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La strage di Bologna ferita aperta #2agosto

La ferita della strage alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, ottantacinque morti e più di duecento persone ospedalizzate, è rimasta profonda. A rimarginarla del tutto non sono stati sufficienti neppure i non pochi successi ottenuti nel corso del tempo dalla Associazione dei familiari delle vittime: la sostanziale abolizione del segreto di Stato sui fatti di terrorismo e strage e gli indennizzi a coloro che sono stati coinvolti nella strage. Neppure la verità giudiziaria sugli esecutori materiali della strage, Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, i quali, scontata la pena detentiva, sono già tornati in libertà senza nessun segno di resipiscenza. Al contrario, molta protervia. In regime di semi libertà si trova anche il terzo attivista neo-fascista Luigi Ciavardini. Vi sono state anche condanne di ufficiali dei Servizi segreti per attività di depistaggio.

La strage, anche sulla lapide commemorativa che si trova alla stazione è definita “fascista”. Difficile negare che le stragi, mai, ovviamente, seguite da rivendicazioni, siano state il tipo di azione preferito, non soltanto in quegli anni, dai fascisti, vecchi e nuovi. Chi sostiene una diversa versione dei fatti ha, nel tempo, variamente evocato i palestinesi e il terrorista, venezuelano di nascita, noto con il nome Carlos. La mancanza di qualsiasi elemento concreto a sostegno delle versioni alternative, pure vagliate dalla magistratura, non ha potuto in alcun modo giustificare la revisione di un processo che nessuno ha potuto accusare di essere stato fatto con pregiudizi e concluso frettolosamente.

Finora, la cosiddetta verità giudiziaria appare inattaccabile. Sarebbe possibile saperne di più, vale a dire, ricomporre l’intero quadro se si scoprissero i mandanti, che è la richiesta di molti e, comprensibilmente, anche quella dell’Associazione dei familiari delle vittime. Non è, infatti, credibile che due/tre terroristi neo-fascisti, pure già autori di crimini e di assassini, abbiano deciso da soli un’azione di tale portata e, soprattutto, siano stati coperti e aiutati con interventi di depistaggio senza una copertura e anche una indicazione proveniente da più alto loco. Quelli erano anche gli anni della P2 e di Licio Gelli, del suo Piano di Rinascita per una torsione autoritaria del sistema politico italiano, di intrecci fra personale politico, dei servizi segreti, nell’economia, nell’editoria (l’attacco al Corriere della Sera) e frange del neo-fascismo armato.

Nessuna rivelazione è da attendersi da Fioravanti e Mambro. I depistatori individuati sono oramai usciti di scena. Le probabilità che a distanza di 36 anni facciano la loro comparsa documenti nuovi sono minime. Neppure una ri-lettura organica della storia di quegli anni, dei documenti e delle sentenze , pure utile e forse doverosa, appare sufficientemente promettente. Non riusciremo a onorare la memoria delle vittime con la scoperta e la punizione dei mandanti. Una ragione in più per ricordare tutte quelle vite spezzate che servitori infedeli dello Stato decisero di non proteggere, anzi, di sacrificare per loro scopi politici consentendo, e poi tentando di coprire, l’azione dei neo-fascisti. Nei brutti tempi di terrorismo d’altro stampo, è decisivo sapere di contare su apparati, non deviati, ma all’altezza delle sfide.

Pubblicato AGL il 2 agosto 2016

La paura non si batte con le parole

Immagino che molti lettori siano infastiditi da affermazioni sul pericolo del terrorismo pappagallescamente ripetute che suonano vuote e ipocrite. Credo che ciascun lettore desideri informazioni precise e indicazioni convincenti. Mi ci provo. Primo, sì, dobbiamo avere paura. I terroristi islamici, tali poiché professano quella religione e in nome del loro Dio uccidono, hanno dimostrato di sapere colpire dovunque. Volendo fare stragi eclatanti scelgono luoghi dove le persone si affollano: stazioni ferroviarie, metropolitane, sale da ballo, aeroporti e stadi (anche se a Parigi, in questo caso, non hanno avuto successo). Chiunque frequenti quei luoghi, ed è evidente che un po’ tutti noi in quei luoghi ci siamo stati e ci ritorneremo, deve essere consapevole del rischio e deve, ovvero, può avere paura. Consapevoli dei rischi sarebbe opportuno che ci comportassimo con grande cautela e seguissimo l’indicazione che ho visto nella metropolitana di Washington, D.C.: see something say something. Traduco liberamente: chi vede qualcosa dica qualcosa.
Naturalmente, sappiamo per certo che ci vuole molto altro per evitare gli attentati e le stragi. Dovremmo anche sapere che criticare i servizi segreti, di ogni paese, la loro eventuale inadeguatezza, la loro mancanza di coordinamento serve esclusivamente qualora le proposte per risolvere i problemi siano rapidamente operative. Dovremmo anche sapere che qualsiasi servizio segreto efficiente non si vanterà mai di avere sventato una strage, evitato un attentato, catturato i presunti kamikaze poiché mira, giustamente, a tenere coperte le sue fonti, a salvaguardare i suoi informatori, a non svelare nulla del suo modus operandi. Rimane verissimo che la cooperazione, la condivisione e la prevenzione sono essenziali, ma è altrettanto vero che, salvo deplorevoli casi di gelosie professionali o, peggio, nazionalistiche, non pochi servizi segreti si scambiano già da tempo una pluralità di informazioni. Se ci sono falle, oltre al chiedere conto agli operatori dei servizi segreti, la responsabilità va attribuita ai ministri e ai sottosegretari che a quei servizi sono predisposti.
Non serve a niente colpevolizzare l’Europa e gli europei per il loro colonialismo, per il capitalismo predatore, per politiche gravemente sbagliate: dall’intervento in Iraq alla defenestrazione di Gheddafi all’inazione in Siria. Non è ragionevolmente possibile tornare indietro e riparare a errori e a crimini. Imparata la lezione (temo non da tutti), non ne consegue affatto che diventa possibile pensare che la sfida dei terroristi kamikaze armati di tutto quel che serve, con sostegno finanziario e logistico, sia risolvibile con parole di pace. Uno dei due responsabili, forse il maggiore, dell’intervento in Iraq, che ha sollevato il coperchio del vaso di Pandora di tutte le contraddizioni, le rivalità, le tensioni anche religiose nel mondo mediorientale, Tony Blair, sostiene che è necessario ricorrere a un “centrismo muscolare”. Insomma, non si può rinunciare all’uso delle armi sia per difendersi sia per dare aiuto a coloro, non sembra che siano la maggioranza, che tentano di (ri)costruire stati in grado di garantire, se non una, al momento impossibile, democrazia, almeno ordine politico e sicurezza personale.
Un giorno, magari, si dovrà anche usare la ragione per discutere del multiculturalismo, del suo fallimento, della sua pessima attuazione (“fate quel che vi dettano i vostri costumi”), della sua ridefinizione. Nel frattempo, però, gli europei e, più in generale, gli occidentali hanno il dovere morale e politico di rispettare e attuare i valori sui quali hanno costruito le loro comunità e l’Unione Europea e di esserne orgogliosi. Sono anche autorizzati a chiedere a chiunque voglia venire a vivere in Europa e crescervi i suoi figli e le sue figlie di rispettare quei valori. Quando gli europei avranno eletto Presidente della Commissione un islamico, quel Presidente dovrà dichiarare che riconosce la separazione fra le Chiese, al plurale, compresa la sua, e lo Stato, e che la sharia nella “sua” Europa è fuorilegge.
Pubblicato AGL 25 marzo 2016

Giustizia e verità

Corriere di Bologna

C’è qualcosa di sbagliato e molto di diseducativo nell’affermazione che, a trentacinque anni dalla strage della stazione, ancora si cercano verità e giustizia. Filosoficamente si potrebbe rispondere che non è mai dato agli umani di conoscere la verità e di praticare la giustizia. Più mondanamente, la risposta è che esiste una verità giudiziaria molto faticosamente conseguita attraverso numerosi processi e consegnata a migliaia di pagine. Per quanto periodicamente messa in discussione da qualcuno alla ricerca di pubblicità o desideroso di discolpare i neo-fascisti condannati in via definitiva (e già liberi) e di buttare la colpa su disparati elementi di sinistra, fino a convincenti prove contrarie quella verità tiene. Dunque, è del tutto ingeneroso non riconoscere ai magistrati di avere in condizioni difficilissime prodotto una verità giudiziaria. Conosciamo gli esecutori materiali della strage e non ci stupiamo se, data l’efferatezza del crimine, quegli esecutori accettino di dichiararsi responsabili di numerosi assassini, ma rifiutino la responsabilità della strage a Bologna. Sarà anche utile avere una legge che punisca il reato di depistaggi, ma le sentenze sulla strage di Bologna hanno già emesso condanne per numerosi depistatori dal capo della P2 Lucio Gelli a diversi agenti dei servizi segreti e ad altri esponenti dell’estrema destra. Anche in questo caso, esiste, pertanto, una verità giudiziaria. Chiunque abbia effettuato la strage (se non si crede che siano stati Mambro, Fioravanti e Ciavardini) è stato “coperto” da personaggi del mondo della destra eversiva di quegli anni. Certamente, rimane aperto il problema dei mandanti. E’ giusto chiedere chi siano. E’ anche lecito pensare che ci fossero effettivamente dei mandanti. E’, infine, opportuno continuare a cercare. Ma è troppo azzardato pensare che l’idea di mettere una bomba nella stazione della città simbolo del buongoverno della sinistra sia nata nell’ambiente della estrema destra, che aveva già provato a colpire la città con le bombe sui treni e continuerà a farlo anche dopo, senza che sia esistito un vero e proprio mandante? Non un uomo, il famigerato Grande Vecchio, non alcuni personaggi che reclutano giovani esaltati e ideologicamente motivati, ma l’ambiente della destra, dei servizi, della P2 che, in qualche modo, motivano e legittimano un’azione di tale gravità, è il mandante. Tutte le ricerche fatte sui terrorismi, anche a Bologna, pongono l’accento sull’importanza degli ambienti –famiglie, scuole, luoghi di lavoro, associazioni politiche– nel condurre verso pratiche di lotta armata. E’ diseducativo, soprattutto per i troppi giovani che della strage di Bologna (e di quella alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, 1969 e di Piazza della Loggia a Brescia, 1974) non hanno nessuna conoscenza, sostenere che non sappiamo nulla. Il messaggio corretto è che molto è stato fatto, molto è noto, molto merita di essere studiato, insegnato e imparato. Sia la verità sia la giustizia sono difficili da conseguire, ma non partiamo affatto da zero.

Pubblicato il 4 agosto 2015

Bologna 2 agosto 1980. Il dovere di ricordare

Bologna 2 agosto 1980-2 agosto 2015: trentacinque anni. Commemorare quella che è stata una strage di impianto sicuramente fascista è un dovere civico. Purtroppo, la trasmissione di quella memoria nelle cronache, nelle scuole, nelle celebrazioni è stata complessivamente molto mediocre, forse pessima, sicuramente inadeguata. Molti ricordano vagamente che alla stazione di Bologna, quel sabato mattina alle ore 10.25, esplose una bomba di terrificante violenza. Rimasero uccise 85 persone delle più diverse età e provenienze; ferite altre 200. Oggi i più non sanno chi ne furono gli autori e meno che mai in quale clima e con quali motivazioni.

La città di Bologna che, in quanto simbolo del buongoverno delle sinistre, era il vero obiettivo degli stragisti, si mobilitò prontamente fornendo prova del suo apprezzato senso civico. Da allora, anno dopo anno, l’evento è stato ricordato con una cerimonia sul piazzale della stazione. Troppo spesso, però, il silenzio dovuto ai morti, è turbato da salve di fischi organizzati, a prescindere, diretti contro le autorità, il governo e tutti i suoi rappresentanti. Purtroppo, le inadeguatezze, i ritardi, le inadempienze dei molti governi che si sono susseguiti sono state tante, in particolare rispetto alla sacrosanta richiesta di abolizione del segreto di Stato sui fatti di terrorismo e strage. Abolito quasi completamente soltanto da pochi anni, quel segreto ha coperto non tanto gli esecutori materiali, ma i molti depistatori e, certamente, i mandanti.

Attraverso una lunga e difficile sequela di processi, l’autorità giudiziaria ha condannato quali esecutori materiali prima due, allora giovani, neo-fascisti appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), poi un terzo e per depistaggio diversi agenti dei servizi segreti, il capo della P2 Licio Gelli e persino l’estremista nero Massimo Carminati, ora più noto per gli affari di Mafia Capitale. Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini hanno scontato pene di diversa entità e sono da qualche anno liberi. Nel frattempo, un depistatore è deceduto, ma i tuttora viventi continuano a negare qualsiasi coinvolgimento rendendo praticamente impossibile scoprire i mandanti e la trama complessiva. Quella che dobbiamo definire come “verità giudiziaria” mi è sempre parsa inoppugnabile, vale a dire non confutabile in base agli elementi finora noti. Tutto il resto, ad eccezione delle legittime speranze dei parenti delle vittime di saperne di più, è polverone sollevato da qualcuno in cerca di pubblicità e dagli inestinguibili complottisti. E’ probabile che non si riuscirà mai a conoscere tutta la verità storica (e politica). Tuttavia, non bisogna mai rinunciare al compito morale, civile e politico che consiste non soltanto nel ricordare, ma nel contestualizzare un fenomeno di enorme rilevanza nella storia italiana post-1945 e nello spiegarlo.

Preso atto che i partiti, le associazioni e le istituzioni italiane si sono dimostrate capaci di sconfiggere i terrorismi di destra e di sinistra, non è possibile sottacere che il ricordo, la riflessione, la riconsiderazione di quel tragico periodo non sono affatto soddisfacenti. Nessuno sforzo significativo e non episodico è stato effettuato per trasmettere, a partire dalle (buone) scuole, una memoria fondata su conoscenze e su fatti e informata da una pluralità di fonti, comprese, naturalmente, quelle giudiziarie. Nelle generazioni più giovani, persino in una città universitaria, prevalgono la dimenticanza e l’indifferenza. La strage alla stazione di Bologna si staglia come un triste monumento a coloro che hanno tentato di cambiare la politica italiana con la violenza mirando a distruggerne la democrazia. Però, è anche un severo monito, sempre più difficile da diffondere, affinché le vittime siano commemorate con conoscenza di causa e siano trasmessi la memoria e i valori civili e politici sui quali si fonda la convivenza in uno Stato capace di garantire la sicurezza dei suoi cittadini e di creare e mantenere le condizioni di una società giusta.

Pubblicato AGL il 2 agosto 2015