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Tutti i segnali di un Gentiloni-bis
Intervista raccolta da Federico Ferraù per ilsussidiario.net
Renzi non vuole più metter mano alla legge elettorale? Dovrà ricredersi. Ma sarà battuto da Berlusconi in campagna elettorale. E prima della Sicilia viene la Germania.
Renzi non vuole più metter mano alla legge elettorale? Dovrà ricredersi. “Dovranno farla, dovranno comunque armonizzare le due leggi risultanti dalle due sentenze della Corte costituzionale” spiega il politologo Gianfranco Pasquino. “Mattarella glielo farà sapere con grande chiarezza, anche se non rinuncerà al suo stile felpato”. A quel punto, in un sistema proporzionale, conteranno la composizione delle liste e i capilista; il resto lo faranno i leader in campagna elettorale. E Berlusconi potrebbe fare ancora una volta la differenza.
Ma cosa cambierà prevedendo solo un’armonizzazione delle due leggi esistenti?
Cosa potrà succedere in termini di risultato, lo sanno solo le sibille e gli astrologi, insieme ad alcuni grandi politologi che prevedono il futuro… Le leggi proporzionali sono usate in tutta Europa, con l’eccezione della Francia e del Gran Bretagna. Non distruggono nessuna democrazia parlamentare, anzi consentono un voto che io definisco “sincero”.
Perché sincero?
Perché in un menù di sette-otto pietanze, gli elettori scelgono quella che piace loro di più. A maggior ragione sapendo che il loro voto consente al partito votato di superare la soglia di accesso al parlamento.
Siamo ancora lontani dal voto, però il consenso di Renzi è in calo, quello di M5s non si sa, quello di Berlusconi pare in crescita.
Spero che parlamentari, commentatori e sondaggisti convengano almeno su un punto: le campagne elettorali possono fare la differenza. Nel novembre del 2012 Bersani era in vantaggio di 7-8 punti, ma riuscì a bruciarli tutti. Quanti errori riusciranno a inanellare quelli di M5s? Quante stupidaggini riusciranno a dire alcuni esponenti del Pd? Quali novità Berlusconi introdurrà in campagna elettorale? Poi ci saranno fattori esterni. Si voterà a febbraio-marzo, senza milioni di migranti in arrivo a Lampedusa.
Uno di questi fattori potrebbe essere la legge di bilancio varata due mesi prima?
Il governo Gentiloni ha il dovere morale di fare la legge di bilancio migliore possibile, anche se può colpire gli interessi di qualcuno. Padoan e Gentiloni avranno la forza, il coraggio e lo spazio per fare la legge che serve al paese? Non lo so. Se faranno una leggina, questa condizionerà in peggio la campagna elettorale, avvelenandola.
Ne è sicuro?
Sì, gli italiani sono maturi e smaliziati e capirebbero subito il gioco di una legge fatta apposta per conquistarne il favore contro l’interesse del paese.
Come dovrà essere la legge di bilancio?
Rigorosa, preveggente, in grado di accompagnare la crescita. Direi, in una parola, keynesiana.
La sinistra è divisa in due, il Pd e il non-Pd. Come andrà a finire?
Lei fa benissimo a parlare di non Pd, infatti avrei qualche problema a mettere il Pd nella sinistra perché una parte è di sinistra, l’altra no. Pisapia mi pare inconcludente, a cominciare dalla denominazione e dunque dal progetto: Campo progressista. Occhetto aveva ragione quando diceva che la sinistra dev’essere una carovana, qualcosa che è in movimento, in viaggio. E viaggiando raccoglie persone che interagiscono tra loro, esprimono interessi, preferenze, ideali, emozioni. La sinistra non è un campo predeterminato con un perimetro, se è così muore.
Però la carovana dev’essere attrattiva per farsi votare.
Certo. Deve trovare persone che non si limitino a fare i buffoni in tv, ma che dicano: “abbiamo proposto questo, non ci hanno voluto ascoltare e queste sono le conseguenze. Ora ti chiediamo il voto perché questo è quello che vorremmo fare”. La sinistra, non solo in Italia, è un luogo plurale. Non si può sperare che ci sia un’unica persona che dà la linea.
Ma ci può essere un raggruppamento senza leader?
Prima di arrivare al leader, occorre chiedersi ciò che serve nella presente situazione. Proprio perché si vota con il proporzionale, conteranno la lista dei candidati in ciascuna circoscrizione e il loro capolista. Dovranno essere persone che vivono nella circoscrizione, e che ottengono i voti per la loro storia personale, politica o professionale. Se poi c’è un Pisapia che sovrintende tutto, ben venga, se si trova qualcuno migliore di lui, meglio ancora.
D’Alema, Bersani?
No, hanno capacità ma sono distrattivi. Potrebbe essere Speranza, potrebbe essere lo stesso Pisapia se smettesse di andare in giro ad abbracciare gente e cominciasse a dire qualcosa sulle priorità della sinistra.
Primi appuntamenti importanti sono le elezioni in Sicilia e in Lombardia l’autunno prossimo.
Io so di un appuntamento che viene ancora prima e si chiamano elezioni tedesche. Personalmente mi attendo una socialdemocrazia tedesca che dimostri di essere in crescita.
Però Schulz ha perso male in Nordreno-Westfalia dove era addirittura il favorito.
Vero. Però mi consente di mantenere la speranza? Se la Spd vincesse, sarebbe un segnale buono anche per la sinistra italiana. In ogni caso, quelle elezioni manderanno un segnale politico e a quel governo tutti dovremo fare attenzione, perché sarà quello che avrà la maggiore voce in capitolo a Bruxelles. Il resto fa storia a sé, la Sicilia non è il resto del paese.
Gentiloni?
E’ cresciuto nel suo ruolo. E’ migliorato come governante ed è migliorato il suo apprezzamento tra gli elettori. Mi auguro che voglia rimanere in una posizione di rilievo. Se ci fosse realmente la difficoltà di fare un governo dopo il voto, un Gentiloni bis sarebbe il modo migliore per andare avanti bene e raffreddare la temperatura.
Berlusconi premier?
Improbabile. Berlusconi farà quello che riesce a fare meglio: una brillantissima campagna elettorale. Da questo punto di vista è utile al paese. Ovviamente sarebbe utile anche controllare le affermazioni strampalate che farà. Nessuno può seriamente credere che solo Trump abbia l’esclusiva delle fake news, Berlusconi lo ha preceduto di almeno vent’anni.
Perché dice che la campagna di Berlusconi sarà importante?
Perché in campagna elettorale Berlusconi si diverte, la sua passione diviene contagiosa e avvicina alla politica tante persone che normalmente non ci pensano.
Berlusconi, Grillo e Renzi in campagna elettorale. Chi la sparerà più grossa?
Non Grillo perché le ha sparate già tutte e ho l’impressione che sia in fase declinante. Mentre Berlusconi promette scintille perché è un creativo.
E’ in vantaggio su Renzi da questo punto di vista?
Sì, è nettamente superiore.
Pubblicato 11 agosto 2017
Modello tedesco: doch, certamente sì
Sento l’obbligo di avvisare i lettori di questo forum che non sono fra i primi venti esperti italiani di leggi elettorali. Almeno, così ha deciso senza ripensamenti la Commissione Affari Costituzionali della Camera che non mi ha invitato alle audizioni in materia tenute fra la fine di marzo e l’inizio di aprile di quest’anno. Cercando di recuperare propongo qui di seguito la scheda elettorale usata in Germania, di qualche interesse per chi volesse importare il sistema elettorale tedesco che si chiama, non a caso, “proporzionale personalizzata”.

Fac-simile della scheda per l’elezione del Bundestag
Fonte http://www.bundestag.de
Si trova a p. 149 del mio Nuovo corso di scienza politica (Il Mulino 1997, 2004). I curiosi possono trovare anche le modalità di attribuzione dei seggi con il sistema elettorale australiano (delle cui mirabili qualità si parlò nel corso della discussione sul non mirabile Italicum) a p. 153.
Tre elementi sono irrinunciabili se davvero si vuole importare il sistema tedesco: la soglia del 5 per cento; il doppio voto, per il candidato nel collegio uninominale e per la lista di partito; la possibilità di voto disgiunto, vale a dire che l’elettore può votare il candidato di un partito per il collegio uninominale e scegliere la lista di un partito diverso con il suo secondo voto.
La soglia serve a evitare la frammentazione del sistema dei partiti. Infatti, in Germania, certamente un paese politicamente molto diversificato, il numero dei partiti rappresentati nel Bundestag ha oscillato da tre a cinque (facilitando la formazione di coalizioni di governo). Il doppio voto attribuisce notevole potere agli elettori che possono anche dare una forte indicazione della coalizione che preferirebbero vedere al governo, incrociando/scambiando i voti per il candidato e per la lista. L’esistenza di collegi uninominali consente, da un lato, a candidati particolarmente significativi, noti, bravi (sic, ve ne sono davvero) di verificare quanto consenso hanno, e dall’altro, agli elettori di scegliere e avere un effettivo e consapevole rappresentante di collegio (meglio se con residenza in quel collegio). Infine, come tutti i (migliori) sistemi elettorali proporzionali, la legge tedesca garantisce buona rappresentanza politica, non attribuisce una maggioranza artificiale a chi vince e non ‘deprime’ chi perde.
In definitiva, cari (e)lettori, non dovete assolutamente credere a chi sostiene che la proporzionale tedesca produce Grandi Coalizioni. Sono i dirigenti di partito che, visti gli esiti elettorali, contati i seggi, confrontati i programmi, decidono se formare una coalizione di quel tipo oppure altra (incidentalmente, nell’attuale Bundestag SPD, Verdi e Linke avrebbero una maggioranza parlamentare numerica, ma, data la distanza fra SPD e Linke, non politicamente praticabile).
Dunque, sistema elettorale tedesco? Sì, ma nella su interezza/integrità, purché non sia imbastardito da clausolette all’italiana. Ad esempio, imponendo il voto ‘unificato’: candidato e partito, chiara limitazione del potere degli elettori. Oppure abbassando la soglia d’accesso così consentendo l’accesso a partitini che vorranno lucrare sulla loro miracolosa presenza in Parlamento. Il resto lo valuteremo contando i seggi e guardando le facce degli eletti.
Pubblicato il 31 maggio 2017 su PARADOXAforum
Qual è il Parlamento più produttivo? I numeri della produzione legislativa dei Parlamenti democratici
È ora di uscire da un confuso e manipolato dibattito sull’improduttivo bicameralismo paritario italiano e di dare i numeri sulla produttività di alcuni Parlamenti democratici. Naturalmente, sappiamo da tempo che i Parlamenti, oltre ad approvare le leggi, svolgono anche diversi molto importanti compiti: rappresentano le preferenze degli elettori, controllano l’operato del governo, consentono all’opposizione di fare sentire la sua voce e le sue proposte, riconciliano una varietà di interessi. Sono tutti compiti difficili da tradurre in cifre, ma assolutamente da non sottovalutare per una migliore comprensione del ruolo dei Parlamenti nelle democrazie parlamentari, nelle Repubbliche presidenziali e in quelle semipresidenziali. Qui ci limitiamo alle cifre sulla produzione legislativa poiché una delle motivazioni della riforma del Senato italiano, in aggiunta alla riduzione del numero dei parlamentari e al conseguente, seppur limitatissimo, contenimento dei costi della politica, consiste nel consentire al governo di legiferare in maniera più disinvolta, di fare più leggi più in fretta. È un obiettivo non considerato particolarmente importante dalla maggioranza degli studiosi.
La produzione di leggi ad opera di un Parlamento dipende da una pluralità di fattori, fra i quali tanto la forma di governo quanto l’obbligo di ricorrere alle leggi per dare regolamentazione ad un insieme di fenomeni, attività, comportamenti. Pertanto, i dati concernenti forme di governo molto diverse fra loro sono inevitabilmente non perfettamente comparabili, ma sono sicuramente molto suggestivi. I dati sulla Germania riguardano la legislatura 2005-2009 che ebbe un governo di Grande Coalizione CDU/SPD e quella successiva nella quale ci fu una “normale” coalizione CDU/FDP. Dal 2007 al 2012 la Francia semipresidenziale ebbe un governo gollista con la Presidenza della Repubblica nelle mani di Nicholas Sarkozy. Dal 2010 al 2015 la Gran Bretagna fu governata da una inusitata coalizione fra Conservatori e Liberaldemocratici. La prima presidenza Obama (2008-2012) fu per metà del periodo segnata dal governo diviso ovvero con i Repubblicani in controllo del Congresso. Ricordiamo che negli USA l’iniziativa legislativa appartiene al Congresso, ma il Presidente può porre il veto, raramente superabile, su tutti i bills approvati dal Congresso. Per l’Italia abbiamo scelto tre periodi: 1996-2001, con diversi governi di centro/sinistra; 2001-2006, governi di centro-destra con cospicua maggioranza parlamentare; 2008-2013, prima un lungo governo di centro-destra che si sgretolò gradualmente, poi dal 2011 un governo non partitico guidato da Mario Monti. Questi due elementi spiegano perché la legislatura 2008-2013 abbia prodotto meno leggi delle due che l’hanno preceduta.
Complessivamente, però, i dati indicano chiaramente che il bicameralismo italiano paritario non ha nulla da invidiare ai bicameralismi differenziati sia per quello che riguarda la produzione legislativa sia per quello che riguarda la durata dell’iter legislativo. I dati presentati nella tabella mostrano come la quantità di produzione legislativa del Parlamento Italiano sia in linea con la produzione legislativa della maggiori democrazie occidentali, se non, in qualche caso, addirittura superiore. Una considerazione analoga può essere fatta per i tempi di approvazione. Nei Parlamenti e nelle legislature esaminate, l’approvazione di una legge richiede in media circa dodici mesi, nove negli Stati Uniti, e otto mesi o poco più nel caso italiano. Il Parlamento italiano quindi fa molte leggi e le fa in tempi piuttosto celeri.
Gianfranco Pasquino e Riccardo Pelizzo
Pubblicato i 3 giugno 2016
In fuga verso la bocciofila
“Meno iscritti più voti”: questo è il messaggio rassicurante che Renzi manda al paese, soprattutto ai giovani. Non iscrivetevi al Pd se volete fare aumentare i suoi voti. Piuttosto fate parlare l’iscritto D’Alema che lui sì, sostiene Renzi, fa crescere il mio consenso. Oppure, andate in una bocciofila dove potrete liberamente esprimere il vostro dissenso. Renzi aggiunge anche, in maniera da molti inaspettata, che è interessato alle idee più che agli iscritti, idee che intende continuare a esporre partecipando a tutti i talk televisivi del villaggio Italia, del Truman show. Il riferimento alle idee ha gettato nello sconcerto la segreteria di Renzi, ma Debora Serracchiani afferma che il Partito Democratico, o quel che ne rimane, dovrà uniformarsi. Nel suo diario, s’intende telematico, il giovane capo del governo annota che di iscritti è praticamente la prima volta che sente parlare. Lui è l’uomo delle primarie, del rapporto con gli elettori, primari e secondari. Lo abbiamo intervistato con domande per e-mail. Gli iscritti, sostiene Renzi, debbono essere coloro che Bersani, D’Alema, forse anche Cuperlo menzionano di tanto in tanto, ma lui, “uomo solo al comando”, mica è arrivato lì grazie agli iscritti. Sono stati i dirigenti con le loro repentine convergenze, pardon, conversioni, che gli hanno facilitato la rapida ascesa. Poi, è vero sono anche arrivati, fin troppo speranzosi, non sapendo più a che santo votarsi, gli elettori e le elettrici delle europee di maggio.
L’idea, interessante, ma proprio da vecchia guardia, che un partito debba fare sforzi e sciupare energie per reclutare, mantenere, informare, fare partecipare attivamente gli iscritti sembra a Renzi del tutto fuori luogo e anche fuori tempo massimo. D’altro canto, gli iscritti, i quali, a cominciare dall’Emilia-Romagna, neppure vanno più a votare per le primarie (75 mila iscritti 51 mila elettori), si sentono un po’ inutilizzati, sostengono i gufi. Piuttosto questa volta, suggerisce Renzi, andando del tutto contro le sue inclinazioni, ascoltiamo i professoroni con i loro studi comparati e non dimentichiamo di chiedere loro anche del calo degli iscritti ai sindacati (vero, Camusso? fuori i numeri!), corporativi e conservatori. Un po’ dappertutto i partiti perdono iscritti e i cittadini fanno politica con altri mezzi, per esempio, il telecomando. In Italia abbiamo dato loro le primarie, sostiene Renzi (anche se, insomma, lui è più che altro un fruitore non il fondatore delle primarie). “Ah, dite che non basta” chiede sorpreso Renzi. “Ah, pensate che sarebbe necessario trovare un modo per rendere la partecipazione nei circoli non soltanto allettante, ma anche, addirittura, influente?”. “Uh, dite che è il mio stile verticistico, rapidamente imitato dai renziani e renzini di base, a scoraggiare qualsiasi discussione politica che non si traduca in adorazione per il leader?”. “Il fatto è che, come capo del governo, ho fretta di fare le riforme. Già ci pensa la discussione in Parlamento a rallentarle. Se dovessi mai discuterle anche con gli iscritti non si farebbe proprio nulla, senza contare il rischio che molti degli iscritti risultino essere più preparati e più competenti delle mie Ministre”.
“Insomma” conclude l’intervistato, “lasciatemi anche da solo purché al comando. Tra un po’ vi sarete tutti dimenticati del calo degli iscritti al Partito Democratico, i quali sono, è vero, meno di quelli della SPD, ma più di quelli del Parti Socialiste. Siamo sulla strada della post-modernità. Abbiamo dato le province in mano ai consiglieri comunali. Il Senato in mano ai consiglieri regionali. Tutto senza che i cittadini fossero disturbati dalle telefonate degli iscritti che li incoraggiassero ad andare a votare. Arriveremo presto anche a un post-Pd nel quale nessuno farà più caso al numero degli iscritti. A me, Matteo, basta che il post-Renzi arrivi il più tardi possibile”. Thank you.
Pubblicato il 4 ottobre 2014 su Futuroquotidiano.com




