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Meloni piccona il potere degli elettori @DomaniGiornale

Il referendum costituzionale non ha quorum. Pertanto, la sua validità non dipende dalla percentuale di votanti, dal partecipazione al voto della maggioranza assoluta degli aventi diritto. I Costituenti ritennero che, dopo due letture del testo in entrambe le Camere a distanza di almeno tre mesi, gli elettori avessero/avrebbero acquisito informazioni sufficienti per esprimere, o no, il loro voto. Parlamentari, uomini e donne di partito, associazioni e, non da ultimo, i mezzi di comunicazione di massa, oggi aggiungeremmo le reti, i social, sarebbero stati in grado di suscitare abbastanza interesse e di spiegare l’importanza del voto spingendo alla partecipazione. Opportuno e giusto che gli elettori interessati, informati, partecipanti venissero poi premiati. Chi vota conta e decide se approvare o respingere la revisione costituzionale. Possiamo legittimamente sostenere che almeno una parte degli elettori che non si è recata alle urne lo ha fatto consapevolmente affidando l’esito ai partecipanti.

L’art. 75 della Costituzione stabilisce che il referendum, richiesto per abrogare, in maniera “totale o parziale”, “una legge o un atto avente valore di legge”, è valido “se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto”. L’onere della diffusione dell’informazione sul quesito referendario e sulle conseguenze dell’abrogazione, ma soprattutto l’arduo compito di convincere la maggioranza assoluta dell’elettorato italiano a partecipare al voto, viene posto interamente sulle spalle dei promotori. Sono loro che debbono trovare le modalità operative e le argomentazioni mobilitanti per sconfiggere coloro che fra furbizia e opportunismo si esprimono a favore dell’astensione dal voto.  La furbizia consiste nel trarre vantaggio dall’astensionismo “cronico” già abbastanza elevato che, imprevedibile e non previsto dai Costituenti, conferisce un notevole, immeritato vantaggio iniziale a chi mira ad impedire il raggiungimento del quorum. Sanno che a quorum conseguito perderebbero. Opportunisticamente fanno leva su e sfruttano disinteresse e disinformazione che non sono le migliori qualità degli elettorati in democrazia.

Meglio se le autorità istituzionali, come il Presidente del Senato, non si ponessero alla testa degli astensionisti (ma non sopravvalutiamo il loro seguito). Quanto all’annuncio del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che si recherà al seggio, ma non voterà, non è soltanto uno spettacolo mediatico, una sceneggiata, che verrà coronata da un più o meno grande numero di foto e di riprese televisive. In attesa di saperne di più, che cosa farà Meloni in quel seggio, oltre ad intralciare le operazioni di voto (nel qual caso diventa auspicabile, procedere al suo sgombero), è un modo di deridere chi ha impegnato parte del suo tempo e delle sue energie? Certo non di dare dignità alla politica, di assumersi qualche doverosa responsabilità istituzionali, di riconquistare credibilità anche per gli strumenti, come per l’appunto il referendum, di democrazia diretta.

Intenzionalmente, nell’annunciato comportamento di Meloni non c’è nulla di tutto questo. Piuttosto, si rivela una concezione di democrazia nella quale ridurre comunque il potere degli elettori. Questa concezione si è già manifestata nella forte propensione ad abolire il ballottaggio per le elezioni municipali e regionali, e ha raggiunto il suo culmine nel disegno di legge costituzionale per l’elezione popolare del Presidente del Consiglio, il cosiddetto ”premierato” (pienamente suscettibile di referendum costituzionale) senza che si sappia con quali specifici meccanismi elettorali procedervi. Con tutti condizionamenti esistenti, spetta agli elettori e ai loro rappresentanti eletti cercare di sventare i più o meno sottili tentativi di restringimento della democrazia. Anche se in democrazia si presenteranno altre opportunità, meglio cominciare già dalla occasione offerta dagli imminenti referendum del 8 e 9 giugno.

Pubblicato il 4 giugno 2025 su Domani