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Sarebbe un errore fatale rendere essenziale l’alleanza con i 5Stelle… #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Riccardo Tripepi
Con l’avvicinarsi delle prossime elezioni regionali, si intensifica il clima da campagna elettorale e per quel che attiene il centrosinistra, si discute sulle reali possibilità del campo largo in sperimentazione di strappare qualche regione al centrodestra e, soprattutto, sulla tenuta dell’alleanza tra Pd, Movimento 5 Stelle e le forze centriste. L’ennesimo scontro tra il leader di Italia Viva Matteo Renzi e l’omologo di Azione Carlo Calenda, da questo punto di vista, non fa ben sperare. Per analizzare lo scenario in continua evoluzione abbiamo discusso con Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica e autore del saggio In nome del popolo sovrano – Potere e ambiguità delle riforme in democrazia.
Professore, come si presenta il centrosinistra in vista delle prossime elezioni regionali?
Il centrosinistra, per una volta, si presenta meglio del solito. Non ci sono state rotture irreparabili, e le marce di avvicinamento fra le diverse componenti sembrano più convincenti che in passato. Non tutto è risolto, ma si aprono degli spiragli per riuscire a fare qualcosa in più rispetto al recente passato. Penso che il centrosinistra possa giocarsi la vittoria in quattro o cinque regioni. Se riuscisse a conquistare anche la Calabria, sarebbe un risultato di grande rilievo. La partita in Veneto, invece, sarà molto più difficile. Nel complesso, però, arriva a questa tornata elettorale in condizioni migliori rispetto alle precedenti.
Matteo Renzi, dalla sua newsletter, ha indicato come «indispensabile» un’alleanza con i Cinque Stelle per costruire un vero campo largo. È d’accordo?
L’alleanza con i Cinque Stelle è importante, ma non dev’essere vista come una condizione imprescindibile. Il centrosinistra non può permettersi di dipendere interamente da questa intesa. La retorica che rende il Movimento Cinque Stelle “essenziale” per qualsiasi campagna o strategia elettorale è sbagliata. Sono alleati importanti ma non sono da considerare fondamentali per ogni campagna elettorale e per ogni elezione. Gli accordi vanno poi verificati caso per caso.
Il leader di Azione Carlo Calenda ha reagito con durezza alle parole di Renzi, dicendo che Azione non sosterrà mai candidati comuni con i Cinque Stelle…
Calenda reagisce male per abitudine, direi quasi per riflesso. Ma non è mai in grado di proporre un’alternativa credibile. È sbagliato porre veti perfino all’inizio della discussione. E sbaglia anche nel valutare il proprio peso politico: si illude di essere decisivo, ma finora è stato determinante solo nelle sconfitte. Un atteggiamento costruttivo sarebbe quello di contribuire alla definizione di candidature e programmi credibili, non certo quello di alzare barricate.
Lo stato di salute dei rapporti tra Pd e Movimento 5 Stelle, invece, come lo valuta?
Deve ancora migliorare. Le alleanze regionali e comunali dovrebbero essere decise in base alle dinamiche locali, non imposte dall’alto. È un errore che Conte e Schlein non devono commettere. Ogni territorio ha le sue peculiarità, e gli accordi vanno costruiti sul campo, coinvolgendo i gruppi dirigenti locali. I diktat nazionali producono solo risentimenti e fallimenti.
Per qualche interprete Pd e Movimento Cinque Stelle si stanno dividendo il Paese: il Pd punta al Centro- Nord, il Movimento al Sud, puntando anche al reddito di dignità regionale, parente stretto del reddito di cittadinanza. È così?
Può succedere che si formino queste dinamiche. Ma non bisogna esagerare con le semplificazioni. Prendiamo l’esempio di Roberto Fico in Campania: non mi pare stia interpretando una linea che punti esclusivamente verso politiche di tipo assistenzialista. È chiaro che al Sud servano anche politiche di sostegno, ma non ci si può fermare lì. Serve una strategia di sviluppo, una visione strutturata. Diversamente, si perpetua l’idea che il Sud sia solo una terra da aiutare e non da valorizzare. Ma non mi sembra strano che si offra sostegno alle aree più deboli del Paese.
E il centrodestra? Come arriva a questa tornata elettorale?
Il centrodestra parte da una posizione di forza: è al governo e ha una leader indiscussa, Giorgia Meloni, che riesce a tenere insieme la coalizione e a controllare tutto. I suoi vice Antonio Tajani e Matteo Salvini non sono in grado di insidiarle la leadership. E poi i leader del centrodestra sanno perfettamente che devono stare insieme, non uniti, per vincere. Questo garantisce stabilità all’alleanza che può anche concedere qualche sciagurato giro di valzer a qualche attore e soprattutto a Matteo Salvini che ha bisogno di visibilità. Alla fine, però, si ricompattano sempre.
Secondo lei il risultato delle elezioni regionali può influire sulla tenuta del governo Meloni?
Credo di no. Il governo deve andare avanti sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Le elezioni regionali hanno una loro dinamica distinta e non determinano automaticamente ripercussioni sulla tenuta dell’esecutivo. Vale per qualsiasi maggioranza, di destra o di sinistra: governare significa assumersi la responsabilità di guidare il Paese, indipendentemente dall’esito delle consultazioni locali.
Pubblicato il 27 agosto 2025 su Il Dubbio
Perché il richiamo di Mattarella è necessario. La versione di Pasquino @formichenews

Il richiamo del Presidente Mattarella al non ricorso ai manganelli per mantenere l’ordine pubblico è totalmente conforme allo spirito della Costituzione italiana e, aggiungo con una sommessa enfasi retorica, della sua democrazia fintantoché sapremo preservarla. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei
Le immagini degli agenti di polizia che, a Pisa più che a Firenze, manganellano giovani studenti delle scuole superiori, sono conturbanti anche per me, uomo d’ordine. Ho cercato di guardare nei dettagli quelle immagini variamente trasmesse. Non ho visto né passamontagna né sbarre e bastoni che mi avrebbero permesso di diventare “pasoliniano”: studenti di famiglie borghesi contro poliziotti di origine proletaria. Quindi, posso schierarmi con quel borghese del Presidente della Repubblica “l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli” e “con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». Mi permetto di non citare le prevedibilissime, non impara mai niente, parole di Matteo Salvini. Mi preoccupano, invece, quelle di Antonio Tajani: “sanzionare chi ha sbagliato, ma le forze dell’ordine non si toccano”. Se alcuni appartenenti alle forze dell’ordine hanno sbagliato, opportuno e giusto che vengano sanzionate. Punto.
Il Presidente Mattarella ha parlato in piena conformità con il dettato costituzionale. All’art. 87 sta scritto che il Presidente della Repubblica “rappresenta l’unità nazionale”. I manganelli sui volti e sulle schiene degli studenti che manifestano incrinano quell’unità nazionale che si fonda anche sulla libertà di espressione e di dissenso esplicitato in forme non violente. Sappiamo che molte telefonate fra i responsabili istituzionali avvengono in maniera riservata. La telefonata intercorsa con il Ministro Piantedosi è stata resa pubblica perché riguarda i rapporti fra cittadini e le forze dell’ordine. Non può essere interpretata come critica puntuale dell’operato di quelle specifiche forze di polizia, non come riprovazione generale del governo. Quindi, sarebbe stato meglio se tanto Salvini quanto Tajani avessero scelto la apprezzabile opzione del silenzio. Il Presidente ha voluto anche fare un richiamo più ampio a comportamenti che non debbono essere mai tollerati.
Leggo interpretazioni fantasiose secondo le quali Mattarella avrebbe/ha inteso procedere ad un “assaggio” di quello che potrebbe succedere se la riforma del premierato elettivo andasse in porto. Quella riforma toglierebbe al Presidente della Repubblica due poteri istituzionali significativi, vale a dire quello di nominare il Presidente del Consiglio e quello di sciogliere, ancor più di non sciogliere, il Parlamento. La riforma, per quanto sbagliata e piena di azzardi, non toglie la parola al Presidente. Personalmente nutro molti dubbi sull’attribuzione a Mattarella di operazioni subdole con inconfessabili fini. Il premierato elettivo, una volta approvato, dovrà essere valutato con riferimento alla costituzionalità delle sue clausole, alcune delle quali, attualmente, alquanto pasticciate. Il richiamo del Presidente Mattarella al non ricorso ai manganelli per mantenere l’ordine pubblico rimarrà comunque necessario poiché è totalmente conforme allo spirito della Costituzione italiana e, aggiungo con una sommessa enfasi retorica, della sua democrazia fintantoché sapremo preservarla.
Pubblicato il 26 febbraio 2024 su Formiche.net
Le elezioni sono una cosa seria. I partiti puntino sul merito @DomaniGiornale

Condotto da più parti, dalla destra in maniera più agguerrita e diversificata, è in corso un attacco ad alcune regole formali e informali, ma anche sostanziali, che riguardano il funzionamento delle istituzioni e il modo di fare politica in democrazia. Il primo versante dell’attacco riguarda le candidature per le elezioni europee e, in misura minore, per le elezioni regionali. Qualsiasi discorso sulle candidature europee deve sempre cominciare sottolineando, ad avvertimento dei lettori e degli elettori, che esiste incompatibilità fra la carica di parlamentare europeo e quelle di parlamentari e governanti nazionali. Dunque, eletti ed elette dovranno optare per una delle cariche e se optassero per rimanere in Italia l’inganno perpetrato ai danni di chi le ha votate dovrebbe essere subito stigmatizzato. A maggior ragione quando la candidatura europea fosse utilizzata, non solo come test di popolarità, ma come modo per conquistare voti: la tentazione di Meloni. Suggerirei anche di non rivangare candidature europee passate di leader nazionali di vari partiti, poi ovviamente rimasti in Italia. Sono tutti pessimi esempi. L’uso strumentale delle elezioni europee non è destinato a rafforzare il ruolo dell’Italia, dei suoi europarlamentari e poi del suo Commissario proprio quando i prossimi cinque saranno densissimi di appuntamenti importanti e scelte decisive: riforma dei trattati e allargamento. Per l’appunto, il dibattito politico merita di centrarsi sulle posizioni e sulle proposte dei candidati e sulle loro competenze e capacità relative in special modo a quelle due grandi tematiche.
Anche nel caso delle elezioni regionali, è opportuno, nella misura del possibile, procedere alla valutazione delle prestazioni, il passato, e delle promesse/proposte delle (ri)candidature. Naturalmente, i Presidenti uscenti si presentano con un bilancio più facile da analizzare e da lodare/criticare delle proposte degli sfidanti. Già questa operazione di confronto sarebbe molto utile e offrirebbe agli elettori materiale in grado di consentire un voto meglio fondato e più consapevole. Invece, il discorso dei dirigenti di partito, soprattutto quelli facenti parte della coalizione di governo, sembra orientato verso due elementi. Primo, il riequilibrio che andrebbe a scapito della Lega e a favore di Fratelli d’Italia e, secondo, la ridefinizione del numero dei mandati consentibili.
Sul primo punto, la questione non può non essere affidata ai rapporti di forza, ma risulterebbe molto più convincente e meno particolaristica se, come sopra, fossero utilizzati criteri che privilegiano le capacità di governo che i candidati poi vittoriosi saprebbero mettere all’opera per migliorare la vita degli elettori tutti. Qui entra in campo il criterio del buongoverno che, secondo alcuni, dovrebbe essere anteposto e prevalere sulla regola dei due mandati. Inevitabilmente, il dibattito si sposta sui nomi. In ballo non sembra essere Stefano Bonaccini, il Presidente della Regione Emilia- Romagna, in scadenza, forse pronto ad un fecondo passaggio al Parlamento europeo, quanto Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto. La Lega non vuole rinunciare a quella Presidenza. Chiede quindi la possibilità di un terzo mandato per Luca Zaia con la motivazione che ha molto ben governato e che sarebbe un danno per i veneti se fosse costretto a lasciare. In subordine, ma difficile dire quanto, Zaia “rischia” di diventare uno sfidanti di Salvini per la guida della Lega.
La regola del due mandati per le cariche di sindaco e di Presidente di regione (a futura memoria anche per i capi dell’esecutivo nazionale, se eletti direttamente dal “popolo”) mira ad impedire incrostazioni di potere, al formarsi di reti di sostegno intorno all’eletto che lo favoriscano, ma anche che siano in grado di condizionarlo. Del terzo mandato (poi anche del quarto…) se ne potrebbe discutere, ma non in corso d’opera. Come e più che per le elezioni europee, adesso appare preferibile discutere dei contenuti e rimandare la riforma delle regole a bocce ferme. Meno opportunismo più rispetto delle regole vigenti producono una politica migliore.
Pubblicato il 17 gennaio 2024 su Domani
Pasquino: “Schlein e Conte discutono su tutto. E Meloni governa…” #intervista @ildubbionews


Il professore critica l’atteggiamento della segretaria del Pd e del leader del M5S: “Sono entrati in uno stallo dal quale è difficile uscire, perché servirebbe una fantasia che non hanno”. Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, commenta i recenti screzi tra Pd e M5S e spiega che «nessuno si sta impegnando affinché gli elettorati dei due partiti capiscano che o si mettono insieme o resteranno all’opposizione per i prossimi dieci anni».
Professor Pasquino, Calenda lamenta la fine del dialogo con Pd e M5S sulla sanità, dopo le convergenze sul salario minimo: l’opposizione riuscirà a trovare altre punti d’incontro?
Da quello che vedo mi pare che né Schlein né Conte né gli altri, tra cui Calenda, abbiano una strategia. Operano giorno per giorno reagendo in maniera non particolarmente brillante a quello che fa il governo. La battaglia sul salario minimo è stata una cosa buona, visto che sono giunti a una specie di accordo di fondo ponendo il tema sull’agenda governativa, ma poi non si è visto altro.
Pensa che sia una questione di posizionamento in vista delle Europee?
C’è sicuramente competizione tra i partiti, ma è anche vero che i loro elettorati sono diversi e nessuno si sta impegnando affinché quegli elettorati capiscano che o ci si mette insieme o si è destinati, come dice la presidente Meloni, a restare all’opposizione per i prossimi dieci anni.
Come finirà la partita sul salario minimo?
Il Cnel farà una proposta che assomiglia a quella che ha ricevuto, con alcune variazioni. Giorgia Meloni la accetterà cambiando alcune cose ma rimanendo nel solco del salario minimo e dicendo che la sua è una proposta migliorativa rispetto a quella delle opposizioni. Non si chiamerà salario minimo, ma la presidente del Consiglio se lo intesterà.
Non pensa che, soprattutto tra Pd e M5S, ci siano terreni sui quali giocare le stesse partite?
Il punto è che non vedo le modalità con le quali possano convergere. Sono entrati in uno stallo dal quale è difficile uscire, perché servirebbe una fantasia che non hanno. Una volta contatisi alle Europee vedremo cosa succederà, ma anche lì non mi aspetto sorprese. L’unica potrebbe essere lo sfondamento del Pd attorno al 25 per cento, che mi auguro, o un declino del M5S. Ma quest’ultimo evento non sarebbe positivo perché la diminuzione dei voti farebbe aumentare la radicalità di quel partito, allontanando ancora di più le possibilità di un’alleanza con i dem.
A proposito di dem, crede che Schlein abbia impresso quella svolta al partito che tanto predicava o gli apparati del Nazareno impediscono qualsiasi tentativo di rivoluzione?
Gli apparati non sono sufficientemente forti da impedire nulla, ma ho l’impressione che l’input di leadership che arriva da Schlein non sia adeguato. Non si è ancora impadronita della macchina del partito e questo segnala un elemento di debolezza che ha poco a che vedere con le politiche che propone. Sono le modalità con le quali le propone a essere sbagliate. Insomma vedo molto movimento e non abbastanza consolidamento.
Uno che si muove molto è Dario Franceschini, che sta dando vita a una nuova corrente di sostegno alla segretaria: servirà?
Non mi intendo abbastanza di queste cose perché ho sempre detestato le correnti. Detto ciò, il punto fondamentale è che sostenere la segretaria è utile al partito, contrastarla fa male a tutti. Fare un correntone contro la segretaria è sbagliato, ma lo è anche fare una correntina a favore della leader. Se le correnti agissero sul territorio per accogliere nuovi elettori sarebbe positivo, ma devo dire che vedo poco movimento sul territorio.
Beh, le feste dell’Unità non sono certo quelle di una volta…
Per forza, continuano con la pratica di invitare sempre gli stessi senza cercare qualcosa di nuovo e creare così un dibattito vero che catturi l’attenzione della stampa.
Un tema di cui si dibatte molto è l’immigrazione: pensa che su questo Pd e M5S possano trovare una strategia comune di contrasto alle politiche del governo, che proprio su di esse fonda parte del suo consenso?
Il tema è intrattabile. Non so se il governo raccoglie consensi con le strategie sull’immigrazione ma di certo non sta risolvendo il problema. È intrattabile perché nessuno ha una strategia e tutti, maggioranza e opposizione, pensano che sia un’emergenza congiunturale quando invece è strutturale. Per i prossimi venti o trent’anni uomini, donne e bambini arriveranno in Europa dall’Africa e dall’Asia perché non hanno possibilità di mangiare o perché scappano da regimi autoritari. L’unica cosa da fare è agire in Europa senza contrastare le visioni altrui e andando in una direzione di visioni condivise e obiettivi comuni. E su questo il governo mi pare carente.
In Slovacchia ha vinto le elezioni Robert Fico, iscritto al Pse ma pronto ad allearsi con l’ultradestra e smettere di inviare armi a Kyiv. È un problema per la sinistra europea?
Sono rimasto stupito dall’incapacità dei Socialisti europei di trattare con i sedicenti socialdemocratici di Fico. La sua espulsione doveva avvenire già tempo fa. Mi pare che siano 4 gli europarlamentari del suo partito e dovevano essere cacciati. Perché non si può stare nel Pse se non si condividono i valori del partito, e Fico non li condivide. Valeva la stessa cosa per il Ppe con Orbán, e questo potrebbe far perdere voti agli uni e agli altri.
In caso di crollo di Popolari e Socialisti ci sarà spazio per maggioranze diverse a Bruxelles?
Meloni dice che è in grado di portare sufficienti seggi a Strasburgo per far sì che ci sia un’alleanza tra Popolari, Conservatori e Liberali e quindi fare a meno dei Socialisti. Io non credo che questi numeri ci saranno, a meno che non siano i voti degli stessi Popolari a spostarsi verso i Conservatori. È più facile pensare che ci sarà continuità nelle alleanze, dopodiché vedremo chi siederà al vertice dell’Ue. Ma è ancora presto per parlarne.
Eppure Salvini scalpita e tira per la giacchetta Tajani tutti i giorni sognando il “centrodestra europeo”. Ci sono possibilità?
Le destre son quelle che sono e non credo che l’Europa possa permettersi di accettare Salvini e Le Pen all’interno della maggioranza che governerà nei prossimi cinque anni.
Pubblicato il 3 ottobre 2023 su Il Dubbio
Tra errori e pochi soldi. La nuova destra sembra vecchia @DomaniGiornale Meloni e il governo del nuovo che non avanza


Quali sono le priorità del governo Meloni? Avremo, forse, la risposta, almeno un abbozzo, nella Legge Finanziaria? Quel che si è intravisto finora è un misto che può essere utile alla leader di Fratelli d’Italia, ma che complessivamente non produce conseguenze positive per il paese. Meloni volteggia sorridente e apprezzata, anche perché le aspettative le erano contrarie, sulla scena internazionale. Sicura atlantista, vedremo se anche sulle spese militari, Meloni tiene bassissimo il suo sovranismo, ma sta lavorando per farlo crescere numericamente e politicamente con le elezioni per il Parlamento europeo. Le difficoltà, che paiono molto più grandi di quanto i governanti siano disposti ad ammettere, stanno specialmente nell’attuazione del PNRR. Suggeriscono, però, che alcuni nodi europei stanno venendo al pettine. Quei nodi hanno radici italiane.
Nei governi di coalizione alcune differenze programmatiche sono fisiologiche. Sono anche funzionali alla raccolta dei voti che provengono da una società segmentata e frammentata, di difficile ricomposizione come dovrebbero avere imparato i teorici del campo largo. Altre differenze, invece, si traducono in comportamenti concorrenziali patologici che la leader sembra avere scelto di affrontare flessibilmente: silenzio prolungato; spostamento dell’attenzione su altre tematiche; conciliazione, ricordando agli alleati che al governo sono arrivati grazie a lei e che, se vogliono starci e tornarci, non devono prendersi troppe libertà e fare balzi né in avanti né di fianco. Finora la strategia meloniana ha funzionato anche grazie al mediocre avventurismo mediocre di Salvini e allo stato di convalescenza di Forza Italia (per la quale neppure un buon, al momento imprevedibile, risultato alle elezioni europee sarà taumaturgico).
Con impegno puntiglioso Meloni cerca anche di colpire l’avversario principale. Si appropria, svuotandola, della tematica “salario minimo” per evitare che diventi un successo del Partito Democratico (e dei Cinque Stelle). Mira con determinazione a colpire il grande serbatoio di consenso elettorale e politico del PD che si chiama (Emilia-)Romagna. L’operazione ristoro e ripresa viene centellinata (dispiace che vi si presti anche il Gen. Figliolo). Avrà un rilancio e un’impennata quando si avvicineranno le elezioni regionali. La Finanziaria non è interamente un altro discorso perché il PIL emiliano-romagnolo e le sue propaggini contano, eccome. Almeno quanto i mal di pancia del Ministro Giorgetti al quale è cosa buona e giusta augurare una rapida guarigione anche se nei rumors che circondano l’elaborazione del Documento più importante per l’economia e la società della nazione finora non si individuano eventuali suoi apporti specifici.
Sembra che il governo Meloni si muova ancora, in parte inconsapevolmente in parte per malposta furbizia (favorire alcuni ceti di riferimento) in parte per incapacità, nel solco di molti governi delle cosiddette Prima e Seconda Repubblica. Sembrerebbe che in ordine sparso alcuni esponenti di Fratelli d’Italia preferiscano far vedere, con affermazioni talvolta risibili, che sono i primi della classe contro il politically correct platealmente e esageratamente praticato da alcuni settori della sinistra politica e intellettuale. Ma nessuna critica di destra delinea una visione alternativa se alla pars destruens non accompagna subito la costruzione del nuovo (e francamente, con riguardo, nessuno di quegli intellettuali si è ancora dimostrato all’altezza). Neppure in ordine sparso, però, governanti, parlamentari, consulenti del centro-destra hanno finora saputo dare un segno concreto del nuovo che vorrebbero fare nascere e avanzare cosicché nell’interregno si producono degenerazioni e fenomeni morbosi.
Pubblicato il 6 settembre 2023 su Domani
Non esistono despoti che fanno anche cose buone @DomaniGiornale


Nell’aprile del 1917 per ottenere l’approvazione del Congresso ad entrare in guerra contro la Germania il Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson dichiarò memorabilmente che l’obiettivo era “make the world safe for democracy”. Parecchi anni dopo i Padri Fondatori dell’Unione Europea si posero un obiettivo simile, ma più limitato: rendere il continente europeo un posto sicuro per le democrazie, dove non si facessero più guerre. Dopo il crollo del comunismo e dell’Unione Sovietica, questo obiettivo, già messo al sicuro dentro il perimetro delle democrazie occidentali, è apparso conseguibile. L’ascesa di Putin e la sua aggressione all’Ucraina ritardano qualsiasi ulteriore sviluppo democratico e rendono necessari opportuni ripensamenti che, però, non possono nemmeno per un momento mettere sullo stesso piano le democrazie occidentali e il regime autoritario russo. In parte comprensibile anche se, forse, non proprio giustificabile, fu la valutazione del ruolo “positivo” svolto dall’URSS sulla scena internazionale come contrappeso degli Stati Uniti. Ma polacchi, ungheresi, cecoslovacchi, i cittadini degli Stati baltici hanno tutto il diritto di pensarla molto diversamente. Invece, non si capisce proprio quale merito possa essere riconosciuto a Putin.
Come si sia formata e esternata l’amicizia fra il liberale, cristiano, garantista e europeista Berlusconi e lo zar del Cremlino è un mistero non glorioso. Certo l’argent di Putin può essere stato utile a Salvini e alla Lega, ma quale futuro radioso poteva nascere dall’esibizione compiaciuta di una t-shirt con l’effigie di un tiranno? Last but not least, ultimo, ma tutt’altro che irrilevante, l’attuale Ministro della Difesa Guido Crosetto ha dichiarato, meglio tardi che mai, di avere esagerato nel criticare le manovre Nato sul confine russo e di avere sottovalutato le mire espansioniste di Putin. Ben venuto il ravvedimento di Crosetto (quanto a Berlusconi e Salvini sono personalmente incerto, ma anche loro…), rimane, tuttavia, il problema/obiettivo generale evocato dalla frase di Wilson. Se è auspicabile rendere il mondo un posto sicuro per le democrazie, come possono coloro che vivono nei regimi democratici ritenere possibile quell’esito collocandosi dalla parte degli autocrati, dei despoti, dei tiranni? Costoro vogliono ridurre il numero delle democrazie, per esempio, altrove, piegando quel che c’era di democrazia a Hong Kong e apprestandosi a soffocarla a Taiwan. Riscuotono aiuti da altri regimi autoritari, come la teocrazia iraniana e non solo. Si spalleggiano a vicenda.
Quando leggo libri che raccontano come muoiono le democrazie, mi chiedo se non sia il caso che gli autori esplorino chi uccide le democrazie, cambino il titolo e offrano una spiegazione basata sulle sfide che i non-democratici lanciano dall’interno alle loro democrazie vigenti, magari lodando e esaltando alcuni dei molti modelli antidemocratici esistenti nel mondo e i loro “attraenti” protagonisti. La democrazia bisogna praticarla e insegnarla (anche viceversa). Bisogna anche dire a chiarissime lettere che esiste un linea divisoria netta fra democrazie e non-democrazie. Che soprattutto i liberali dovrebbero essere i primi a respingere l’idea che possano esistere democrazie “illiberali”. Lasciamo che siano gli oppositori degli autoritarismi, quando sperabilmente sono riusciti a sopravvivere, a testimoniare che quei leader autoritari hanno fatto anche qualcosa di buono.
Pubblicato il 1 febbraio 2023 su Domani
Sovranismi e Ue, “la contraddizion che nol consente” spiegata da Pasquino @formichenews

“Prima i sovranisti del nostro stivale capiscono che gli interessi nazionali si difendono e si promuovono a Bruxelles, non (af)fidandosi agli altri sovranisti, ungheresi, polacchi, spagnoli, ma contando sui federalisti, meglio sarà per loro e per l’Italia”. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica e socio dell’Accademica dei Lincei
“Mi sono sempre fatto una certa idea della Francia. La Francia non sarebbe tale senza la grandeur, così Charles de Gaulle che, da sovranista coerente, voleva una Europa delle patrie.
Confederazione europea e non Unione europea, sovranità separate che convergono nei momenti decisionali, non condivisione delle sovranità in una visione che va oltre, al di sopra, al di là delle patrie.
Mai, comunque, la preminenza del diritto europeo sul diritto dei singoli Paesi, la sovranità non è solo legge, ma sicuramente consiste anche nella superiorità delle leggi di ciascun Paese, pardon, di ciascuna patria. Rivendicare questa sovranità, oggi, significa, da un lato, non avere capito che per nessuno Stato-membro esiste l’opzione di riconquista della sovranità spontaneamente ceduta (non espropriata) a una Unione sovranazionale, dall’altro, che la sola opzione alternativa disponibile è l’uscita, exit.
Condivisione della sovranità vuole dire anche condivisione delle politiche, secondo quanto stabilito dai Trattati. Naturalmente, i sovranisti cercheranno sempre una interpretazione minimalista dei doveri che vengano imposti alla loro patria e, altrettanto naturalmente, non accetteranno nessun impegno che non derivi da doveri esplicitamente sanciti.
Nel bene, che, se esiste, è quasi impalpabile, e nel male, che è ampio e diffuso, il tema dell’immigrazione è giuridicamente trattato in maniere discutibilissima, dimostratasi costantemente inadeguata. Ciascuno e tutti i sovranisti dovrebbero essere pienamente consapevoli che trovare sponde e accoglienza dagli altri sovranisti in questa materia è alquanto improbabile e che un esito positivo può seguire soltanto da accordi raggiunti con disponibilità e generosità, forse anche con l’attesa di reciprocità, fra di loro oppure a livello europeo.
Tuttavia, se le materie sulle quali i sovranisti debbono esprimersi sono delicate agli occhi dei loro rispettivi elettorati, allora mors tua vita mea. La grandeur della Francia non può fare nessuna graziosa concessione ”nazionale” e meno che mai sentirsi dire che quella concessione era dovuta, il minimo che potesse fare. D’altronde, Macron deve tenere conto della sovran-nazionalista Marine Le Pen. Un atto di generosità può farlo con adeguato riconoscimento da parte degli italiani. Grave è che, non sentendosi abbastanza elogiato, in un lungo singulto di fiera grandeur Macron minacci ritorsioni su altri settori di competenza europea. Il suo è, in effetti, un comportamento sovranista che rischia di innescare quello che chiamerò lo scaricabarile del sovranismo con l’Italia non propriamente ben messa.
Se ciascun sovranista agisce esclusivamente in difesa o nel perseguimento dei suoi interessi nazionali di brevissimo respiro, non riuscendo neppure ad immaginare gli sviluppi successivi, in una situazione che definirò sovranismus omnium contra omnes, qualcuno vincerà poco e gli altri perderanno molto.
Non è chiaro che cosa voglia vincere il Presidente Macron tranne forse fare la faccia feroce per recuperare un prestigio nazionale, patriottico un po’ offuscato anche dalla sua coda di paglia.
Di certo, l’esternazione intempestiva e plebea di Salvini va a scapito di qualsiasi interesse nazionale, di qualsivoglia riconquista di sovranità. Prima i sovranisti del nostro stivale capiscono che gli interessi nazionali si difendono e si promuovono a Bruxelles, non (af)fidandosi agli altri sovranisti, ungheresi, polacchi, spagnoli, ma contando sui federalisti, meglio sarà per loro e per l’Italia. “Assolver non si può chi non si pente,/né pentere e volere insieme puossi/ per la contraddizion che nol consente” (Inferno, XXVII, 118-120).
Pubblicato il 13 novembre 2022 su Formiche.net
Il neo Presidente La Russa ha ringraziato apertamente i senatori della minoranza che lo hanno votato. Vicepresidenze delle Camere e delle Commissioni ci diranno poi chi erano i destinatari di quei ringraziamenti
I ringraziamenti espliciti, quasi plateali rivolti dal neo-eletto Presidente del Senato Ignazio La Russa ai senatori/senatrici che non fanno parte della maggioranza per averlo votato mandano due segnali politicamente molto significativi. Da un lato, comunicano a quei senatori/senatrici che sono benvenuti e che, quando ci sarà l’occasione, saranno adeguatamente ricompensati. Che i loro voti, palesi e segreti, continueranno ad essere più che bene accetti. In estrema sintesi, dietro l’angolo è nata quella che potremmo definire una maggioranza eventuale. Dall’altro, le parole del Presidente La Russa fanno sapere a Berlusconi, che ha imposto la scheda bianca/astensione ai parlamentari di Forza Italia, che i “buchi” da lui/loro lasciati possono essere riempiti rapidamente e in maniera abbondante con appoggi esterni. In un modo da non sottovalutare, i ringraziamenti di La Russa indeboliscono grandemente il potere di ricatto che Berlusconi strenuamente tentava di utilizzare sulla formazione del governo Meloni con la richiesta di un Ministero importante per la sua fedelissima (parola non mia di cui confesso non capire fino in fondo il significato) Licia Ronzulli.
Per quel che riguarda il centro-destra, il resto, vale a dire altre trame, vantaggi, reazioni, altri ricatti, altre convergenze più o meno inaspettate, lo si vedrà quando (e se) e con quanti voti verrà eletto il Presidente della Camera, che dovrebbe essere un deputato della Lega. Chi siano i senatori/senatrici che più o meno generosamente hanno deciso l’elezione di La Russa precisamente non lo sappiamo. Tuttavia, potremo avere qualche elemento conoscitivo e esplicativo in più, forse persino decisivo, quando verranno eletti gli uffici di Presidenza della Camera e del Senato.
Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, in quanto rappresentanti i due gruppi più numerosi non hanno nessuna intenzione di cedere le vicepresidenze a Azione. Dunque, se il voto segreto premiasse un candidato/a espressione dell’area Calenda-Renzi diventerà fin troppo facile sostenere che si è prodotto uno scambio. La moralità non è il terreno su cui si fonda la politica né in Italia né, in maniera minore, altrove. Molte altre cariche istituzionali sono disponibili a cominciare dalle prestigiose e potenti Presidenze delle Commissioni. Altri scambi sono possibili e probabili dai quali, però, le opposizioni in ordine sparso risulteranno inevitabilmente e imprevedibilmente indebolite.
Al tempo stesso, però, l’imminente governo del centro-destra avrà al suo interno una componente (Forza Italia) amaramente insoddisfatta, non convinta, a meno di avere ottenuto molto nella formazione del governo, dell’obbligo politico di agire in maniera disciplinata e solidale. Poiché sono note anche le mire di Salvini per un Ministero, gli Interni, per il quale la Presidente del Consiglio in pectore ha già fatto sapere di preferire un’altra, non specificata, personalità, se ne può concludere che sul governo Meloni già si addensano non pochi pesanti nuvoloni.
Pubblicato AGL il 14 ottobre 2022
Pasquino: “Giorgia Meloni ha vinto alla grande. Pd? La sconfitta è dei dirigenti e non di Letta” #intervista @com_notizie

Intervista raccolta da Francesco Spagnolo. Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica, in esclusiva a ‘Notizie.com’: “La storia del Pd è molto triste”.

Professor Pasquino, si aspettava una vittoria così netta di Fratelli d’Italia?
“Non mi aspettavo un successo così schiacciante della Meloni, ma una vittoria sì. Ha vinto alla grande e peraltro portando via voti a Salvini e a Berlusconi. Il Centrodestra grossomodo è dove lo davano le previsioni con Fratelli d’Italia più avanti perché ha strappato voti agli altri due partiti“.
Lei ha parlato di voti strappati a Salvini e Berlusconi. Questo potrebbe portare tensioni all’interno della coalizione?
“Qualche tensione ci sarà inevitabilmente perché Salvini è irrequieto, molto nervoso e invidioso e rimane con la sua ambizione. Sente che la sua carriera politica è in difficoltà e cercherà di appropriarsi di qualche tematica, essere molto presente mediaticamente. Ma penso che Giorgia Meloni abbia abbastanza larghe per controbattere, ma qualche tensione me l’aspetto. Berlusconi è in declino totale, la sua classe dirigente si sta liquefacendo e quindi non è un grosso problema“.
Possiamo parlate di Salvini e Letta come grandi sconfitti?
“Salvini sicuramente sì, secondo me Letta non è un grande sconfitto. Ha perso perché pensava di arrivare sopra il 20%, ma lo ha fatto in maniera elegante. E’ un uomo competente, che conosce la politica e non ha mai esagerato. La sconfitta non è sua ma del Pd perché i dirigenti non fanno quello che dovrebbero fare. Dopodiché Letta ha preso atto della sconfitta ed ha detto che si dimette però continua una brutta storia che si chiama Partito Democratico, che non riesce a radicarsi, trovare delle tematiche, non riesce a darsi una unità e una visione“.
Chi potrebbe essere il nome giusto per rilanciare il Pd?
“Non c’è nessun nome giusto. Credo che ci sono molti uomini ambiziosi, ma presumo che faranno un tentativo di trovare una donna. Sembra che questa sembra Elly Schlein sia chissà che cosa, ma io penso di no. Dovrebbero fare delle primarie vere e non contrattate in anticipo. La storia del Partito Democratico è molto triste“.
Il M5s ha avuto una crescita importante al Sud. Un risultato inaspettato alla vigilia per i pentastellati.
“Il fatto del reddito di cittadinanza è molto importante al Sud e quindi hanno cercato di difenderlo sostenendo Conte, ma questo non basta. Un partito che arriva al 17% può essere contento, ma ricordo che quattro anni fa era al 33% e quindi ha perso il 16% dei suoi elettori. Possono festeggiare di non essere andati malissimo, ma non possono dire di aver ottenuto un grande risultato“.
Delusione invece per il Terzo Polo e Di Maio.
“Di Maio evidentemente non si è radicato, ma nella zona di Napoli aveva dei concorrenti molto agguerriti iniziando dal fatto che il presidente della Camera non lo sosteneva. Il Terzo Polo non è mai esistito. Era una riunione degli ego di Calenda e Renzi visto che il vero Terzo Polo sono i pentastellati. Hanno anche utilizzato una caratterizzazione sbagliata e illusoria per cercare di catturare gli elettori“.
Pubblicato il 26 settembre 2022 su Notizie.com
Per chi suona la fisarmonica del Capo dello Stato @formichenews

Partiti deboli e divisi saranno costretti a lasciare spazio al Presidente sia nella formazione del governo sia nello scioglimento o no del Parlamento. Partiti forti e compatti diranno al Presidente se e quando sciogliere il Parlamento e chi nominare presidente del Consiglio e ministri. Meloni non ha nessun titolo, oggi, per dire a Mattarella che deve nominarla. Il commento di Gianfranco Pasquino Accademico dei Lincei e autore di Tra scienza e politica. Una autobiografia (UTET 2022)
La fisarmonica (del Presidente della Repubblica) non è affatto, come ha perentoriamente scritto Carlo Fusi (28 agosto), un “funambolismo tutto italiano e rappresentazione tra le più eclatanti della crisi di sistema in atto”. Al contrario, è una metafora delle modalità elastiche del funzionamento delle democrazie parlamentari che consentono di analizzare, capire, spiegare al meglio il ruolo del Presidente della Repubblica italiana ieri, oggi e, se non sarà travolto dal pasticciaccio brutto del presidenzialismo diversamente inteso dal trio Meloni-Salvini-Berlusconi, domani.
In sintesi, definiti dalla Costituzione, dalla quale non è mai lecito prescindere, i poteri del Presidente della Repubblica italiana, l’esercizio di quei poteri dipende dai rapporti di forza fra i partiti in Parlamento e il Presidente, la sua storia, il suo prestigio, la sua competenza. Partiti deboli e divisi saranno costretti a lasciare spazio al Presidente sia nella formazione del governo sia nello scioglimento o no del Parlamento. Partiti forti e compatti diranno al Presidente se e quando sciogliere il Parlamento e chi nominare Presidente del Consiglio e ministro. Meloni non ha nessun titolo, oggi, per dire a Mattarella che deve nominarla. Se ci saranno i numeri, ovvero una maggioranza assoluta FdI, Lega e FI, dovranno essere Salvini e Berlusconi a fare il nome di Meloni a Mattarella, aggiungendo che non accetteranno nessuna alternativa.
Certo, il Presidente chiederà qualche garanzia europeista, ma non potrà opporsi al nome. “Crisi di sistema in atto”? O, piuttosto, funzionamento da manuale di una democrazia parlamentare nella quale il governo nasce in Parlamento e viene riconosciuto e battezzato dal Presidente? Verrà anche sostenuto dalla .sua maggioranza parlamentare e sarò operativo quanto il suo programma e i suoi partiti vorranno e i suoi ministri sapranno. Quel che dovrebbe essere eclatante è la constatazione che nessun presidenzialismo di stampo (latino) americano offre flessibilità. Anzi, i rapporti Presidente/Congresso sono rigidi. Il Presidente non ha il potere di sciogliere il Congresso che, a sua volta, non può sfiduciare e sostituire il Presidente. Nel passato, spesso, l’uscita dallo stallo era un golpe militare.
Nessuna legge elettorale, nemmeno l’apprezzatissima Legge Rosato, può rendere elastico il funzionamento del presidenzialismo che, come abbiamo visto con Trump, ha evidenziato molti degli elementi più eclatanti di una crisi di sistema. Altro sarebbe il discorso sul semipresidenzialismo, da fare appena i proponenti ne chiariranno i termini e accenneranno ad una legge elettorale appropriata. Nel frattempo, sono fiducioso che in vista del post-25 settembre il Presidente Mattarella stia diligentemente raccogliendo tutti gli spartiti disponibili e facendo con impegno e solerzia tutti i solfeggi indispensabili per suonare al meglio la sua fisarmonica. Altri saranno i cacofoni.
Pubblicato il 30 agosto 2022 su Formiche.net