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Basta inutili retroscena su Conte. Ora il “futuro” @fattoquotidiano

In questo paese di poeti e naviganti, retroscenisti e visionari non è soltanto giusto, ma è anche assolutamente doveroso criticare il capo del governo per non avere una visione. Poi, correttamente, i critici diranno alti e forti i nomi dei numerosi visionari di questo paese, ingiustamente tenuti ai margini. Qualcuno dovrà anche spiegare in che modo chi individua la differenza fra debito buono e debito cattivo stia già delineando la società giusta, o no? Nel frattempo, fioccano le richieste, più o meno motivate, di rimpasto nel governo Conte. I più ambiziosi e più visionari vorrebbero anche giungere a colpire il bersaglio grosso: il Presidente del Consiglio in persona. Al conseguimento di questo obiettivo giova avvalersi di quanto rivelano i sondaggi, cito il titolo del “Corriere della Sera” (28 novembre, p. 19): Cala ancora il gradimento per Conte.

Mi sono subito dedicato ad una attenta lettura dei dati riportati (e interpretati) da Nando Pagnoncelli, sondaggista esperto e degno di stima. Il 55 per cento degli italiani conferma il suo gradimento per Conte, tre punti in meno rispetto ad un mese fa, ma tre punti in più rispetto al 26 settembre del 2019 (dati tutti opportunamente riportati da Pagnoncelli). Quanto al governo, 52 per cento di approvazione, tre punti meno di un mese fa e 7 punti in più di un anno. Peraltro, poiché oramai siamo tutti (sic) diventati professionisti nella lettura dei sondaggi, noni ci facciamo influenzare dalle variazioni a meno che siano superiori al margine di errore che, unanimi, sondaggisti e studiosi situano fra il +2 e il -2. Allora guardiamo al trend e siamo costretti (sic) a rilevare che c’è un declino per Conte e il suo governo tra luglio e oggi, ma rimangono dati molto favorevoli rispetto a un anno fa e nel confronto con i predecessori di Conte. Ad esempio, nel settembre 2015 Renzi era sceso dal 47 al 38 per cento di gradimento rispetto ad un anno prima e il suo governo era al 36. Meglio aveva fatto il suo successore Paolo Gentiloni il cui gradimento personale era al 43 per cento (stesso livello del suo governo) nell’agosto 2017. Quindi, 12 punti meno di quanto ottenuto da Conte in piena pandemia.

Forse, qualsiasi discussione del futuro di Giuseppe Conte e del suo governo dovrebbe tenere in qualche considerazione queste cifre. Invece gli si imputa come colpa grave quella di arroccarsi, mentre, ho letto sul “Domani”, i capi dei partiti di governo sono in “stallo messicano”, cioè, fermi in una desolata Piazza Montecitorio a guardarsi negli occhi con la mano sulla pistola. Continuando a leggere ho scoperto, nel pregevole articolo del quirinalista Marzio Breda, che il Presidente Mattarella ha fatto trapelare che, se stallo messicano c’è, allora anche lui dispone di sue armi personali e istituzionali ed è pronto a usarle. Sono armi che tiene costantemente oliate, tutte appropriatamente collocate nella Costituzione formale, quella scritta, e nella Costituzione materiale, quello che si è fatto nel passato e quello che è possibile fare senza violare la Costituzione scritta, avendo come stella polare la stabilità e la funzionalità del governo.

Cambiare un ministro, forse due, si può. È una prerogativa del capo del governo che dovrebbe addirittura essere sostenuto e applaudito da tutti coloro che ossessivamente dichiarano che il non farlo è segno di debolezza dei Presidenti del Consiglio/non Primi ministri italiani. Rimpasto è un’operazione più complessa che, naturalmente, merita di essere opportunamente motivata e giustificata e soprattutto non dovrebbe presentarsi come un gioco dei quattro cantoni (musical chairs direbbero gli anglosassoni). Qualsiasi operazione che vada oltre questi limiti implica una vera e propria messa in discussione del governo. Sarebbe il momento peggiore proprio mentre, da un lato, tutti sanno che è il tempo del completamento e della presentazione dei programmi del governo per ottenere gli ingenti fondi NextGenerationUE, dall’altro, che le autorità europee hanno dato mostra di avere fiducia in Conte e, quindi, sarebbero molto deluse sia da un eventuale crisi di governo sia, ancor più, da una sua, peraltro complicatissima sostituzione (ma anche da un suo ridimensionamento). Potremmo concluderne che, insomma, è davvero ora di parlare di programmi, stesura e attuazione e, con Shakespeare, che se ne intendeva, il resto è silenzio.

Pubblicato il 2 dicembre 2020 su Il Fatto Quotidiano

Strumento ma non bussola. Come usare i sondaggi durante la crisi del virus @domanigiornale

Giornalisti e commentatori discutono fin troppo dei sondaggi, popolarità dei leader e opzioni di voto per i partiti. Qualcuno continua a sostenere che i sondaggi sbagliano. Fermo restando che ci sono sondaggi che non dicono proprio nulla quando rivelano spostamenti percentuali minimi poiché il margine di errore è definito da +2 a -2, sono gli interpreti che sbagliano. Per lo più i sondaggi sono affidabili e da qualche tempo ormai arrivano nelle loro rilevazioni vicinissimi agli esiti. La critica allora si sposta sui dirigenti politici e sui loro partiti. Sono loro che, non soltanto si fidano troppo dei sondaggi, ma addirittura si fanno guidare da quei sondaggi nelle loro attività e nelle loro decisioni. Nel corso di fin troppo frequenti critiche al Presidente del Consiglio, ha di recente fatto la comparsa quella di una eccessiva preoccupazione per la sua popolarità misurata dai sondaggi. Per mesi, a fronte di un barrage di critiche giornalistiche e di annunci di sue inadeguatezze, di accuse alla sua gestione del Covid e di previsioni dei retroscenisti (no, non c’è contraddizione) di una sua quasi imminente sostituzione, stavano a smentirle almeno in parte, in larga parte, le inusuali percentuali di popolarità personale, al di sopra del 60 per cento, e il notevole vantaggio rispetto a tutti gli altri leader politici italiani. Quei dati non erano “sbagliati”. Anzi, erano persino rafforzati dall’essere il prodotto di rilevazioni effettuate in un periodo di tempo di parecchi mesi segnati da avvenimenti importanti e delicati, con scelte complesse. Immagino che il Presidente del Consiglio ne sia stato giustamente molto compiaciuto e ne abbia tratto la motivazione per continuare la sua attività senza farsi in nessun modo influenzare da indiscrezioni fantasiose e da commenti giornalistici spesso fuori/sopra le righe.  

Da qualche settimana i sondaggi sulla popolarità del Presidente del Consiglio, pur non segnalando affatto un crollo, indicano un leggero declino. Retroscenisti e commentatori hanno subito evidenziato questo elemento nella speranza di potere presto affermare che avevano previsto da tempo il fenomeno e che anche le loro critiche precoci avevano colto nel segno. Certo, la seconda ondata del Covid si sta manifestando di una gravità molto superiore alle attese e alle previsioni degli epidemiologi e dei virologi. Inevitabilmente, può almeno in parte riflettersi anche sulla popolarità di Conte alle prese con dilemmi che non hanno nessuna soluzione né facile né rapida né, tanto meno, definitiva. Sembra che sia il Presidente Conte sia, ancora più, il suo portavoce Rocco Casalino abbiano manifestato grande preoccupazione per il calo, peraltro ancora molto limitato, di popolarità. È emerso il quesito, questo sì alquanto preoccupante, dell’impatto di questo calo sulle decisioni che Conte sta prendendo e dovrà ancorar prendere nel futuro prossimo, se non ad horas.

   Il Presidente del Consiglio, affermano i suoi molti critici, si fa troppo influenzare dai sondaggi, se non addirittura guidare da loro. Personalmente, ritengo che non sarebbe accettabile il consiglio dato da Virgilio (che non si riferiva a sondaggi infernali) a Dante: “non ti curar di loro [i sondaggi], ma guarda e passa”. Al contrario, ritengo opportuno che Conte e i suoi collaboratori tengano in, anche grande, conto quello che i sondaggi rivelano. Infatti, conoscere quali sono le aspettative, le problematiche, le valutazioni dell’opinione pubblica è sempre utile, spesso importante, persino democratico. Se l’entourage di Conte ne trae qualche spunto per suggerire miglioramenti nelle politiche, anche, per esempio, nelle modalità di presentazione di quelle (difficili e controverse) relative alla quantità e qualità del lockdown, tanto di guadagnato –per tutti. Naturalmente, mi aspetterei che il Presidente del Consiglio faccia valere le sue convinzioni, formatesi anche nell’interscambio con gli scienziati, e non si lasci influenzare da convenienze di breve periodo e di corto respiro.

   I sondaggi sono uno strumento. Non possono trasformarsi nella bussola dell’azione di nessun governo. Però, nessun governo democratico può altezzosamente chiudere del tutto gli occhi di fronte a sondaggi che rivelano i sentimenti dell’opinione pubblica. In questa fase, è assolutamente irresponsabile chiedere la sostituzione del Presidente del Consiglio il quale con suo pieno merito si è guadagnato notevole fiducia e credibilità nell’Unione Europea. Conte gode di quella stabilità politica che è premessa di scelte efficaci anche di lungo periodo. Potrà subire cali, più o meno momentanei, di popolarità. Deve preoccuparsene esclusivamente se ritiene che quei cali segnalino veri e propri spostamenti nell’opinione pubblica. Ne deve tenere conto se sa come interpretarli e tradurli nella sua azione di governo. Deve anche avere la consapevolezza che alcuni dei più importanti provvedimenti governativi dispiegheranno i loro effetti nel corso del tempo. Il Presidente del Consiglio ha davanti a sé, con “buona” pace dei suoi critici, retro o post-scenisti, il tempo sufficiente affinché maturino i risultati. Allora, ciascuno potrà guardare i sondaggi e prepararsi a dare la sua valutazione con il voto.

Pubblicato il 27 ottobre 2020 su Domani

Le primarie per la campagna elettorale americana in Iowa #RadioRadicale

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Intervista a Gianfranco Pasquino realizzata da Lorenzo Rendi, registrata lunedì 25 gennaio 2016 alle ore 19:03

qui l’audio LE PRIMARIE PER LA CAMPAGNA ELETTORALE IN IOWA