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Europee, Pasquino: “Il governo tiene con Salvini sotto al 30%. Zingaretti sbaglia a chiudere al M5S” @Serv_Pubblico #Europee2019 #ElezioniEuropee2019

Intervista raccolta da Silvia De Santis per Servizio Pubblico factory multimediale di Michele Santoro

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“Credo che Salvini sarebbe felice di rimanere leggermente al di sopra del 30%, se scende sotto ci sono dei problemi. Il M5S sa di aver perso voti, se riuscisse a mantenersi intorno al 25% e sopra il Pd dovrebbe essere contento, così come i dem dovrebbero accontentarsi di superare il 20%. Non credo che Forza Italia possa prendere il 10%, mentre la Meloni può stare sopra il 4%. Fra le altre liste l’unica che vedo sopra il quorum è +Europa di Emma Bonino”.

Così Gianfranco Pasquino vede la distribuzione delle forze in vista delle elezioni europee che si terranno domenica 26 maggio. Un segnale confortante, secondo il politologo, potrebbe arrivare dall’affluenza, dopo tornate particolarmente deludenti: “Credo che sarà buona,perché c’è stata finalmente una campagna elettorale ampia e diffusa, probabilmente sarà vicina al 70%, segno che gli italiani sentono che l’Europa per loro conta” spiega Pasquino, che poi analizza i possibili scenari post-voto:

“Se la Lega va molto al di sopra del 30% pretenderà di imporre la sua linea al governo e chiaramente il M5S questo non lo può accettare. Se la Lega rimane attorno al 30% e il M5S tiene il governo reggerà, anche perché hanno di fronte la scelta del prossimo commissario europeo e più avanti l’elezione del Presidente della Repubblica nel 2022. Ma, soprattutto, dovranno rispondere alle critiche della Commissione europea sul bilancio”.

Quindi Salvini non romperà con i 5 stelle?

“I voti della Meloni a Salvini non bastano, hanno bisogno di 45 seggi fra Camera e Senato che non troveranno. L’unione Pd – M5S? È il grande errore del Pd e di Renzi aver accettato di andare all’opposizione. Era possibile negoziare un governo politicamente e numericamente. Zingaretti fa molto male a dire che non vuole provarci”.

In ultima battuta commento sugli exit poll olandesi, che vedono in vantaggio i laburisti:

“Credo che gli elettori abbiano capito che se vogliono un’Europa che va avanti devono votare a sinistra. I sovranisti, invece, hanno mostrato che la soluzione del sovranista italiano è diversa da quella del sovranista austriaco e francese”.

Pubblicato il 24 maggio 2019

 

 

È finito il renzismo. Zingaretti? Al Pd serve un segretario, non un candidato premier @Serv_Pubblico #primariepd

Intervista raccolta da Silvia De Santis

Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienza politica nell’Università di Bologna, commenta alle telecamere di Servizio Pubblico il risultato delle primarie del Partito Democratico mettendo in evidenza gli errori commessi nel recente passato e le sfide che attendono il nuovo segretario neoeletto, NicolaZingaretti. 

“L’affluenza è segno che le persone vorrebbero un partito che non faccia solo opposizione, cosa che peraltro ha fatto male, ma che sia capace di proporre” analizza il politologo “dopo le ultime elezioni alla sinistra è mancato un dibattito pubblico fra persone capaci di dire ‘abbiamo sbagliato’”.

Nell’analisi degli errori commessi nel recente passato dai dem non manca una stoccata al ex segretario Matteo Renzi, con cui spesso Pasquino ha polemizzato:

“Quando Matteo Renzi ha deciso di stare seduto sul divano a mangiare i popcorn, il Pd ha abdicato ogni mediazione per la formazione di un governo, che pure era possibile”.

Pasquino ha le idee chiare sulle sfide che attendono Zingaretti, a partire dalla riorganizzazione del partito a cui “serve un segretario, non un candidato alla presidenza del Consiglio” fino al primo banco di prova, le lezioni europee di maggio: “Sono un’opportunità” spiega Pasquino “e i candidati vanno scelti molto bene. L’Italia ha un problema di credibilità, sarà un ottima notizia se verranno scelte le persone giuste e i parlamentari europei del centrosinistra avranno modo di contare”.

Pubblicato il 4 marzo 2018

Uno sciopero che non serve #ScioperoUniversità

Sciopero dei professori universitari: contro chi? contro il governo che, bloccati da diversi anni gli scatti di stipendio (con conseguenze nefaste anche per chi in questi anni è andato in pensione), non sembra intenzionato a procedere agli adeguamenti. Dunque, uno sciopero forse utile per attirare l’attenzione (ma di chi?), ma decisamente corporativo. Certo, lo sciopero, anche qualora fosse vittorioso, non risolverà nessuno dei problemi dell’Università italiana a cominciare da quello attualmente saliente, vale a dire l’asserita necessità del numero chiuso per alcune facoltà. Non sappiamo quali sarebbero le proposte degli scioperanti su questo argomento, quanti e quali studenti ammettere, addirittura tutti coloro che, superata la maturità, fanno domanda? È in questo modo che debbono essere interpretati gli articoli 33 e 34 della Costituzione sul diritto allo studio oppure si può sostenere che la prescrizione di “un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole” valga anche per l’accesso alle singole facoltà? Non farebbero meglio i professori a uscire dalla richiesta salariale corporativa argomentando che vogliono un’università migliore per tutti, a cominciare dagli studenti? Dunque, è nell’interesse degli studenti stessi essere orientati alla Facoltà per le quali appaiono meglio dotati, alle Facoltà in grado di provvedere insegnamenti adeguati perché non sovraffollate e dotate di laboratori e biblioteche che offrono il migliore dei servizi?

Invece, allo stato attuale, lo sciopero dei professori colpisce proprio gli studenti impedendo loro di dare gli esami. Per alcuni si tratterà, seppur con piccolo disagio, di aspettare l’appello successivo. Per altri, invece, il posticipo potrebbe creare gravi inconvenienti per la laurea e per la frequenza di università straniere nelle quali i corsi sono già cominciati. Non sarebbe stato preferibile per i professori che, pure, dovrebbero saperne di più, escogitare nuove forme di “lotta”? Da tempo, molti sostengono che lo sciopero è superato, peggio, che colpisce proprio i ceti più deboli che sostanzialmente sono gli utenti dei servizi pubblici (e l’Università è un servizio pubblico), raramente apportando vantaggi alla collettività. È troppo chiedere che i professori universitari ragionino anche, meglio se soprattutto, in termini di miglioramento complessivo del servizio che offrono agli studenti e per esteso alla società italiana? Lo so, lo so che i miei ex-colleghi sosterrebbero che, da un lato, c’è l’adeguamento dello stipendio, dall’altro, molto diverso e distante, lato, stanno gli ordinamenti burocratici che nessuno riesce a cambiare se non, qualche volta, in peggio.

Proprio per questa difficoltà di cambiamento ad opera della burocrazia ministeriale, l’iniziativa dovrebbe partire dai proff. Sono loro che sanno più di chiunque altro che cosa non va, ed è molto. Sono loro che sanno anche quali soluzioni immediate, Facoltà per Facoltà, sarebbero possibili e di facile attuazione. Invece, a fronte di soluzioni che implichino cambiamenti dello status quo e controllo dei comportamenti (che sarebbero opportuno fosse effettuato anche dagli stessi studenti), spesso la maggioranza dei proff si trincera arcignamente dietro il primo comma dell’art. 33: “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. L’esito è sotto gli occhi di tutti, in particolare di coloro che leggono le graduatorie internazionali delle Università nelle quali l’Italia, collocata con i suoi atenei migliori nei pressi delle posizioni 180-200, non brilla. Ben venga l’adeguamento degli stipendi, peraltro, già adesso comparativamente accettabili, in attesa della prossima battaglia per il miglioramento della preparazione dei docenti, della loro capacità di insegnamento e di ricerca (i “cervelli” che se ne vanno all’estero segnalano che in Italia né l’insegnamento né la ricerca sono adeguatamente svolti e premiati).

Pubblicato AGL 13 settembre 2017