Home » Posts tagged 'Profilo ideologico del Novecento italiano'

Tag Archives: Profilo ideologico del Novecento italiano

#Democrazia Futura Dopo il socialismo. Metodo e sostanza @Key4biz

Il valore 45 anni dopo della raccolta di cinque saggi sui rapporti fra democrazia e socialismo

Gianfranco Pasquino rilegge Quale socialismo? di Norberto Bobbio


Alla metà degli anni settanta Norberto Bobbio raccolse in un volumetto: Quale socialismo? Discussione di un’alternativa[1] cinque suoi scritti dedicati ad una riflessione sui rapporti fra democrazia e socialismo. La raccolta di articoli omogenei era il suo modo preferito di confezionare libri e derivava dal suo essere richiestissimo per conferenze un po’ dappertutto che gli consentivano/imponevano la preparazione di testi, mai peraltro occasionali. Il tema dei rapporti fra socialismo e democrazia lo aveva sempre interessato. Oltre che i socialisti del Partito Socialista Italiano ai quali si sentiva molto vicino, i suoi interlocutori erano i comunisti. Fu molto criticato per questa interlocuzione che, peraltro, non si tradusse mai in nessuna concessione né al Pci né al marxismo. In senso più lato, scrisse nella Premessa a Il futuro della democrazia[2] della necessità di dialogare con “coloro che questa nostra democrazia, sempre fragile, sempre vulnerabile, corrompibile e spesso corrotta, vorrebbero distruggerla per renderla perfetta” mai disperando “nella forza delle buone ragioni”[3].

Perfezionisti non erano e non furono soltanto i comunisti, ma, in quanto rappresentativi per quarant’anni di un quarto, poco meno di un terzo dell’elettorato italiano, meritavano certamente il massimo di attenzione. Il futuro della democrazia italiana dipendeva anche dalla loro evoluzione. Bobbio ne aveva già messo alla prova le loro credenziali democratiche con riferimento alla libertà, della cultura, della critica, degli intellettuali, in un libro che, non un best-seller (come molti anni dopo, nel 1994 sarebbe stato Destra e sinistra[4]), fu un long-seller: Politica e cultura[5], uscito nel1955 e più volte ristampato. Suoi interlocutori in un confronto duro senza diplomazie e senza concessioni erano stati alcuni intellettuali comunisti “di punta” e persino lo stesso segretario del partito, Palmiro Togliatti. Pure apprezzando l’occasione del confronto, Bobbio non era stato soddisfatto del suo esito: troppe le ambiguità di quegli intellettuali che in parte esprimevano in parte riflettevano le posizioni ufficiali del PCI (non molto distanti e non molto diverse da quelle del Partito comunista dell’Unione Sovietica). Molta acqua era passata sotto i ponti nei vent’anni trascorsi dalla pubblicazione di quel testo. Superato il doppio trauma (denuncia dei crimini di Iosif Stalin, invasione sovietica dell’Ungheria) dell’indimenticabile 1956 (l’aggettivo è di Pietro Ingrao, allora direttore de l’Unità), il Pci aveva iniziato una sua sicuramente troppo lenta e troppa cauta, in sostanza inadeguata, revisione che, pur facendo riferimento a Antonio Gramsci, poco riguardava il marxismo. La lettura/lezione di Gramsci, anche se assolutamente necessaria per contrastare il leninismo, non poteva guidare il Partito nella traiettoria da intraprendere in una democrazia nella quale bisognava costruire le condizioni politiche per l’alternanza al governo.

In realtà, il dibattito che seguì la pubblicazione del libro di Bobbio si focalizzò soprattutto sull’esistenza o meno di “una dottrina marxistica dello Stato”. In estrema sintesi, il leninismo aveva dimostrato di sapere come fare per conquistare lo Stato (quello russo nel 1917 non era neppure uno Stato “borghese”), ma come costruire uno Stato socialista e come governarlo furono certamente problemi per i quali la dottrina “marxistica” non offriva, secondo Bobbio, nessuna soluzione. Con le sue parole: “Mi domando quale sia il beneficio che possiamo trarre per la soluzione dei problemi del nostro tempo dall’ennesima chiosa … a Marx … e se non sia oggi assai più utile applicarsi agli studi di scienza politica e sociale così poco progrediti nel nostro paese in confronto a quelli di marxologia [6]. Ad onor del vero, la critica incisiva e puntuale alla mancanza di adeguate riflessioni di Marx sullo Stato era già stata potentemente formulata nel 1957 proprio dal più importante professore italiano di Scienza politica, Giovanni Sartori, nel suo Democrazia e definizioni[7]. Inoltre, Bobbio era sicuramente a conoscenza della devastante critica del Partito Comunista Francese e degli intellettuali che ruotavano nella sua orbita scritta dal grande studioso liberale Raymond Aron, L’opium des intellectuels[8]. La risposta stalinista, ovvero lo Stato come dittatura sul proletariato, praticata per più di trent’anni in Unione Sovietica non poteva certamente costituire il riferimento teorico né la soluzione attuabile.

Nessuno ricorda oggi le numerose risposte degli intellettuali comunisti per i quali discutere con Bobbio e contraddirlo era naturalmente un segno di grande distinzione. Semplicemente, rimanevano tutti imprigionati nella gabbia che, utilizzando l’appropriata parola di Bobbio, definirò della chiosa. Qualche anno dopo sarebbero anche finite le chiose e dopo il 1989 in Italia è letteralmente scomparsa qualsiasi variante di cultura marxista (e aggiungerei di cultura socialista).

In maniera assolutamente anticipatrice, nel libro Bobbio si (pre)occupa anche di quello che chiama “il feticcio della democrazia diretta” per Karl Marx esistita esclusivamente nella breve esperienza della Comune di Parigi (1871). Ricomparsa poi brevemente dopo la rivoluzione del 1917 sotto forma di Soviet di contadini e operai. Comunque, Bobbio sottolinea che nel pensiero marxistica “ciò che caratterizza la democrazia diretta sarebbe l’istituto del mandato imperativo, che implica la possibilità della revoca del mandato[9]. Naturalmente, nessuno dei comunisti italiani poneva all’ordine del giorno qualsivoglia variante di democrazia diretta che, come sappiamo, ha fatto la sua recente ricomparsa con il Movimento 5 Stelle, evidenziando tutte le sue contraddizioni insite. Le obiezioni di Bobbio alla democrazia diretta d’antan valgono anche per i brandelli di democrazia diretta oggi. Quelle obiezioni non hanno finora trovato risposta forse perché risposta non c’è, forse perché a un problema politico di incommensurabile rilevanza non è neppure pensabile che si possa offrire una risposta tecnologica, telematica. Anche il più innovativo e efficace utilizzo della rete costituisce un mezzo, necessario, ma non sufficiente. Abbiamo visto che il socialismo non è, nelle pur memorabili parole di Lenin, “Soviet più elettrificazione”. La democrazia diretta non è “piattaforma telematica più vincolo di mandato”.

Il libro contiene un capitolo scritto nel 1973, due capitoli scritti nel 1975 e due nel 1976 insieme con la prefazione alla quale è apposta la data settembre 1976. Curiosamente, Bobbio non fa nessun riferimento alla proposta di compromesso storico formulata da Enrico Berlinguer in tre articoli pubblicati da Rinascita, la rivista settimanale del PCI, nel settembre-ottobre 1973.

Altro argomento che rimane in ombra è quello del significato di alternanza, da sempre un fenomeno importante per il buon funzionamento della democrazia, ancorché non essenziale per la sua definizione. La concezione di democrazia di Bobbio non lo poteva rendere accondiscendente di fronte al compromesso storico. Per la sua ambizione di durata indefinita/non definita nel tempo, il compromesso storico fra le grandi masse popolari cattoliche e comuniste [ho estesamente trattato l’argomento nel capitolo “Compromesso storico, alternativa, alternanza” nel mio libro Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana [10] che ha la pretesa di proseguire il Profilo ideologico del Novecento italiano pubblicato da Bobbio nel nono volume della Storia della letteratura italiana nel 1969[11] poi in volume a sé stante nel 1986[12]] non soltanto avrebbe reso ininfluente la competizione politico-elettorale che il “filosofo delle regole” considera cruciale per la democrazia, ma avrebbe messo in soffitta qualsiasi prospettiva di alternanza.

Peraltro, mi affretto ad aggiungere che non è tanto la realizzazione concreta dell’alternanza che conta, è opinione anche di Sartori, quanto piuttosto la possibilità, agli occhi degli elettori, degli operatori dei mass media, dei politici al governo e di quelli all’opposizione, che possa avvenire. Questa possibilità influisce sui comportamenti di tutti e li rende più responsabili. Se mai il compromesso storico si fosse realizzato, la sua maggioranza extra-large non avrebbe dovuto temere nessuna opposizione. Praticamente non sarebbe stato possibile per nessuna opposizione “controllarla”. Gli eventuali governi di compromesso storico sarebbero stati politicamente irresponsabili. La stessa proposta del compromesso storico rivelava da parte dei comunisti sia la loro non piena comprensione delle caratteristiche fondamentali della democrazia sia la loro convinzione che, una volta, andati/tornati al governo certo non l’avrebbero abbandonato. Questo è uno degli elementi che, secondo Sartori, facevano del Partito Comunista Italiano un partito “antisistema”: potendo i comunisti avrebbero rovesciato e cambiato il sistema.

Al proposito, Bobbio ritiene sia lecito affermare che “il rapporto fra democrazia e socialismo è configurato come un rapporto fra mezzo e fine, dove la democrazia svolge la parte del mezzo e il socialismo del fine[13]. Ma, se la democrazia che conosciamo è il mezzo, qual è lo scopo, ovvero, proprio “quale socialismo?” A questa domanda i comunisti italiano non seppero mai rispondere se non in maniera confusa e evasiva. A Giorgio Amendola (e a molti altri) che asseriva la possibilità di una “terza via” fra la socialdemocrazia e il comunismo, Bobbio rispose senza mezzi termini: “La terza via non esiste”[14]. Suggerì anche di “rafforzare le organizzazioni del movimento operaio per continuare la via democratica al socialismo, che è dappertutto una sola[15].

Venti anni dopo fece irruzione nel dibattito politico europeo una riformulazione della Terza Via ad opera del sociologo Anthony Giddens e di Tony Blair che sarebbe diventato Primo Ministro nel 1997 fino al 2007. La terza via di Giddens[16], che nell’originaria edizione inglese ha il sottotitolo The Renewal of Social Democracy[17], doveva insinuarsi fra il vecchio Labour Party e il neo-liberismo rappresentato da Margaret Thatcher (1979-1990) e da Ronald Reagan (1980-1988) con l’ambizione di andare Oltre la destra e la sinistra[18]. Bobbio non seguì queste vicissitudini politico-intellettuali. D’altronde, il dibattito pubblico italiano non approdò a nulla di specialmente interessante tranne le affermazioni sulla fine della sinistra espresse da alcuni intellettuali di sinistra con il duplice obiettivo di épater les bourgeois e di ottenere visibilità sui mass media. Bobbio aveva già risposto con il libro Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica[19], sottolineando con forza che il perseguimento della giustizia sociale costituisce la stella polare della sinistra[20].

Nel corso del tempo, nella letteratura internazionale il termine socialismo, forse perché troppo identificato con i regimi comunisti dell’Europa orientale (e talvolta con alcuni populismi “progressisti” latino-americani) è stato sostanzialmente sostituito dal termine sinistra. Giustamente, oggi ci chiederemmo non “Quale socialismo?”, ma “Quale sinistra?” (rimando ad un’analisi comparata di grande interesse: Stephanie L. Mudge, Leftism Reinvented. Western Parties from Socialism to Neoliberalism[21] dedicata al Partito Democratico negli Stati Uniti, al Partito Socialista dei Lavoratori svedese e alla SPD. Sarebbe bello se qualcuno esplorasse i casi italiano, francese, spagnolo e portoghese). La risposta di Bobbio, in parte la immagino in parte la deduco da quanto ha scritto, sarebbe: quella sinistra che si adopera per contenere e ridurre le diseguaglianze; quella sinistra che cerca di risolvere “i problemi che hanno generato lo scontro tra capitalismo democratico e comunismo autoritario” e che “non sono stati certamente risolti dal totale fallimento di quest’ultimo, né nel mondo avanzato, né nel mondo in generale[22], citando un suo memorabile articolo su La Stampa del 9 giugno 1989 pubblicato dopo l’eccidio di Tien an Men, a Pechino.

Ce n’è ovviamente abbastanza per procedere more Bobbio ad una serie di interrogativi. La sinistra che esiste attualmente e che si manifesta in molti paesi come definisce l’uguaglianza: “Quale eguaglianza?” Anche se, certamente, si pone il problema delle diseguaglianze di reddito, quali altre diseguaglianze preoccupano e debbono preoccupare la sinistra? E se la risposta, alla quale aderisco convintamente, è che la sinistra deve offrire eguaglianza di opportunità, allora l’interrogativo è “Quali opportunità?” La filosofia classicamente socialdemocratica: protezione “dalla culla alla tomba”, comunque sempre difficilissima da garantire e oggi costosissima, non sembra più soddisfare neppure molti esponenti (e cittadini-elettori) che si collocano a sinistra. Certamente, non sembra possa essere sufficiente offrire uguaglianza di opportunità all’inizio di un percorso, per lo più quello scolastico, e affidare il resto ai singoli e alle loro capacità. Bisognerebbe intervenire flessibilmente nella vita, non solo lavorativa, per dare e ridare eguali opportunità. Di qui, la necessaria riforma dello Stato del welfare, con continui chirurgici aggiustamenti che significa sapere dove tagliare e dove e come ricucire, operazioni che nessun mercato competitivo può mai effettuare.

   Sono anche convito che fra gli interrogativi da porre alla sinistra Bobbio introdurrebbe le modalità con le quali riconoscere e premiare il merito. Anche se può apparire troppo brusco e ruvido, l’interrogativo, per chi non crede che la sinistra possa mai essere soltanto livellatrice, è: “Quale meritocrazia?” Quasi non ho bisogno di giustificare il prossimo interrogativo, ma la sinistra di Bobbio (e gli scritti di Bobbio) non possono in nessun modo escludere (e, infatti, Quale socialismo? non lo ha escluso) l’interrogativo “Quale democrazia?” La sinistra si è sempre impegnata, non soltanto perché serviva i suoi interessi e scopi politico-elettorali, a cercare di ampliare la partecipazione politica. La sinistra apprezza e incoraggia il cittadino/la cittadina partecipante anche se spesso non li premia adeguatamente. La sinistra ha anche mirato, non sempre con impegno e vigore adeguati, ad accrescere l’educazione politica dei cittadini, ovviamente non indottrinarli. Non da ultimo, fra gli interrogativi contemporanei che Bobbio solleverebbe non sta più semplicemente la democrazia diretta, ma “Quale democrazia deliberativa?” ovvero con quali modalità disponibili grazie alle nuove conoscenze e alla rete è possibile potenziare ed estendere la democrazia. Certamente, Bobbio apprezzerebbe quanto scritto in materia senza nessun cedimento “fondamentalista”, ma con motivazioni e giustificazioni fondate su ricerche e applicazioni anche nel contesto italiano da Antonio Floridia, Un’idea deliberativa della democrazia. Genesi e principi [23].

Grazie a Bobbio e con Bobbio è regolarmente stato possibile entrare in dibattiti importanti, certo riservati ad uno strato sociale di intellettuali, politici, operatori dei mass media, abbastanza ristretto, raggiungendo anche un’opinione pubblica interessata. Bobbio, editorialista de La Stampa, anche più di Giovanni Sartori, editorialista del Corriere della Sera (spesso presente nei salotti televisivi), è stato un grande intellettuale pubblico. Oggi, per una molteplicità di ragioni, non esistono più intellettuali pubblici della sua statura e della sua influenza etica e di pensiero molto più che politico. Nessuno più che voglia e sappia suscitare un dibattito sui grandi temi che riguardano l’Italia e gli italiani, l’Europa e gli Europei (questa è una mancanza clamorosa), il mondo. L’ultimo interrogativo discende inevitabilmente dalla considerazione che ho appena formulato, ma ha più rami: “Quali tematiche?” “Quali opinioni pubbliche?” “Quale cultura politica nella globalizzazione?” Infine, “Quale società giusta?”

Concludendo. Bobbio non rinunciò mai a porre gli interrogativi rilevanti che, lo sappiamo, contenevano regolarmente sia un principio di risposta basato sulla storia del concetto problematizzato e dell’uso che ne era stato fino ad allora fatto sia un’indicazione di metodo con il quale andare alla formulazione di una risposta convincente. Non ricorrerò a nessun trucco dialettico e retorico per affermare che in Italia da almeno vent’anni nessuno ha proceduto come Bobbio e non vedo all’orizzonte studiosi e intellettuali sufficientemente attrezzati. Forse è questo il vero segnale della crisi italiana, il deplorevole stato del dibattito pubblico in assenza del quale non potranno aversi miglioramenti complessivi nella democrazia italiana. Non è alle viste

Bologna, 14 marzo 2021

* professore emerito di Scienza politica, Università di Bologna, e Socio dell’Accademia dei Lincei


[1] Norberto Bobbio, Quale socialismo? Discussione di un’alternativa, Torino, Einaudi, 1976, XVIII-109. Seconda edizione con prefazione di Michele Salvati: Milano, Rizzoli Corriere della Sera, 2011, 169 p.

[2] Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1984, XVI-220 p.

[3] “Premessa” a Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, op. cit., p. XIII.

[4] Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma, Donzelli, 1994, X-100 p. Nuova edizione riveduta e ampliata: 1995, 141 p. Infine quarta edizione accresciuta, 2007, XVII-221 p.

[5] Norberto Bobbio, Politica e cultura, Torino, Einaudi, 1955, 282 p. Oggi nella nuova edizione a cura di Franco Sbarberi, Torino, Einaudi, 2005, XLiii-273 p.

[6] Norberto Bobbio, Quale socialismo ? …, op. cit., p. 27.

[7] Giovanni Sartori, Democrazia e definizioni, Bologna, Il Mulino, 1957, XII-331 p.

[8] Raymond Aron, L’opium des intellectuels, Paris, Calmann Lévy, 1955, 337 p. Traduzione italiana: Raymond Aron, L’oppio degli intellettuali, Bologna, Cappelli, 1958, 377 p.

[9] Norberto Bobbio, Quale socialismo ? …, op. cit., p. 60.

[10] Gianfranco Pasquino, Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana, Milano, UTET, 2021, 224 p.

[11] Norberto Bobbio, “Profilo idrologico del Novecento italiano”, in Emilio Cecchi, Natalino Sapegno (ed.), Storia della letteratura italiana. Volume nono. Il Novecento, Milano, Garzanti, 1969, 860 p. [pp. 121-128].

[12]Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Torino, Einaudi, 1986, 190 p.

[13] Norberto Bobbio, Quale socialismo ? …, op. cit., p. 104.

[14] Norberto Bobbio, Autobiografia. A cura di Alberto Papuzzi, Roma-Bari, Laterza, 1997, 274 p. [il passo citato si trova a p. 124].

[15] Ibidem, p. 125.

[16] Anthony Giddens, La terza via. Manifesto per la rifondazione della socialdemocrazia. Prefazione di Romano Prodi, Milano, Il Saggiatore, 1999, 156 p.

[17] Anthony Giddens, The third Way. The Renewal of Social Democracy, Cambridge, Cambridge Polity Press, 1998, X-166 p.

[18] Anthony Giddens, Oltre la destra e la sinistra, Bologna, il Mulino, 1997, 309 p. Edizione originale inglese: Beyond Left and Right. The Future of Radical Politics, Cambridge, Cambridge Polity Press, 1994, VII-276 p.

[19] Norberto Bobbio, Destra e sinistra Quarta edizione accresciuta, op.cit .

[20] “Cap. VIII. La stella polare”, in Norberto Bobbio, Destra e sinistra…Quarta edizione accresciuta, ibidem, pp. 145-153.

[21] Stephanie L. Mudge, Leftism Reinvented. Western Parties from Socialism to Neoliberalism, Cambridge Massachusetts – London, Harvard University Press, 2018, XXVII-524 p.

[22] Norberto Bobbio, Destra e sinistra…Quarta edizione, op. cit., p. 147,

[23] Antonio Floridia, Un’idea deliberativa della democrazia. Genesi e principi, Bologna, il Mulino, 2017, 392 p.

La libertà inutile degli italiani La Prima Repubblica non è mai finita @DomaniGiornale

Pubblichiamo un estratto dal nuovo libro di Gianfranco Pasquino,Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana (UTET 2021).

 Per diversi anni mi sono riproposto un compito estremamente ambizioso: scrivere il seguito del saggio di Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano (Torino, Einaudi, 1986). Il testo scritto da Bobbio arriva fino al Sessantotto, ma, deliberatamente, non se ne occupa. Interrogarsi, riflettere, analizzare i cinquant’anni trascorsi da allora è un’impresa certamente difficile, ma, al tempo stesso, culturalmente e politicamente necessaria. Senza nessuna falsa modestia fin dall’inizio sapevo, e ogniqualvolta rileggevo qualche pagina specifica del Profilo, me ne rendevo conto, che mi sarebbe stato impossibile offrire una visione complessiva dell’Italia repubblicana dalla seconda metà del secolo scorso ad oggi altrettanto ricca e articolata quanto quella elaborata da Bobbio. Non mi faccio nessuna illusione sulle mie capacità di conseguire risultati minimamente comparabili con quelli del prezioso libro di Bobbio. Al tempo stesso, però, il compito ha continuato non soltanto ad attirarmi come grande sfida intellettuale, ma anche a sembrarmi sempre più necessario in un paese nel quale il dibattito pubblico si è impoverito, ingaglioffito e imbarbarito. Insomma, senza nessuna propensione a farmene vanto (toccherà, comunque, ai lettori decidere se giustificato e quanto), ho sentito il dovere civile di ricorrere a tutte le mie forze e conoscenze per proseguire il lavoro di Bobbio.

   Naturalmente, ho cercato nella misura del mio possibile di focalizzarmi sulla stessa impostazione proposta e utilizzata da Bobbio, vale a dire, di centrare l’analisi sulla “storia delle idee o delle ideologie o degli ideali intesa come storia della consapevolezza che gli intellettuali hanno del loro tempo, delle categorie mentali che di volta in volta adoperano per comprenderlo, dei valori che assumono per approvarlo o per condannarlo, dei programmi che formulano per trasformarlo” (Profilo, p. 3). A questa storia ho sentito di dovere aggiungere, quando mi pareva utile, anche il contributo di alcuni politici, della (riflessione) politica. L’elaborazione di idee e, talvolta, operazione molto più difficile, di ideologie è qualcosa che gli intellettuali hanno costantemente, in maniera più o meno consapevole e efficace, fatto, in proprio e/o al servizio di monarchi, capi politici, imprenditori, partiti, associazioni dei più vari generi, ma che, in non poche occasioni, alcuni importanti uomini politici hanno mutuato, accolto, parzialmente attuato, magari anche stravolto. Più o meno influenti, spesso riflettendo lo spirito dei tempi, alcune elaborazioni degli intellettuali (e dei politici) contribuiscono alla comprensione di quei tempi e meritano attenzione e considerazione, elogi e critiche. Effettuare riflessioni e formulare critiche concernenti le idee degli intellettuali valutandone, ogniqualvolta possibile e opportuno, l’impatto, è un esercizio fecondo che difficilmente può rimanere neutrale e imparziale.

…….

Nel 1968 Bobbio non ritenne di scrivere una conclusione al suo Profilo ideologico. Però, aggiunse una post-fazione alla ristampa fatta quasi vent’anni dopo (che, con mio grande piacere, fui invitato a recensire per “l’Unità”).  …   Tuttora approvo la scelta di Bobbio. Il profilo ideologico dell’Italia repubblicana non era terminato nel 1968. Non lo fu neppure nel 1986. Da allora, però, sicuramente sono scomparse le ideologie nella variante italiana; vi sono state notevoli trasformazioni nelle idee, ma non è emerso nulla di comparabile per profondità al dibattito analizzato da Bobbio. Gli italiani continuano a vivere in quella che viene definita, talvolta criticamente, la Prima Repubblica. È l’unica Repubblica che abbiamo. Il suo assetto istituzionale di democrazia parlamentare ha dimostrato di essere molto flessibile e adattabile, di sapere affrontare le sfide superandole mantenendo intatti i suoi principi ideali e i suoi cardini istituzionali. L’edificio costituzionale repubblicano non è sostanzialmente cambiato nonostante siano drasticamente cambiati, anzi, spariti, i partiti che lo avevano costruito e nonostante che siano subentrati altri protagonisti: partiti, movimenti, dirigenti politici e intellettuali di riferimento ignari del passato, con scarsa e incerta cultura politica, già provatamente incapaci di progettare un futuro. A loro in modo speciale si attaglia l’amara espressione che Bobbio voleva utilizzare come titolo del capitolo conclusivo che rinunciò a scrivere: la libertà inutile (p. 179).

   Nei miei ricorrenti incontri con Bobbio e con il suo pessimismo, nelle nostre conversazioni, eravamo consapevoli che a me spettava il compito di trovare gli elementi positivi che lui accoglieva con un sorriso scettico. Ricordo di avergli fatto rilevare, sfondando una porta aperta, che fra i suoi molti insegnamenti c’era anche quello che la libertà non è mai inutile. Sottolineando l’inutilità della libertà goduta dagli italiani nel dopoguerra, Bobbio voleva dire che quella libertà, di espressione, di pensiero, di ricerca, di voto non aveva apportato significativi e indispensabili miglioramenti nella cultura politica e nell’etica civile, tema che gli era caro, ma che trattava molto parsimoniosamente salvo celebrarla nei ritratti di coloro che la avevano praticata in maniera intransigente (Bobbio 1984 e 1986). Da questo punto di vista, che largamente condivido, neppure i cinquant’anni successivi alla riflessione di Bobbio si sono rivelati “utili”. Anzi. L’approdo della mia ricognizione, a fronte di problemi che non passano, di memorie non condivise, di sfide, vecchie e nuove, da ultimo, drammatica, socialmente e economicamente, la pandemia, di incapacità di comprendere e di progettare, è che quello che è davvero passato, per sempre, sono le culture politiche che avevano costruito con maggiore o minore convinzione la Repubblica e l’avevano fatta funzionare non del tutto inutilmente.

   Non sono comparse nuove culture politiche alternative con fondamenta simili a quelle dei primi cinquant’anni della Repubblica. Con il declino dei partiti è scomparso uno dei luoghi di elaborazione quantomeno di idee politiche e di confronto e conflitto di posizioni e riflessioni diverse. Persino, nella società, alla quale non possiamo meccanicamente attribuire l’aggettivo, non poche volte immeritato, ”civile”, non sembra riescano ad emergere nuove trascinanti idee. “Liquida”, come sosterrebbe il sociologo polacco Zygmunt Bauman (2011), oppure, più semplicemente, frammentata e ripiegata a difesa di prassi esistenti che non vengono messe in discussione, la società si rappresenta, in Italia, probabilmente più che altrove, nei talk show e nelle forme telematiche di comunicazione. Sia Bobbio sia Sartori (1997), unitamente a Karl Popper, da entrambi molto apprezzato, sono stati tempestivamente critici di questi sviluppi. Per quel che conta, è evidente che non saranno i cosiddetti “social” le nuove fonti di produzione e di confronti e scontri fra idee e di (ri)nascita di culture politiche. Anzi, è chiaro che il linguaggio usato in quei contesti è un fattore aggiuntivo di indebolimento, di compressione, di confusione del profilo ideologico di qualsiasi società/sistema politico, a cominciare dall’Italia.

   Guardando fuori dei confini italiani potremmo notare che tutte le culture politiche tradizionali si sono indebolite, anche se non sono completamente scomparse, e che nuove “culture” stanno facendo molta fatica ad affermarsi e non è affatto detto che ci riusciranno. Tenendo in grande considerazione quello che si muove, in politica, in economia, nella società, specialmente quella europea, è plausibile sostenere che la linea lungo la quale si manifesteranno e potranno affermarsi le nuove culture politiche è quella che separa con una certa nettezza, come ho scritto nell’ultimo capitolo, coloro che sono contro il processo di unificazione politica dell’Europa e coloro che mirano a completarne l’unificazione, coloro che desiderano un federalismo democratico e agiscono per conseguirlo e coloro che operano per un ritorno, non soltanto fisico, dei confini nazionali. Per gli oppositori deI federalismo politico europeo è stata di recente coniata la definizione di sovranismo da loro apparentemente gradita. Però, il sovranismo non poggia su una cultura politica dotata di un elevato livello di elaborazione. Deve fare leva su un nazionalismo spesso screditato, da ricostituire. Dal canto suo, il pensiero federalista ha un retroterra e una storia decisamente molto più lunga e più complessa. Nella fase attuale, però, neppure il federalismo può vantare un ventaglio di pensatori innovativi sui quali fare affidamento. Le prassi sembrano precedere le elaborazioni culturali (e politiche) senza le quali, tuttavia, il loro respiro è inevitabilmente molto corto.  

Un enormemente difficile profilo ideologico dell’Europa contemporanea, che nessuno ha finora tentato, darebbe maggiore sostanza alla mia affermazione sia sul grado di declino delle culture politiche classiche sia sulla necessità di nuove originali elaborazioni all’altezza di quelle del passato. In Italia sappiamo dove siamo dolorosamente approdati. In Europa il viaggio delle culture politiche è, fra opportunità e rischi, tuttora in corso. Non si concluderà presto offrendo la possibilità/necessità di tutti i pur molto difficili approfondimenti culturali essenziali per l’ambizioso progetto di unificazione politica democratica del continente che un giorno, mi auguro non troppo lontano, sarà appropriatamente descritto e analizzato in un Profilo ideologico dell’Europa.

Pubblicato il 26 febbraio 2021 su Domani

Ricordare Norberto Bobbio 9gennaio 2004 – 9gennaio 2017

Ricordare Bobbio significa apprezzare e sottolineare non soltanto i suoi numerosissimi saggi di filosofia politica, ma evidenziare la sua idea di politica. Nel commemorare Maestri e compagni, nel delineare attraverso le loro vite l’Italia civile, nel criticare i comunisti, nel tratteggiare il Profilo ideologico del Novecento italiano, un saggio di incomparabile, inimitabile valore, Bobbio ha lasciato in eredità una visione di politica esigente, fatta di sostanza e di stile. Da lui c’è ancora moltissimo da imparare.