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La gradualità delle sanzioni è la strada su cui continuare @DomaniGiornale


Variamente, ma non del tutto, offuscato è in atto sul territorio dell’Ucraina uno scontro di enorme significato fra le democrazie e i regimi non-democratici. Visibilmente, non affatto al di là delle sue intenzioni, Vladimir Putin, capo del regime autoritario russo, vuole provare che le democrazie liberali non sono in grado di difendersi. Sono giunte alla fine della loro traiettoria storica. Xi Jinping, capo del regime totalitario cinese, non sta semplicemente a guardare. Già da qualche tempo progetta la conquista di Taiwan, sistema politico che con la sua esistenza e il suo funzionamento costituisce la prova provata che i cinesi sono tutt’altro che refrattari a istituzioni e pratiche democratiche. Se Putin vince, non mi pare utile cullarsi nell’illusione che una sua vittoria sia assolutamente da escludere, Xi Jinping e con lui tutto il gruppo dirigente della Cina ne trarranno la conclusione che è possibile sfidare con successo le democrazie, con gli USA già alcuni decenni fa memorabilmente definiti una tigre di carta.
Le democrazie dentro e fuori l’Unione Europea sanno che le loro opinioni pubbliche non sono inclini a pensare che la risposta a Putin debba consistere in azioni di guerra. Dunque, comprensibilmente si sono affidati a una vasta gamma a di attività che colpiscano Putin, gli oligarchi, i suoi sostenitori, compreso l’arcivescovo Kirill, patriarca di Mosca e di tutte le Russie e chierichetto (copyright Papa Bergoglio) al servizio di Putin, tanto improvvidamente quanto deliberatamente “salvato” da Orbán. Tutti coloro che hanno letto anche un solo libro sulla guerra sanno che per lo più i contendenti mirano alla proporzionalità delle risposte per evitare qualsiasi pericolosa escalation. La gradualità con la quale l’Unione Europea ha finora provveduto a comminare sanzioni a persone e a cose risponde concretamente al principio della proporzionalità.
Quanto più il conflitto si allarga, con i russi che continuano le loro attività belliche e le estendono, tanto più diventa necessario e ineludibile individuare e colpire le fonti di quelle attività e le risorse che le rendono possibili. Non può sorprendere che ogni Stato-membro dell’Unione valuti le conseguenze delle sanzioni anche con riferimento all’impatto sulla propria economia e sulla capacità di sopportazione della sua società. Poiché non esiste nessuna bacchetta magica che colpisca l’intero apparato produttivo e tutto il sistema economico russo, la gradualità è la strada, già intrapresa, lungo la quale continuare. Al contempo, ma i primi segnali sono visibili, appare indispensabile che a livello di UE si trovino le modalità più eque per la ripartizione dei costi delle sanzioni e ci si impegni a individuare le trasformazioni strutturali che rendano l’Unione tutta e gli Stati-membri meno vulnerabili. Questa è la strada per la cessazione del conflitto. Il resto verrà.
Pubblicato il 4 giugno 2022 su Domani
La legittimità democratica si può perdere
In seguito alla più recente ondata di democratizzazione seguita al crollo dei regimi comunisti non soltanto nei paesi dell’Europa centro-orientale, le democrazie che, pure imperfette, sono, al tempo stesso, elettorali e costituzionali, vale a dire che rispettano i diritti dei loro cittadini, ammontano a poco più di una trentina. A loro si aggiungono all’incirca una quarantina di democrazie elettorali nelle quali i diritti dei cittadini sono poco protetti e ancora meno promossi. La Turchia fa parte di questa seconda categoria, la cui transizione a democrazie costituzionali appare molto complicata. Con riferimento agli avvenimenti in corso in Turchia, è opportuno segnalare che le democrazie elettorali possono retrocedere allo stadio di non-democrazie, di regimi autoritari più o meno blandi, più o meno repressivi.
Da Norberto Bobbio ho imparato che la legittimità a governare può derivare da due modalità: ex titulo e quoad exercitium. Il titolo può essere l’ereditarietà, la nomina ad opera della persona o dell’organismo ai quali è riconosciuto il diritto di effettuarla, i procedimenti elettorali. La legittimità può anche essere acquisita da chi, pur non avendo all’inizio ottenuto il titolo a governare secondo criteri accettabili, dimostri di volere e di sapere governare in maniera tale, con scrupolo, correttezza, equità, a favore del sistema e di tutti, da guadagnarsela. Nelle democrazie elettorali, il titolo a governare è la vittoria conseguita attraverso procedure eque. In qualche, rarissimo, regime autoritario, il leader sostiene di avere acquisito il titolo a governare poiché agisce a favore del popolo, lo rappresenta e opera per il suo benessere. In generale, è lecito dubitarne fino a convincente prova contraria e purché sia garantita la libertà degli oppositori di sfidare i governanti.
Sulla scia del tentato e mancato golpe in Turchia, dopo una breve, non necessariamente preoccupante, esitazione sia i capi dei governi degli Stati-membri dell’Unione Europea sia il Presidente degli Stati Uniti hanno condannato il golpe e ribadito la legittimità del governo del partito di Erdogan. Giusto così. La mobilitazione dei muezzin e dei sostenitori del partito di Erdogan ha fatto il resto contro il golpe, ma, come ha scritto giustamente Luigi Ferrarella (Corriere 18 luglio, p. 31) quella mobilitazione dice qualcosa sulla popolarità di Erdogan, non molto sulla democraticità del suo stile di governo. Anzi, le reazioni successive del governo turco e le dichiarazioni di Erdogan sollevano il quesito se la loro legittimità democratica non meriti di essere messa in discussione.
Gli arresti di massa, presumibilmente, senza mandato e le modalità di detenzione, trasmesse al mondo attraverso ai social, nel non tanto sottile intento di insegnare qualcosa a molti, le estromissioni di migliaia di magistrati dai loro tribunali, i licenziamenti di migliaia di dipendenti pubblici, fintantoché non siano confermate come, immagino, dovrebbero, dalla magistratura, sono tutti comportamenti deplorevoli, probabilmente persino in violazione della legislazione turca vigente. Pertanto, è del tutto lecito sollevare il quesito se Erdogan e il suo governo non stiano perdendo la legittimità a governare quoad exercitium, ovvero a causa delle modalità con le quali esercitano il potere. L’eventuale re-introduzione della pena di morte, “suggerita” dal Presidente al Parlamento, al quale spetta deliberarla, dovrà essere valutata con riferimento ai criteri per la sua applicazione, ma, comunque, blocca, fintantoché durerà, qualsiasi procedura di adesione all’Unione Europea (al momento, non certo una delle preoccupazioni principali di Erdogan).
Senza accondiscendenza e senza ipocrisia, proprio perché gli Stati-membri dell’Unione Europea sono consapevoli di quanto importante politicamente, militarmente, socialmente sia la Turchia, il messaggio sul rispetto dei diritti delle persone deve essere inviato a Erdogan senza indugio. I comportamenti delle organizzazioni da lui guidate e controllate rischiano di diventare rapidamente tali da fargli perdere ai nostri occhi qualsiasi legittimità effettiva a governare il suo paese.
Pubblicato il 27 luglio 2016