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La vera sfida è fra chi vuole più Europa e chi meno @DomaniGiornale

Più Europa vuole significare molte cose diverse, tutte utili, alcune urgenti e importanti, giustamente impegnative. Può anche essere un modo per presentare una lista e per fare campagna elettorale. Le elezioni europee non dovrebbero essere ridotte ad un duello televisivo del quale, francamente, chi crede che la politica, in particolare quella italiana, non abbia bisogno di personalismi, può profittevolmente fare a meno. Semmai, l’alternativa il 9 e 10 giugno è con maggiore nettezza rispetto a tutte le elezioni precedenti, proprio fra chi vuole più Europa, sì, anche decisamente nel senso federale, e chi vuole fare retrocedere l’Europa, esplicitamente i sovranisti di destra e, furbescamente, anche non pochi sovranisti che si autocollocano a sinistra. Le argomentazioni dei sovranisti sono meno Europa affinché le nazioni non perdano le loro identità e i loro, aggiunta mia, egoismi nazionalisti che non sono mai forieri di pace e neanche di prosperità poiché implicano conflitti/guerre commerciali, tariffarie et al.
Più Europa è quanto, seppure con remore e inadeguatezze, con retropensieri e timori, l’attuale maggioranza nel Parlamento europeo ha perseguito e spesso conseguito. Dovrebbero gli esponenti e i partiti di quella maggioranza rivendicare quanto fatto nel, da molti punti di vista, drammatico quinquennio 2019-2024. Sottolineare quello che è mancato risulta produttivo se non è soltanto pur benemerita assunzione di responsabilità, ma è proposta di come e su quali ambiti e terreni andare avanti. Certo, chi crede nella necessità di una difesa comune non dovrebbe candidare uomini e donne che Giovanni Sartori definiva “ciecopacisti”, ma chi a quella difesa crede e sa contribuire. La difesa comune è tematica che non deve affatto togliere attenzione e spazio ai problemi economici, alla competitività, ma anche alla sanità e alla tassazione e a tutto quello, ovvero molto di quanto argomentato nelle ricognizioni effettuate da due ex-capi di governo italiani: Enrico Letta e Mario Draghi, e relative proposte. Riconoscimento molto gratificante alle capacità e alle storie personali e professionali di due italiani che a più Europa credono e per più Europa hanno coerentemente lavorato.
Più Europa significa anche non solo prendere atto che un certo numero di paesi geograficamente europei desiderano fortemente entrare nell’Unione Europea attualmente esistente che ritengono di enorme aiuto alla loro democrazia e ai loro sistemi economici e sociali. Significa anche che la consapevolezza che la missione intrapresa dai fondatori di questa Europa, citerò Altiero Spinelli e Jean Monnet, insieme a Robert Schumann, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Paul-Henri Spaak, mirava all’unificazione politica dell’intero continente. Decenni dopo il Presidente francese François Mitterrand disse che la “sua” Europa andava dall’Atlantico agli Urali. Più Europa significa anche accogliere questa sfida.
Infine, la mia interpretazione di più Europa non si limita a, userò tre verbi suggestivi del linguaggio europeista di qualche tempo fa, ma a mio parere tuttora validi e pregnanti per indicare un percorso europeo: allargare, approfondire, accelerare nel difficile equilibrio che implicano. Significa anche che ciascuno Stato-membro dovrebbe diventare più europeo al suo interno. Meno spendaccione e un po’ frugale, ma c’è molto di più, ad esempio, combattere e ridurre la corruzione, grande male infettivo, e migliorare la qualità della sua democrazia anche guardando alle istituzioni e ai sistemi di partiti che funzionano meglio. In materia il provincialismo italiano nel dibattito sul premierato ha raggiunto livelli insopportabili, comunque derivanti da conoscenze comparate insufficienti, per l’appunto da meno Europa, malamente e colpevolmente meno europee.
Pubblicato il 15 maggio 2024 su Domani
Gli intellettuali europei non si occupano più d’Europa #CoFoE @DomaniGiornale
Con una (in)certa regolarità gli intellettuali vengono (giustamente) criticati per i documenti che firmano, per le frasette che twittano, per quello che dicono nei salotti televisivi. Spesso sono intellettuali contro intellettuali. Qui, invece, indirizzerò il tiro della critica ad un loro grave silenzio, quello che riguarda l’Unione Europea, l’Europa. Domenica 9 maggio, 71esimo anniversario della dichiarazione del Ministro degli Esteri francese Robert Schumann che portò alla nascita della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA), prenderà il via una ambiziosa Conferenza sul Futuro dell’Europa. La Commissione europea intende così perseguire gli obiettivi di “coltivare, proteggere, rafforzare la democrazia europea”, mirando a coinvolgere al massimo i cittadini europei in una molteplicità di modi, fino a forme di democrazia deliberativa che ne incoraggino e valorizzino la partecipazione e l’influenza sulle decisioni europee. Non ho letto, non ho sentito, non ho visto commenti rilevanti ad opera degli intellettuali europei. Non ne sono sorpreso.
Sono passati tantissimi anni da quando il grande studioso Raymond Aron, tanto raffinato quanto scettico, scrisse il libro In difesa di un’Europa decadente (Mondadori 1978) criticando più o meno indirettamente i suoi colleghi non solo francesi. Probabilmente, l’esempio più alto di discussione fra intellettuali pubblici e di analisi e proposta fu scritto dal sociologo Ralf Dahrendorf, tedesco, e dagli storici François Furet, francese, e Bronislav Geremek, polacco: La democrazia in Europa (Laterza 1992). L’assenza di un intellettuale italiano non è causale, ma riflette lo stato dell’arte. I grandi intellettuali italiani si sono sostanzialmente disinteressati dell’unificazione politica europea, che, pure, è un evento di portata “epocale”. Studiosi certamente tutt’altro che provinciali, presenti e famosi sulla scena europea, frequentemente invitati a importanti convegni, come Umberto Eco, Norberto Bobbio, Giovanni Sartori, non hanno dedicato nessuno studio specifico alla cultura e alla politica europea. Difficile spiegare il loro disinteresse. Hanno dato per scontato il processo di unificazione europea? Erano delusi dalla sua apparente lentezza? Non ne ritenevano importanti le acquisizioni in materia di pace, di diritti, di democrazia che motivarono l’assegnazione all’Unione Europea del Premio Nobel per la Pace nel 2012?
Neanche i grandi scrittori italiani, faccio solo due esempi: Leonardo Sciascia e Claudio Magris, hanno dedicato la loro attenzione letteraria e culturale e le loro non rare prese di posizione politica alla discussione dell’Europa che c’è, alla progettazione dell’Europa che vorrebbero. Questa assenza degli intellettuali che riflettano sull’Europa, che contribuiscano al dibattito pubblico, che arricchiscano il discorso su quel che viene fatto bene, non viene fatto, è stato fatto male, non riguarda, però, soltanto gli italiani. Ė possibile sostenere che l’ultimo grande influente intellettuale che si confronta con l’Europa, che ha una certa idea di Europa è l’ultranovantenne sociologo e filosofo tedesco Jürgen Habermas. Mi viene in mente soltanto un altro nome, quello del saggista Timothy Garton Ash, di Oxford, autore di notevoli libri sulle opposizioni nei regimi comunisti dell’Europa centro-orientale e sull’imperfetta transizione di quei paesi alla democrazia. La Conferenza sul Futuro dell’Europa avrà tanto più successo quante più idee entreranno in circolazione. Ė una grande opportunità anche per gli intellettuali europei di dimostrare che intendono e sanno contribuire ad un futuro migliore.
Pubblicato il 5 maggio 2021 su Domani
