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La corruzione è lo specchio di una società che la tollera @DomaniGiornale

Fare politica è costoso, un po’ dappertutto. Richiede un investimento iniziale, ma anche da alimentare periodicamente, non piccolo: tempo, energie e denaro. La tanto, troppo sbandierata “passione” è importante, aiuta nei momenti difficili, ma non è mai sufficiente. Fare politica può anche essere un modo per arricchirsi: fama, prestigio, riconoscimenti, persino soddisfazioni quando si ha la capacità e la possibilità di formulare e attuare politiche che giovano ad una comunità, agli elettori, al sistema politico, sociale, economico (la Nazione?). Anche senza conoscerne le preziosissime teorizzazioni, molti concordano con Max Weber. Magari la distinzione fra vivere per la politica e vivere di politica è troppo drastica. Certamente, però, Weber non pensava affatto e non avrebbe in nessun modo condonato chi, volendo vivere di politica, avesse utilizzato qualsiasi suo ruolo per estrarre illecitamente vantaggi personali, anche ricorrendo alla corruzione, dalle sue attività.
“Politici d’affari” fanno la loro comparsa in molti sistemi politici, non necessariamente in tutti. Nei regimi autoritari, la corruzione è insita, quasi la norma. La si scoperchia non appena cambiano i governanti. Nelle democrazie le differenze fra sistemi sono notevoli. Possono derivare sia dalle strutture: istituzioni, burocrazia, partiti, sia dalle mentalità più o meno disponibili ad accettare qualche dose di corruzione. Quindi, nei casi di frequente e diffusa corruzione in politica, non è sufficiente guardare esclusivamente alla politica, ma anche ai valori della società e relativi comportamenti.
La reazione sdegnata della società italiana, ancorché nient’affatto unanime, e le inchieste della magistratura, a partire da Mani Pulite portarono a una situazione nella quale la corruzione politica sembrava potesse diventare un fenomeno marginale, limitato. Di recente, invece, hanno fatto la loro comparsa casi gravi da Bari a Torino, in Sicilia e altre fattispecie (anche di ministri e sottosegretari, il conflitto di interessi è intrinsecamente portatore di corruzione), da ultimo, ieri, in Liguria dove si ipotizza una rete ampia e diversificata, quasi un sistema, che coinvolge Giovanni Toti, il Presidente della Regione Liguria e numerosi operatori economici anche di vertice. Per mia salvezza personale, mi cautelo subito con l’espressione “la giustizia faccia il suo corso” e completo “massima fiducia”. L’orologio della giustizia funziona come può, ma gira, gira costantemente.
Uomini e, in misura minore, donne, forse perché sono numericamente meno presenti e meno potenti, corrotti/e se ne trovano dappertutto, ma con enormi differenze fra paesi: quasi assente in Scandinavia e limitata nei sistemi anglosassoni tranne che negli USA, già non più “anglosassone”, che tutte le ricerche riscontrano e documentano. In qualche caso a tenerla bassa serve il controllo politico e sociale: partiti che la ripudiano e sistematicamente escludono chi è incline a praticarla; elettori informati e indignati che la puniscono con il voto; mass media che la raccontano senza sconti e senza favori (favoreggiamenti). In altri, è l’ambiente circostante che ne rende intollerabile il costo non solo politico: esclusione rapida e definitiva dalle cariche, ma anche reputazionale: messa al bando con vergogna da qualsiasi attività pubblica. In Italia, c’è molto da fare su entrambi i terreni, a cominciare dalle interazioni sociali di partenza, in famiglia, nelle scuole, fra gruppi di pari. Coloro che corrompono e coloro che si lasciano o addirittura si fanno corrompere non sono “furbi”. Sono malfattori le cui attività inquinano la vita di tutti, violano qualsiasi principio etico, mettono le fondamenta, costruiscono e perpetuano l’ingiustizia sociale. Questo è l’altissimo costo della corruzione, soprattutto quella politica.
Pubblicato il 8 maggio 2024 su Domani
INVITO AL DIBATTITO “Elezioni europee: la posta in gioco” #9maggio #Torino SALONE OFF
Nell’ambito delle manifestazioni collegate al Salone del Libro di Torino (SaloneOFF)
Giovedì 9 maggio 2024
Ore 16:00
Al Polo del ‘900
Via del Carmine, 14
Spazio Incontri
INVITO AL DIBATTITO
“Elezioni europee: la posta in gioco”
Gianfranco PASQUINO
Lucio LEVI
Dialogano con i rappresentanti delle Associazioni della Società civile sulle elezioni europee e sulle loro proposte

La società. Non si gioca a bocce da soli. Non si porta via il pallino #IlRaccontodellaPolitica
IL RACCONTO DELLA POLITICA
Lezione 7La società. Non si gioca a bocce da soli. Non si porta via il pallino
“Alla base di un sistema politico ben funzionante sta una società civile capace di organizzarsi, di associarsi, di produrre gruppi che entrano in competizione fra di loro consentendo ai cittadini di esprimersi al meglio. Una buona società civile è la premessa di una buona politica e viceversa”
“Il Racconto della politica” In arrivo il #videocorso di Pasquino
Parlare di politica fa bene, a noi e agli altri. Studiare la politica è un’attività intellettuale preziosa. La politica condiziona i nostri comportamenti. Con le nostre conoscenze e i nostri comportamenti possiamo condizionare la politica e trasformarla in meglio.
I brevi video che ho realizzato per voi hanno proprio l’obiettivo di raccontare la politica in maniera semplice, di renderla attraente, in un certo senso di aiutarci a diventare buoni cittadini, informati e partecipanti.
A presto sui vostri schermi!
Dizionario di Politica Bobbio, Matteucci, Pasquino. Perchè le parole contano!
Intervista raccolta da Annamaria Abbate per la Casa della Cultura
Giunto alla sua quarta edizione, a quarant’anni dalla data della prima pubblicazione, il Dizionario di Politica di Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino resta un’opera unica nel suo genere. Uscito per la prima volta nel 1976, negli anni Ottanta fu tradotto anche in spagnolo e portoghese, lingue parlate in molti Paesi allora nuovi alla democrazia. Diventato un “classico” della Scienza politica, ha accompagnato generazioni di studiosi e ora è riproposto dalla UTET in una nuova edizione aggiornata
Leggo dalle sue note bio-bibliografiche che lei, Prof Pasquino, si dice “particolarmente orgoglioso” di avere condiretto, insieme a Bobbio e a Matteucci, il Dizionario di Politica. Ci racconta perché e com’è successo?
Semplicissimo. Fui cooptato da entrambi, Bobbio, il docente con il quale mi ero laureato a Torino nel marzo 1965, e Matteucci, il docente che mi aveva “reclutato” come professore incaricato di Scienza politica nell’Università di Bologna nel novembre 1969. Svolsi il compito di Redattore capo della prima edizione, sette anni di lavoro, pubblicata nel 1976. Da Bobbio, filosofo della politica, e da Matteucci, storico delle dottrine politiche, ho imparato molto, a cominciare da come si scrive una voce di dizionario (di politica, non di scienza politica), a come si citano gli autori, tutti, anche quelli con i quali si è in disaccordo, a come si riscrive quello che collaboratori disinvolti e sicuri di sé, ma presuntuosi e irritabili, hanno consegnato. Sia Bobbio sia Matteucci, molto esigenti con se stessi, mi parevano, e qualche volta osai dirlo loro, fin troppo arrendevoli nei confronti di alcuni loro colleghi, diciamolo, rigidi. Fu, poi, nel corso della preparazione della seconda edizione, che uscì nel 1983, che Bobbio decise, con il beneplacito di Matteucci, di promuovermi condirettore: un premio straordinario. Ne fui felice e ne rimango, per l’appunto, “particolarmente orgoglioso”.
Che tipo di lavoro vi proponevate e ne siete stati soddisfatti?
Volevamo preparare uno strumento il più articolato possibile di analisi, storica, filosofica, politologica, dei concetti, dei fenomeni, dei movimenti politici più importanti, non solo italiani, di un’analisi che fosse precisa e compiuta, ma anche suggestiva, che offrisse il massimo di informazioni, ma anche prospettive per approfondimenti. Nessuno di noi tre pensava opportuno rincorrere l’attualità e le mode; tutt’e tre abbiamo cercato di illuminare i temi classici della politica. Al proposito, mi fa grandissimo piacere sottolineare che le non poche voci assolutamente fondamentali scritte da Bobbio e da Matteucci hanno retto al passare del tempo. Anzi, rimango convinto che chiunque voglia capire la democrazia e la teoria delle elites, farebbe molto bene a leggere le due voci di Bobbio così come chi vuole conoscere che cosa sono il costituzionalismo e il liberalismo deve assolutamente leggere le due voci di Matteucci. Entrambi scrissero diverse altre voci molto importanti. Vorrei segnalare Disobbedienza civile di Bobbio e Diritti dell’uomo di Matteucci. Naturalmente, tutt’e tre vedevamo problemi irrisolti, inconvenienti analitici, fenomeni insorgenti. Prima nel 1983 e poi, nella terza edizione, del 2004, abbiamo cercato di porvi rimedio. Faccio un solo esempio: la riscrittura delle voci comunismo e socialismo diventate in parte obsolete in parte inutili per chi leggesse il Dizionario nel 2004. Bobbio non poté vedere la 3a edizione poiché morì due settimane prima della pubblicazione, ma avevamo discusso insieme tutti cambiamenti (e gli alleggerimenti).
Come si spiega l’assenza di Giovanni Sartori, il suo “secondo” maestro? Come mai non gli avete affidato nessuna voce?
In quegli anni Sartori, che si trasferì a Stanford nell’estate del 1976, era impegnatissimo a scrivere il suo fondamentale Parties and party systems (pubblicato nel 1976 e del quale celebreremo opportunamente il 40esimo anniversario). Interpellato, ci fece notare che Bobbio e Matteucci potevano scrivere ottimamente le voci, Costituzionalismo, Democrazia, Liberalismo, Scienza politica, sulle quali lui aveva già scritto molto. Quanto ai Sistemi di partiti disse che potevo provarci io stesso che, insomma, dovevo pure avere letto quanto lui aveva scritto. Per le edizioni successive acconsentì a mandarci qualche riga di apprezzamento di cui, conoscendolo, siamo tuttora molto lieti e grati!
E lei, prof Pasquino, di quali voci si sente “particolarmente orgoglioso”?
Premetto che mi è sempre piaciuto cercare di formulare le definizioni più precise dei concetti politici, rintracciando quel che serve nella storia e collegandolo alle trasformazioni avvenute e alle nuove interpretazioni. Potrei dire che tutte le mie voci mi sono care, ma non è così (anche perché, talvolta, mi capita persino di avere un po’ di senso critico nei miei confronti). Sono piuttosto soddisfatto delle voci Forme di governo, Militarismo e Rivoluzione. Nella nuova edizione ho scritto, in maniera che mi pare efficace, le voci Accountability, Deficit democratico e Scontro di civiltà. Mi pongo costantemente in un dialogo ideale con i lettori, le loro curiosità e i loro interessi. Cerco di scrivere in maniera tale da soddisfare i lettori senza ridurre il tasso di inevitabile tecnicismo che ciascuna voce deve contenere. Lo faccio osservando la lezione di Bobbio e di Luigi Firpo: la chiarezza espositiva è una conquista che giova sia a chi scrive sia a chi legge.
Il Dizionario è oramai arrivato alla quarta edizione che esce quarant’anni dopo la prima. Potrebbe dirci che tipo di interventi ha fatto, ha suggerito, ha incluso?
Anche per non produrre un testo troppo voluminoso e non più maneggevole, ho fatto cadere alcune voci di esclusivo interesse storico che si trovano in molti repertori. Abbiamo proceduto al rinfrescamento di diverse voci e alla riscrittura specifica in chiave comparata della voce Mafia (Federico Varese, cervello italiano, brillante studioso, da quasi vent’anni a Oxford), di Terrorismo politico (Luigi Bonanate) per includervi anche il terrorismo cosiddetto internazionale, e di Unione Europea (Roberto Castaldi) perché l’UE cambia, purtroppo, non sempre in meglio, ma merita di essere analizzata con grande attenzione. Poi ci sono diciassette voci del tutto nuove che vanno, ne cito solo alcune, da Alternanza a Capitale sociale, da Cittadinanza a Patriottismo, da Consociativismo a Governance, da Narrazione a Primarie (non poteva mancare!). Tutte le volte che analizzo la politica e che commissiono analisi ai colleghi mi rendo conto quanto sia importante essere attentissimi e chiarissimi nelle definizioni, articolati nelle interpretazioni, non-ideologici nelle valutazioni. Tre qualità che è tuttora possibile apprezzare e tentare di imparare da due maestri come Bobbio e Matteucci.
Conoscendola, prof Pasquino, e avendola spesso ascoltata parlare e, come dice lei, “predicare”, non posso credere che lei non voglia niente di più che definizioni, interpretazioni, valutazioni, dal Dizionario di Politica.
Certamente, conoscendomi, anch’io so che desidero molto di più. Mi piacerebbe che il Dizionario fosse ampiamente utilizzato e diventasse indispensabile non soltanto (la prego di notare l’ordine) ai colleghi e agli studenti, ma anche agli operatori dei mass media, sì, i giornalisti della carta stampata, della radio e della televisione, magari diventasse, come sento che si dice, “virale” in rete (sic) e a un’opinione pubblica che rifiuti di farsi ingannare dagli affabulatori. Ciò detto, chiudo il mio piccolo libro dei sogni. Il predicatore che è in me rinsavisce; si disincanta; torna al realismo, alla politica che c’è; si rimette a studiare, a scrivere, a criticare, cercando di migliorare il linguaggio e le analisi politiche, e si rallegra nel dedicare questa nuova edizione alla memoria di Norberto Bobbio e di Nicola Matteucci (anche loro “predicatori” di una politica esigente e migliore).
Pubblicato il 28 aprile 2016
È nelle librerie il Dizionario di Politica di Bobbio, Matteucci, Pasquino. Nuova edizione aggiornata UTET 2016
Prefazione alla nuova edizione
Le parole contano
La politica cambia e cambia la sua “narrazione”. Di conseguenza, cambiano anche le parole per raccontarla e i concetti per analizzarla. Alcune parole sono effimere; altre sembrano destinate a durare; altre ancora meritano di essere diversamente spiegate. I concetti sempre meritano di essere definiti con attenzione alla loro storia e con precisione rispetto ai loro contenuti. Giunto alla sua quarta edizione, a quarant’anni dalla data della sua prima pubblicazione, questo Dizionario ha regolarmente mirato a includere tutte le parole importanti della politica e offrire le più accurate concettualizzazioni. Né Norberto Bobbio né Nicola Matteucci pensavano di dovere rincorrere l’attualità, spesso confinante con la caducità, ma entrambi furono sempre disponibili a prendere in seria considerazione fenomeni politici nuovi la cui trattazione meritasse di essere inclusa in un dizionario di politica. Ferme restando le grandi voci della politica, molte delle quali scritte, opportunamente, da loro stessi, che contengono tuttora le migliori chiavi di lettura delle strutture portanti della politica, entrambi avrebbero certamente incluso l’analisi dei fenomeni nuovi. Sarebbero anche stati d’accordo sull’opportunità di aggiornare complessivamente il Dizionario da loro impostato e diretto.
La lezione dei classici può e deve accompagnarsi a quanto di nuovo emerge continuamente in politica e serve senza nessun dubbio a illuminare le problematiche contemporanee. Tuttavia, la selezione di quali problematiche nuove includere e di quali fenomeni antichi, diventati minori e oggi non più rilevanti, escludere, si presenta sempre difficile. Però, selezionare è indispensabile, anche al fine di mantenere non esagerate le dimensioni di questa opera che continua ad essere unica, nonostante qualche imitazione, nel panorama italiano e non solo. La mia conoscenza del pensiero politico di Bobbio e di Matteucci, la mia lunga familiarità con i loro interessi scientifici e culturali e la fiducia da loro sempre manifestatami mi consentono di pensare che sarebbero stati fondamentalmente d’accordo con le mie scelte di inclusione del nuovo e di esclusione di alcune voci divenute non più necessarie.
Oltre a rinfrescare alcuni voci, dunque, abbiamo proceduto all’aggiunta di una ventina di voci nuove. Lascio ai lettori, ai colleghi e agli studenti quella che mi auguro sia la gradevole curiosità di scoprire le voci nuove, valutando nei fatti quali conoscenze aggiuntive apportino per una migliore comprensione della politica nel mondo contemporaneo(e, se siamo stati bravi, anche per qualche tempo a venire). Ho la profonda convinzione, certo di condividerla con Bobbio e con Matteucci, che qualsiasi buona analisi politica debba iniziare con la definizione corretta dei fenomeni e con la loro migliore concettualizzazione possibile. Questo Dizionario offre gli strumenti più adeguati per procedere con successo ad entrambe le operazioni. Infine, non posso trattenermi dallo scrivere che buone analisi politiche sono necessarie sia per criticare e contrastare la cattiva politica sia per porre le premesse della buona politica. Almeno, seppure con enfasi differenti, questo è quanto, con Bobbio e Matteucci, abbiamo cercato di fare. Poiché le parole contano.
Bologna, gennaio 2016
Gianfranco Pasquino
«Il Dizionario di Politica è un’opera importante, unica nel suo genere, non soltanto in Italia, ma anche all’estero dove è stato apprezzato e tradotto. Rigoroso nelle definizioni, articolato e convincente nella trattazione dei termini politici, questo Dizionario, opportunamente rivisto e aggiornato, è uno strumento istruttivo, utile per gli studenti, per i docenti e sicuramente anche per tutti coloro che di politica vogliono saperne meglio e di più.» Giovanni Sartori

Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino
Dizionario di Politica. Nuova edizione aggiornata UTET 2016
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Norberto Bobbio
Nicola Matteucci
Gianfranco Pasquino
Dizionario di Politica
Nuova edizione aggiornata UTET 2016
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18 voci nuove:
ACCOUNTABILITY Gianfranco Pasquino
ALTERNANZA Marco Valbruzzi
CAPITALE SOCIALE Marco Almagisti
scontro di CIVILTÀ Gianfranco Pasquino
CITTADINANZA Maurizio Ferrera
COALIZIONI Marta Regalia
COMPETIZIONE Marta Regalia
CONSOCIATIVISMO Francesco Raniolo
DEFICIT DEMOCRATICO Gianfranco Pasquino
GOVERNANCE Simona Piattoni
GOVERNO DIVISO Gianfranco Pasquino
NARRAZIONE Sofia Ventura
NEO-PATRIMONIALISMO Francesco Raniolo
PATRIOTTISMO Maurizio Viroli
POLARIZZAZIONE Marta Regalia
elezioni PRIMARIE Marco Valbruzzi
TRANSIZIONE Gianfranco Pasquino
TRASFORMISMO Marco Valbruzzi
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… Pace
Pacifismo
Parlamento
Partecipazione politica
Partiti cattolici
Partiti politici
Partitocrazia
Paternalismo
Patriottismo
Pauperismo
Peronismo
democrazia Plebiscitaria
Pluralismo
Polarizzazione
Polis
Politica
Politica comparata
Politica economica
Popolo
Populismo
Potere
Prassi
Primarie
Principato
Processo legislativo
Professionismo politico
Progresso
Proletariato
Propaganda
Proprietà
Pubblica amministrazione
Puritanesimo
Qualunquismo
Quarto stato
Radicalismo
Ragion di Stato
Rappresentanza politica
Razzismo
Referendum
Regime politico
Regionalismo
Relazioni industriali
Relazioni internazionali
Repubblica
Repubblica romana
Repubblicanesimo
Resistenza
Rivoluzione
Romant icismo politico
Scienza politica
Sciopero
Sciovinismo
Secessione errate
Signorie e principati
Sindacalismo
Sistema politico
Sistemi di partiti
Sistemi elettorali
Socialdemocrazie
Socializzazione politica
Società civile
Società di massa
Società per ceti
Sociologia politica
Sottosviluppo
Sovranità
Sovrastruttura
Spazio politico
Sistema delle Spoglie
Stabilità politica
Stalinismo
Stato assistenziale
Stato contemporaneo
Stato d’assedio
Stato del benessere
Stato di polizia
Stato e confessioni religiose
Stato moderno
Storicismo
Stratificazione sociale
Struttura
Tecnocrazia
Teocrazia
Teoria dei giochi
Terrorismo politico
Terza via
Timocrazia
Tirannia
Tolleranza
Totalitarismo
Transizione
Trasformismo
Trotskysmo
Uguaglianza
Unione Europea
Utilitarismo
Utopia
Violenza
Caso Marino: Nessun miracolo a Roma
Non può essere e non è Marino il responsabile assoluto e solitario di tutti guai di Roma, del Partito Democratico e della politica. Probabilmente è il contrario: la politica romana e il PD hanno “causato” Marino sindaco. Certo, Marino doveva essere sufficientemente accorto per non lastricare la strada delle sue dimissioni con scontrini a carico del comune, con multe non pagate, con viaggi di inutile rappresentanza della città di cui era sindaco. Sono cose che, semplicemente, per di più dopo scandali simili, ma di proporzioni maggiori alla Regione Lazio, non si debbono mai più fare. Tuttavia, se Marino avesse dimostrato di sapere governare Roma, gli scontrini non l’avrebbero costretto ad andarsene.
Se l’era cercata lui la candidatura a sindaco e l’aveva anche ottenuta attraverso le primarie, in maniera più che legittima. Neanche le primarie meritano di essere considerate responsabili del successivo scarso e ingenuo governo di Marino. Dietro tutto quello che è successo sta il fallimento della politica del Partito Democratico di Roma e dei suoi predecessori, DS e Margherita. Se il PD non avesse proceduto a riscaldare la “minestra Rutelli” dopo molti anni, ma avesse cercato e trovato un candidato più motivato e più promettente, non avrebbe perso contro Alemanno. Non è detto che la rete chiamata Mafia capitale sarebbe subito stata spezzata, ma almeno non si sarebbe ingigantita.
Fin dall’inizio Marino ha incontrato due problemi reali e non si è mai reso conto di avere una sua enorme debolezza congenita. Il primo problema è che, come parvenu della politica romana, Marino non ha mai saputo, forse neppure voluto, non comprendendone l’importanza, cercare di diventare il capo effettivo e riconosciuto del Partito Democratico di Roma. L’operazione sarebbe comunque stata difficilissima, ma il tentarla gli avrebbe procurato amici e sostenitori e lo avrebbe fatto sentire meno come un “marziano”. Avrebbe anche rapidamente portato alla sua attenzione alcuni fenomeni di degenerazione che, invece, ha compreso poco, male e tardi. Politicamente ingenuo, Marino si è dimostrato anche incapace dal punto divista amministrativo. Non ci si improvvisa sindaci, meno che mai di città grandi e complicate.
Marino costituisce anche una lezione per tutti coloro che continuano a voler pescare nella società civile. Tutti gli eventuali sindaci “civici” passeranno attraverso una fase, più o meno lunga di apprendistato. La supereranno con successo solo se aiutati dai consiglieri comunali dei loro partiti e se sapranno scegliere assessori esperti, capaci e leali. Purtroppo per lui, ingenuo e incompetente, Marino ha anche sopravvalutato le sue capacità, in particolare quella di comprendere la situazione e di guidarla in maniera imperativa basandosi sulle sole idee che considerava valide: le sue. Grave peccato di presunzione, come direbbero gli americani che Marino conosce e ammira, troppa hubris (ampiamente palesata anche nel messaggio video delle sue dimissioni pro tempore).
Detto tutto questo che è innegabile, ma, al tempo stesso, illuminante di una parabola alla fine molto triste, le responsabilità maggiori dell’ascesa maldestra e della caduta rovinosa di Marino sono del Partito Democratico di Orfini e di Renzi. Presidente dell’Assemblea del PD e commissario del “suo” partito romano, che è, dunque, obbligato a conoscere benissimo, Orfini ha talvolta remato contro Marino, talvolta non ha remato affatto. Le sue dimissioni sarebbero logiche. Nient’affatto amico di Marino, il segretario nazionale del Partito Democratico Matteo Renzi non ha mai gradito la presenza di Marino e, di tanto in tanto, lo ha impiombato. Renzi vuole degli “yesmen” anche a livello locale, ma non sa trovarli e poi non ha abbastanza tempo e conoscenze per sostenerli. Insomma, si diano a Marino le sue responsabilità, ma una soluzione decente per Roma, per i romani, per il PD arriverà soltanto quando si affermerà l’idea che la società civile da sola non può cambiare la politica, ma deve allearsi con politici onesti e competenti e che il governo di una città richiede esperienza amministrativa e la coesione di un gruppo dirigente partitico di qualità. Neppure l’incombente Giubileo garantisce la comparsa di un miracolo a Roma.
Pubblicato AGL 11 ottobre 2015

