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Il braccio di ferro della Merkel

Premesso che le Grandi Coalizioni non sono il male assoluto, ma una modalità di formazione dei governi nelle democrazie parlamentari, CDU e SPD hanno perso voti non perché protagonisti della Grande Coalizione 2013-2017, ma per le politiche che hanno attuato/sostenuto, in materia d’immigrazione e di politica economica e sociale nell’Unione Europea. Immediatamente ripudiata dal molto sconfitto Martin Schulz, candidato della SPD, la Grande Coalizione è tuttora numericamente possibile. Potrà persino diventare politicamente praticabile. Su un punto, però, Schulz ha ragione da vendere: non si può lasciare il ruolo di opposizione parlamentare (e sociale) ad Alternative für Deutschland. Sbagliano la maggioranza dei commentatori quando molto sbrigativamente etichettano l’AfD come movimento/partito populista. No, primo, non tutto quello che non piace ai democratici sinceri e progressisti è populismo, brutto, cattivo e irrecuperabile. Secondo, la piattaforma programmatica di AfD comprende almeno tre tematiche: i) la difesa dei tedeschi, quelli che parlano il tedesco, hanno precisato alcuni dirigenti del partito, contro l’immigrazione eccessiva e incontrollata accettata/incoraggiata dalla cancelliera Merkel; ii) una posizione più dura in Europa contro gli Stati-membri che sgarrano, ma anche minore disponibilità ad andare a soluzioni quasi federaliste; iii) qualche, talvolta eccessiva, pulsione che non accetta tutta la responsabilità del passato nazista e che, talvolta, ne tenta un (odioso, l’aggettivo è tutto mio) recupero.

Facendo leva solo sulle “pulsioni”, nel passato, partiti di stampo neo-nazista erano riusciti ad arrivare nei pressi della soglia del 5 per cento, rimanendo esclusi dal Bundestag. Insomma, almeno l’8 per cento degli elettori dell’Afd, che ha ottenuto quasi il 13 per cento dei voti, è contro l’Unione Europea com’è e i migranti. Questa posizione è condivisa dai quattro di Visegrad, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Poiché due terzi dei voti di AfD provengono dai Länder della Germania orientale è lecito dedurne che non è stato fatto abbastanza per superare democraticamente culture nazionaliste e xenofobe che i regimi comunisti avevano superficialmente mascherato. Non si cancelleranno quegli infausti retaggi colpevolizzando gli elettori di AfD quanto, piuttosto, premendo sulle contraddizioni interne al movimento/partito. Con ogni probabilità, Angela Merkel farà una coalizione con i Verdi, affidabilmente europeisti, e con i Liberali, blandamente europeisti, direi europeisti à la carte, inclini a sfruttare tutti i vantaggi di cui la Germania già gode pagando il prezzo più contenuto possibile. Qui, rientra in campo, la Cancelliera con il suo potere istituzionale, con il suo appena intaccato prestigio politico, con la sua ambizione personale mai sbandierata a entrare nella storia.

Il lascito del suo mentore, Helmut Kohl, cancelliere per 16 lunghissimi e importantissimi anni 1982-1998, è consistito sia nel successo della quasi fulminea riunificazione sia nella sua infaticabile azione europeista della quale il Trattato di Maastricht e l’Euro sono i due più luminosi risultati. Vorrà la Cancelliera uscire a testa alta dal suo lungo periodo di governo avendo operato per spingere l’Unione Europea ancora più avanti in termini economici e sociali, se non anche politici? L’asse franco-tedesco non può in nessun modo essere messo in discussione. Allora, l’interrogativo è se, consumata la Brexit, Italia e Spagna sapranno cogliere l’opportunità di inserirsi costruttivamente nei rapporti fra la Germania della Merkel e la Francia di Macron. La consapevolezza che nessuno dei grandi problemi, economici e sociali, può essere risolto dagli Stati nazionali e dai “sovranisti” più o meno populisti potrà costituire l’elemento comune per inaugurare le politiche europee necessarie. È un compito per il quale la Merkel, politicamente indebolita, ma oramai liberata dall’esigenza di prossime campagna elettorali, è in grado di attrezzarsi e di svolgere.

Pubblicato AGL il 26 settembre 2017

L’Europa e i suoi nemici

L’Unione Europea ha un Alto Rappresentante per la Politica Estera, l’italiana Federica Mogherini, ma gli Stati-membri continuano a mantenere ampi spazi per la loro politica estera e fanno grande fatica (è un eufemismo) a coordinarsi proprio quando il problema da affrontare è serio. Il caso recente più emblematico è rappresentato dalle sanzioni alla Russia per il suo intervento negli affari interni dell’Ucraina. L’Unione Europea non ha una politica di difesa comune. L’ironia, questa volta molto triste, della storia, è che la Comunità Europea di Difesa fu bocciata nel 1954 proprio dai francesi, più precisamente da una strana, ma facilmente comprensibile, alleanza di gollisti (fortemente nazionalisti) e di comunisti (ancor più fortemente pro-sovietici). In seguito, la Francia del Generale Presidente Charles de Gaulle, dotatasi per ragioni di prestigio dell’arma nucleare, la force de frappe, pose praticamente la parola fine a qualsiasi progetto di difesa comune. [Un grande studioso di Relazioni Internazionali, ottimo conoscitore della Francia, recentemente scomparso, dopo avere insegnato a Harvard per più di cinquant’anni, Stanley Hoffmann criticava questo e altri comportamenti degli stati europei bollandoli come “ostinati e obsoleti”.] Oggi, il Presidente socialista François Hollande, in uno dei momenti più drammatici della storia della Francia contemporanea, ha annunciato di volere fare ricorso ad un articolo del Trattato dell’Unione europea che consente a ciascun Stato-membro di chiedere sostegno anche militare agli altri Stati-membri. Hollande non può (probabilmente neppure vorrebbe) coinvolgere la Nato nelle azioni militari francesi poiché nel lontano 1966 il Presidente de Gaulle decise di uscire dalla componente militare dell’alleanza. La Francia procederà a incontri bilaterali con tutti i capi di governo degli Stati-membri dell’Unione che dichiarino la loro disponibilità a partecipare ad azioni militari con la Francia e a sostenerla.

La risposta di Renzi è stata complessivamente positiva, ma saranno poi le concrete richieste di Hollande la base sulla quale valutare l’effettiva disponibilità italiana. Per di più, Renzi ha in qualche modo spostato l’attenzione affermando che la guerra all’ISIS non può essere risolutiva e deve essere accompagnata da altre modalità di intervento. L’idea che i terroristi anche quelli dell’ISIS e coloro che reclutano in Europa sono il prodotto di situazioni di intenso disagio sociale, di emarginazione, della disperazione non trova fondamento convincente. La manovalanza è attirata anche dalla possibilità di uscire da luoghi e ambienti, le banlieues parigine, un quartiere di Bruxelles, brutte cittadine nei dintorni di Londra, e di andare a distruggere coloro ritenuti responsabili del loro malessere. La maggioranza dei terroristi, certamente i capi e i coordinatori, non sono mossi né dal disagio né dall’emarginazione (i veri emarginati sono talmente isolati da non entrare neppure in contatto con i reclutatori). L’ISIS è un progetto politico che, nella sua ambizione: ricostruire il Califfato, un potente Stato islamico, ha enorme potere d’attrazione. Pensare che quel progetto, più o meno sostenuto e predicato da una moltitudine di imam nelle moschee del Medio-Oriente e di alcuni paesi europei, possa essere sconfitto, in tempi brevi, creando opportunità di lavoro oppure attraverso l’istruzione, è assolutamente illusorio. La guerra che la Francia e la Russia hanno lanciato contro l’ISIS e le sue basi è necessaria. Dovrà essere accompagnata, come ha detto a chiare lettere quel realista che è Putin, dal taglio dei finanziamenti all’ISIS moltissimi dei quali provengono da stati arabi, in primis l’Arabia Saudita e il Qatar, che si pagano, non sempre con successo, la loro sicurezza domestica. [Quanto ai i paesi produttori di armi, fra i quali, anche la Francia e l’Italia, dovrebbero riflettere su quello che fanno e quello che vendono].

Qualcuno ha frequentemente sostenuto che l’unificazione politica di più paesi è facilitata dall’esistenza di un nemico potente e vicino. L’Unione Sovietica è stata a lungo quel nemico per l’Europa che, infatti, fino al 1989, anzi, al 1990, riunificazione tedesca, è gradualmente cresciuta nell’integrazione. Dopo il 1989, gli Stati-membri dell’Unione hanno sacrificato l’approfondimento dell’integrazione politica all’allargamento dell’Unione con la conseguenza che Polonia, Repubblica Ceca, Slovakia e Ungheria non pensano affatto di dovere accettare alcune politiche europee comuni, in specie quella sulla redistribuzione degli immigrati. E’ possibile che l’ISIS, il nuovo nemico, facilmente entrato in un continente che giustamente si vanta di essere aperto, serva ad accelerare e ad approfondire l’unificazione politica dell’Europa.

Pubblicato AGL 19 novembre 2015

Liste bloccate? ma mi faccia il piacere!

Il voto di preferenza è, come sostengono alcuni professoroni non soltanto costituzionalisti, “un’anomalia tutta italiana”?

Sbagliato!

Come dimostra chiaramente la tabella preparata dal mio allievo Marco Valbruzzi, soltanto quattro paesi su ventuno condividono quella che non è “un’anomalia”, ma una scelta politicamente e elettoralmente rilevante.

Per non consegnare i prossimi parlamentari nelle mani di Renzi e di Berlusconi, la battaglia per almeno una preferenza è cosa buona e giusta.

clicca sulla tabella per espanderla

tabella Valbruzzi

Se escludiamo i casi in cui la “rappresentanza personale” deriva dal collegio uninominale (Francia, Regno Unito, in parte Germania e Ungheria) o dal ricorso al Voto Singolo Trasferibile (Irlanda e Malta), i paesi che restano fuori, a far compagnia all’Italia, sono: Spagna, Portogallo, Romania, Bulgaria e Croazia.