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VIDEO Come si fanno/dovrebbero fare le riforme elettorali e quelle costituzionali?

Intervento a “L’Italia possibile” Verona 13 dicembre 2015

Italicum Rivedere il malfatto

Nell’Italicum già esiste la clausola “coda di paglia” che impegna gli estensori a sottoporre la muova legge elettorale a una verifica di costituzionalità. Peraltro, sarebbe stato opportuno che, prima il Presidente Napolitano, al quale è toccato il compito di autorizzarne la presentazione al Parlamento, poi il Presidente Mattarella, al quale è spettato firmarla per promulgarla, facessero i loro compiti nella “casa degli italiani” ovvero al Quirinale. Adesso, un variegato schieramento prevalentemente composto da politici, costituzionalisti e avvocati ha preparato contro l’Italicum diversi ricorsi che saranno presentati alla Camera e poi depositati nei Tribunali di molto capoluoghi affinché giungano alla Corte Costituzionale. La speranza degli oppositori dell’Italicum è che la Corte bocci la mancanza di una percentuale precisa di voti per accedere al ballottaggio e addirittura elimini il premio di maggioranza. Nel frattempo, sia all’interno del Partito Democratico, non soltanto fra le sue sparse minoranze, sia fra tutti i gruppi di opposizione, a cominciare da Forza Italia, ma ad eccezione del Movimento 5 Stelle, è alta la preoccupazione che consentire l’accesso al ballottaggio alle liste e non alle coalizioni significa andare verso un duello, che tutti i sondaggi certificano, fra PD e 5 Stelle.

Per appurare la legittimità costituzionale dell’Italicum, forse sarebbe sufficiente fare riferimento alle obiezioni con le quali la Corte ha distrutto la legge elettorale precedente, il Porcellum, e valutare se gli articoli dell’Italicum rispondono efficacemente a quelle motivazioni. Le liste non sono più bloccate tranne che per il capolista che rimane un privilegiato. Tuttavia, rimangono consentite le candidature multiple ovvero vi saranno dei privilegiatissimi che, veri specchi per gli elettori-allodole, potranno candidarsi addirittura in dieci collegi. L’introduzione del ballottaggio risponde a una delle obiezioni della Corte, ma, com’è congegnato, comporta un grande inconveniente. Se al ballottaggio andassero due liste che hanno ciascuna ottenuto il 25 per cento dei voti, la vincente avrebbe un premio che la porterebbe al 55 per cento dei seggi. Di fronte a questo probabile esito, il gatto si morde la coda. Se si stabilisce una soglia alta, al di là del 35 per cento, nelle condizioni date potrebbe non arrivarci nessuno dei contendenti. Quand’anche si consentisse con qualche trucco il ballottaggio qualora un solo contendente raggiungesse la soglia minima, l’impossibilità di apparentamenti potrebbe sfociare nella vittoria di una lista/partito del 25 per cento circa.

Torna in campo la doppia opzione alla quale Renzi-Boschi e i loro sostenitori si sono pervicacemente opposti: 1. stabilire che il premio può essere assegnato anche a coalizioni di partiti e di liste che si presentino alleate intorno ad un programma (e ad un leader candidato Primo ministro); 2. consentire che nel passaggio fra il primo turno di votazioni e il ballottaggio siano possibili gli apparentamenti con la sottoscrizione, da parte degli apparentandi, del programma del partito che va al ballottaggio. Entrambe le opzioni disinnescherebbero le probabili obiezioni della Corte costituzionale e vanificherebbero i ricorsi. La considerazione politica di fondo non può che essere severa. L’Italicum è una legge fatta male, a causa dell’eventualità di un ballottaggio PD/5 Stelle, che desta preoccupazioni “partigiane” persino in coloro che l’hanno votata. Tuttavia, la motivazione prevalente per rivederla non deve essere il timore per questo ballottaggio. Quello che conta per valutare una legge elettorale è, da un lato, quanto potere dà ai cittadini; dall’altro, quanta rappresentanza offre loro. Il potere dei cittadini cresce quando è il loro voto (non la nomina dall’alto) che manda i candidati in Parlamento. La rappresentanza è più ampia e soddisfacente quando al governo ci sono coalizioni, ovviamente il meno litigiose possibili, legittimate dal voto della maggioranza degli elettori. L’Italicum è carente da entrambi i punti di vista. Il tempo per rivederlo a fondo c’è.

Pubblicato AGL il 28 ottobre 2015

Senato: una riforma da fischiare

La (brutta) riforma del Senato sta diventando anche qualcos’altro. Ovvero è gia un campo di battaglia minato sul quale si confrontano, più o meno incautamente, non disegni sistemici di un’efficace e duratura modifica del bicameralismo italiano e dei rapporti fra Parlamento, Governo e cittadini, ma disegni di futuri assetti dentro il Partito Democratico, nel governo di Renzi, nell’ambito disgregato del centro-destra, sulle alleanze che verranno e che, probabilmente, finiranno per implicare anche una riforma della freschissima, anch’essa brutta, riforma elettorale detta Italicum.

L’obiettivo di Renzi(Boschi) è di portare a casa la riforma del Senato così com’è stata approvata in prima lettura perché vuole dimostrare di essere in controllo del suo gruppo parlamentare, di non avere nessun bisogno dell’apporto delle minoranze del PD, di sapere attrarre voti più o meno conosciuti e riconoscibili dei verdiniani e dei berlusconiani sparsi. Se ci riuscirà, Renzi pensa di procedere a vele spiegate verso il completamento della legislatura, oppure, a sua preferenza (e, magari, anche del Presidente Mattarella) verso elezioni anticipate, ma non prima dell’entrata in vigore dell’Italicum: 1 luglio 2016.

L’obiettivo delle minoranze, nascosto dietro la richiesta di un Senato elettivo, secondo modalità non chiaramente definite, è, al contrario, dimostrare che hanno voti di cui Renzi deve tenere conto e che servono a disegnare una riforma migliore (personalmente, ne dubito). Quanto ai verdiniani, entreranno agguerriti nel campo di battaglia appena sarà chiaro che possono essere decisivi. Vogliono, da un lato, che si sappia che Renzi ha usufruito del loro apporto; dall’altro, che Berlusconi prenda atto che i verdiniani contano e possono essere decisivi. Dal canto suo, Berlusconi (incoraggiato soprattutto da Brunetta) desidera che Renzi vada a sbattere contro il muro di un Senato che non controlla. Di conseguenza, sarà poi costretto ad aprire negoziati con lui (una sorta di Nazareno II) riconoscendolo tuttora capo del centro-destra. Indirettamente, ne risulterebbe dimostrato che gli alfaniani non soltanto non sono decisivi, ma sono subalterni nel governo Renzi, destinati ad essere fagocitati (infatti, alcuni degli alfaniani si apprestano a lasciare il Nuovo Centro Destra).

Sullo sfondo di tutto questo tramestio politico, sta la modifica del Senato che merita due considerazioni specifiche e puntuali. La prima considerazione è che la riforma del bicameralismo è, al tempo stesso, necessaria e utile, ma deve essere congegnata con la motivazione prioritaria e sovrastante non di una drastica riduzione del potere e dei compiti del Senato e dei senatori, ma di un miglioramento del sistema politico. In questa chiave, sarebbe stato, e continua a essere preferibile un’argomentata abolizione del Senato alla quale, in coerenza, né le sinistre interne né i Cinque Stelle potrebbero ragionevolmente opporsi. Ricominciare da capo? Sì, si può e si potrebbe anche procedere in fretta. Fra l’altro, di qui al 2018 di tempo ce n’è a sufficienza. La seconda considerazione è che né le riforme elettorali né, tantomeno, le riforme costituzionali dovrebbero essere utilizzate per la resa dei conti fra gli schieramenti politici né, tantomeno, fra maggioranza e minoranze dentro ciascun partito. Una modifica, possibile e sicuramente, auspicabile, nata male, rischia di finire peggio.

Lo so che suona retorico e quasi di maniera, ma qui ci sta davvero un appello al Presidente della Repubblica. Forse, tra le quinte, con discrezione, qualcosa Mattarella avrà già detto al suo sponsor Renzi (che si vanta fin troppo del suo ruolo nell’averlo portato al Quirinale), ma il Presidente non deve dimenticare che è il “guardiano della Costituzione” oltre a fungere anche da arbitro, come ha detto lui stesso, fra i partiti-giocatori. Fischi, Presidente, fischi subito. Troppi giocatori non stanno giocando correttamente e la partita è diventata deprimente.

Pubblicato AGL 13 settembre 2015

La Corte a gamba tesa

La terza Repubblica

Vizi e virtù della sentenza sulle pensioni che crea una voragine nei conti pubblici

Concorrere con la Corte e dissentire a viso aperto: è ora. Custode della costituzionalità delle leggi o artefice, in ultima istanza, della legislazione? La Corte costituzionale, come direbbero coloro che non sanno inventare metafore illuminanti, è entrata a gamba tesa sul risanamento finanziario dell’Italia, pure malamente condotto dai governi e dai Parlamenti che si sono succeduti. Non so se è stata la gamba destra della Corte a imporre, per imbarazzare il governo Renzi, la restituzione del maltolto ai pensionati italiani non proprio poveri. Con la sua gamba sinistra, la Corte aveva un anno e cinque mesi fa cancellato il Porcellum facendo un assist decisivo allo stesso Renzi e alle sue allora non proprio note tendenze di riformatore elettorale. Poiché non disponiamo né delle opinioni concorrenti con le quali persino i giudici che formano la maggioranza possono motivare il loro voto né, tantomeno, delle opinioni dissenzienti, sulle quali è possibile, senza scandalo, costruire decisioni future anche contraddicendo quanto sentenziato nel passato, non ci resta che valutare il noto, congetturare, eventualmente criticare.

Il noto è duplice. Primo, dodici giudici, dividendosi a metà, hanno deciso grazie al voto, ebbene, sì’, decisivo del Presidente. Mancavano tre giudici; uno impossibilitato, due perché il Parlamento (ovvero i partiti e i gruppi parlamentari) non ha fatto il suo dovere di eleggere i due giudici di sua spettanza. Abbiamo già assistito a ritardi insopportabili, a veti su candidati non propriamente impeccabili, a mercanteggiamenti squallidi. Adesso sembra che Renzi abbia deciso che la qualifica essenziale di uno dei prossimi giudici debba essere quella di suo “fedelissimo”. Davvero una brillante motivazione che, indubbiamente, contribuirà a migliorare la qualità delle sentenze costituzionali. Il secondo elemento noto è che i giudici costituzionali trovano spazi come praterie grazie alla cattiva legislazione prodotta dal Parlamento italiano. Forse, però, anche ne approfittano in maniera non esente da critiche. In materia elettorale, per esempio, non sono ancora giunti a una giurisprudenza certa. Li attendiamo al varco quando, sperabilmente presto, dovranno valutare quel mostriciattolo chiamato Italicum (sfuggito troppo rapidamente dalle non acuminate grinfie del Presidente Mattarella).

In materia di pensioni, in attesa di leggere la sentenza, si possono formulare alcune ipotesi e, gioco di parole, ipotizzare una possibile lettura alternativa. Come al solito ingiustamente criticato, il giudice costituzionale Giuliano Amato è stato costretto a dichiarare, in maniera irrituale, di avere espresso voto contrario. Questa è un indizio di cui tenere conto. Non soltanto Amato è un autorevolissimo costituzionalista, ma è anche stato un governante con i fiocchi, due volte Presidente del Consiglio e Ministro del Tesoro. Ecco, i sei giudici del pareggio sbloccato dal Presidente hanno probabilmente votato tenendo conto soltanto del principio di eguaglianza (quanto sia stato effettivamente violato non saprei dire). Non hanno in alcun modo contemperato quel principio con quello della progressività, che riguarda la tassazione, e con l’articolo 81 della Costituzione che impone il pareggio di bilancio. Sono due considerazioni sicuramente presenti nel voto contrario di Amato.

Ristabilire un’equità eventualmente violata aprendo nel bilancio dello Stato una voragine che finirebbe per colpire i meno abbienti potrebbe avere/avrà conseguenze negative per tutto il paese e in maggiore misura per i ceti meno avvantaggiati. Adesso, il governo deve comunque procedere senza trucchi, senza furbizie, senza procrastinamenti a dare attuazione alla sentenza della Corte. Il Parlamento deve, a sua volta, procedere all’elezione dei due giudici mancanti, non scegliendoli fra i fedelissimi di nessuno tranne che della Costituzione, l’unica parte dalla quale bisogna stare “senza se senza ma”. I cittadini dovrebbero, invece, chiedere che siano selezionati parlamentari e governanti con qualche competenza legislativa e che la Corte proceda a una riforma che renda ciascuno dei giudici chiaramente responsabile di come vota e di come motiva il suo voto: sanissime opinioni dissenzienti, ma, come accennato sopra, anche concorrenti. Questa è davvero una buona riforma “costituzionale”.

Pubblicato il 15 maggio 2015 su terzarepubblica.it

 

La generosità dell’Italicum

FQ

L’Italicum è una buona legge. Anzi, ottima davvero e generosa. Fuoriuscendo dai sofisticati ragionamenti dei professoroni e dai preziosismi dei cattivi maestri e dei pessimi allievi (che giungono fino al character assassination degli oppositori: “ma tu nel 1989 avevi detto che…”), motiverò la mia valutazione positiva e rotonda in sette punti.

Primi beneficiari: i renziani. La legge è ottima per loro che, grazie al cospicuo (sì, ammonterà all’incirca al 20 per cento dei seggi) premio di maggioranza, potranno governare nell’allegra brigata dei leopoldini, dei renziani delle varie ore, degli opportunisti e dei trasformisti.

Secondo beneficiario: il Movimento Cinque Stelle. Saranno loro ad arrivare al ballottaggio come secondo partito. Faranno una campagna divertentissima, anzi, felice. Dimostreranno al resto dell’Europa che, sì, l’Italia è il paese, non dei balocchi, ma della competizione politica e programmatica.

Terzi beneficiari, al plurale, saranno i molti piccoli partiti capaci di superare la soglia del 3 per cento. Benvenuti, dunque, al Nuovo Centro-Destra, a Fratelli d’Italia (generosi con sorellina Giorgia Meloni, donna che sa fare politica), alla Lista Passera e, magari, al ritorno di Oscar Giannino per fare un po’ di futuro.

Quarti beneficiari: Fitto finalmente a capo di una sua lista senza timori di rimanere fuori del Parlamento, pardon, della Camera , e Berlusconi. Anche lui, con il suo nuovo partito, Berlusconi Due, riuscirà a salvarsi superando la soglia del 3 per cento che alla rapidamente declinante Forza Italia appariva in salita.

Quinti beneficiari: tutti i candidati nella posizione di capilista bloccati, i molti che approfitteranno delle pluricandidature (in dieci circoscrizioni), i prescelti da Renzi per i suoi premiati. Faranno campagne elettorali di tutto riposo. Cene con amici e clienti, comparsate televisive, senza essere disturbati da faticose e fastidiose iniziative che contemplino incontri con associazioni (tutte da “disintermediare”), con giornalisti alla ricerca dello scoop, con elettori informati, incazzati, temibili. No, meglio essere nominati. Qualunquemente.

Sesti beneficiari: i politologi e i giuristi che si sono, peraltro, in numero sorprendentemente contenuto, accapigliati, insieme, addirittura a qualche storico e filosofo, sui contenuti della legge, magari senza saperne abbastanza sui sistemi elettorali. Continueranno a farlo, magari studiando qualcosa in materia.

Infine, settimo, i più beneficiati di tutti: gli elettori. Da un lato, non dovranno impegnare troppo del loro tempo e delle loro energie. Una crocetta sul simbolo del partito basterà proprio come con il beneamato Porcellum (di cui l’Italicum non ha buttato via proprio niente). Dall’altro, per i più esigenti di loro, ci sarà il ballottaggio. Non previsto nella prima variante di Italicum, il ballottaggio darà ai meglio informati, ai più impegnati, a coloro che proprio non riescono a dimenticare che, art. 48, il voto “è un dovere civico”, molta soddisfazione e il senso del dovere compiuto. Avranno con la loro crocetta scelto chi li governerà, salvo inconvenienti, per cinque anni.

In attesa della benedizione del Presidente Mattarella (al quale è lecito ricordare quanto migliore, seppur con imperfezioni, fosse la legge che porta il suo nome) e nella speranza che i giudici della Corte Costituzionale non si intrufolino nelle pieghe e nelle magagne dell’Italicum, le giornaliste di regime intonano il peana al Grande Riformatore e alla Tosta Riformatrice. All’Expo è stato prontamente addobbato un padiglione speciale. Thank you all.

Pubblicato il 4 maggio 2015

Perchè il primo ostacolo del Presidente Mattarella sarà l’Italicum

FQ

 

Alla fine, Renzi e Berlusconi hanno avuto gran parte di quello che volevano dalla riforma elettorale, ovvero si sono messi d’accordo su quello che era davvero importante per loro. La ministra Boschi, che raramente sa di cosa parla e che, dunque, non per caso è spesso lodata dal noto saggio di Lorenzago, Roberto Calderoli, ha affermato che con questa legge non ci saranno più “inciuci” (a malincuore uso la loro mediocre e riprovevole terminologia). Scampato il pericolo di un maxinciucio presidenziale, ci prepariamo a verificare a futura memoria. Al momento, è possibile dire che, primo, l’Italicum ha solo qualche somiglianza con il testo inizialmente introdotto in Parlamento. Dunque, il Parlamento ha svolto un compito, nella misura del possibile, di effettivo miglioramento. Secondo, l’Italicum continua a essere una brutta legge.

 
La legge elettorale Renzi-Boschi

 
Per adesso accontentiamoci di sapere che, primo, la legge elettorale dei miracoli Renzi-Boschi produrrà un vincitore la sera stessa delle elezioni. Poverini i tedeschi, gli inglesi, i francesi e persino i greci i cui rispettivi, molto diversi, sistemi elettorali producono vincitori soltanto alle calende greche. O no? Tuttavia, se ci sarà, come probabile, un ballottaggio fra le due liste più votate, nessuna delle quali abbia superato il 40 per cento, per conoscere il vincitore, gli italiani dovranno dolorosamente aspettare un paio di settimane. Secondo, la legge elettorale dei miracoli garantirà la governabilità che, evidentemente, Renzi, Boschi, Del Rio e Madia sono consapevoli di non riuscire a garantire in questa legislatura. O no? Soprattutto la legge elettorale dei miracoli, terzo, porrà fine agli inciuci anche se essa stessa è finora il più visibile prodotto dell’inciucio Renzi- Berlusconi, e degli inciucini in Commissione Finocchiaro-Calderoli. Qualcuno, poi, non i loro giuristi di riferimento, spiegherà a Renzi et al. che gli inciuci non riguardano la formazione delle coalizioni di governo (minima vincente, come si dice nel lessico politologico, la coalizione fatta da Tsipras, ma bella e limpida proprio no), ma il fare e approvare insieme brutte politiche pubbliche e istituzionali di cui, per l’appunto, la legge elettorale costituisce un esempio clamoroso. Del Senato parleremo un’altra volta.

 
Perchè l’Italicum non è una buona legge

 
Questo Italicum, che piace anche ad alcuni politologi pragmatici e calabrache, i quali sostengono addirittura che è simile alle loro proposte del gennaio 2014, mentre in realtà è parecchio diversa, ma non importa, è persino migliorato. Continua a non essere una buona legge per almeno quattro motivi e mezzo. Primo, circa il 70 per cento dei parlamentari saranno comunque nominati dai capipartito e capicorrente, quindi obbedienti e ossequienti nei confronti dei loro severi e burberi nominatori, mandando a benedire l’assenza del vincolo di mandato. Inoltre, che il capolista in un collegio sia il rappresentante di quel collegio è tutto da vedere, soprattutto se sarà, e accadrà spesso, un/a paracadutato/a. Chi sa che cosa penseranno i candidati che si faranno un mazzo tanto sul territorio per ottenere le preferenze e che, se eletti, verranno trattati, neanche come figli, ma come nipoti di un dio minore. Secondo, le candidature multiple, fino alla possibilità di essere presenti, sicuramente come capilista, in dieci collegi, rimangono un intollerabile obbrobrio, un unicum dell’Italicum.
Questi, però, sono i due punti sui quali Renzi e Berlusconi, interessati a esercitare un ferreo controllo sui loro parlamentari, si sono trovati d’accordo. Attendiamo anche di conoscere quella che è più di un’opinione del Presidente Mattarella, padre del Mattarellum e devastatore del Porcellum. Terzo, anche se il premio di maggioranza dovrà essere assegnato con il ballottaggio, esiste il rischio che sia vinto da una lista che al primo turno abbia ottenuto poco più del 25 per cento dei voti. I giudici costituzionali, immagino Mattarella compreso, potrebbero obiettare che la loro sentenza aveva detto molto di diverso, chiedendo una soglia decente. Quarto, con la scelta della lista e non della coalizione come aspiranti al premio di maggioranza sia Renzi che Berlusconi hanno mandato un messaggio chiaro ai cespugli di sinistra e di destra: entrate subito con noi, altrimenti vittoriosi o no vi terremo lontani dal governo e dalle cariche che spettano all’opposizione. I grillini dissenzienti l’hanno capita e si sono avvicinati al Nazareno. Li seguiremo fino alla loro eventuale probabile ricandidatura nel generoso Partito della Nazione.
Infine, c’è un ultimo punto discutibile, forse grave, ma non riprovevole, anzi, che potrebbe diventare divertentissimo. Con gli attuali rapporti di forza, il ballottaggio potrebbe anche avere luogo fra il Pd e il Movimento Cinque Stelle consegnandoci per sempre al laboratorio del Dr. Jekyll che ha già avuto modo di vedere la sua creatura all’opera a Parma e a Livorno (città modello per la trasposizione del “sindaco d’Italia). Non ci resta che augurare la vittoria allo schieramento che avrà candidato, s’intende, non come capilista, il maggior numero di gufi saggi (e residenti nei loro collegi). Ce ne sono. Ne conosco almeno uno.

Pubblicato il 3 febbraio 2015