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Il ribellismo dei No-vax ha troppo spazio nei media @DomaniGiornale

Il risultato ufficiale del referendum fra gli italiani sulla scienza, comunicato personalmente dal Presidente Mattarella, è stato 9 a 1 a favore della scienza. Richiamare l’attenzione su queste cifre che rappresentano la percentuale di vaccinati contrapposta a quelli che non l’hanno fatto è più che opportuno. Non sono sicuro che basterà a convincere i non vaccinati, ma è importante provare. In Germania, il ministro della Sanità, molto preoccupato tanto dall’andamento della pandemia quanto dalla percentuale di non vaccinati, inferiore del 10 per cento a quella italiana, è stato molto più brutale: all’inizio della primavera 2022 i tedeschi saranno vaccinati, guariti o morti. Mi sono fatto l’idea che non bisogna in nessun modo blandire coloro che si oppongono al vaccino e popolano le manifestazioni facendo anche ampio uso e sfoggio della violenza a spese dell’incolumità e dell’attività lavorativa dei loro concittadini.

   Manifestare le proprie opinioni è un diritto, ma decidere di non vaccinarsi è molto più banalmente una facoltà. Chi non si vaccina deve sapere che a norma di Costituzione la sua libertà può essere limitata. Dunque, può scegliere di accettare le limitazioni oppure di vaccinarsi per tenere il più esteso possibile il suo spazio di libertà. Noto, invece, che queste elementari considerazioni non trovano adeguata risonanza nel dibattito pubblico e sui mass media dei più vari tipi. Ritengo che, da un lato, nel 90 per cento degli italiani che si sono vaccinati, ci siano altre motivazioni, per altro tutte rispettabili, oltre alla fiducia nella scienza: rispetto delle leggi, volontà di non contagiare familiari e amici, paura per la propria salute. Dall’altro lato, non sono del tutto convinto che la motivazione predominante fra i No Vax sia costituita dalla non fiducia nei confronti della scienza. Neppure la sicuramente legittima paura per reazioni negative in conseguenza del vaccino è qualcosa che coinvolge la maggioranza di loro.

   La motivazione probabilmente più diffusa, la chiamerò con un termine quasi nobile, è il ribellismo, la scelta ideologica (non il diritto) di opporsi all’autorità, accompagnata e rafforzata dalla presunzione di essere superiori a quei pecoroni (immunità di gregge) di concittadini che si “piegano” a quanto deciso dal governo italiano. I governanti sono accusati di essere più o meno colpevolmente succubi di qualche tanto oscura quanto potente cospirazione internazionale e, naturalmente, di Big Pharma, delle grandi furbesche e maligne compagnie farmaceutiche. Contro queste tesi ideologiche, Mattarella ha scelto di mettere in campo il suo prestigio, ma anche di fare un richiamo al principio di maggioranza. Nessuna minoranza, per quanto “intensa” sia, può accampare il diritto di imporre la sua volontà ad una maggioranza che, per di più, non viola affatto i diritti fondamentali di quella minoranza.

   Ne traggo due conclusioni. La prima è che non dobbiamo continuare a mettere sullo stesso piano coloro che rispettano le regole e che riconoscono la validità delle competenze scientifiche con la variegata galassia degli oppositori e dei negatori. Non solo questo atteggiamento è sbagliato, ma produce/rrebbe conseguenze negative di grande impatto proprio sulla credibilità collettiva della scienza, delle sue acquisizioni, delle sue raccomandazioni. Secondo, alle posizioni No Vax non deve essere attribuito lo stesso spazio nel dibattito pubblico e sui mass media di cui godono coloro che agiscono in base all’accettazione di quello che la scienza ritiene sia ragionevole e positivo. 10 per cento non vale 90 per cento.

Pubblicato il 24 novembre su Domani

Ci vuole più chiarezza sulle scelte per il Quirinale @DomaniGiornale

Il totonomine Presidente della Repubblica ha senso per i commentatori e per gli scommettitori. Chi indovinerà cercherà di trarne qualche profitto. Invece, “tirare la giacchetta” ai candidabili è fin d’ora un esercizio potenzialmente molto democratico. Il “tirato” si rivolgerà allo strattonatore chiedendo ragione di quel comportamento e per sapere in quale direzione dovrebbe andare. Motivando quello che ha fatto e indicando la direzione lo strattonatore dovrà convincere anche altri delle sue preferenze.

Fuor di metafora i nomi non perderanno affatto di interesse, ma l’opinione pubblica comincerebbe a saperne di più su quello che è lecito desiderare e aspettarsi da chi è disponibile ad essere eletto. Ho già sottolineato su queste pagine che la Presidenza della Repubblica non è un risarcimento e neppure un premio alla carriera. Piuttosto è molto chiaramente un compito da svolgere che guarda al futuro. È un compito che impegna comportamenti da tenere in piena autonomia ad opera di chi sarà eletto e senza che vi sia nessuno scambio di nessun tipo. Le azioni del Presidente non dovranno mai ispirarsi alla “riconoscenza” nei confronti dei suoi elettori. Se i capi dei partiti che, in questo caso, sono effettivamente kingmakers, peraltro non del tutto in controllo dei propri rappresentanti parlamentari (per i quali non uso il termine “truppe”) uscissero dalla pesante coltre di ipocrisia sotto la quale celano i loro oscuri desideri renderebbero un servizio significativo al dibattito democratico.

Probabilmente, l’opinione pubblica non soltanto apprezzerebbe, ma ne risulterebbe meglio informata sulle istituzioni e il loro funzionamento. Tutti coloro che segnalano, spesso con esagerato compiacimento il distacco, sempre a loro dire “crescente”, fra i cittadini e le istituzioni, dovrebbero battersi per l’instaurarsi di un dialogo democratico ai vari livelli. Capisco che, naturalmente, molti dei “presidenziabili” preferiscano il silenzio in base ad un ragionamento (o a una superstizione) che, se mai ha avuto senso, ha esaurito il suo tempo. Quali sarebbero i nomi che, menzionati nel passato, per questo solo fatto si sono bruciati? Nel segreto dell’urna quei nomi metteranno alla prova la loro validità e il grado di apprezzamento di cui godono fra i parlamentari e gli altri grandi elettori. Tutti costoro avranno acquisito dal dibattito pubblico svolto in pubblico informazioni pro e contro di cui difficilmente erano già in possesso. Mi spingo fino a chiedere che gli stessi presidenziabili dicano a chiare lettere se sono disponibili ad essere presi in considerazione.

Non è soltanto un esempio di elevato senso delle istituzioni la dichiarazione di Mattarella di non essere disposto ad accettare un secondo mandato (meno che mai opportunisticamente ridimensionato a qualche anno per consentire ai partiti di guadagnare tempo). É un gesto di grande saggezza politica e costituzionale. Sgombra il campo da una soluzione di comodo e chiama alla responsabilità i kingmakers. Il resto è chiaro. Chi in base alla sua traiettoria politica offre maggiori garanzie di rappresentare l’unità nazionale, di sapere usare i notevoli poteri di cui usufruirà per riequilibrare il sistema politico italiano, di avere quel prestigio internazionale che serve per l’Italia in Europa? Soltanto riflettendo su questi criteri, valutandone la differenziata rilevanza, discutendo apertamente si giungerà ad una scelta che non soddisferà certamente tutti e le loro ambizioni, ma che consentirà all’eletto di mettersi in condizione di svolgere i difficilissimi compiti del nostro tempo. Neanche adesso sarà opportuno tacere.

Pubblicato il 17 novembre 2021 su Domani

Oltre la pandemia, l’Unione Europea cresce e avanza

Ieri, in seduta solenne di fronte al Parlamento europeo, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha tenuto il discorso annuale sullo stato dell’Unione. Nonostante la pandemia, anzi proprio per questa sfida, contrariamente a quello che sostengono i troppi profeti del malaugurio, l’Unione ha risposto efficacemente e ha già iniziato una ripresa economica crescendo tassi superiori a quelli degli USA e della Cina. La Presidente ha sottolineato quanto fatto sul piano delle vaccinazioni, ma anche della distribuzione dei vaccini ai paesi non europei che non hanno bisogno. Poi, ha chiarito quali politiche l’Unione formulerà per l’ambiente e per la digitalizzazione. Infine, ha annunciato un nuovo programma ALMA che mira ad aiutare i giovani che non lavorare e non studiano a trovare un’occupazione in qualsiasi paese dell’Unione, un po’ come i giovani più fortunati possono, grazie al programma Erasmus, studiare nelle Università europee che preferiscono.

L’elemento problematico del quadro complessivamente e documentatamente positivo è costituito dalla debolezza della presenza dell’Unione sulla scena mondiale. Quanto è avvenuto in Afghanistan non può essere e non sarà dimenticato poiché la sue conseguenze, non soltanto riguardo ai profughi e ai rifugiati, ma anche con riferimento ai diritti, in particolare delle donne afghane, sono destinati a durare molto a lungo. Giustamente, von der Leyen, già Ministro della Difesa in Germania, ha sottolineato che l’Unione deve dotarsi di una politica estera e di difesa effettivamente comuni. L’Alto Rappresentante è destinato a contare poco, se, da un lato, su entrambe le materie nel Consiglio dei Ministri sono necessari voti all’unanimità e se l’Unione non si attrezza con un contingente militare di una dimensione all’altezza della sfida.

Quasi contemporaneamente, partecipando ad una riunione di una quindicina di capi di Stati europei, il Presidente Mattarella, da sempre convinto europeista, ha a sua volta ribadito la necessità di una politica estera e della difesa comune e criticato la persistenza delle votazioni che richiedono l’unanimità. Salvaguardia per i paesi più piccoli, l’unanimità si è trasformata in uno strumento di blocco e addirittura di ricatto spregiudicatamente minacciato (e usato) da alcuni paesi, in particolare del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), ma non solo. Attribuendo enorme potere anche ad un solo Stato contro una maggioranza anche molto ampia, l’unanimità non è una modalità democratica. L’Unione è riuscita a funzionare, talvolta a bassi e lenti livelli di rendimento, nonostante la necessità di voti all’unanimità su alcune materie, fra le quali, l’immigrazione, la politica fiscale e la revisione dei Trattati. Una maggiore e migliore integrazione dell’Unione Europea, oltre alla grande pazienza e intelligenza degli europeisti, richiede nuove procedure decisionali. È lecito augurarsi che sarà la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen a procedere con successo nella giusta direzione.

Pubblicato AGL il 16 settembre 2021

Il semestre bianco non sarà la rivincita degli scontenti @DomaniGiornale

Stabilendo che negli ultimi sei mesi del suo mandato il Presidente della Repubblica non può sciogliere il Parlamento, i Costituenti avevano molto chiaro un obiettivo: impedire al Presidente di cercare di ottenere attraverso elezioni anticipate un Parlamento favorevole alla sua rielezione o all’elezione di un suo candidato. Quell’obiettivo non è affatto venuto meno e non basta affermare che nessun presidente è stato rieletto, se non, in circostanze eccezionali e controvoglia, Giorgio Napolitano. Infatti, alcuni Presidenti avrebbero eccome desiderato la rielezione e qualcuno avrebbe gradito potere indicare il suo delfino. Comunque, i Costituenti non pensarono affatto che nel semestre bianco i partiti si sentissero agevolati a scatenare la bagarre contro il (anche loro) governo proprio perché non ne sarebbe seguito lo scioglimento del Parlamento.

 Coloro che oggi ipotizzano che dentro i partiti attualmente al governo, vale a dire tutti meno i Fratelli d’Italia, ci sia chi non aspetta altro che l’inizio del semestre bianco per impallinare e “fare cadere” il governo Draghi non solo esagera, ma, a mio parere, sbaglia. Altri scenari sono ipotizzabili, bruttini, ma meno foschi ed evitabili, contrastatabili con buone conoscenze istituzionali e saggezza politica (fattoi talvolta presenti anche nella politica italiana). Comincerò con lo scenario del Matteo tiratore, l’uno tira la corda; l’altro fa sempre il furbo. Né l’uno né l’altro possono permettersi di uscire dalla maggioranza, ma sia l’uno sia l’altro possono commettere errori. I numeri dicono che, probabilmente non seguiti da tutti i loro parlamentari, le loro scorribande non risulterebbero decisive. Dato per scontato e accertato che tanto il Partito Democratico quanto Forza Italia sosteng(o/a)no convintamente il governo, molto si gioca su quanto riusciranno o non riusciranno a fare i pentastellati, più meno mal guidati. Tuttavia, se mai cadesse il governo Draghi per un voto dello scontento pentastellato, il re-incarico da parte di Matterella sarebbe immediato e il Draghi-Due nascerebbe in un batter d’occhio con una maggioranza numericamente appena più ristretta, ma, potenzialmente, più operativa.

  Due dati durissimi meritano di essere evidenziati e valorizzati. Il primo è quello del grado di approvazione dell’operato del Presidente Draghi. Fra i più elevati di sempre, si situa da qualche tempo intorno al 70 per cento: 7 italiani su 10 sono soddisfatti di Draghi, capo del governo, e poco meno dichiarano di approvare quanto fa il governo nel suo insieme. Il secondo dato è che questo semestre bianco cade proprio nella fase di primo utilizzo dei fondi europei. Tutti capiscono che qualsiasi interruzione avrebbe costi elevatissimi.

  Draghi non deve comunque dormire sonni del tutto tranquilli. Anzi, dovrebbe cercare un confronto aperto con il Parlamento valorizzandone le competenze e apprezzandone le prerogative. Il semestre bianco, lungi dall’essere, voglio giocare con le parole, un grande buco nero che ingoia un governo con una maggioranza extralarge, ma anche extradiversa, ha la possibilità di mostrare al meglio le qualità di una democrazia parlamentare. Dietro l’angolo sta un non meglio precisato, arruffato presidenzialismo. Meglio andare avanti diritto cauti, dialoganti, collaborativi, con juicio. Le pazienti non-forzature sono la sfida più significativa che Draghi deve affrontare e che, superata, rafforzerà l’azione del suo governo per qualche tempo a venire. Almeno fino all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica.   

Pubblicato il 28 luglio 2021 su Domani

Draghi: quando finisce la ola tutti i nodi vengono al pettine @fattoquotidiano

Una quindicina di giorni, pure in una situazione di perdurante emergenza e urgenza, non sono ancora sufficienti per giudicare il governo Draghi. Offrono, però, materiale abbastanza significativo che consente di intravedere alcuni non piccoli problemi. Si è oramai esaurita la lunga ola dei sostenitori del cambio di governo a favore dell’ex-Presidente della Banca Centrale Europea. Diversi nodi stanno già venendo al pettine. Inevitabilmente, chi ha espresso la sua forte preferenza per un governo di ampie intese sotto la benedizione presidenziale non può oggi mettersi a criticare la scelta (imposizione?) dei ministri derivanti da rose di nomi stilati dai dirigenti dei partiti. Non era, però, l’unica scelta possibile. Allo stesso modo, la nomina dei sottosegretari non ha in nessun modo configurato la affermazione di un governo dei migliori. Sicuramente, il ruolo di Mattarella è stato molto rilevante, ma esattamente quanto non è possibile dirlo. Poiché di politica e di uomini (e donne) in politica, Mattarella ne sa molto di più di Draghi, è lecito pensare che avrebbe potuto e dovuto sconsigliare nomine e effettuare scelte tali da configurare qualcosa di molto più simile al “governo dei migliori” si potrebbe avere oggi in Italia. A stento, i corifei stanno nascondendo le loro delusioni.

   Adesso, è già possibile affermare, e le prime dichiarazioni di alcuni ministri e sottosegretari lo comprovano, che nella compagine governativa e nei suoi dintorni molto frequentemente si produrranno tensioni e conflitti in parte derivanti anche dal non avere collocato le persone giuste nei posti giusti. Probabilmente, il Presidente del Consiglio Draghi confida che i disaccordi e gli scontri potranno essere circoscritti e che, comunque, la sua azione di governo riuscirà a svilupparsi sui terreni a lui più congeniali, sui quali la sua competenza e il suo prestigio faranno aggio su qualsiasi preferenza particolaristica. Credo che si sbagli.

   Il raggio di azione di un governo, anche, anzi, proprio nella pandemia, deve essere molto ampio per creare e mantenere la fiducia dei cittadini e, naturalmente, degli operatori economici le cui valutazioni non si limitano mai alle sole dinamiche economiche. D’altronde, non va dimenticato che, secondo troppi osannanti commentatori, Draghi, emerso da una crisi di sistema (valutazione a mio parere profondamente errata), doveva/dovrebbe assumersi anche il compito, onerosissimo, di ristrutturare la politica italiana. Fermo restando che nessun capo di governo, neppure il più preparato, potrebbe da solo ristrutturare la politica di qualsiasi paese quandanche disponesse di un possente veicolo partitico, Draghi non ha fatto cenno alcuno di volere andare in questa direzione. Appare, consapevolmente, un uomo molto solo al comando

   Una volta apprezzato il terso, sobrio e colto discorso programmatico pronunciato per il suo insediamento, è più che legittimo chiedersi se il suo successivo silenzio sia produttivo. Forse, il suo predecessore Giuseppe Conte ha esagerato con le conferenze stampa e le dichiarazioni pubbliche, e anche con i “famigerati” Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Subito, però, è già spuntato il primo DPCM Draghi senza che gli allarmatissimi giuristi si strappassero, come coerentemente dovrebbero fare, le vesti e i capelli. Non sarebbe, a questo punto, il caso che il Presidente Draghi desse inizio alla sua comunicazione politica con l’elettorato, con l’opinione pubblica? Non è in questo modo che in democrazia si pongono in essere e si rinsaldano i legami fra politica e società, fra governanti e governati? Temo che sia proprio qui che i “tecnici”, ancorché di grandi competenze e qualità, finiscano per dimostrare che, purtroppo, per loro e, in definitiva, per tutto il sistema politico, sono quasi irrimediabilmente carenti.

Pubblicato il 2 marzo 2021 su Il Fatto Quotidiano

Capisco il “Cencelli” ma Draghi si sarebbe dovuto imporre sui partiti @ildubbionews

Dicono che draghi sia lì per ristrutturare la politica e i partiti ma visti i sottosegretari e alcuni ministri credo che questa vecchia politica sarà un ostacolo anche per ottenere i fondi europei

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica a Bologna e accademico dei Lincei, è reduce dalla sua ultima fatica letteraria Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana, e dopo la scelta dei sottosegretari reputa «difficile che Draghi possa compiere una ristrutturazione dei partiti».

Professor Pasquino, la squadra di governo è al completo. La ritiene soddisfacente?

Capisco benissimo che nella scelta delle cariche debba essere usato il manuale Cencelli, che ha un senso perché attribuisce le cariche ai partiti secondo i seggi che hanno in Parlamento. È una procedura corretta e viene utilizzata in tutte le democrazie parlamentari nei governi di coalizione. Obietto tuttavia alla qualità dei prescelti: se un partito deve avere 11 sottosegretari non è detto che si debba scegliere i peggiori di quel partito, anzi.

Crede che Draghi abbia sbagliato alcune scelte?

So che Draghi non conosce abbastanza i partiti e gli uomini politici e per questo motivo mi sono augurato che interpellasse il Presidente della Repubblica, che data la sua esperienza poteva dargli buoni consigli. Ma temo che il presidente del Consiglio abbia pensato che il problema più importante fosse l’economia e su quello si è concentrato, godendo del suo prestigio e scegliendo consiglieri importanti come Francesco Giavazzi (portatore di una linea che io non condivido). Tuttavia credo che questo approccio sia sbagliato perché molti dicono che Draghi sia lì per ristrutturare la politica e i partiti ma così facendo sarà molto difficile. Visti i sottosegretari e visti alcuni ministri capirà che questa vecchia politica sarà un ostacolo anche per ottenere i fondi europei.

A proposito di fondi europei, in squadra ci sono anche personalità, come Enzo Amendola, che godono di un’autorevolezza unanimemente riconosciuta in sede comunitaria. Non basteranno loro per far quadrare il cerchio?

Non voglio fare un discorso di nomi, anche se è chiaro che Amendola è un uomo competente e capace, così come lo sono Tabacci e Della Vedova. Ma altri, come quelli scelti da Salvini e Berlusconi, rappresentano il leader del partito e non tanto il partito. Il punto fondamentale tuttavia è un altro: Draghi doveva obbligare i partiti a confrontarsi con la realtà, non con le loro esigenze. E non ha voluto farlo, o non lo sa fare.

In che modo Mattarella avrebbe potuto consigliare Draghi?

Beh, a suo tempo Mattarella divenne “molto famoso” quando respinse Paolo Savona e quindi credo che potesse dare consigli a Draghi molto più approfonditi. Certo la scelta è stata complicata: se Conte avesse impiegato tre o quattro giorni a scegliere i sottosegretari, come ha fatto Draghi, la stampa sarebbe insorta. Invece accettiamo come normali dei tempi che normali non sono.

Pensa che nella partita tecnico-politica tra Draghi e i partiti abbiano vinto quest’ultimi?

Non è una questione di vincere o perdere. C’è un elemento di inevitabilità nella presenza dei partiti nel governo. Ma se c’erano uomini o donne di partito che a Draghi non piacevano lui poteva opporsi, perché la Costituzione dice che è il presidente del Consiglio a proporre le nomine al Capo dello Stato, che a sua volta poteva opporsi. Adesso la frittata è fatta e quindi bisogna cercare di renderla il più gustosa possibile attraverso decisioni corrette. Sarebbe ora, ad esempio, che Draghi uscisse dal suo riserbo e convocasse una conferenza stampa per dire dove vuole andare e in che modo.

Uno dei pochi momenti in cui ha parlato apertamente è stato in occasione del discorso programmatico sulla fiducia. Come le è sembrato?

Era un buon discorso, sobrio, terso e con alcune indicazioni abbastanza chiare. Ora però le voglio vedere tradotte in decisioni vere e proprie perché sappiamo tutti che alcune cose debbono essere fatte ma dobbiamo sapere come. La situazione continua a essere molto grave e Draghi deve dirci che tipo di piano di ripresa presenterà alla Commissione europea e in che modo ci sta lavorando. Deve spiegare come intende rilanciare l’economia, visto che molti settori stanno morendo.

Draghi è anche tornato all’uso dei Dpcm, tanto contestati a Conte. Pensa che manchi discontinuità in questo senso?

Ho trovato sgradevole la critica di giuristi e giornalisti fatta a Conte con i Dpcm, perché per contrastare la pandemia bisogna intervenire subito e il Dpcm è uno strumento utile che può essere utilizzato anche ripetutamente. Parte dei Dpcm di Conte sono stati poi tradotti in decreti legge e non ho mai pensato che Conte potesse divenire un leader autoritario. Prendo atto del fatto che anche Draghi lo abbia capito e dobbiamo continuare a pensare che il Parlamento può comunque controllare ed esprimere le sue posizioni.

Tra l’altro i Dpcm hanno la capacità di porre fine alle tensioni tra Regioni aperturiste e rigoriste. Sono scelte che deve fare il governo perché le Regioni hanno dimostrato ampiamente la loro incapacità di trattare la pandemia.

Si spieghi meglio.

Le Regioni dovrebbero saper chiudere immediatamente le zone al loro interno dove inizia un focolaio e mantenerle chiuse. Alcune lo fanno, ma questo dovrebbe valere per tutte le Regioni. Dobbiamo però anche avere il coraggio di dire che molto dipende da noi. Siamo sicuri che tutti portino la mascherina e fanno il possibile per evitare il contagio? Oppure ci comportiamo in maniera scriteriata? Ci sono anziani che giocano a carte nei bar semichiusi, gruppi di ragazzi che festeggiano le lauree. Serve maggiore disciplina collettiva, che è il prodotto delle nostre discipline individuali.

Il ministro della Salute Roberto Speranza sembra essere rimasto uno degli ultimi baluardi del rigorismo, stretto tra i desideri di apertura delle Regioni, da un alto, e quelli di una parte del suo governo, dall’altro. Crede che Speranza sia oggi meno forte di quanto fosse nel Conte bis?

Credo che Speranza faccia del suo meglio nel momento peggiore in assoluto. Nessuno ha la ricetta giusta ma quella migliore l’abbiamo persa tempo fa e non per colpa di Speranza. Quando ci raccontiamo storie molto belle su come hanno reagito Nuova Zelanda, Taiwan e Corea del Sud dobbiamo riflettere sul fatto che hanno reagito semplicemente chiudendo tutto per un certo tempo. Si doveva chiudere tutto per tre settimane in maniera durissima e non l’abbiamo fatto.

Pubblicato il 26 febbraio 2021 su Il Dubbio

Sconfitta della politica? No, ma di alcuni politici… La versione di Pasquino @formichenews

“Lasciate ogni speranza voi che entrate” nel mondo della cattiva politica e della non-politica. Espressi i dovuti riconoscimenti a Draghi per la sua personale dedizione, sarà il caso di pensare a altri protagonisti per la ricostruzione della Politica. Il commento del politologo Gianfranco Pasquino

Contrariamente a quanto troppo frettolosamente sentenziato da numerosi commentatori, l’incarico conferito a Mario Draghi non sanziona la sconfitta della Politica. Ė, invece, la presa d’atto che alcuni politici riescono a distruggere, ma, poiché sono irresponsabili, non sanno costruire. Che, poi, quegli stessi politici demolitori si buttino a sostegno della scelta del Presidente Mattarella, il quale nel suo messaggio per il 2021 aveva rivolto un appello ai costruttori, è soltanto una conferma ulteriore di superficialità, improvvisazione, cattiva politica. Ciò detto, però, neppure il comportamento del Presidente Mattarella va del tutto esente da critiche. Sì, in democrazia tutte le cariche e tutti i comportamenti possono essere soggetti a critiche purché motivate.

   Primo, non era necessario “incoraggiare” il Presidente del Consiglio Conte a dimettersi poco dopo avere “incassato” due voti di fiducia alla Camera e al Senato. Secondo, preso atto del fallimento dell’esplorazione condotta da Roberto Fico, il Presidente della Repubblica avrebbe potuto rimandare alle Camere Giuseppe Conte, vale a dire il Presidente del Consiglio non sconfitto al quale i sabotatori non avevano saputo prospettare alternative praticabili. In questo modo, pur fra permanenti difficoltà, la politica avrebbe fatto il suo corso evidenziando chi erano coloro che avevano aperto e tenevano aperta la crisi essendo portatori di interessi non limpidamente espressi. Sconfitti, dunque, sono quei piccoli politici e i loro reggicoda anche nel mondo dell’informazione, non è affatto vero che l’incarico conferito a Mario Draghi sia una qualche rivincita della politica (neppure della politica di Mattarella). Quell’incarico è stato possibile in un momento di sospensione della politica (non della democrazia), di resa dei politici alla più alta personalità istituzionale del paese.

   Draghi riuscirà o no nella ardua impresa di costruire un governo decente per affrontare (risolvere è ben altra cosa) i tre problemi indicati da Mattarella: pandemia, economia, NextGenerationEU. Ciò detto, in nessun modo risolverà e sicuramente neppure si curerà di affrontare il compito di ricostruire una politica decente per questo paese. Sarebbe davvero illusorio credere che un autorevole esponente del mondo dell’economia, privo di qualsiasi esperienza politica concreta e delle necessarie relazioni anche di potere, intenda impegnarsi in un compito che i politici italiani non hanno saputo adempiere da un quarto di secolo. “Lasciate ogni speranza voi che entrate” nel mondo della cattiva politica e della non-politica. Espressi i dovuti riconoscimenti a Draghi per la sua personale dedizione, sarà il caso di pensare a altri protagonisti per la ricostruzione della Politica.   

Pubblicato il 4 febbraio 2021 su formiche.net

Una strada tutta in salita @LaStampa

Mario Draghi soddisfa certamente le esigenze da molti manifestate di fare parte della compagine dei migliori (cittadini italiani). La sua nomina da parte di Mattarella a Presidente del Consiglio incaricato deve essere interpretata non come una sconfitta della politica, ma come la critica senza nessuna attenuante dei comportamenti di troppi uomini politici, interessati alle loro cariche e ai loro privilegi invece che alle condizioni di vita dei loro concittadini, oggi e domani. Nella sua accezione fondante, politica significa proprio avere a cuore il funzionamento di una polis, di una comunità, attualmente in mezzo alla pandemia, con grandi difficoltà economiche, nel corso della formulazione dei progetti essenziali per ottenere i fondi europei. Il discorso di Mattarella va letto, interpretato e inteso come una nobile espressione di questa politica, alla quale troppi di coloro che si trovano in Parlamento non arriveranno mai. Le loro dichiarazioni successive al conferimento dell’incarico a Draghi sono deludenti e deprimenti. Suggeriscono ipocrisia, gravi fraintendimenti, manipolazioni.

Le consultazioni dei dirigenti di partito serviranno a Draghi per acquisire le indispensabili informazioni sulla disponibilità di partiti e parlamentari ad appoggiarlo e sulle loro preferenze programmatiche. Già sembra che il Movimento 5 Stelle rifiuti qualsiasi sostegno. Le dichiarazioni di Salvini sui punti che non ritiene negoziabili, ad esempio, quota cento per le pensioni e tasse da non toccare, rendono quasi improponibile un accordo. Anche se, molto responsabilmente, il Partito Democratico ha già annunciato il suo appoggio, senza i voti dei pentastellati e dei leghisti, non ci sarebbe nessuna maggioranza possibile per un governo Draghi. Pertanto, la sua strada appare già tutta in salita.

   Uomo di grande preparazione economica, con elevato prestigio non soltanto in sede europea, dotato di credibilità nell’assolvimento dei suoi impegni, Draghi è quasi totalmente privo di esperienza politica concreta. Costruire un governo non è un’operazione di pura individuazione delle persone giuste per gli almeno venti ministeri. Richiede conoscenze relative alla capacità di quegli uomini e di quelle donne di saper guidare e fare funzionare strutture complesse. Ė molto probabile che Draghi si sia accertato della disponibilità del Presidente Mattarella a segnalargli quali personalità meritano di essere coinvolte per meriti e competenza, ma anche perché sono in grado di svolgere l’indispensabile gioco di squadra.

   Non è utile andare a cercare paragoni nel passato con altri governi guidati da un non-politico, Ciampi (1993-1994), Dini (1995-1996), Monti (2011-2012). Ciascuno di questi tre casi è differente e, comunque, si presentò in una situazione caratterizzata da minore gravità e con partiti più affidabili. Senza un poderoso sostegno di Mattarella, Draghi rischia di non avere l’opportunità di sviluppare un’azione immediata e efficace. Le nuvole all’orizzonte sembrano molte e pesanti.

Pubblicato il 4 febbraio 2021 su AGL e La Stampa

La crisi si risolverà con un Conte ter. A sinistra sta nascendo un nuovo polo #intervista @Affaritaliani

Intervista raccolta da Carlo Patrignani

“Lo sbocco più realistico alla crisi di governo sulla quale sta lavorando il Presidente della Camera, Roberto Fico, è senz’altro un Conte-ter: e spero con il Ministero dell’Economia ancora nelle mani del ministro Roberto Gualtieri per le sue indubbie qualità e la buona reputazione di cui gode nell’Unione Europea: sarebbe un gravissimo errore sostituirlo”.

A parlare è Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna, Accademico dei Lincei ed ex-senatore della Repubblica, per il quale l’ipotesi di un governo ‘tecnico’ affidato a Mario Draghi “non esiste nei fatti, il suo coinvolgimento è un fatto mai avvenuto”.

Dunque la via d’uscita possibile è un nuovo governo con Giuseppe Conte Premier, con “un nuovo programma in via di definizione e – osserva il politologo – possibilmente con Luigi Di Maio ministro degli Esteri e con Roberto Speranza alla Salute e naturalmente, dopo le tante bugie di Renzi di non tenere alle poltrone, con altri ministeri per Iv così da poter ricompensare i suoi”.

Certo il cammino del nuovo esecutivo, una volta definito il programma e la sua composizione ministeriale, non sarà facile, non sarà tutto rose e fiori: “l’affidabilità di Renzi è tutta da verificare – avverte Pasquino – fermo restando che dei voti di Iv non si può fare a meno. Del resto i governi di coalizione dipendono dalla lealtà dei contraenti”.

L’asse Pd-M5S-Leu tutto sommato pare aver retto bene all’onda d’urto di Renzi e potrebbe, da questa esperienza, anche configurarsi come polo per una alleanza futura. “Lo si vedrà, ma molto dipende dalla legge elettorale”. Ultima considerazione: il Governo Conte non è stato sfiduciato dalle Camere quindi secondo la Costituzione il Premier non era obbligato a dimettersi.

“Certo le dimissioni non erano dovute: purtroppo al Senato aveva una maggioranza semplice assai friabile e precaria nei numeri per cui le dimissioni sono state un atto nobile dal momento che il Presidente della Repubblica voleva una maggioranza significativa, operativa”.

E proprio perché non è sfiduciato potrebbe essere il ‘governo-ponte’ fino al semestre bianco? “Con l’incarico al Presidente della Camera di esploratore siamo andati abbastanza avanti – conclude Pasquino – ed in prossimità, me lo auguro, dello sbocco più realistico: il Conte-ter”.

Pubblicato il 1° febbraio 2021 su affaritaliani.it

Quel che Mattarella ha detto a Fico (secondo Pasquino) @formichenews

Il politologo Gianfranco Pasquino si immedesima nel Capo dello Stato e immagina cosa abbia detto al presidente della Camera Roberto Fico nell’affidargli l’incarico esplorativo di trovare una soluzione alla crisi in corso

Caro Presidente Fico, sono costretto a chiederle un grande sacrificio personale. Esperite le dolorose consultazioni, mi sono fatto un’idea su come si potrà giungere a concludere in maniera decente questa crisi di governo aperta in maniera indecente. Tuttavia, vorrei che lei, esponente di spicco del Movimento 5 Stelle di cui ho apprezzato l’equilibrio, il garbo, l’autorevolezza acquisita e dimostrata nell’esercizio delle funzioni di Presidente della Camera, mi apportasse qualche conforto cognitivo. Ripongo in lei molte speranze. Dovrà, anzitutto, convincere i/le parlamentari del Movimento cui lei appartiene che le coalizioni non contemplano necessariamente dichiarazioni d’amore, ma soltanto la convergenza sulle cose da fare. Sono sicuro che lei riuscirà a fare capire a (quasi) tutte le pentastellate/i che essere “governisti” non significa volere stare a tutti i costi al governo, ma porsi l’obiettivo di governare anche per evitare il peggio (e, fra di noi, sappiamo benissimo che cosa è il peggio).

   Vorrei che lei esplorasse soprattutto due selve oscure. La prima è quella dei contrasti personali. Sia chiaro che so benissimo che la politica è fatta da persone con i loro umori e malumori. Però, ritengo che buon politico è colui/colei che riesce in qualche modo a combinare le sue ambizioni con una visione nazionale, degli interessi del paese. Quindi, caro Presidente Fico, discuta anche di queste ambizioni con i suoi interlocutori. Una raccomandazione: quando incontrerà colui che “il Manifesto” ha spiritosamente definito “l’arabo fenice” porti con sé un registratore. La seconda selva oscura nella quale lei dovrebbe penetrare è quella degli interessi corposi che, tanto inevitabilmente quanto comprensibilmente, riguardano l’assegnazione dei fondi NextGenerationEU, il loro uso, la loro concreta “implementazione”. Mi pare importante che lei faccia venire alla luce tutto quello che gli italiani dovrebbero sapere su come il governo, a prescindere, ma non troppo, da chi sarà il Presidente del Consiglio, intende/a formulare in maniera definitiva il Piano di Ripresa e di Rilancio.

   In buona sostanza, la sua esplorazione dovrebbe riuscire a smussare alcune distanze personali, acquisire l’impegno politico di quella che è stata la maggioranza a sostegno di Conte a rimettere insieme le sue sparse membra per attuare un programma chiaramente concordato e non imposto meno che mai periodicamente ridefinito sotto la minaccia frequente di qualsivoglia (e sento che ne esiste ancora troppa “voglia”) ricatto.

   Infine, caro Presidente Fico, ricordi un po’ a tutti i suoi interlocutori che il sottoscritto, Presidente della Repubblica, “rappresenta l’unità nazionale” e che di conseguenza agisce facendo ricorso ai suoi poteri costituzionali che includono quello di sciogliere, ma anche di non sciogliere il Parlamento. Potrei anche formare un governo pre-elettorale, l’attuale parzialmente “rimpastato” oppure un nuovo governo apposito. Concludo scusandomi con lei che, “esploratore”, non potrebbe in tempi brevi essere preso in considerazione fra gli eventuali candidati alla Presidenza del Consiglio. Verrà il suo tempo, Presidente Fico, a maggior ragione se mi porterà su un piatto, d’argento, ma anche di altro metallo più o meno pregiato, la soluzione. Auguri sinceri. A martedì.

Pubblicato il 30 gennaio 2021 su formiche.net