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Qui ci serve una formula magica

Con la forza dei numeri, non delle idee, Renzi ha ancora una volta imposto la sua linea alla Direzione del Partito Democratico. L’unanimità, del tutto fittizia, ottenuta dalla relazione Martina salva la carica del segretario reggente, ma pone la parola fine sull’eventuale apertura di un negoziato con i Cinque Stelle. È quel che Renzi aveva del tutto impropriamente, ma deliberatamente, dichiarato in una trasmissione televisiva, non il luogo dove si dovrebbero annunciare decisioni politiche tanto importanti come quelle che riguardano il governo dell’Italia. La conclamata rinuncia del PD a prendere qualsiasi iniziativa, non credibile essendo quella di un governo istituzionale (da affidare a chi? agli sconfitti del referendum del 4 dicembre, Renzi-Boschi, e all’autore della pessima Legge Rosato?), segna un altro passo verso l’irrilevanza politica del partito. I retroscena dicono che il Presidente della Repubblica sia rimasto molto irritato dai comportamenti dei renziani che, per di più, non si fermano qui, potendo addirittura sfociare in una sostituzione di Martina a fine maggio nell’Assemblea nazionale.

Pur consapevole della difficoltà di dare vita ad un governo decente, pardon, politico, Mattarella non si aspettava di trovarsi fra le mani una potata tanto bollente. Lunedì farà l’ultimo giro di consultazioni per cercare una formula che rappresenti il punto d’equilibrio fra le diverse richieste dei partiti, tutte contenenti qualche elemento accettabile e molti elementi discutibili. Accettabile era la richiesta del centro-destra di essere riconosciuto come lo schieramento vincente; inaccettabile la pretesa di ottenere l’incarico senza indicare con quali voti avrebbe raggiunto la maggioranza assoluta in entrambe le Camere. Mattarella, correttamente e tenendo conto del precedente di Napolitano, non è favorevole allo scouting, vale a dire alla caccia a parlamentari nei quali il trasformismo faccia aggio sulla responsabilità. Non sarebbero affidabili. Ugualmente legittima era la richiesta delle Cinque Stelle che toccasse a loro dare vita al governo; molto meno convincente che al loro capo Luigi Di Maio spettasse senza se senza ma la carica di Presidente del Consiglio se non si dimostrava in grado di trovare gli alleati per una coalizione maggioritaria.

Per nulla condivisibile, anzi, da scartare senza necessità di spiegazioni, che si vada a un inedito duello con Salvini definito molto erroneamente secondo turno elettorale, come sostiene Di Maio, facendo solo confusione. Non soltanto lo scioglimento del Parlamento è esclusivo potere presidenziale, come hanno dimostrato ad abbondanza Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano, ma è da considerarsi un’ultima ratio alla quale Mattarella spera non si sia ancora pervenuti e per la quale, comunque, sarà indispensabile dare vita a un governo capace di garantire un ineccepibile svolgimento del procedimento elettorale. Non rimane, scusate se è poco, dirò scherzosamente, che trovare la formula quasi magica per dare vita a un governo che, mi esercito anch’io nelle formule, sia di “responsabilità nazionale”. Non per (ri)fare riforme costituzionali pasticciate, ma per governare l’economia secondo i criteri definiti in sede di Unione Europea, per spingere la crescita e creare posti di lavoro. Non pare neanche il caso di scrivere un’altra legge elettorale, potendo bastare, per il momento, tre ritocchi alla Legge Rosato: introduzione del voto disgiunto; soglia del 4 per cento per l’accesso al Parlamento; abolizione delle candidature multiple. Non un governo di tutti, dirà Mattarella, ma di coloro che, per l’appunto, con responsabilità nazionale, saranno disponibili ad assumersi oneri e, eventualmente, onori. Quanto al Presidente del Consiglio e ai ministri, il Presidente rivendicherà a se stesso le scelte, oculate e rappresentative, di personalità con esperienza e competenza. Non è un libro dei sogni, ma un’agenda di lavoro certamente impegnativa. Auguri, Presidente, a lei e a noi.

Pubblicato AGL il 7 maggio 2018

Il modello tedesco e la buona proporzionale #LeggeElettorale

Per tre volte, 2006, 2008, 2013, gli italiani hanno votato con una legge elettorale proporzionale (Porcellum) con premio di maggioranza. Il (tre quarti) maggioritario fu il Mattarellum con il quale pure gli italiani votarono tre volte: 1994, 1996, 2001. L’Italicum era un Porcellum con qualche variazione: non tutti i parlamentari sarebbero stati nominati dai capipartito/capicorrente; possibilità di “solo” dieci candidature multiple; premio di maggioranza al partito che avesse ottenuto il 40% più uno dei voti oppure che avesse vinto il ballottaggio. Sostenere con allarmismo che l’Italia è tornata/tornerà alla proporzionale non solo è sbagliato, ma contiene anche una critica preventiva alle leggi elettorali proporzionali che è assolutamente fuori luogo. Lasciando da parte coloro che, dopo averne a lungo elogiato e proposto il sistema elettorale spagnolo, chiaramente proporzionale, oggi paventano l’esito spagnolo, tutte le democrazie dell’Europa occidentale, meno la Gran Bretagna e la Francia, usano da più di un secolo leggi elettorali proporzionali (la Germania, un esempio di ottima proporzionale, da quasi settant’anni). Allora, invece di piangere sul perduto premio di maggioranza, sarebbe molto meglio cominciare a dire alto e forte che non debbono essere ammesse le pluricandidature, che non debbono esistere parlamentari orwellianamente più eguali degli altri, vale a dire nominati, che è giusto avere una soglia di accesso alla rappresentanza parlamentare che scoraggi e impedisca la frammentazione dei partiti.

Dopodiché, ma mi rendo conto che è chiedere molto a dirigenti di partito che ragionano quasi esclusivamente con riferimento agli interessi di breve periodo del loro partito e, spesso, del loro potere personale, si può procedere in tempi rapidissimi a due operazioni alternative. Fare rivivere il Mattarellum ricordando a tutti (potrebbe farlo, accompagnandolo con una modica dose di moral suasion, lo stesso Presidente della Repubblica, persona informata dei fatti) che il Mattarellum non dava in partenza vantaggi a nessuno, premiava la formazione preelettorale di coalizioni che si candidavano a governare, consentì l’alternanza decisa dagli elettori. Con qualche ritocco, il Mattarellum è tuttora una buona legge elettorale, comprensibile da tutti, facilmente attuabile. L’alternativa, per chi non vuole l’ottimo sistema maggioritario a doppio turno francese (peccato che non ci sia mai stato un vero e approfondito confronto sul sistema francese che avrebbe anche il merito di scompaginare le carte e di accrescere la competitività) non può che essere il sistema tedesco, che si chiama “proporzionale personalizzata” nella sua integrità, senza furbesche manipolazioni.

Sfido chiunque a trovare nel sistema tedesco tutti gli inconvenienti di frammentazione, instabilità, difficoltà di formazione dei governi (le Grandi Coalizioni sono il prodotto di scelte politiche, non dei meccanismi elettorali) che paventano gli allarmatissimi anti-proporzionalisti (in verità, essenzialmente “premiatisti” che solamente, ma fortemente vogliono un premio di maggioranza, distorsivo della proporzionalità). Qualcuno che si chieda se all’affermarsi come sistema politico stabile e efficiente, rappresentativo e governato/governabile il sistema elettorale non abbia dato un contributo corposo, quasi decisivo? Spero che non si voglia lasciare ai posteri la nient’affatto ardua sentenza.

Pubblicato il 24 agosto 2017

Strada obbligata per la legge elettorale

Fallita la brillante operazione, ispirata da Renzi che diceva: il sistema tedesco non è il mio preferito; il governo Gentiloni durerà fino alla scadenza naturale della legislatura, che cosa resta agli elettori italiani esterrefatti e insoddisfatti? Resta, anzitutto, la sensazione che ancora una volta il segretario del Partito Democratico si sia fatto mal consigliare e sconfiggere dalla sua fretta. In questo modo, ha perso, da un lato, il sostegno di Napolitano, che riteneva le elezioni anticipate una scelta da irresponsabili, dall’altro, una parte non piccola di credibilità nella sua leadership e nelle sue competenze elettoral-istituzionali. Bisognerà ripartire affinché l’Italia abbia una legge elettorale decente, che non favorisca e non svantaggi nessuno dei partiti esistenti e che dia rappresentanza politica ai cittadini e potere agli elettori prima di andare alle urne a scadenza naturale, fine febbraio 2018. Meglio se nessuno procedesse a calcoli più o meno astrusi e non si facesse inventare dai suoi costituzionalisti e politologi di riferimento l’algoritmo vincente sulla base dei risultati delle elezioni amministrative. Temo che questa considerazione rimarrà lettera morta, ma sono sicuro che chi si baserà su quei risultati andrà incontro a delusioni elettorali e politiche.

Come nessun altro paese al mondo, l’Italia rischia di avere una legge elettorale formulata dalla Corte Costituzionale che, per di più, è stata largamente costretta a procedervi ritagliando l’Italicum nelle sue componenti incostituzionali. Tutte le democrazie parlamentari dell’Europa occidentale hanno leggi elettorali (essenzialmente proporzionali) scritte dai loro Parlamenti più di cent’anni fa e appena ritoccate nel tempo. Quella tedesca risale al 1949-56. Negli ultimi venticinque anni l’Italia ha avuto quattro leggi elettorali, la migliore, quella firmata da Mattarella, fu il felice esito di un referendum popolare (di cui sarebbe ancora utile tenere conto). I parlamentari italiani e i dirigenti dei loro partiti stanno dimostrando di non avere la cultura politico-istituzionale in grado di produrre una legge che consenta, lo scrivo nei minimi termini, di “tradurre i voti in seggi”. Troppi si fanno ancora influenzare da commentatori che ritengono il premio di maggioranza, che non esiste in nessuna democrazia parlamentare, una sorta di requisito essenziale per la prossima legge elettorale. Sbagliano. Allora, tutti si meritano il sistema che consegue alla sentenza della Corte Costituzionale. Evitando il deplorevole “latinorum”, non lo chiamerò né Consultellum né, come fanno i pentastellati, Legalicum. Porterà il nome del relatore e sarà una legge elettorale proporzionale con soglia di accesso del 3 per cento alla Camera (non guasta che al Senato la soglia sia diversa, l’importante è che la traduzione dei voti in seggi sia proporzionale) e con la possibilità di esprimere preferenze. A favore di una preferenza da esprimere scrivendo il nome della candidatura preferita, è opportuno ricordarlo, gli italiani si espressero nel referendum del 1991. C’è anche da chiedersi dove vivono quelli che sostengono che le preferenze portano corruzione. In tutti questi tristi anni vissuti senza preferenze è forse diminuita la corruzione politica?

Alte si levano le critiche dei sedicenti maggioritari (che se fossero davvero tali dovrebbero chiedere il sistema inglese o quello francese) perché l’esito complessivo saranno governi di coalizione. Tutte le democrazie parlamentari europee sono governate da coalizioni. Sta per tornarci, dopo l’esperienza del 2010-2015, anche la Gran Bretagna. L’ultimo esito, da chi sarà formato il (primo) governo dopo le elezioni del 2018, non possiamo prevederlo. Lo decideranno i dirigenti di partito, ma quanto potere avranno dipenderà grazie alla legge proporzionale, non da un artificiale e distorcente premio di maggioranza (Matteo Renzi è segretario di un partito che ottenne 25 per dei voti nel 2013 e che alla Camera ha il 54 per cento dei seggi), ma dalla scelta degli elettori, proprio come dovrebbe essere in democrazia.

Pubblicato 11 giugno 2017

Ancora sull’Italicum

Larivistailmulino

L’Italicum è un mostriciattolo, ma sicuramente appartiene alla categoria dei sistemi proporzionali con una correzione maggioritaria. La correzione può essere molto sostanziosa, ma, a meno di una drammatica perdita di consensi del Partito Democratico e del Movimento Cinque Stelle, non riuscirà mai a sovvertire la proporzionalità complessiva dell’esito. Anche qualora il premio di maggioranza fosse attribuito ad un partito che ha ottenuto il 25 per cento dei voti, l’esito rimarrebbe largamente proporzionale. Infatti, dal 25 per cento del voto sincero al primo turno, il partito vittorioso passerebbe al 54 per cento di seggi con un guadagno del 29 per cento. Tutti gli altri seggi, vale a dire, precisamente il 71 per cento, sarebbero assegnati in maniera proporzionale. Per di più, la bassa soglia di accesso al Parlamento consente e addirittura incoraggia la frammentazione dei partiti e più partitini in Parlamento non equivale a più rappresentatività né a migliore rappresentanza politica. Soprattutto, l’Italicum è un unicum. Non ha nulla in comune con i sistemi elettorali maggioritari in collegi uninominali né con quelli di tipo inglese neppure nella variante, detta majority, australiana, né con il doppio turno francese con clausola di accesso al secondo turno. Andare alla ricerca della disproporzionalità degli esiti fra sistemi proporzionali e sistemi maggioritari è un’operazione che non ha alcun senso scientifico. Per di più, come l’ha effettuata D’Alimonte, utilizzando in maniera inaspettatamente “creativa” i risultati delle elezioni inglesi (nelle quali, incidentalmente, c’è stato un vincitore chiaro e immediatamente individuato al termine dello spoglio), è semplicemente un’operazione sbagliata. Di più: è una vera e propria manipolazione. Infatti, queste operazioni non possono essere contrabbandate come “comparazioni”. Debbono essere condotte come simulazioni, vale a dire vanno costruite intorno a una pluralità di ipotesi in competizione. Se cambiano alcune regole del gioco elettorali allora in che modo e quanto gli elettori ne terranno conto? Per qualsiasi ballottaggio bisogna, ad esempio, tenere conto di chi presumibilmente andrà a votare e delle probabilità degli elettori di votare in maniera strategica.

Nulla di tutto questo si riscontra nelle semplicistiche analisi prodotte non con obiettivi conoscitivi, ma a sostegno pregiudiziale dell’Italicum. Si aggiunga che nei collegi uninominali contano anche le personalità dei candidati, il loro radicamento, la loro campagna elettorale. Quanto ai sistemi proporzionali, tutti i partiti cercano di adattarsi a ciascuno di loro tenendo conto sia dell’eventuale esistenza di una clausola di accesso al Parlamento, che può influenzare più o meno negativamente molti elettori non disposti a votare per partiti che potrebbero non ottenere rappresentanza parlamentare, sia dell’esistenza o meno del voto di preferenza che, sarà opportuno ricordarlo a coloro che vorrebbero eliminarlo come anomalia italiana (ma, l’Italicum non è un’anomalia italianissima?) esiste con diversificate modalità in sedici dei ventotto stati membri dell’Unione Europea.

Al momento, sarebbe preferibile che, soprattutto i non propriamente attrezzatissimi sostenitori dell’Italicum, dei quali, francamente, non conosco le credenziali in materia di studi e di pubblicazioni sui sistemi elettorali, non aggiungessero altre discutibilissime motivazioni. Resta soltanto da vedere se, come, su che cosa potrà farsi ricorso a sacrosanti referendum elettorali (dai quali, in un passato non esattamente remoto, nacquero buone leggi elettorali): abrogazione totale o abrogazioni parziali? La prima strada sembrerebbe possibile se, come molti dicono, il testo rimanente dopo la sentenza della Corte, ovvero il consultellum, è immediatamente applicabile. La seconda dovrebbe essere in grado di ritagliare facilmente i capilista bloccati e le candidature multiple. Potrebbe anche giungere fino a rendere il ballottaggio sempre e comunque obbligatorio. Meno Italicum rimarrà meglio sarà.

Pubblicato il 19 maggio 2015

La scelta difficile del Colle

Immagino che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricevuto il testo dell’Italicum, lo stia leggendo con la meticolosità che ha sempre dimostrato da parlamentare e da ministro. L’art. ottantasette della Costituzione gli dà il potere di promulgare le leggi ed emanare i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Il Presidente s’intende assai di leggi elettorali. Non ha dimenticato che, sulla possente spinta dei referendari, la Camera dei deputati presieduta da Giorgio Napolitano, gli affidò la stesura della legge elettorale che divenne notissima come Mattarellum. Uomo dotato di sottile ironia, l’allora on. Mattarella non se la prese. Non rispose neanche alle critiche, alcune delle quali fondate, poiché in sostanza il tempo galantuomo ha dimostrato che la legge che porta il suo nome rimane migliore sia della proporzionale, che troppi suoi colleghi democristiani avevano difeso fino alla morte (della DC), ma anche del Porcellum dei cosiddetti quattro saggi del centro-destra che si riunirono a Lorenzago. Tuttavia, non userà il “metro” della sua legge per valutare il porcellinum partorito da Renzi, Boschi e i loro deputati renziani di tutte le ore.

Sergio Mattarella ha già dovuto usare un altro “metro”, ineludibile per giudicare il Porcellum, quello della corrispondenza di una legge, per di più tanto importante poiché riguarda i rapporti che fondano una democrazia: quelli fra i cittadini, i loro rappresentanti in Parlamento, i governanti. Sono la Costituzione e i suoi principi fondamentali a misurare la qualità e l’accettabilità di qualsiasi legge, ovviamente anche di quella elettorale. Con i suoi colleghi, il giudice Mattarella, anche se non è stato relatore di quella sentenza, ha sonoramente bocciato, totalmente triturandolo, il Porcellum. Purtroppo, poiché in Italia, a differenza che negli Stati Uniti d’America, i giudici non possono argomentare il loro voto, neanche quello favorevole, e neppure le loro opinioni dissenzienti, non c’è dato sapere quale concretamente sia sta la posizione di Mattarella. Sono certo, però, che, con il suo caratteriale rifiuto di qualsiasi protagonismo, non abbia mai proceduto alla comparazione del Mattarellum con il Porcellum, troppo facile troppo vincente.

Avendo cofirmato quella bocciatura, il Presidente Mattarella sta probabilmente riflettendo se il porcellinum abbia tutti i crismi di costituzionalità. Le candidature multiple non sono un trucco ai danni degli elettori? E non vale dire che anche il Mattarellum consentiva candidature multipli, ma non più di tre, poiché i pluricandidati dell’Italicum hanno la certezza dell’elezione, mentre quelli del Mattarellum si trovavano in un sistema competitivo che di certezza ne dava poche. Lo stesso candidato Mattarella, sconfitto nel 1994 in un collegio uninominale, entrò in Parlamento grazie al recupero proporzionale. I capilista bloccati, il cui nome apparirà sulla scheda, altro che “rappresentanti di collegio” se saranno inevitabilmente scelti dai dirigenti di partito e non s’imporrà il requisito della residenza per almeno tre anni in quel collegio, portano via una bella fetta di potere ai cittadini elettori. Per chi è arrivato a credere -i democristiani, anche di quelli di sinistra, c’hanno messo un po’ di tempo- che il bipolarismo è la modalità preferibile di competizione fra partiti e fra coalizioni, il premio alla lista e l’impossibilità di apparentamenti al ballottaggio non può essere una cosa buona. Pessima, poi, è la soglia bassissima, 3 per cento, per l’accesso alla Camera dei deputati (quella del Mattarellum era 4 per cento: sì, quell’uno per cento fa una differenza) che garantisce la frammentazione delle opposizioni parlamentari e l’impraticabilità del bipolarismo.

Il Presidente potrebbe rimandare la legge ai deputati per un’altra lettura, anche tenendo conto dell’ampio dissenso emerso fra loro, accompagnandola, esistono numerosi precedenti, da preganti osservazioni. Potrebbe anche inviare, ma questo sarebbe un atto forse troppo solenne, un messaggio al Parlamento tutto. Forse i giudici costituzionali suoi ex-colleghi gli hanno comunicato di non preoccuparsi. L’Italicum arriverà da loro per quelle che, in corso d’opera, Napolitano aveva definito “opportune verifiche costituzionali”. Infine, Mattarella potrebbe esercitare la sua moral suasion nei confronti di Renzi (non scrivo “del governo” poiché da qualche tempo avremmo dovuto capire che l’uomo solo al comando già c’è) ricordandogli che la riforma del Senato, per la quale i numeri sono traballanti, dovrà tenere conto delle pecche dell’Italicum ed essere molto più equilibrata. In quella sede, una bocciatura, non del tutto improbabile, aprirebbe scenari turbolenti.

Pubblicato AGL 6 maggio 2015

Le mie risposte alle domande* de “Il Sole 24 ORE” su pregi e difetti dell’ #Italicum

1) La riforma che la Camera si avvia ad approvare è buona o cattiva?

– Piuttosto cattiva

2) Se dovesse elencarne i meriti in tre punti, quali citerebbe?

– Un solo merito: il ballottaggio che dà potere reale agli elettori

3) In cosa invece la ritiene sbagliata o migliorabile?

– Sbagliato il premio alla lista; sbagliate le candidature multiple; sbagliata la bassa soglia (3%) per l’accesso al Parlamento

4) I sostenitori della legge ne sottolineano la spinta a favore della governabilità. Lei è d’accordo? E in che modo ciò avverrà?

– Non sanno di che cosa parlano. In nessuna democrazia europea la governabilità dipende dal premio di maggioranza

5) Al contrario i detrattori ne sottolineano i limiti in termini di rappresentatività. Vede anche lei un rischio in questo senso?

– La rappresentatività dipende solo parzialmente dal numero dei partiti “rappresentati” in Parlamento. Dipende dalla competizione fra i partiti costretti ad essere rappresentativi per vincere. Il rischio è troppo potere ad un partito che si convinca di essere il rappresentante della Nazione

6) Una delle obiezioni della Consulta al Porcellum è l’eccessiva disproporzionalità del premio di maggioranza attribuito senza stabilire una soglia minima. L’Italicum prevede una soglia del 40 per cento per ottenere il premio del 15 per cento. Si risponde così alle osservazioni della corte?

– Il premio va al partito che vince al ballottaggio, dunque, ottenendo anche solo un voto in più del 50 per cento dei voti espressi. Di volta in volta si saprà quale percentuale degli aventi diritto sarà rappresentata dai votanti al ballottaggio. Rimane che al primo turno quel partito potrebbe avere ottenuto anche solo il 26 per cento dei voti. Poiché gli verranno assegnati il 54 per cento dei seggi parlamentari, il premio ammonterà ad un sonante  28 per cento. La Corte dovrebbe essere fortemente insoddisfatta

7) Non è un’anomalia in sé applicare un premio di maggioranza sulla base di un sistema proporzionale?

 – Il premio di maggioranza su un sistema proporzionale non è un’anomalia italiana. Già lo abbiamo, con buoni esiti, per l’elezione dei Consigli comunali e dei sindaci

8) La soglia di sbarramento è stata portata al 3 per cento per tutti i partiti. Se si voleva davvero fronteggiare la frammentazione non era meglio una soglia più alta, magari del 5 come in Germania?

– Ovviamente, sì: 5 per cento. Fare come in Germania è molto spesso una cosa buona e giusta

9) Non si rischia in questo modo la “balcanizzazione” delle opposizioni in presenza di un primo partito rafforzato dal premio?

– Fare come nei Balcani è per lo più la cosa cattiva e sbagliata, ma sia Renzi sia Berlusconi erano, e probabilmente continuano ad essere, con motivazioni diverse, d’accordo sulla balcanizzazione delle opposizioni

10) L’altra importante obiezione della Consulta al Porcellum riguarda le lunghe liste bloccate, che non permettevano all’elettore di riconoscere il futuro eletto. La soluzione del capolista bloccato e delle preferenze per tutti gli altri non è un ibrido al ribasso? Soddisfa le indicazioni della Consulta?

– Ibrido pessimo, riprovevole. Lascio il giudizio all’incerta giurisprudenza della Corte. La mia soluzione sarebbe, in linea con il referendum del 1991, una sola preferenza

11) L’Italicum prevede la possibilità di candidature plurime per il posto di capolista. Con il rischio che un elettore scelga un partito in virtù dell’appeal di un capolista ritrovandosi poi ad eleggere un altro candidato. Questo non va contro l’indicazione della Consulta sulla riconoscibilita?

– Ovviamente sì. Cancellare con un tratto di pennarello le candidature multiple (10) sarebbe un atto di semplice decenza

12) Il premio di maggioranza, sia in caso di vittoria al primo turno sia in caso di vittoria al ballottaggio, attribuisce alla prima lista un vantaggio alla Camera di circa 25 deputati. Dal momento che la legge è stata pensata soprattutto in chiave di governabilità, non è un margine troppo esiguo?

– E’ un margine sufficiente per un partito che abbia una vita interna vivace e democratica

13) L’Italicum vieta espressamente gli apparentamenti tra partiti tra il primo e l’eventuale secondo turno di ballottaggio, apparentamenti consentiti in altri sistemi con ballottagio. Non si rischia in questo modo di comprimere troppo il confronto democratico dando tutto il potere ai partiti maggiori?

– La domanda contiene parte della risposta. La parte più importante è che in tutta Europa, tranne in Spagna, almeno finora, i governi sono di coalizione. Sarebbe opportuno consentire le coalizioni al primo turno oppure, almeno, come per i sindaci (la buona legge fatta nel 1993 dal Parlamento su impulso dei referendari, gli apparentamenti per il ballottaggio

14) Non è anomalo posticipare l’entrata in vigore dell’Italicum al luglio 2016 privando il Paese di un efficiente sistema elettorale in caso di necessità?

-Piuttosto che di anomalia parlerei di scommessa o di spadina di Damocle sulla testa dei parlamentari. Comunque, molti dicono, ma non è questa la mia opinione, che, in caso di necessità, evidentemente procurata, ci sarebbe il sistema proporzionale delineato dalla Corte. Pasticcio più pasticcio meno: rassegnatevi

15) L’Italicum vale solo per l’elezione della Camera dei deputati dal momento che c’è un legame politico con la riforma costituzionale ora all’esame del Senato per la terza lettura che abolisce il Senato elettivo trasformandolo in Camera delle Autonomie. Non è irrazionale, nel caso in cui la riforma costituzionale non andasse in porto, andare a votare con due sistemi diversi (l’Italicum per la Camera e il proporzionale Consultellum per il Senato)?

–  A questa domanda passo. Che cosa si può suggerire a sedicenti riformatori pasticcioni? Ricordare loro che un sistema politico è per l’appunto un sistema, non un supermercato, nel quale ciascuna delle componenti è in relazione con le altre e che, di conseguenza, cambiarne una significa dovere tenere conto dell’impatto sulle altre

16) C’è il rischio di introdurre un presidenzialismo di fatto con il maggioritario Italicum e una sola Camera elettiva, come sostengono gli oppositori di questa riforma elettorale?

– Sì, c’è soprattutto il rischio di eccessiva concentrazione di poteri nelle mani del Primo ministro. Non è presidenzialismo. E’ piuttosto il “premierato forte”, che nonostante alcuni cattivi maestri provinciali (che non sanno neanche cosa sia l’analisi comparata dei sistemi politici) e i loro ossequiosi allievi, non esiste da nessuna parte e che toglierà non pochi poteri al Presidente della Repubblica rendendogli impossibile svolgere il ruolo di arbitro, di garante, di contrappeso, persino di rappresentante dell’unità nazionale

*Italicum, 16 domande per capire la riforma – Il Sole 24 ORE 01 maggio 2015 (pagg 11/14)

La terza Repubblica

Pubblicato su terzarepubblica.it il 3 maggio 2015

La trappola dell’Italicum e i 3 problemi di Napolitano

Il sussidiario

 

Intervista di Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net
domenica 9 marzo 2014

La battaglia per la parità di genere divide il Parlamento. Un emendamento trasversale delle donne di Camera e Senato ha chiesto che nell’Italicum sia inserita una norma per fare sì che il 50% degli eletti sia di sesso femminile. “Io mi auguro che la questione di genere sia all’attenzione di tutti i gruppi politici, perché è una questione di democrazia”, ha affermato la presidente della Camera, Laura Boldrini. Per Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica all’Università di Bologna, “la questione della parità di genere andrebbe discussa in un’ottica completamente diversa, introducendo i collegi uninominali”.

La questione della rappresentanza di genere è un paravento per qualcosa di più sostanziale?
No, credo che la questione si ponga realmente, anche se le donne lo fanno con un’enfasi eccessiva e qualcuno probabilmente ci specula sopra. Aumentare la rappresentanza delle donne in Parlamento e in altri luoghi elettivi è un’operazione che dovrebbe comunque essere fatta. Che debba essere fatta come dicono le donne mi convince poco, però senz’altro l’obiettivo è nobile.

Nell’ipotesi in cui la legge ritorni alle Camere, che cosa potrebbe accadere?
In Senato le donne sono percentualmente meno che alla Camera, e a Palazzo Madama gli uomini stanno difendendo non soltanto le loro posizioni attuali, ma la loro stessa sopravvivenza. Se riescono quindi a creare una situazione tale per cui la legge diventa difficile da approvare, tanto meglio per loro.

Ci sono maggioranze trasversali capaci di modificare l’impianto dell’Italicum?
Modificare l’impianto dell’Italicum è molto difficile. Bisognerebbe riuscire a buttare a mare l’intera legge la quale però, non va dimenticato, è il prodotto di un accordo fra Renzi e Berlusconi. I due in un certo senso hanno interessi comuni, perché questa legge consente loro di nominare tutti i parlamentari.
In questo caso si potrebbe dire: basta con uomini e donne, fatevi nominare tutti da Renzi e Berlusconi. Se si vuole cambiare la legge bisogna avere un altro progetto, totalmente nuovo. La mia idea è che le donne dovrebbero combattere un’altra battaglia, ma so che non ne sono capaci, e forse non ne hanno né la voglia né il coraggio.

A quale battaglia si sta riferendo?
Le donne dovrebbero combattere la battaglia per una legge che comprenda solo i collegi uninominali, con doppio turno alla francese, e poi chiedere che ci sia il 50% di candidate donne per ogni partito. Le donne dovrebbero passare cioé dalla logica della cooptazione a quella della competizione.

Secondo D’Alimonte, Napolitano avrebbe bocciato l’accordo sul modello spagnolo. Lei che cosa ne pensa?
Intanto il modello spagnolo non è preferibile rispetto a quello attuale. Inoltre il presidente dovrebbe richiamarsi esclusivamente alla Corte Costituzionale. Sono due gli interrogativi che si deve porre Napolitano: se le liste corte bloccate non siano incoerenti rispetto a quanto ha affermato la Consulta; se il premio di maggioranza per quanto ridotto non sia comunque sgradito alla Corte costituzionale. Io ritengo che la risposta a entrambe le domande sia che sono comunque incoerenti. Il Presidente inoltre potrebbe opporsi alla possibilità di candidature multiple, che non esistono da nessuna parte al mondo.

I piccoli partiti che rischiano di scomparire riusciranno a contrastare questa legge?
I piccoli partiti dovrebbero chiedere un’unica soglia di accesso al 4,5%, mentre le tre soglie così modulate sono davvero impresentabili. Non condivido questo gioco “sporco” contro i piccoli partiti