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Il mito della Francia nella politica e nelle istituzioni. Sinistra e (semi) presidenzialismo #3dicembre #Firenze

Relazione introduttiva al Convegno
I SOCIALISTI FRANCESI E ITALIANI NEGLI ANNI SETTANTA E OTTANTA

3-4 dicembre 2021
Institut français, Piazza Ognissanti, 2, 50123, Firenze

3 dicembre ore 9.30
Gianfranco Pasquino
Il mito della Francia nella politica e nelle istituzioni. Sinistra e (semi) presidenzialismo

Per iscriversi contattare Fondazione Circolo Fratelli Rosselli
fondazione.circolorosselli@gmail.com
tel/fax 055 2658192 – 0552052966

Il convegno è stato realizzato grazie al contributo concesso dall’Institut François-Mitterrand e dalla Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali del Ministero della cultura

Organizzazione: Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, Association Italiques con il sostegno del Comitato franco-italiano di studi storici

Sarà possibile seguire la Diretta Facebook su: Pagina Facebook Fondazione Circolo Rosselli (Spazio QCR): https://www.facebook.com/FondazioneCircoloRosselli/?ref=bookmarks Pagina Facebook dell’Associazione Italiques: https://www.facebook.com/Italiques.asso“Fondazione Circolo Rosselli”Facebook: https://www.facebook.com/FondazioneCircoloRosselli/?ref=bookmarks Instagram: https://www.instagram.com/fondazionerossellifirenze/?hl=it Sito: https://www.rosselli.org/ Canale YouTube: https://www.youtube.com/…/UCiXE1Q2EKLfmgR_UaMbIblw/videosTwitter: https://twitter.com/RosselliCircolohttps://www.facebook.com/events/917061919210103/?ref=newsfeed

#Democrazia Futura Dopo il socialismo. Metodo e sostanza @Key4biz

Il valore 45 anni dopo della raccolta di cinque saggi sui rapporti fra democrazia e socialismo

Gianfranco Pasquino rilegge Quale socialismo? di Norberto Bobbio


Alla metà degli anni settanta Norberto Bobbio raccolse in un volumetto: Quale socialismo? Discussione di un’alternativa[1] cinque suoi scritti dedicati ad una riflessione sui rapporti fra democrazia e socialismo. La raccolta di articoli omogenei era il suo modo preferito di confezionare libri e derivava dal suo essere richiestissimo per conferenze un po’ dappertutto che gli consentivano/imponevano la preparazione di testi, mai peraltro occasionali. Il tema dei rapporti fra socialismo e democrazia lo aveva sempre interessato. Oltre che i socialisti del Partito Socialista Italiano ai quali si sentiva molto vicino, i suoi interlocutori erano i comunisti. Fu molto criticato per questa interlocuzione che, peraltro, non si tradusse mai in nessuna concessione né al Pci né al marxismo. In senso più lato, scrisse nella Premessa a Il futuro della democrazia[2] della necessità di dialogare con “coloro che questa nostra democrazia, sempre fragile, sempre vulnerabile, corrompibile e spesso corrotta, vorrebbero distruggerla per renderla perfetta” mai disperando “nella forza delle buone ragioni”[3].

Perfezionisti non erano e non furono soltanto i comunisti, ma, in quanto rappresentativi per quarant’anni di un quarto, poco meno di un terzo dell’elettorato italiano, meritavano certamente il massimo di attenzione. Il futuro della democrazia italiana dipendeva anche dalla loro evoluzione. Bobbio ne aveva già messo alla prova le loro credenziali democratiche con riferimento alla libertà, della cultura, della critica, degli intellettuali, in un libro che, non un best-seller (come molti anni dopo, nel 1994 sarebbe stato Destra e sinistra[4]), fu un long-seller: Politica e cultura[5], uscito nel1955 e più volte ristampato. Suoi interlocutori in un confronto duro senza diplomazie e senza concessioni erano stati alcuni intellettuali comunisti “di punta” e persino lo stesso segretario del partito, Palmiro Togliatti. Pure apprezzando l’occasione del confronto, Bobbio non era stato soddisfatto del suo esito: troppe le ambiguità di quegli intellettuali che in parte esprimevano in parte riflettevano le posizioni ufficiali del PCI (non molto distanti e non molto diverse da quelle del Partito comunista dell’Unione Sovietica). Molta acqua era passata sotto i ponti nei vent’anni trascorsi dalla pubblicazione di quel testo. Superato il doppio trauma (denuncia dei crimini di Iosif Stalin, invasione sovietica dell’Ungheria) dell’indimenticabile 1956 (l’aggettivo è di Pietro Ingrao, allora direttore de l’Unità), il Pci aveva iniziato una sua sicuramente troppo lenta e troppa cauta, in sostanza inadeguata, revisione che, pur facendo riferimento a Antonio Gramsci, poco riguardava il marxismo. La lettura/lezione di Gramsci, anche se assolutamente necessaria per contrastare il leninismo, non poteva guidare il Partito nella traiettoria da intraprendere in una democrazia nella quale bisognava costruire le condizioni politiche per l’alternanza al governo.

In realtà, il dibattito che seguì la pubblicazione del libro di Bobbio si focalizzò soprattutto sull’esistenza o meno di “una dottrina marxistica dello Stato”. In estrema sintesi, il leninismo aveva dimostrato di sapere come fare per conquistare lo Stato (quello russo nel 1917 non era neppure uno Stato “borghese”), ma come costruire uno Stato socialista e come governarlo furono certamente problemi per i quali la dottrina “marxistica” non offriva, secondo Bobbio, nessuna soluzione. Con le sue parole: “Mi domando quale sia il beneficio che possiamo trarre per la soluzione dei problemi del nostro tempo dall’ennesima chiosa … a Marx … e se non sia oggi assai più utile applicarsi agli studi di scienza politica e sociale così poco progrediti nel nostro paese in confronto a quelli di marxologia [6]. Ad onor del vero, la critica incisiva e puntuale alla mancanza di adeguate riflessioni di Marx sullo Stato era già stata potentemente formulata nel 1957 proprio dal più importante professore italiano di Scienza politica, Giovanni Sartori, nel suo Democrazia e definizioni[7]. Inoltre, Bobbio era sicuramente a conoscenza della devastante critica del Partito Comunista Francese e degli intellettuali che ruotavano nella sua orbita scritta dal grande studioso liberale Raymond Aron, L’opium des intellectuels[8]. La risposta stalinista, ovvero lo Stato come dittatura sul proletariato, praticata per più di trent’anni in Unione Sovietica non poteva certamente costituire il riferimento teorico né la soluzione attuabile.

Nessuno ricorda oggi le numerose risposte degli intellettuali comunisti per i quali discutere con Bobbio e contraddirlo era naturalmente un segno di grande distinzione. Semplicemente, rimanevano tutti imprigionati nella gabbia che, utilizzando l’appropriata parola di Bobbio, definirò della chiosa. Qualche anno dopo sarebbero anche finite le chiose e dopo il 1989 in Italia è letteralmente scomparsa qualsiasi variante di cultura marxista (e aggiungerei di cultura socialista).

In maniera assolutamente anticipatrice, nel libro Bobbio si (pre)occupa anche di quello che chiama “il feticcio della democrazia diretta” per Karl Marx esistita esclusivamente nella breve esperienza della Comune di Parigi (1871). Ricomparsa poi brevemente dopo la rivoluzione del 1917 sotto forma di Soviet di contadini e operai. Comunque, Bobbio sottolinea che nel pensiero marxistica “ciò che caratterizza la democrazia diretta sarebbe l’istituto del mandato imperativo, che implica la possibilità della revoca del mandato[9]. Naturalmente, nessuno dei comunisti italiani poneva all’ordine del giorno qualsivoglia variante di democrazia diretta che, come sappiamo, ha fatto la sua recente ricomparsa con il Movimento 5 Stelle, evidenziando tutte le sue contraddizioni insite. Le obiezioni di Bobbio alla democrazia diretta d’antan valgono anche per i brandelli di democrazia diretta oggi. Quelle obiezioni non hanno finora trovato risposta forse perché risposta non c’è, forse perché a un problema politico di incommensurabile rilevanza non è neppure pensabile che si possa offrire una risposta tecnologica, telematica. Anche il più innovativo e efficace utilizzo della rete costituisce un mezzo, necessario, ma non sufficiente. Abbiamo visto che il socialismo non è, nelle pur memorabili parole di Lenin, “Soviet più elettrificazione”. La democrazia diretta non è “piattaforma telematica più vincolo di mandato”.

Il libro contiene un capitolo scritto nel 1973, due capitoli scritti nel 1975 e due nel 1976 insieme con la prefazione alla quale è apposta la data settembre 1976. Curiosamente, Bobbio non fa nessun riferimento alla proposta di compromesso storico formulata da Enrico Berlinguer in tre articoli pubblicati da Rinascita, la rivista settimanale del PCI, nel settembre-ottobre 1973.

Altro argomento che rimane in ombra è quello del significato di alternanza, da sempre un fenomeno importante per il buon funzionamento della democrazia, ancorché non essenziale per la sua definizione. La concezione di democrazia di Bobbio non lo poteva rendere accondiscendente di fronte al compromesso storico. Per la sua ambizione di durata indefinita/non definita nel tempo, il compromesso storico fra le grandi masse popolari cattoliche e comuniste [ho estesamente trattato l’argomento nel capitolo “Compromesso storico, alternativa, alternanza” nel mio libro Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana [10] che ha la pretesa di proseguire il Profilo ideologico del Novecento italiano pubblicato da Bobbio nel nono volume della Storia della letteratura italiana nel 1969[11] poi in volume a sé stante nel 1986[12]] non soltanto avrebbe reso ininfluente la competizione politico-elettorale che il “filosofo delle regole” considera cruciale per la democrazia, ma avrebbe messo in soffitta qualsiasi prospettiva di alternanza.

Peraltro, mi affretto ad aggiungere che non è tanto la realizzazione concreta dell’alternanza che conta, è opinione anche di Sartori, quanto piuttosto la possibilità, agli occhi degli elettori, degli operatori dei mass media, dei politici al governo e di quelli all’opposizione, che possa avvenire. Questa possibilità influisce sui comportamenti di tutti e li rende più responsabili. Se mai il compromesso storico si fosse realizzato, la sua maggioranza extra-large non avrebbe dovuto temere nessuna opposizione. Praticamente non sarebbe stato possibile per nessuna opposizione “controllarla”. Gli eventuali governi di compromesso storico sarebbero stati politicamente irresponsabili. La stessa proposta del compromesso storico rivelava da parte dei comunisti sia la loro non piena comprensione delle caratteristiche fondamentali della democrazia sia la loro convinzione che, una volta, andati/tornati al governo certo non l’avrebbero abbandonato. Questo è uno degli elementi che, secondo Sartori, facevano del Partito Comunista Italiano un partito “antisistema”: potendo i comunisti avrebbero rovesciato e cambiato il sistema.

Al proposito, Bobbio ritiene sia lecito affermare che “il rapporto fra democrazia e socialismo è configurato come un rapporto fra mezzo e fine, dove la democrazia svolge la parte del mezzo e il socialismo del fine[13]. Ma, se la democrazia che conosciamo è il mezzo, qual è lo scopo, ovvero, proprio “quale socialismo?” A questa domanda i comunisti italiano non seppero mai rispondere se non in maniera confusa e evasiva. A Giorgio Amendola (e a molti altri) che asseriva la possibilità di una “terza via” fra la socialdemocrazia e il comunismo, Bobbio rispose senza mezzi termini: “La terza via non esiste”[14]. Suggerì anche di “rafforzare le organizzazioni del movimento operaio per continuare la via democratica al socialismo, che è dappertutto una sola[15].

Venti anni dopo fece irruzione nel dibattito politico europeo una riformulazione della Terza Via ad opera del sociologo Anthony Giddens e di Tony Blair che sarebbe diventato Primo Ministro nel 1997 fino al 2007. La terza via di Giddens[16], che nell’originaria edizione inglese ha il sottotitolo The Renewal of Social Democracy[17], doveva insinuarsi fra il vecchio Labour Party e il neo-liberismo rappresentato da Margaret Thatcher (1979-1990) e da Ronald Reagan (1980-1988) con l’ambizione di andare Oltre la destra e la sinistra[18]. Bobbio non seguì queste vicissitudini politico-intellettuali. D’altronde, il dibattito pubblico italiano non approdò a nulla di specialmente interessante tranne le affermazioni sulla fine della sinistra espresse da alcuni intellettuali di sinistra con il duplice obiettivo di épater les bourgeois e di ottenere visibilità sui mass media. Bobbio aveva già risposto con il libro Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica[19], sottolineando con forza che il perseguimento della giustizia sociale costituisce la stella polare della sinistra[20].

Nel corso del tempo, nella letteratura internazionale il termine socialismo, forse perché troppo identificato con i regimi comunisti dell’Europa orientale (e talvolta con alcuni populismi “progressisti” latino-americani) è stato sostanzialmente sostituito dal termine sinistra. Giustamente, oggi ci chiederemmo non “Quale socialismo?”, ma “Quale sinistra?” (rimando ad un’analisi comparata di grande interesse: Stephanie L. Mudge, Leftism Reinvented. Western Parties from Socialism to Neoliberalism[21] dedicata al Partito Democratico negli Stati Uniti, al Partito Socialista dei Lavoratori svedese e alla SPD. Sarebbe bello se qualcuno esplorasse i casi italiano, francese, spagnolo e portoghese). La risposta di Bobbio, in parte la immagino in parte la deduco da quanto ha scritto, sarebbe: quella sinistra che si adopera per contenere e ridurre le diseguaglianze; quella sinistra che cerca di risolvere “i problemi che hanno generato lo scontro tra capitalismo democratico e comunismo autoritario” e che “non sono stati certamente risolti dal totale fallimento di quest’ultimo, né nel mondo avanzato, né nel mondo in generale[22], citando un suo memorabile articolo su La Stampa del 9 giugno 1989 pubblicato dopo l’eccidio di Tien an Men, a Pechino.

Ce n’è ovviamente abbastanza per procedere more Bobbio ad una serie di interrogativi. La sinistra che esiste attualmente e che si manifesta in molti paesi come definisce l’uguaglianza: “Quale eguaglianza?” Anche se, certamente, si pone il problema delle diseguaglianze di reddito, quali altre diseguaglianze preoccupano e debbono preoccupare la sinistra? E se la risposta, alla quale aderisco convintamente, è che la sinistra deve offrire eguaglianza di opportunità, allora l’interrogativo è “Quali opportunità?” La filosofia classicamente socialdemocratica: protezione “dalla culla alla tomba”, comunque sempre difficilissima da garantire e oggi costosissima, non sembra più soddisfare neppure molti esponenti (e cittadini-elettori) che si collocano a sinistra. Certamente, non sembra possa essere sufficiente offrire uguaglianza di opportunità all’inizio di un percorso, per lo più quello scolastico, e affidare il resto ai singoli e alle loro capacità. Bisognerebbe intervenire flessibilmente nella vita, non solo lavorativa, per dare e ridare eguali opportunità. Di qui, la necessaria riforma dello Stato del welfare, con continui chirurgici aggiustamenti che significa sapere dove tagliare e dove e come ricucire, operazioni che nessun mercato competitivo può mai effettuare.

   Sono anche convito che fra gli interrogativi da porre alla sinistra Bobbio introdurrebbe le modalità con le quali riconoscere e premiare il merito. Anche se può apparire troppo brusco e ruvido, l’interrogativo, per chi non crede che la sinistra possa mai essere soltanto livellatrice, è: “Quale meritocrazia?” Quasi non ho bisogno di giustificare il prossimo interrogativo, ma la sinistra di Bobbio (e gli scritti di Bobbio) non possono in nessun modo escludere (e, infatti, Quale socialismo? non lo ha escluso) l’interrogativo “Quale democrazia?” La sinistra si è sempre impegnata, non soltanto perché serviva i suoi interessi e scopi politico-elettorali, a cercare di ampliare la partecipazione politica. La sinistra apprezza e incoraggia il cittadino/la cittadina partecipante anche se spesso non li premia adeguatamente. La sinistra ha anche mirato, non sempre con impegno e vigore adeguati, ad accrescere l’educazione politica dei cittadini, ovviamente non indottrinarli. Non da ultimo, fra gli interrogativi contemporanei che Bobbio solleverebbe non sta più semplicemente la democrazia diretta, ma “Quale democrazia deliberativa?” ovvero con quali modalità disponibili grazie alle nuove conoscenze e alla rete è possibile potenziare ed estendere la democrazia. Certamente, Bobbio apprezzerebbe quanto scritto in materia senza nessun cedimento “fondamentalista”, ma con motivazioni e giustificazioni fondate su ricerche e applicazioni anche nel contesto italiano da Antonio Floridia, Un’idea deliberativa della democrazia. Genesi e principi [23].

Grazie a Bobbio e con Bobbio è regolarmente stato possibile entrare in dibattiti importanti, certo riservati ad uno strato sociale di intellettuali, politici, operatori dei mass media, abbastanza ristretto, raggiungendo anche un’opinione pubblica interessata. Bobbio, editorialista de La Stampa, anche più di Giovanni Sartori, editorialista del Corriere della Sera (spesso presente nei salotti televisivi), è stato un grande intellettuale pubblico. Oggi, per una molteplicità di ragioni, non esistono più intellettuali pubblici della sua statura e della sua influenza etica e di pensiero molto più che politico. Nessuno più che voglia e sappia suscitare un dibattito sui grandi temi che riguardano l’Italia e gli italiani, l’Europa e gli Europei (questa è una mancanza clamorosa), il mondo. L’ultimo interrogativo discende inevitabilmente dalla considerazione che ho appena formulato, ma ha più rami: “Quali tematiche?” “Quali opinioni pubbliche?” “Quale cultura politica nella globalizzazione?” Infine, “Quale società giusta?”

Concludendo. Bobbio non rinunciò mai a porre gli interrogativi rilevanti che, lo sappiamo, contenevano regolarmente sia un principio di risposta basato sulla storia del concetto problematizzato e dell’uso che ne era stato fino ad allora fatto sia un’indicazione di metodo con il quale andare alla formulazione di una risposta convincente. Non ricorrerò a nessun trucco dialettico e retorico per affermare che in Italia da almeno vent’anni nessuno ha proceduto come Bobbio e non vedo all’orizzonte studiosi e intellettuali sufficientemente attrezzati. Forse è questo il vero segnale della crisi italiana, il deplorevole stato del dibattito pubblico in assenza del quale non potranno aversi miglioramenti complessivi nella democrazia italiana. Non è alle viste

Bologna, 14 marzo 2021

* professore emerito di Scienza politica, Università di Bologna, e Socio dell’Accademia dei Lincei


[1] Norberto Bobbio, Quale socialismo? Discussione di un’alternativa, Torino, Einaudi, 1976, XVIII-109. Seconda edizione con prefazione di Michele Salvati: Milano, Rizzoli Corriere della Sera, 2011, 169 p.

[2] Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1984, XVI-220 p.

[3] “Premessa” a Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, op. cit., p. XIII.

[4] Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma, Donzelli, 1994, X-100 p. Nuova edizione riveduta e ampliata: 1995, 141 p. Infine quarta edizione accresciuta, 2007, XVII-221 p.

[5] Norberto Bobbio, Politica e cultura, Torino, Einaudi, 1955, 282 p. Oggi nella nuova edizione a cura di Franco Sbarberi, Torino, Einaudi, 2005, XLiii-273 p.

[6] Norberto Bobbio, Quale socialismo ? …, op. cit., p. 27.

[7] Giovanni Sartori, Democrazia e definizioni, Bologna, Il Mulino, 1957, XII-331 p.

[8] Raymond Aron, L’opium des intellectuels, Paris, Calmann Lévy, 1955, 337 p. Traduzione italiana: Raymond Aron, L’oppio degli intellettuali, Bologna, Cappelli, 1958, 377 p.

[9] Norberto Bobbio, Quale socialismo ? …, op. cit., p. 60.

[10] Gianfranco Pasquino, Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana, Milano, UTET, 2021, 224 p.

[11] Norberto Bobbio, “Profilo idrologico del Novecento italiano”, in Emilio Cecchi, Natalino Sapegno (ed.), Storia della letteratura italiana. Volume nono. Il Novecento, Milano, Garzanti, 1969, 860 p. [pp. 121-128].

[12]Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Torino, Einaudi, 1986, 190 p.

[13] Norberto Bobbio, Quale socialismo ? …, op. cit., p. 104.

[14] Norberto Bobbio, Autobiografia. A cura di Alberto Papuzzi, Roma-Bari, Laterza, 1997, 274 p. [il passo citato si trova a p. 124].

[15] Ibidem, p. 125.

[16] Anthony Giddens, La terza via. Manifesto per la rifondazione della socialdemocrazia. Prefazione di Romano Prodi, Milano, Il Saggiatore, 1999, 156 p.

[17] Anthony Giddens, The third Way. The Renewal of Social Democracy, Cambridge, Cambridge Polity Press, 1998, X-166 p.

[18] Anthony Giddens, Oltre la destra e la sinistra, Bologna, il Mulino, 1997, 309 p. Edizione originale inglese: Beyond Left and Right. The Future of Radical Politics, Cambridge, Cambridge Polity Press, 1994, VII-276 p.

[19] Norberto Bobbio, Destra e sinistra Quarta edizione accresciuta, op.cit .

[20] “Cap. VIII. La stella polare”, in Norberto Bobbio, Destra e sinistra…Quarta edizione accresciuta, ibidem, pp. 145-153.

[21] Stephanie L. Mudge, Leftism Reinvented. Western Parties from Socialism to Neoliberalism, Cambridge Massachusetts – London, Harvard University Press, 2018, XXVII-524 p.

[22] Norberto Bobbio, Destra e sinistra…Quarta edizione, op. cit., p. 147,

[23] Antonio Floridia, Un’idea deliberativa della democrazia. Genesi e principi, Bologna, il Mulino, 2017, 392 p.

Nostalgia (del futuro da costruire) #prefazione di “Due grandi tradizioni politiche”

Tratto da Tarcisio Cellini, Due grandi tradizioni politiche. La vanagloria distruttiva di un piccolo uomo. Un serio cammino di resilienza, Bosia (CN), @ A.C. “R.E.T.I.” 

Nostalgia (del futuro da costruire)

Ho avuto spesso buoni rapporti con gli uomini della sinistra democristiana, anche quando erano troppo conservatori istituzionali e troppo critici di Bettino Craxi. Mi piacciono i resoconti di coloro che hanno dato tempo e energie alla politica attiva e ne sono usciti dolorosamente delusi. Però, nel libro di Tarcisio Cellini, per il quale scrivo con gusto questa presentazione, c’è qualcosa di più della delusione. Ci sono indignazione e riprovazione per la ribalderia del Renzi, il mancato statista di Rignano. Il fatto è che quel Renzi era il prodotto quasi inevitabile delle trasformazioni della DC e del PCI che l’autore segue con grande attenzione e significativa partecipazione, anche emotiva. Non voglio dire che la strada alla pur resistibile ascesa del fiorentino l’abbiano preparata Moro e Berlinguer, nell’ordine, i due politici, unitamente a Benigno Zaccagnini, preferiti e ammirati dall’autore. Certamente, quella strada era stata lastricata dalle, non so quanto buone, intenzioni di Fassino e Rutelli, di Prodi e Veltroni. Mi rimane la convinzione che neppure adesso si siano resi conto delle loro enormi responsabilità. Fra l’altro, Fassino, Prodi e Veltroni dichiararono il loro voto favorevole al referendum (plebiscito, meglio) costituzionale del 4 dicembre 2016 con il quale l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi mirava soprattutto ad aumentare e consolidare il suo potere politico personale.

Cellini inizia il suo libro facendo riferimento alle grandi culture politiche italiane del passato, ma ne individua soltanto due: cattolicesimo democratico e “socialismo (ex PCI)”. Obietto fortemente. Primo, la cultura politica del PCI non era “socialismo”. Era “marxismo più (o meno) gramscismo”, peraltro il pensiero di Gramsci era ancora poco approfondito in tutte le sue implicazioni. Secondo, in Assemblea costituente ci furono almeno altre tre culture politiche importanti: il socialismo di Lelio Basso più che di Pietro Nenni; il liberalismo di Benedetto Croce e soprattutto di Luigi Einaudi; e l’azionismo rappresentato da personalità autorevolissime da Emilio Lussu a Ugo La Malfa a Riccardo Lombardi fra le quali primeggiò per impegno indefesso e per conoscenze costituzionali Piero Calamandrei. Forse non deliberatamente, ma inconsapevolmente, senza, però, la mia disponibilità a transigere, Cellini finisce per dire che la storia successiva fu in maniera quasi esclusiva confronto/scontro fra DC e PCI. Se fosse stato così, non si capirebbero molte cose a cominciare dal centro-sinistra l’importante fase dell’Italia repubblicana nella quale, grazie in particolar modo ai socialisti e alla loro cultura riformista, si ebbe la unica vera impennata di modernità e di espansione di opportunità per gli italiani.

   L’ammirazione per Moro e Berlinguer può essere anche condivisa, ma da me solo in parte. Infatti, pur riconoscendo ad entrambi la capacità di leggere il corso degli avvenimenti e di elaborare strategie, alla fine il loro bilancio politico non posso considerarlo positivo. No, Moro non avrebbe aperto ad un rapporto di collaborazione con il PCI che sfociasse in una democrazia “compiuta”. No, Berlinguer si dimostrò incapace di trovare una credibile alternativa al fallimento della sua proposta con qualche venatura non propriamente da democrazia avanzata (e compiuta: nessuna alternanza) di compromesso storico. Ė certo che Moro si sarebbe ritratto a fronte delle reazioni della maggioranza della DC. Sono consapevole dei rischi ai quali Berlinguer avrebbe esposto il Partito comunista se si fosse distaccato bruscamente dall’Unione Sovietica, ma i suoi piccoli passi lasciarono il partito in mezzo al guado. Il PCI fu travolto dallo smantellamento del Muro di Berlino che lo svelò privo di una cultura politica effettivamente riformatrice. Dal canto suo, la sinistra democristiana fu sconfitta dalla sua ostinata volontà di mantenere unito un partito nel quale oramai di pensiero innovativo non si trovava nessuna traccia e i conflitti riguardavano solo il potere di governo e le cariche. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, la manovre di Andreotti avevano avuto successo anche se al (non troppo) divino Giulio non riuscì di ottenere la carica più alta della Repubblica.

   Non so se e quando avverrà la riscossa dei riformisti. So che allora gli elettori italiani preferirono sperimentare dando il potere di governo ad un impresario televisivo e consentendogli di prosperare nel suo enorme conflitto di interessi, nutrendo l’antipolitica e il populismo. Se il Partito Democratico doveva essere la riscossa non possiamo essere soddisfatti. Gli errori politici sono stati molti, e continuano. La classe dirigente è mediocre e nient’affatto in via di miglioramento che, comunque, non può venire da elezioni primarie mal fatte e spesso manipolate. Di cultura politica non se ne vede neppure un brandello. Eppure, il PD era stato vantato dai fondatori proprio per la sua volontà di mettere insieme le migliori culture politiche del paese, nel 2007 già esauste e scomparse. Nessuno che guardasse alla produzione di cultura politica in Germania, negli USA, in Gran Bretagna, nei paesi scandinavi. Troppi che si beavano della “anomalia” italiana. Pochi che volessero diventare europei consapevoli e attivi. Nella non grande misura in cui Moro si interessò dell’Europa, fu europeista by default, in mancanza di meglio. La gatta da pelare di Berlinguer, l’URSS, era davvero grossa, unghiuta e aggressiva, oggettivamente e logicamente nemica del processo di costruzione di un’Europa politica. Certo, il segretario comunista preferiva stare da questa parte della cortina di ferro (arrugginito), ma, nonostante l’entusiasmo europeista dell’ex-comunista Altiero Spinelli, grande federalista, il PCI rimase un attore irrilevante sui temi europei fino agli anni novanta.

Anche per questo, forse, l’Europa occupa nel resoconto di Cellini spazio limitato. Concludo queste mie considerazioni, da un lato, affermando extra Europam nulla salus. Dall’altro, invitando alla lettura di questo snello e efficace libro. Fa riflettere e imparare, con qualche nostalgia per un futuro migliore.

Gianfranco Pasquino

Bologna, 10 dicembre 2020

LA RIVOLUZIONE DEL NOSTRO TEMPO Manifesto per un nuovo socialismo #23novembre #Bologna

Venerdì 23 novembre 2018 ore 17.30
Centro sociale e culturale Giorgio Costa
via Azzo Gardino 44 Bologna

Presentazione del libro di Paolo Ciofi
LA RIVOLUZIONE DEL NOSTRO TEMPO
Manifesto per un nuovo socialismo
(Editori Riuniti)

Ne discutono con l’autore
Cristina Quintavalla
Francesco Cerrato
Gianfranco Pasquino
Coordina
Sergio Caserta

Il problema non è salvare il capitalismo, ma ripensare il socialismo. Un’altra idea di società, di relazioni tra gli esseri umani e con la natura, per la quale vale la pena di lottare.