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Vi spiego perché Conte non ha intrapreso una deriva autoritaria. A lezione da Pasquino @formichenews
Fermo restando che l’aggettivo più appropriato alle molteplici derive italiane è confusionarie, altri molto diversi e molto più concreti sono i pericoli incombenti. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, un beneducato di talento (parafraso la non dimenticabile valutazione di Renzi, “un maleducato di talento”, scritta qualche tempo fa dall’allora Direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli) ha ancora una volta irretito il Parlamento italiano provocando grande irritazione in Matteo Salvini e Giorgia Meloni (e contenuta preoccupazione in alcuni Dem), chiedendo e ottenendo il prolungamento dei suoi poteri di emergenza fino al 15 ottobre. Poi, chi sa.
Grazie al suo talento e alla sua buona educazione Conte era già riuscito ad irretire il frugalissimo Mark Rutte, e dovremmo rallegrarcene. Ma, come ha saggiamente scritto (o lasciato capire fra le righe) l’Ecclesiaste, c’è un tempo per irretire e un tempo per agire. Il tempo per irretire si presenta spesso; quello per agire arriva e passa. Spesso è poco più di un attimo per l’appunto fuggente. Il primo tempo non può essere usato per irretire il secondo, ma deve, invece, saperlo preparare. Incidentalmente, neppure la sequenza di alcune, tre-quattro richieste, debitamente approvate dal Parlamento, dei poteri di emergenza, può giustificare l’eccitazione dei giuristi allarmisti. No, Conte non arriverà mai alla vetta dei pieni poteri rivendicati da Salvini (è sempre il caso di ricordarglielo al leader della Lega, aggiungendo che, a suo tempo, dalla furente costituzionalista Meloni non pervennero riserve, neppure velate). Non ricordo casi di fondatori di regimi autoritari una delle cui doti fosse la buona educazione. No, Conte non ha intrapreso nessuna deriva autoritaria.
Fermo restando che l’aggettivo più appropriato alle molteplici derive italiane è confusionarie, altri molto diversi e molto più concreti sono i pericoli incombenti. Come irretire gli appetiti dei parlamentari e dei numerosissimi gruppi di pressione, le famigerate lobby, che scalpitano per avere almeno una fetta della enorme torta di fondi europei? Sul punto, temo che il Conte non abbia le idee chiare e che le chiarissime idee delle lobby, Confindustria compresa, non siano propriamente né quello di cui il paese ha bisogno né quello che la Commissione Europea vorrebbe dall’Italia. Un programma di interventi precisi, circostanziati, con tempi, modi, costi, lungo le direttive ecologiche e digitali, per il lavoro e per la ricerca e, magari, anche per la sanità, è quanto bisogna elaborare. Solo parzialmente mi pare lo potrebbe fare il Parlamento nelle cui commissioni di merito pure ci sono donne e uomini competenti (ma la sintesi?). Una Commissione bicamerale, anche eventualmente presieduta da Renato Brunetta, correrebbe due rischi: spettacolarizzazione ad usum dei mass media e scambi impropri fra le diverse “parti” politiche.
Per molte buone ragioni deve essere il governo con i suoi ministri e con le loro burocrazie, che poi valuteremo anche con riferimento alle concrete prestazioni, a formulare il piano. Ad assumersene la responsabilità. A sottoporlo molto tempestivamente al Parlamento nelle molte sedi e nelle molte forme già disponibili. Vedremo allora se la buona educazione del Presidente del Consiglio si estende oltre la sua capacità di equilibrio, di coordinamento, di combinazione di esigenze e preferenze e arriva fino alla innovazione e alla decisione motivata sulle scelte possibili. Ci vuole talento.
Pubblicato il 29 luglio 2020 su formiche.net
Italicum: Renzi gioca d’azzardo ma (stavolta) rischia di perdere
Intervista raccolta da Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net
“Ora tutto dipenderà da come l’Italicum sarà votato: con o senza fiducia e con o senza scrutinio segreto. Renzi sta facendo il giocatore d’azzardo, e in questi casi a volte si vince, ma in altre si perde“. E’ il commento di Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica alla Johns Hopkins University di Bologna. Ieri la commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato la legge elettorale che da lunedì sarà discussa dall’aula di Montecitorio. Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme istituzionali, ha lanciato un appello subito dopo il voto: “I gruppi parlamentari rinuncino a chiedere il voto segreto in aula sulla riforma elettorale”. A stretto giro la risposta di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia: “Sulla riforma della legge elettorale lo strappo lo ha fatto Renzi, deportando dieci suoi parlamentari in Commissione Affari costituzionali“.
Come valuta il testo finale dell’Italicum votato in commissione?
L’Italicum nel corso del tempo è stato migliorato ma ci sono tre punti che potrebbero essere modificati facilmente. Il primo aspetto che andrebbe cambiato riguarda le candidature multiple, che andrebbero subito abolite. I capilista bloccati inoltre fanno sì che due terzi dei parlamentari saranno nominati, e che ciò varrà per il 1 00% dei parlamentari di tutti i partiti esclusi quelli di Pd e forse M5S. La stessa minoranza Pd così può scordarsi di essere nominata o di riuscire a entrare nuovamente in Parlamento. La terza questione riguarda il premio di maggioranza.
Che cosa va cambiato?
Il premio di maggioranza non deve essere attribuito a una lista. I sostenitori dell’attuale formulazione sostengono che la lista è più compatta e quindi garantisce maggiore governabilità. Io al contrario sono convinto che bisogna incentivare la formazione di coalizioni. Altrimenti ci sarà una lista che ha il premio di maggioranza e quattro o cinque “listine” incapaci di fare opposizione. La verità è che, se non cambierà nulla, l’unica opposizione vera che ci sarà nel prossimo Parlamento sarà quella dell’M5S.
Renzi ha mai affrontato prima una prova di forza come quella sull’Italicum?
Renzi affronta soltanto prove di forza. Ha affrontato la prova di forza contro Bersani e quindi quella contro Letta. Se quest’ultimo avesse chiesto a Napolitano di mandarlo alle Camere per fargli votare la sfiducia, le cose sarebbero andate in modo diverso. Il metodo del premier è quello di andare allo sbaraglio, finora è stato fortunato ma sicuramente non continuerà così anche in futuro. Tanto è vero che quando ha tentato la prova di forza con l’Ue non ha ottenuto granché.
Il premier esce indebolito o rafforzato dalla vicenda dell’Italicum?
Da un lato esce leggermente ammaccato perché schiacciare le minoranze implica anche il fatto di subire un calo di popolarità. A qualcuno che pure fa parte della maggioranza del Pd non è piaciuto il modo in cui Renzi ha trattato le minoranze. La sostituzione dei dissidenti in commissione era tecnicamente possibile, ma da un punto di vista politico è stata molto sgradevole. Ora tutto dipenderà da come l’Italicum sarà votato: con o senza fiducia e con o senza scrutinio segreto. Renzi sta facendo il giocatore d’azzardo.
Che cosa accadrebbe se Renzi cedesse e accettasse le modifiche?
Se Renzi cedesse sulle candidature multiple e sui capilista bloccati non succederebbe nulla. La minoranza sarebbe contenta, perché potrebbe finalmente organizzarsi sul territorio e candidare i suoi esponenti. Lo stesso vale se rinunciasse al premio di lista anziché di coalizione, perché se lo volesse, il Pd potrebbe comunque andare al ballottaggio da solo. Quindi siamo di fronte a un incaponimento stupido. Il ministro Boschi ha rimarcato che sono nove anni che aspettiamo la legge elettorale: benissimo, quindi nulla impedisce di aspettare altri due mesi.
Perché Renzi comunque non vuole accettare delle modifiche ragionevoli?
Renzi vuole dimostrare di essere lui a decidere tutto e di essere in totale controllo del partito e dello stesso gruppo parlamentare. Al punto da schiacciare i deputati del Pd e in particolare a obbligare alle dimissioni il capogruppo Roberto Speranza. In questo modo vuole mandare alla gente il messaggio che lui è molto più forte, innovativo e deciso di tutti i suoi predecessori.
Lei prima ha parlato del gioco d’azzardo di Renzi. Che cosa rischia in questo caso?
Se chiede il voto di fiducia e perde, deve dare le dimissioni. Se perde ma senza la fiducia, può ricominciare prendendo atto del fatto che ci sono degli emendamenti che non ha lasciato che fossero discussi in commissione. Se queste integrazioni fossero accettate potrebbero migliorare la legge e consentirne l’approvazione in tempi brevi. Con gli emendamenti che ha presentato, la minoranza sarebbe disposta a votare la legge.
Per Berlusconi, l’Italicum è una legge autoritaria e Renzi è malato di bulimia di potere. Come si spiega questo voltafaccia?
Berlusconi è un opportunista, perché quella legge contiene molte delle cose che lui vuole a cominciare dai capilista bloccati e dalle candidature multiple. Alcuni esponenti legati al Cavaliere non hanno la certezza di essere eletti, e quindi le candidature multiple offrono loro maggiori chance. Lo stesso premio di maggioranza è stato inventato con il Porcellum di Berlusconi e Calderoli. L’Italicum contiene molto del Porcellum, al punto che secondo me è un Porcellinum.
Pubblicata il giovedì 23 aprile 2015