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Premierato all’italiana: semplicemente una riforma sbagliata #intervista #Resistenza&Antifascismo @ANPI_Modena

di Chiara Russo
Intervista al professor Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza Politica e socio dell’Accademia dei Lincei, esperto Costituzionalista
La riforma costituzionale che introduce il premierato, approvata dal Consiglio dei Ministri il 3 novembre 2023, ha suscitato un intenso dibattito politico e sociale. Quali sono le ragioni, le sfide e le critiche di questa riforma? Per approfondire il tema, abbiamo intervistato il professor Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza Politica e socio dell’Accademia dei Lincei. In materia di riforme istituzionali ha scritto molto: Restituire lo scettro al principe (Laterza 1985) e Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate (Università Bocconi Editore, 2015).
“Madre di tutte le riforme”, ma anche “confusa e pericolosa per la Repubblica”: Qual è il suo giudizio sulla riforma che mira a introdurre il premierato?
La riforma è sbagliata. Non è un caso che il premierato non esista da nessuna parte al mondo. Per tre volte 1996, 1999, 2001, l’elezione popolare diretta del Primo ministro è stata fatta in Israele per motivazioni simili a quelle di Meloni: dare potere ai cittadini e conferire stabilità al governo e al suo capo. Non ha funzionato ed è stata abbandonata. Non c’è nessuna ragione per la quale il Premierato funzionerebbe in Italia. L’esecutivo stabile lo hanno i presidenzialismi e i semipresidenzialismi, ma poi la loro operatività dipende dalle qualità dei Presidenti e dal sistema dei partiti. Esistono anche non poche democrazie parlamentari con capi di governo in carica a lungo, soprattutto la Germania. Anche in Italia abbiamo avuto Presidenti del Consiglio in carica continuativamente per non pochi anni: De Gasperi 8; Moro 4; Craxi 4; Berlusconi 5; Andreotti tanti/troppi, con risultati nient’affatto sempre criticabili. Quel che passava il convento della politica. Aggiungo che il pregio delle democrazie parlamentari è la loro adattabilità.
La riforma prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Quali le implicazioni per la democrazia italiana?
Per la “democrazia” italiana in quanto alla sua esistenza nessuna implicazione; per il suo funzionamento sono immaginabili sia più tensioni e conflitti fra persone e partiti sia l’immobilismo del leader al governo –poche decisioni per non scontentare la sua maggioranza e non venire sostituito- e del suo successore la cui caduta porterebbe a nuove elezioni. La riforma potrebbe permettere al Presidente del Consiglio dei Ministri di scavalcare le funzioni legislative dell’emiciclo a colpi di dpcm? Ciò come potrebbe influenzare l’equilibrio dei poteri? Sono anni, forse decenni che i governi italiani operano colpevolmente, ma con l’acquiescenza del Presidente della Repubblica, “a colpi di” decreti e di dpcm. La riforma non tocca i rapporti esecutivo/legislativo che in una democrazia parlamentare sono cruciali. Questa mancanza è molto grave. Peggio, non c’è nulla sul Parlamento.
C’è chi ha definito il Premierato proposto dal governo Meloni “anomalo” rispetto, ad esempio, a Germania e Israele. Potrebbe spiegarne il motivo?
Le forme di governo parlamentare hanno tutte una struttura comune, il governo deve avere e mantenere la fiducia del governo, e elementi peculiari. Di Israele ho già detto. In Germania e in Spagna, rispettivamente il Cancelliere e il Presidente del governo sono eletti a maggioranza assoluta dalla Camera bassa e possono essere rimossi dalla maggioranza assoluta. In Gran Bretagna, il Primo ministro è il capo del partito che ha la maggioranza alla Camera dei comuni. Imitare la Gran Bretagna non è possibile a meno di cambiare il sistema elettorale e forse non basterebbe. Bisognerebbe anche importare una monarchia virtuosa (come in Spagna). Il premierato proposto è anomalo perché è un pasticcio altrove inesistente, ma soprattutto perché un Primo ministro “eletto dal popolo” non può/non deve assolutamente essere sostituito neanche dalla sua stessa maggioranza. Bisogna tornare dal popolo.
Quale sorte toccherebbe al Capo dello Stato?
Il Presidente della Repubblica perde logicamente i due poteri istituzionali più importanti: non nominerà più, se non formalmente, il Presidente del Consiglio, ma ratificherà la sua elezione popolare diretta, e poi anche la sua eventuale sostituzione; non potrà decidere se e quando sciogliere o, soprattutto, non sciogliere il Parlamento. Perderà anche un potere “minore” quello di nominare senatori/trici a vita. Poi toccherà ai giudici costituzionali … Infine, a fronte di un Primo ministro legittimato dall’elezione popolare, lui, il Presidente della Repubblica, avrà una legittimazione inferiore, derivante “solo” dalla maggioranza parlamentare, talvolta “artificiale” perché diventata tale grazie al premio in seggi.
La riforma prevede un nuovo sistema elettorale che assicura al partito o alla coalizione del Premier il 55% dei seggi parlamentari. Odore di incostituzionalità come per l’“Italicum”?
Puzza ammorbante di incostituzionalità, ma anche di manipolazione di una legge elettorale che dovranno pure riscrivere. Sembrerebbe che stiamo tornando alla legge truffa del 1953, sapendo che si può fare molto peggio. Per intenderci il premio, se dev’esserci, va assegnato con un ballottaggio (elaborerò a richiesta). La riforma prevede l’abolizione dei senatori a vita di nomina quirinalizia. Quali le conseguenze di questa decisione sul Senato? Poiché nel 1987 come Senatore della Sinistra Indipendente presentai un disegno di legge per l’abolizione dei Senatori a vita, tutti, compresi gli ex-Presidenti della Repubblica, non ho osservazioni tranne che la rappresentanza politica è elettiva, non di nomina, e che si possono trovare altre modalità per riconoscere e premiare le persone eccellenti, non i politici, che hanno contribuito alla cultura e alla società in Italia e nel mondo.
La riforma prevede che un altro premier possa subentrare al presidente del Consiglio a patto che sia sostenuto dalla stessa maggioranza: norma antiribaltone per produrre stabilità politica o secondo lei stiamo rinunciando alla democrazia in cambio della governabilità?
Non è in gioco la democrazia. Sono in gioco l’intelligenza politica e la coerenza istituzionale. Troppi non ne sono mai stati in possesso, molti vi hanno rinunciato per ottenere e mantenere qualche brandello di potere. I ribaltoni, cioè i cambi di coalizione, anche di maggioranza, sono un elemento essenziale della politica democratica: costruire coalizioni politicamente rappresentative e operative.
Approvazione dalle Camere prima delle elezioni europee o si andrà al Referendum?
Sono due domande diverse. Alla prima rispondo che la maggioranza cercherà un facile successo prima delle elezioni europee quando spero che il Partito Democratico farà stagliare alto/ issimo il suo profilo di partito europeista. Alla seconda domanda rispondo che gli oppositori della riforma hanno il dovere politico e morale di chiedere il referendum costituzionale, pertanto non “confermativo”, ci mancherebbe, ma ostilmente oppositivo, affinché gli italiani si esprimano su una riforma che peggiorerebbe il funzionamento, già non soddisfacente, del sistema politico. Buona regola è che chi perde il referendum sulla “madre di tutte le riforme” si dimetta e vada coerentemente a casa. Quel voto “No” delegittima chi ha voluto e fatto la riforma respinta.
Pubblicato su Resistenza & Antifascismo Periodico edito dall’ANPI provinciale di Modena, Anno XXXIV N. 4 dicembre 2023