentari che consentono di analizzare, capire, spiegare al meglio il ruolo del Presidente della Repubblica italiana ieri, oggi e, se non sarà travolto dal pasticciaccio brutto del presidenzialismo diversamente inteso dal trio Meloni-Salvini-Berlusconi, domani.
In sintesi, definiti dalla Costituzione, dalla quale non è mai lecito prescindere, i poteri del Presidente della Repubblica italiana, l’esercizio di quei poteri dipende dai rapporti di forza fra i partiti in Parlamento e il Presidente, la sua storia, il suo prestigio, la sua competenza. Partiti deboli e divisi saranno costretti a lasciare spazio al Presidente sia nella formazione del governo sia nello scioglimento o no del Parlamento. Partiti forti e compatti diranno al Presidente se e quando sciogliere il Parlamento e chi nominare Presidente del Consiglio e ministro. Meloni non ha nessun titolo, oggi, per dire a Mattarella che deve nominarla. Se ci saranno i numeri, ovvero una maggioranza assoluta FdI, Lega e FI, dovranno essere Salvini e Berlusconi a fare il nome di Meloni a Mattarella, aggiungendo che non accetteranno nessuna alternativa.
Certo, il Presidente chiederà qualche garanzia europeista, ma non potrà opporsi al nome. “Crisi di sistema in atto”? O, piuttosto, funzionamento da manuale di una democrazia parlamentare nella quale il governo nasce in Parlamento e viene riconosciuto e battezzato dal Presidente? Verrà anche sostenuto dalla .sua maggioranza parlamentare e sarò operativo quanto il suo programma e i suoi partiti vorranno e i suoi ministri sapranno. Quel che dovrebbe essere eclatante è la constatazione che nessun presidenzialismo di stampo (latino) americano offre flessibilità. Anzi, i rapporti Presidente/Congresso sono rigidi. Il Presidente non ha il potere di sciogliere il Congresso che, a sua volta, non può sfiduciare e sostituire il Presidente. Nel passato, spesso, l’uscita dallo stallo era un golpe militare.
Nessuna legge elettorale, nemmeno l’apprezzatissima Legge Rosato, può rendere elastico il funzionamento del presidenzialismo che, come abbiamo visto con Trump, ha evidenziato molti degli elementi più eclatanti di una crisi di sistema. Altro sarebbe il discorso sul semipresidenzialismo, da fare appena i proponenti ne chiariranno i termini e accenneranno ad una legge elettorale appropriata. Nel frattempo, sono fiducioso che in vista del post-25 settembre il Presidente Mattarella stia diligentemente raccogliendo tutti gli spartiti disponibili e facendo con impegno e solerzia tutti i solfeggi indispensabili per suonare al meglio la sua fisarmonica. Altri saranno i cacofoni.
Pubblicato il 30 agosto 2022 su Formiche.net