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Ripresa, resilienza e fiducia #RecoveryPlan #PNRR
Piano di ripresa e resilienza è quanto il governo Draghi ha stilato per ottenere gli ingenti fondi messi a disposizione all’Italia dall’Unione Europea. Sono 191 miliardi e mezzo di Euro più 30 miliardi aggiunti dallo Stato italiano. Presentando, finalmente, “in zona Cesarini”, il documento di 330 pagine ai parlamentari che l’hanno ricevuto soltanto domenica alle 14.30, Draghi ha chiarito con sobrietà e precisione per quali interventi, con quali obiettivi e come quei fondi saranno indirizzati e utilizzati. Ha anche generosamente riconosciuto al governo del suo predecessore, Giuseppe Conte, di avere fatto gran parte del lavoro sul quale si basa il documento che diventerà definitivo dopo il dibattito e l’approvazione parlamentare. I diversi settori ai quali destinare i fondi sono sostanzialmente interconnessi. In estrema sintesi, la transizione non più rinviabile ad una economia verde richiede conoscenze specifiche e quindi acquisizione di nuove competenze. In una (in)certa misura queste competenze saranno meglio ottenute e poste all’opera attraverso tutti i processi possibili di digitalizzazione e costantemente monitorati e revisionati. Pertanto, sarà indispensabile investire in maniera molto ampia nei settori dell’istruzione, della formazione e aggiornamento professionale, e della ricerca. Soltanto nuove efficienti infrastrutture miglioreranno l’economia e la vita del paese. Una giustizia con tempi rapidi è indispensabile e contribuisce alla ripresa non scoraggiando gli operatori economici che in Italia vorrebbero investire. La burocrazia, sia soprattutto a livello nazionale sia a livello regionale, ha un ruolo importantissimo nell’attuazione delle riforme. Dunque, deve essere rapidamente riformata e messa alla prova.
Draghi non si è limitato a presentare in maniera molto convincente tutti i progetti del Piano di Ripresa e di Resilienza. Ne ha evidenziato gli obiettivi civili e sociali. In sostanza, quei progetti serviranno a ridisegnare l’Italia. Daranno opportunità ai giovani, favoriranno le famiglie, ridimensioneranno fino a farlo scomparire il divario, economico e sociale, fra uomini e donne. Poiché il 40 per cento di quei fondi andranno in investimenti al Sud, dovranno ridurre le differenze Nord e Sud non soltanto perché la crescita del Sud è utile al rilancio del paese, ma perché la coesione territoriale è importante in sé. Pone rimedio a gravi squilibri passati, recenti, attuali.
Pur conscio della gravità dell’occasione, Draghi ha lasciato trasparire un po’ di autoironia, ma soprattutto ha voluto concludere con parole di grande (no, non scriverò “eccessiva”) fiducia negli italiani. Sono parole che è opportuno citare per esteso: “Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti. Questa certezza non è sconsiderato ottimismo, ma fiducia negli Italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità”. Personalmente, non mi resta che plaudire e sperare che Draghi abbia ragione.
Pubblicato AGL il 27 aprile 2021
Draghi, Pasquino ad Affari:”Il M5S stia nel governo. Al lavoro con i Dem-Leu” #intervista @Affaritaliani
Il celebre politologo sui mal di pancia dei 5S: “Cerchino con intelligenza di influenzare le scelte politiche del governo Draghi. Star fuori è scelta sbagliata”
Intervista raccolta da Carlo Patrignani
Il nuovo governo di Mario Draghi, colui che ha salvato l’euro e l’Europa, ha da usare e gestire i 209 miliardi del Recovery Plan: è questa una grossa opportunità e insieme una speranza per il rilancio del Paese, messo in ginocchio dalla pandemia Covid19. Molto dipenderà dalle capacità non solo di Draghi, ma di Colao e di Cingolani di sfruttare al meglio quest’occasione. E’ l’opinione del politologo Gianfranco Pasquino che si dice “relativamente ottimista” sulla possibilità del nuovo governo di poter centrare l’ambizioso obiettivo. Professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna ed Accademico dei Lincei, il politologo ha alle spalle anche la preziosa esperienza di senatore della Repubblica che gli consente analisi più approfondite.
“C’è stata una assordante campagna di stampa, in modo particolare da parte dei giornaloni, nell’invocare Draghi come ‘il salvatore dell’Italia’, appunto dopo aver salvato l’euro e con esso l’Europa, mentre il governo Conte – osserva Pasquino – stava facendo bene, andava nella giusta direzione”. Fatta questa osservazione dovuta, “Draghi – sottolinea il politologo – ha un suo percorso preciso, ma dalla sua ha uno sponsor politico chiaro, autorevole, come il Presidente della Repubblica, Mattarella, che, non v’è dubbio, saprà consigliarlo al meglio in questo passaggio delicatissimo”.
Come dire, pur se Draghi ha sempre operato nel mondo delle banche e della finanza, fino alla presidenza della Bce, “forse potrà essere meno keynesiano del suo maestro Caffe’, forse non avrà sufficiente esperienza politica, però – evidenzia Pasquino – non è un salvatore della Patria, ma è tutt’altro che sprovveduto e saprà essere all’altezza del compito affidatogli dal Presidente della Repubblica“.
Insomma, attorno al neo premier troppi sperticati, eccessivi elogi non richiesti: una enfasi sopra le righe. “Sono relativamente ottimista”, ribadisce Pasquino rispetto all’irripetibile opportunità di rilancio del Paese grazie ai 209 miliardi del Recovery Plan. Eppure dopo il pronunciamento favorevole al nuovo governo di tutte le forze presenti in Parlamento, ad eccezione di Fdl, ci sono fermenti dentro il M5S sul voto di fiducia per la composizione della compagine governativa e sulla distribuzione dei ministeri.
“Mi pare che il M5S si sia pronunciato, abbia già votato e la maggioranza ha scelto di dare il via alla formazione del governo Draghi di cui farà parte – evidenzia Pasquino – Ora lavori bene e cerchi con intelligenza di influenzarne le scelte politiche, quali politiche fare. Star fuori dal governo è, per me, una scelta sbagliata”. Tanto più che in ballo c’è ancora la possibilità di una alleanza più o meno strutturale con Pd e Leu.
“Certamente l’esperienza accumulata con il governo Conte non va dispersa, anzi va rafforzata dal momento che anche Pd e Leu fanno parte del governo che – nota Pasquino – dovrà metter mano alla legge elettorale: occasione per formulare proposte magari comuni“. Poi in primavera ci sono importanti test amministrativi, in grandi città: occasione per dar vita ad alleanze elettorali.
“Si tratta di tanti passaggi importanti – conclude Pasquino – sui quali lavorare, non solo il Recovery Plan, ma la legge elettorale, la lotta alla pandemia, il piano vaccinazioni, per proseguire e migliorare l’esperienza realizzata con il governo Conte“. E con un occhio alla prossima tornata elettorale. I voti contano. Contare tanti voti serve.
Pubblicato il 14 febbraio su affaritaliani.it
Renzi è stato sconfitto La maggioranza Ursula ora è possibile #intervista @ildubbionews
Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica a Bologna, che sta per pubblicare il suo ultimo libro, Libertà Inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana, definisce come «un ritorno a casa» l’eventuale sostegno al governo di alcuni parlamentari di Italia Viva ma dice che «prima di dare un giudizio sul Recovery Plan occorre leggere il testo che andrà alle Camere».
Professor Pasquino, quanto può durare un governo indebolito dall’uscita di Italia viva dalla maggioranza?
Può durare fin che ci riesce. Vale a dire che può tentare ogni volta di avere la maggioranza necessaria: nello scostamento di bilancio e per la finanziaria serve quella assoluta ma nella maggioranza dei casi basta quella semplice. Possono esserci delle maggioranze leggermente diverse di volta in volta con pochi parlamentari che decidono su specifici provvedimenti ma la definerei una dialettica parlamentare quasi normale.
Ci sono vincitori e vinti in questa crisi?
Renzi ne esce sicuramente sconfitto, Conte ne esce piuttosto vittorioso, ma sottolineerei il piuttosto perché potrebbe diventare ancora più vittorioso se altri parlamentari, vedendo che il governo funziona, decidessero di sostenerlo.
Come potrebbe allargarsi questa maggioranza, per ora relativa?
Il gruppo misto è abbastanza ampio e fatto di persone che vengono anche da partiti di maggioranza come ex cinque stelle espulsi o fuoriusciti. Alcuni centristi non dovrebbero avere difficoltà ad appoggiare un governo Conte e non posso escludere che qualche esponente di Italia viva possa tornare a sostenere il governo che loro stessi hanno contribuito a far nascere. Per loro sarebbe un ritorno a casa.
È corretto definire questo esecutivo un “governo di minoranza”?
Non è tecnicamente un governo di minoranza. L’articolo 94 della costituzione dice che il governo deve avere la fiducia di entrambe le Camere. Se questo governo ce l’ha, punto. Un governo di minoranza è uno che non ha abbastanza numeri e che potrebbe essere sconfitto in Aula.
Non è il caso di questo governo.
Crede che il Recovery Plan sia migliorato?
Abbiamo discusso molto dei progetti per il piano di ripresa e di volta in volta il presidente del Consiglio ha detto che ci sono stati dei cambiamenti. Voglio prima leggere il documento che arriverà in Parlamento e su quella base discuteremo.
Alcuni esponenti del Pd ritengono che Renzi abbia ragione, mentre Zingaretti mantiene l’appoggio a Conte. Cosa ne pensa?
Non so cosa voglia dire che Renzi ha ragione. Se semplicemente vuol dire che ha fatto controproposte accettabili per rimodulare il Recovery Plan allora il Pd può farle proprie e convincere Conte ad accettarle. Ma Renzi ha torto su un punto fondamentale: non puoi far cadere il governo per negoziare, si negozia dall’interno e il ricatto non è accettabile. Zingaretti è solido ed equilibrato. In politica non servono fulmini ma qualcuno capace di tenere insieme un governo che funzioni fino a fine legislatura.
Nelle discussioni si sta parlando anche della futura elezione del capo dello Stato?
Mi auguro proprio che sia così. È importante che questa maggioranza arrivi a eleggere il Presidente della Repubblica magari allargando il perimetro, perché lì sì che serve una maggioranza più ampia. Occorre eleggere una persona affidabile, europeista e che conosca il Parlamento per guidare il paese nella direzione giusta.
E il centrodestra che ruolo ha in questa fase?
Non vedo nessuna novità nel centrodestra. Non riescono a ottenere quasi nulla di quello che desiderano e ognuno sta impersonando un ruolo: Meloni fa la dura, Salvini non sa bene che strada percorrere e Berlusconi ha deciso di diventare responsabile ma sa che deve rimanere nell’alleanza. Tuttavia per lui il rischio era quello di essere risucchiato e non è stato così. Sono ripetitivi, manca il guizzo.
A proposito di guizzi, come potrebbe ripartire questo governo dopo la crisi?
Potrebbe avere due momenti di gloria. Il primo quando la Commissione europea riceverà il Recovery Plan tra fine febbraio e inizio marzo e il secondo quando lo analizzerà verso fine aprile e scoprirà che tutto sommato è fatto bene. Il giudizio sarà positivo ma suggerirà cambiamenti e il governo occuperà la scena politica arrivando felicemente a giugno. A quel punto potrebbe persino aver funzionato il piano di vaccinazione degli italiani, con una pandemia contenuta.
Il Conte due è molto diverso dal Conte uno. Come giudica il cambiamento in senso europeista del presidente del Consiglio e del Movimento?
Lo vedo come un processo di apprendimento. Conte ha imparato molto in questi due anni, ha ottenuto 209 miliardi di euro e ora sta “insegnando” anche al Movimento. C’è un processo di razionalità in corso molto positivo. È positivo anche che l’intera coalizione si dimostri europeista perché, come diceva Spinelli nel manifesto di Ventotene, la divisione non sarà più tra conservatori e progressisti ma tra chi ha cuore l’unificazione dell’Europa e chi no.
Vede possibile una maggioranza “Ursula” con Forza Italia in maggioranza come quella che ha eletto von der Leyen in Europa?
È possibile. Berlusconi è ingombrante per via del suo passato e per la condanna per frode fiscale però quella coalizione è teoricamente possibile, anche senza essere formalizzata. Dipende da cosa voterà Forza Italia di volta in volta. Ma chiariamoci: il profilo di Ursula von der Leyen è molto superiore a quello di Giuseppe Conte.
Pubblicato il 20 gennaio 2021 su Il Dubbio
Finirà tutto con un rimpastino e con un nuovo Recovery Plan #intervista @ildubbionews
“Un’opzione potrebbe essere quella di nominare Draghi commissario straordinario alla progettazione e all’attuazione del Recovery Plan con ampi poteri, ma cosi facendo si ridurrebbe il peso di conte e dell’intero governo. Sarebbe il colpo finale alla politica.”
Intervista raccolta da Giacomo Puletti
«Se mi chiede una previsione dirò che ormai la strada è aperta verso un piccolo rimpasto che non può essere grande perché altrimenti rischierebbe di far rovesciare la barca del governo»
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna si mostra scettico sia di fronte allo scenario di un governo di centrodestra sia a quello di un governo di larghe intese e guida Draghi, e spiega invece che potrebbe finire con un «piccolo rimpasto e significativi miglioramenti del Recovery Plan».
Professor Pasquino, sul tavolo ci sono Conte Ter, rimpasto, elezioni. Glielo chiedo in maniera chiara: come finirà?
Se mi chiede una previsione dirò che ormai la strada è aperta verso un piccolo rimpasto che non può essere grande perché altrimenti rischierebbe di far rovesciare la barca del governo. Ma un piccolo rimpasto non basta: si va verso una ridiscussione significativa del Recovery Plan perché ci sono non pochi punti da discutere, migliorare, affinare.
Credo si cambieranno dunque alcune cariche e molti punti delle modalità con le quali l’Italia chiederà i fondi del Next generation Ue.
Quindi mini rimpasto e miglioramento del Recovery Plan. È una vittoria di Renzi?
È difficile da dire perché non sappiamo esattamente cosa vuole Renzi e forse non lo sa neanche lui. Probabilmente sta cercando visibilità e vuol far credere a voi giornalisti che lui sia padrone del governo perché l’ha creato. Io replico che doveva farlo il 5 marzo 2018 quando invece buttò il suo partito all’opposizione aprendo la strada al governo gialloverde. È una questione di megalomania e visibilità ma su alcuni punti si contraddice molto, come quando dice che bisogna coinvolgere sindaci e associazione di categoria mentre un tempo parlava di disintermediazione.
Si discute su alcune questioni come Mes e servizi segreti. Pensa che il presidente del Consiglio finirà indebolito?
Sul Mes, se Conte lo chiedesse sarebbe una vittoria non solo di Renzi, ma anche del Pd, di Forza Italia e credo di una parte di Leu. Credo sia opportuno chiedere il Mes e forse era giusto farlo anche qualche mese fa. Non sarebbe un indebolimento di Conte ma un rinsavimento. Sui servizi segreti credo che Conte dovrebbe scegliere una persona terza e non tenere la delega per sé. Anche qui, anche altri lo chiedono quindi non sarebbe una vittoria soltanto di Renzi.
Ritiene plausibile un ritorno alle urne?
Credo che si troverà un accordo ma credo anche che sarebbe legittimo pensare a nuove elezioni. Fino a che il presidente della Repubblica può sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni lo scenario è praticabile, non sarebbe un colpo di Stato. Sarebbe certo un errore politico del centrosinistra, del governo e anche di Renzi. Inoltre l’Europa ci guarderebbe con grande sconcerto e pagheremmo un prezzo nei mercati. La stabilità in questo caso è importante. Tuttavia voglio stabilire la legittimità del principi: se Mattarella esplora l’esistenza di una nuova maggioranza e scopre che, nonostante gli sforzi di Salvini, questa maggioranza non c’è, allora dovrà sciogliere il Parlamento. A quel punto bisognerebbe capire se resta in carica l’attuale governo per il disguido degli affari correnti o se si forma un governo elettorale.
Ha parlato di sforzi di Salvini. È possibile una maggioranza di centrodestra nell’attuale Parlamento?
In un ipotetico governo di centrodestra il leader sarebbe Salvini perché la rimonta di Giorgia Meloni non è ancora compiuta. In queste condizioni Salvini sarebbe il capo di una maggioranza formata con l’aiuto dei “responsabili”. Tuttavia questo sarebbe contraddittorio con la narrativa di destra che vuole un governo “eletto dal popolo” ma ribadiamolo: nessun governo è eletto dal popolo, nessun governo esce dal voto. Dal voto esce sempre un Parlamento, nel quale poi i partiti cercano degli accordi.
Ma questi famosi “responsabili” esistono davvero?
Credo che un governo Salvini che raggranella voti in Parlamento non sia un’opzione probabile perché Mattarella chiederebbe la garanzia di una maggioranza assoluta che al momento non esiste.
È una situazione analoga a quella in cui Napolitano negò l’incarico a Bersani che voleva fare “scouting” tra i cinque stelle.
Come ultimo scenario potrebbe tornare di moda un governo di larghe intese, magari a guida Mario Draghi. Cosa ne pensa?
Draghi ha le competenze per utilizzare al meglio gli ingenti fondi che l’Europa ci ha molto generosamente dato, ma al tempo stesso non credo che abbia la forza politica per tenere insieme centrosinistra e centrodestra. A meno che non sia a capo di un “governo del Presidente” fortemente voluto da Mattarella, che ponga come condizione a tutte le forze politiche l’impossibilità di metterlo in crisi, pena il ritorno al voto.
Dunque, come se ne esce?
Un’opzione potrebbe essere quella di nominare Draghi commissario straordinario alla progettazione e all’attuazione del Recovery Plan con ampi poteri, ma cosi facendo si ridurrebbe il peso di Conte e dell’intero governo. Sarebbe il colpo finale alla politica, che verrebbe “sospesa” ancora di più rispetto al governo tecnico a guida Mario Monti.
Come dovrebbe gestire l’Italia i fondi europei?
La risposta è impossibile ma posso confidare alcune sensazioni: in primo luogo, questi fondi debbono guardare al futuro e quindi devono esser usati per cose nuove, non per completare progetti vecchi. In secondo luogo, debbono coinvolgere attività che riguardano soprattutto i giovani, come digitalizzazione, economia verde, istruzione, formazione e ricerca. Da ultimo, bisogna sapere come attuarli, chi farà cosa e in quali tempi. Sarebbe sbagliato escludere la burocrazia italiana dicendo che è vecchia e stanca ma al contrario occorre sollecitare le migliori energie dalla burocrazia. Non è vero che è tutto inefficiente.
Pubblicato il 7 gennaio 2021 su Il Dubbio
Come usare anche la crisi di governo per il Recovery plan @DomaniGiornale
Non c’è nessuno né nella attuale maggioranza di governo né nelle opposizioni che abbia una visione dell’Italia da (ri)costruire. Né si intravvede come e quando arriverà il tempo dei “costruttori” auspicati da Mattarella. Tuttavia, la crisi di governo, più o meno conclamata che sia, offre qualche opportunità per formulare quella visione e le modalità con le quali si concluderà potranno condurre gli uomini e le donne di buona volontà e di qualche capacità a mettersi all’opera. Non ho nulla da obiettare a chi cerca di mantenere e di conquistare le poltrone, se non che, ad evitare il lessico populista, è preferibile parlare di seggi parlamentari e di cariche ministeriali. Quei seggi e soprattutto quelle cariche sono spesso la premessa indispensabile, ancorché non l’unica, per tentare di perseguire gli obiettivi che sono la sostanza di una visione. La richiesta da parte della Commissione Europea di fare richieste per gli ingenti fondi messi a disposizione dell’Italia lungo sei direttive, fra le quali, digitalizzazione e innovazione, rivoluzione verde, infrastrutture, istruzione e ricerca, parità di genere e coesione sociale, costituisce la base per formulare qualsiasi accettabile visione. In una certa misura, la bozza ministeriale che circola si esercita nella direzione giusta, Sta a chi sfida il governo, dentro e fuori della maggioranza, chiedere modifiche precise, suggerire spostamenti dei finanziamenti, cercare di creare circoli virtuosi. Dopodiché appare giusto e opportuno che si indichino i nomi dei ministri, uomini e donne che sembrano inadeguati/ e di coloro che hanno maggiori provate capacità. Questa operazione straordinariamente complessa non può essere effettuata nello spazio di pochi giorni né la crisi di governo può essere prolungata nel tempo perché, mai come in questo caso, il tempo è denaro. Non è vero che l’Italia è già in ritardo. Infatti, la scadenza per presentare i Recovery plans è la metà di aprile. Tuttavia, i piani presentati in anticipo prima di allora beneficeranno delle osservazioni e dei suggerimenti della Commissione (e del suo staff notoriamente molto preparato, forse meritevole dell’appellativo in questo caso nettamente positivo: “tecnocrati”).
Quello che i generosi fondi del programma NextGenerationEU consentono all’Italia consiste in un sostanziale e sostanzioso miglioramento del sistema socio-economico italiano. Al proposito, vale la critica che non bisogna dedicare quei fondi al completamento di opere già iniziate, ma ad opere nuove, ambiziose, proiettate nel futuro. Naturalmente è improbabile che un operatore singolo, neanche un grande scienziato, abbia soluzioni ready made, immediatamente proponibili, rapidamente applicabili. Sono convinto che le soluzioni emergerebbero da un confronto/scontro fra cervelli nel quale, certo, ci saranno vincitori e vinti, ma al quale avranno potuto e saputo partecipare tutti senza vantaggi di posizione e senza ricatti.
Nell’ottica della soluzione della crisi di governo, gli apporti di ciascuno e di tutti debbono esser benvenuti purché lungo le direttive sopra esplicitate. Una volta scelti i progetti la maggioranza ha l’obbligo politico e morale di impegnarsi solidalmente alla loro realizzazione. Anche se sarà necessario più tempo di quello che conduce alla fine della legislatura, è assolutamente opportuno che sia subito concordato un patto di legislatura fra le componenti che costituiscono il governo. Quel patto conterrà anche i criteri con i quali valutare l’avanzamento dei lavori, la loro qualità e eventualmente procedere alle necessarie correzioni in corso d’opera.
Come spesso accade nei compositi governi di coalizione, le diverse componenti hanno obiettivi propri, priorità specifiche, idiosincrasie. Da un lato, stanno i Cinque Stelle tuttora alle prese con le dure lezioni della storia (e della politica in una democrazia parlamentare). Dall’altro, stanno il Partito Democratico con i suoi fuorusciti, semplificando drasticamente, a sinistra Liberi e Uguali, a destra, Italia Viva. Purtroppo, il PD non ha saputo fin dal suo primo incedere a dare vita a quella (grande) auspicata casa delle migliori culture politiche progressiste del paese. L’attuale tripartizione è il segno del fallimento di quel progetto. Il recupero, almeno parziale, potrebbe estrinsecarsi nella formulazione di una visione condivisa del paese che vorrebbero e che costruirebbero usando al meglio i fondi disponibili. Certamente, questa condivisione dinamica sarebbe il modo migliore di dimostrare che era utile aprire la crisi di governo e farne una grande opportunità di trasformazione positiva. Non è un sogno, ma una possibilità.
Pubblicato il 6 gennaio 2021 su Domani
La soluzione alla possibile crisi di governo è ancora lontana #intervista @radiopopmilano
Giuseppe Conte cerca di uscire dall’angolo accettando alcune modifiche al Recovery Plan, ma la soluzione della crisi sembra essere ancora lontana. Matteo Renzi rilancia sul Mes. Chiede al Presidente del Consiglio di prendere i miliardi europei sulla sanità. Una condizione che Conte non può accettare perché il M5Stelle non vuole.
Nicola Zingaretti dice di non volere “una crisi dalle soluzioni imprevedibili”. Ma il rischio che le forti tensioni sfocino in una crisi dell’esecutivo è sempre più probabile.
Il politologo Gianfranco Pasquino non fa sconti a nessuno dei protagonisti in questa intervista a Radio Popolare