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Quasi sindaco: Quel che debbo ricordare, per voi e per me #Politica #Società #Bologna

Di tanto in tanto, ultimamente abbastanza di frequente, qualcuno su twitter ricorda che mi sono candidato a sindaco di Bologna nel 2009 e ho raccolto circa 4 mila voti (4.448 per la precisione), meno del 2 per cento. La mia versione dei fatti, non contraddetta da nessuno, si trova nel volumetto Quasi sindaco. Politica e società a Bologna 2008-2010, Diabasis 2010. Qui di seguito colloco alcune riflessioni successive che mi pare abbiano un certo interesse, non solo personale. Qualunque sia invece l’interesse dei twittatori a corto di competenze e argomenti che brandendo quella sconfitta elettorale credono di disinnescare i miei tweet, il loro risultato si ferma allo 0% virgola niente.

Quasi sindaco: Quel che debbo ricordare, per voi e per me

Ricordo di avere trascorso il mese di agosto 2010 a scrivere dolorosamente il resoconto della campagna elettorale del 2009 della lista “Cittadini per Bologna” da me guidata. Avevo il dovere politico e morale di lasciare una traccia scritta di quello che avevamo fatto, perché, come, con quali conseguenze. Quel libro, poi divenuto libro e pubblicato con il titolo Quasi sindaco. Politica e società a Bologna 2008-2010, fu respinto da Feltrinelli e da Donzelli, ma anche da Pendragon, editrice bolognese di politica, prima di essere gentilmente accettato dal Direttore Editoriale di Diabasis, Alessandro Scansani, scomparso poco dopo la pubblicazione al quale sono enormemente grato. Non ho nulla da cambiare di quel resoconto. A dieci anni di distanza, trovo che è opportuno, per me e per coloro che vogliono saperne di più e non si limitano a contare i non molti voti che la nostra lista ottenne, fare un bilancio articolato. Ci furono conseguenze quasi immediate e conseguenze più lente, tutte interessanti, molto istruttive, per coloro che sono disposti e sanno imparare.

A due mesi dalle elezioni, il Direttore di “Repubblica-Bologna” non si era ancora fatto vivo. Ne ero stato collaboratore abbastanza assiduo per circa vent’anni. Naturalmente, avevo smesso di scrivervi non appena divenni candidato, nel gennaio 2009. Era sottinteso, anzi, concordato, che alla fine dell’avventura avrei ripreso a scrivere e che i tempi li avrebbe dettati il Direttore Aldo Balzanelli. La situazione, però, si era fatta più difficile, in un certo senso anche imbarazzante. Infatti, Balzanelli, in special modo, ma anche i suoi cronisti, la maggior parte dei quali conoscevo personalmente, avevano scelto una linea non proprio equilibrata, non dico equidistante, fra me e il candidato del PD. Il loro sostegno al candidato del Partito Democratico era evidente ed esplicito, fondamentalmente acritico. Nei miei confronti, la linea fu indifferenza oppure racconti sottilmente denigratori, persino a fronte di mie smentite ufficiali, due soltanto poiché non potevo sprecare il mio tempo prezioso, una delle quali clamorosa. Non proposi mai di scambiare il mio sostegno al candidato del PD con cariche (oggi diremmo “poltrone”), meno che mai per me personalmente. Balzanelli si rifiutò di accettare la mia smentita.

All’inizio dell’agosto, in occasione della commemorazione della strage di Bologna, 2 agosto, attesi invano la richiesta da parte di Balzanelli di un articolo, quanti ne avevo già scritti in materia per Repubblica! Ero anche stato il presentatore al Senato nella seconda metà degli anni ottanta, unitamente al repubblicano Libero Gualtieri, di un disegno di legge per l’abolizione del segreto di Stato. Il Corriere di Bologna mi aveva variamente fatto sapere che avrebbe gradito la mia collaborazione. Parlai con il direttore Armando Nanni per farmi ospitare una riflessione sulla strage. Pubblicato proprio il 2 agosto con il titolo Il dovere del rito e le lezioni per la memoria fu l’inizio di una lunga serie di articoli. La mia collaborazione cessò “a mia insaputa” subito dopo un articolo nel quale avevo stigmatizzato la decisione del PD di candidare il democristiano Pierferdinando Casini nel Collegio senatoriale di Bologna centro (lo metto qui in appendice) Ne seguì un lungo totale silenzio del direttore Ernesto Franco che in questo modo pose fine senza nessuna comunicazione ufficiale alla mia collaborazione. Me lo confermò in una brevissima telefonata quando a metà marzo 2018 se ne tornò a dirigere il Corriere del Trentino. Quanto a Balzanelli, replicò immediatamente, credo addirittura già nel pomeriggio del 2 agosto, al mio articolo, non con una telefonata, ma con una inopinata, “graziosa” e succinta mail: “Vedo che hai iniziato a scrivere sul Corrierino…” Non molto tempo, nei primi mesi del 2010, Balzanelli venne chiamato/mandato a Roma. Il suo successore, Giovanni Egidio, non mi ha cercato mai. I suoi cronisti mi hanno fatto nel decennio trascorso una sola intervista, non pubblicata perché fuori della linea del giornale (del partito?).

All’inizio di agosto 2009, i vigili mi recapitarono sette-otto contravvenzioni di importo vario dai mille ai 5 mila Euro ciascuna per affissione di manifesti elettorali della lista Cittadini per Bologna fuori dagli spazi appositi. Nessuna fotografia nessuna posssibilità di contestazione, ma le multe dovevano essere convalidate dal Prefetto di Bologna, Angelo Tranfaglia, al quale portai tutta la documentazione convinto che nessuno dei miei collaboratori avesse violato i regolamenti elettorali. Com’era nei suoi poteri, il Prefetto non diede seguito a quella che, qui mi assumo tutta la responsabilità di quello che scrivo, era una palese rappresaglia: “a Pasquino gliela facciamo pagare”. Letteralmente. Per questa piccola cronaca può essere utile aggiungere che il capo della campagna elettorale di Delbono tal Claudio Merighi (che, poi, fu inviato a “lavorare” alla Coop) era proprio un vigile.

Troppi hanno dimenticato che subito dopo l’estate 2009 le voci sulla gestione disinvolta dei rimborsi spese per viaggi e conferenze, da Ischia a Cancún, Messico, con tanto di foto, a opera dell’Assessore al Bilancio e vice-Presidente della Regione Emilia-Romagna Flavio Delbono si fecero più frequenti, più intense, più dettagliate. Non entro nei particolari, ma il Delbono promise e versò soldi alla sua compagna occasionale, dipendente della Regione, per “comprarne” il silenzio. La situazione divenne talmente imbarazzante per il Partito Democratico di Bologna che sotto quelle pressioni il sindaco Delbono si sentì costretto a dimettersi, il 24 gennaio 2010. Le sue dimissioni furono salutate da alcune dichiarazioni che parlano da sole. Il segretario della federazione del PD di Bologna, Andrea De Maria, affermò che le dimissioni erano “un atto di serietà e responsabilità”. Ancora più enfatiche le parole di colui che “Repubblica” (25 gennaio 2010) presentava come, e in effetti era stato, il grande sponsor di Delbono: “Il suo è un gesto di grande sensibilità nei confronti di Bologna. …. [le sue dimissioni] dimostrano un senso di responsabilità verso la comunità che va al di là dei propri obblighi e delle proprie convenienze. Delbono ha confermato, a differenza di altri [riferimento per me non comprensibile, GP], di saper mettere al primo posto il bene comune e non le sue ragioni personali”. In seguito, i magistrati ritennero che Delbono non aveva tenuto in grande conto “il bene comune” utilizzando fondi della Regione proprio per “sue ragioni [spese] personali”. Prodi si adoperò ancora a favore di Delbono facendo pressione sul Direttore del Bologna Center affinché fosse richiamato ad insegnare. L’Academic Council non prese in considerazione questa richiesta. In seguito anche Stefano Zamagni, docente e vicedirettore del Bologna Center, ma anche co-autore con Delbono di un testo di economia che Il Mulino dovette “purgare” di molte pagine che configuravano un plagio, tentò di fare riassumere Delbono. L’Academic Council respinse nuovamente la proposta.

Nel frattempo, Bologna fu inevitabilmente commissariata, un fenomeno impensabile che ha macchiato la storia di una città considerata un modello di buongoverno e progressista. Dal 17 febbraio 2010 al 24 maggio 2011 il prefetto Annamaria Cancellieri fu il commissario governativo in carico degli affari correnti e di preparare nuove elezioni. Cancellieri, spesso definita “papessa”, acquisì notevole popolarità, probabilmente anche effetto di una ripulsa della politica e dei politici del PD, tanto che molte voci della “società civile” si levarono per una sua candidatura a sindaco che le consentisse di proseguire il lavoro iniziato. Alcuni nel PD chiesero, però, che si sottoponesse alle primarie. Fra i nomi che circolarono riscuotendo approvazione c’era quello di Maurizio Cevenini, a lungo consigliere comunale, presenzialista vero poiché partecipava in effetti a una pluralità di cerimonie non solo politiche, ma sociali e culturali della città, soprattutto notissimo per celebrare un numero molto elevato di matrimoni (già nell’ottobre 2009 superò la cifra di 4 mila) con grazia e gentilezza nella Sala Rossa del Comune. Per sbarazzarsi della sua ingombrante presenza a Palazzo Accursio, la sede del sindaco, il PD decise in conformità a una astrusa regola sul numero dei mandati, di imporgli di candidarsi al Consiglio Regionale. Fu eletto con il record di preferenze: più di 19 mila.

La sua candidatura alle primarie con le quali il PD si sentiva costretto a cercare il candidato sindaco era un fatto naturale. Cevenini iniziava quella che si suole chiamare la corsa in sicuro vantaggio: notissimo, apprezzato, impeccabile. La prima incrinatura si ebbe quando le telecamere in occasione della sfilata del 2 agosto per la strage alla stazione di Bologna inquadrarono uno scambio fra il segretario nazionale del PD, Pierluigi Bersani, e il segretario di Bologna Raffaele Donini nel quale entrambi facevano commenti molto poco lusinghieri (sì’, questo mio aggettivo è un gigantesco eufemismo) sulle qualità politiche di Cevenini, commenti subito riportati dalla stampa locale. Il 25 ottobre 2010 Cevenini ebbe un malore, fu ricoverato in clinica, annunciò il suo ritiro dalle primarie spianando la strada alla vittoria di Virginio Merola nel maggio 2011 alla quale contribuirono anche le 13 mila preferenze ottenute da Cevenini stesso, (ri)candidato al Consiglio comunale. Un anno dopo, l’8 maggio 2012, Cevenini si suicidò buttandosi dal settimo piano della torre della Regione Emilia-Romagna. Conservo con cura e commozione una copia da lui regalatami della sua autobiografia politica, scritta con la figlia Federica: Bologna nel cuore. Il Cev raccontato a mia figlia, Bologna, Pendragon, data di pubblicazione 10 gennaio 2011. La dedica di suo pugno legge: “Da quasi sindaco a quasi sindaco. Non sanno che cosa si sono persi”. Non lo sapranno mai, ma non hanno neppure mai mostrato un minimo interesse a sapere qualcosa.

Post-scriptum. Nelle elezioni politiche nazionali del febbraio 2013 Andrea De Maria fu candidato alla Camera dei deputati unitamente a Sandra Zampa, l’assistente di Romano Prodi. Entrambi in posizioni nelle liste bloccate che ne garantivano l’elezione. Dichiarai che la presenza di queste due candidature rendeva impossibile il mio voto al PD alla Camera dei deputati.

Il 19 giugno 2016 Merola è stato rieletto sindaco sconfiggendo al ballottaggio 54,64 contro 45,36% la candidata della Lega Lucia Borgonzoni (divenuta sottosegretaria alla Cultura nel governo Conte).

Nel marzo 2018 De Maria è stato rieletto alla Camera dei Deputati e rimane l’uomo forte del PD di Bologna.

Questo vi dovevo, care elettrici e elettori della Lista “Cittadini per Bologna”. No, purtroppo, no, proprio non siamo riusciti a cambiare la politica (e le persone) del partito che ha dominato la città. Certamente, abbiamo salvato la nostra anima.

 

Appendice

Sacrifici da meritare

Vorrei offrire ai dirigenti locali del Partito Democratico qualche argomento da contrapporre alla segreteria nazionale per evitare troppi sacrifici in termini di candidature al Parlamento nazionale. Primo, fare valere il criterio di una sana rotazione dopo i famosi/famigerati due mandati, non in maniera automatica, ma esprimendo anche una valutazione sull’operato del/la parlamentare uscente-entrante. Secondo criterio, inteso a dare buona rappresentanza politica agli elettori, ricandidare chi viene ripresentato nello stesso collegio della precedente elezione. Lì potrà spiegare ai suoi elettori le molte cose successe nella delicata, soprattutto per il PD, legislatura che si è conclusa, chiarendo, mio mantra, che cosa ha fatto, non fatto, fatto male e perché. Sarebbe un’ammirevole e utilissima operazione pedagogica che restituisce dignità alla politica. Terzo, scegliere le nuove candidature, anche valutando quelle che da Roma vorrebbero paracadutare, in base a due elementi essenziali: la storia politica, sociale, professionale e la sua rappresentatività delle idee del PD, della sua storia, del suo progetto. Naturalmente, da parte del paracadutato/a dovrebbe anche esserci una disponibilità a garantire la sua presenza sul “territorio”, non solo a fare passerella, ma a interloquire con gli elettori tutti, con le associazioni, persino con le banche. A questo punto, a PierFerdinando Casini (eletto alla Camera per la prima volta nel 1983) fischieranno le orecchie, ma so che personalmente se ne infischia. Tuttavia, da un lato, mi pare difficile inserire Casini nella storia del PD; dall’altro, mentre serpeggia l’inquietudine nella “base”, fra malumori e maldipancia, è giusto chiedersi se la candidatura di Casini, quanti voti porterà?, non segnali la direzione di marcia del PD, verso il centro-destra. Infine, per chi ritiene che la buona rappresentanza parlamentare è la premessa di qualsiasi governabilità decente, le candidature vanno scelte in base alla loro qualità, non perché sono “in quota di” qualcuno, né di Prodi né di Franceschini, ad esempio, ma perché rappresentano le idee del Partito Democratico. Si tratta di elezioni nazionali che, dunque, non dovrebbero in nessun modo avere riflessi sulla composizione della giunta di Bologna. Qualsiasi rimpasto andrebbe fatto con riferimento alle esigenze di garantire un miglior funzionamento del governo locale, non a ricompensare qualcuno perché non ha “ottenuto” candidature al Parlamento né a produrre un qualche riallineamento fra chi ha vinto e chi ha perso nel Partito Democratico. Che brutta storia.
Corriere di Bologna, 11 gennaio 2018

 

 

Gli amici del garantismo

Corriere di BolognaE’ lecito avere idee diverse persino in materia di garantismo. Sono possibili anche valutazioni differenziate sulla credibilità e sulla coerenza di coloro che chiedono comportamenti garantisti. Qualcuno ha notato doppi pesi e doppie misure esibiti proprio da chi sta attualmente al vertice del governo di questo paese.  Ciò detto, esagerate, molto riprovevoli,  probabilmente sbagliate tanto nel metodo quanto nel merito mi sembrano le critiche rivolte al Sen. Luigi Manconi del Partito Democratico per avere chiesto un’ispezione nella Procura di Bologna in seguito al suicidio della farmacista Vera Guidetti . Né l’interrogazione parlamentare di Manconi né l’ispezione da lui auspicata possono essere archiviate soltanto perché il Pubblico Ministero Valter Giovannini è stato fatto oggetto di scritte ostili sui muri e di minacce. Anche questi comportamenti sono deprecabili, ma nulla autorizza a pensare che rappresentino una conseguenza dell’interrogazione di Manconi e che a lui ne debba essere attribuita la benché minima responsabilità.

Due sono i punti più importanti da spiegare e da sottolineare. Primo, garantismo è chiedere che la legge sia scrupolosamente osservata e applicata da tutti, a maggior ragione dai potenti, in questo caso i magistrati, e ad ancora maggiore ragione quando in ballo è la libertà e la dignità delle persone, in questo caso la signora Guidetti. Se il garantismo deve “eccedere” è ovviamente preferibile e sicuramente scusabile se lo fa a favore dei cittadini inermi (naturalmente, i politici arroganti e i burocrati protervi non si trovano mai nella categoria dei cittadini senz’armi, tutt’altro). Secondo, le reazioni di alcuni esponenti del Partito Democratico locale, l’assessore regionale Raffaele Donini e il neo-deputato Andrea De Maria, curiosamente entrambi ex-segretari della Federazione di Bologna, sono davvero andate sopra le righe. Sembrano suggerire che, da un lato, la Procura di Bologna non sbagli mai e, dall’altro, che qualsiasi ispezione sia immotivata. Entrambe le supposizioni sono senza dubbio molto discutibili. Anzi, sarebbe bello che lo stesso PM Giovannini dichiari immediatamente la sua personale disponibilità all’ispezione affinché vengano acquisiti tutti gli elementi necessari per fare piena luce su un fatto gravissimo.

Il garantismo non dovrebbe servire in nessun partito, meno che mai nel PD che se ne vanta, a distinguere fra gli appartenenti a correnti diverse, con i renziani dalla parte di Manconi e i non renziani al suo attacco. Il garantismo dovrebbe servire, anche per i magistrati, per giungere ad una migliore, più equa, meno erratica applicazione della legge. La non richiesta difesa della Procura di Bologna da parte dei non-renziani ha qualcosa di sospetto, quasi una sorta di favore a futura memoria e/o di reiterata apertura di credito. Invece, per tutti, non soltanto qui e ora, ma sempre, dovrebbe valere un’espressione di Cicerone che parafraso: “amica magistratura, sed magis amica iustitia”.

Pubblicato 25 marzo 2015

Le indocili gatte da pelare

Corriere di Bologna

Non si presenta facile la successione a segretario del Partito Democratico di Bologna. Raffaele Donini ha opportunamente dato le dimissioni per fare l’assessore in Regione. Altrettanto opportunamente non ha designato un successore né mi sembra che abbia espresso preferenze forti. Qualcuno potrebbe pensare che una carica di partito, per quanto importante, interessi quasi soltanto gli iscritti a quel partito e magari gli elettori più impegnati politicamente.  Però, il Partito (Democratico) di Bologna non è un partito come gli altri. Infatti, tranne sfortunati, ma meritati, episodi, come la sconfitta della candidata a sindaco nel 1999, il Partito di Bologna è stato un partito dominante in politica, in economia, nella società (alquanto meno nella cultura della città). La personalità di chi lo regge e lo guida può fare una bella (o brutta, 1999, ma anche 2004, con il peggio del 2009) differenza. Inoltre, il successore di Donini dovrà fare i conti anche, da un lato, per fare riferimento ai due eventi recenti più significativi, con il crollo della partecipazione politica nelle elezioni regionali, dall’altro, con quella che chiamerò sinteticamente “la colata di San Lazzaro”. Appena meno rilevante già si staglia il problema dell’elezione nel 2016 del sindaco di Bologna, con prese di posizione pro e contro il sindaco in carica (talvolta anche da parte sua). Insomma, il prossimo segretario avrà non poche indocili gatte da pelare.

 

In politica contano non soltanto il consenso e la sua quantità, ma anche le modalità con le quali quel consenso viene acquisito. In estrema sintesi, il nuovo segretario dovrà essere eletto in un colpo solo dall’Assemblea attualmente in carica che certamente riflette pesi ed equilibri non proprio aggiornatissimi? Oppure è meglio che il partito faccia un vero e proprio congresso, con tutte le liturgie e i riti classici, ma anche con due diverse opportunità. La prima riguarda i candidati che saranno in condizione di presentare e articolare la loro visione di che cosa debba essere e debba fare il Partito Democratico di Bologna nell’era di Renzi. La seconda opportunità riguarda gli iscritti (e i loro circoli) troppo spesso trascurati e collocati in seconda fila rispetto agli elettori, più o meno occasionali, delle, pure utili e democratiche, primarie. Sembra che se si sceglie di affidare l’elezione all’Assemblea vincerà/vincerebbe un “cuperliano” (immagino che Cuperlo sarebbe il primo a sorridere di questa dizione). Invece, la strada che porta al Congresso darebbe molte chances ai renziani. Comunque, non è in base a queste previsioni che il PD dovrebbe decidere. Se vuole fare buona politica, il Partito Democratico deve tenere in grande conto i suoi iscritti. Deve utilizzare tutte le modalità che lo mettono in contatto con loro e con tutti coloro che parlano, interagiscono e interloquiscono (non solo sulla Rete) con gli iscritti e con i candidati. La democrazia è anche questo ed è sempre preferibile alle oligarchie, raramente illuminate.

 

Pubblicato il 6 febbraio 2015