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Il voto al governo Renzi è un 6- Promette molto, realizza poco
ROMA. Professor Gianfranco Pasquino, che voto dà a Renzi?
Un 6 meno
All’orlo della sufficienza, motivazione politica?
L’allievo è volenteroso, si applica con impegno, corre molto con le parole ma le realizzazioni sono scarse. Promesse roboanti, fatti declinanti.
Di buono che ha fatto?
Poche cose, ma ci sono. Il Jobs Act dovrà comunque produrre qualche cambiamento positivo. La Buona scuola era necessaria, resta da vedere la sua applicazione da parte del ministero e dei presidi: quanti eserciteranno fino in fondo il loro potere.
Noto che non include Italicum e Senato.
Perché il mio giudizio è molto negativo. La legge elettorale è brutta, non rispetta la sentenza della Consulta e ha elementi di’incostituzionalità, come diceva Napolitano prima di diventare renziano. Quella del Senato è una trasformazione, non un’abolizione. Non è una Camera delle autonomie alla tedesca, né un Se nato francese più piccolo. In più, ha 5 senatori nominati dal Quirinale. La riforma è confusa, crea un sistema squilibrato e neppure chiarisce i compiti dei senatori.
Renzi lega il suo destino al referendum: mossa giusta?
No, così lo trasforma in un plebiscito su se stesso e usa in modo scorretto la Costituzione, che lo vuole promosso dai cittadini, non dal governo. Minacciare: se va male me ne vado serve a dire che lui interpreta il sentire del popolo.
Negli ultimi 2 anni in parlamento c’è stato un gran mercato, con continui passaggi da un partito all’altro.
L’Italia ha una lunga tradizione di trasformismo. Dal 2013 circa un terzo dei parlamentari ha cambiato casacca, credo 22 per il Pd di Renzi. Che attrae quasi automaticamente nuovi adepti, perché è grande, in grado di offrire risorse e poltrone, in più ha la prospettiva di vincere le elezioni.
Il premier ama governare con maggioranze variabili?
Una brutta storia che il trasformismo incoraggia. Se un governo ha una maggioranza dovrebbe reggersi su quella. Altrimenti, deve ricompensare di volta in volta i nuovi arrivati togliendo o mettendo qualcosa nelle leggi.
Il Rottamatore è rimasto fedele ai suoi primi slogan?
In parte sì, perché una certa classe politica Pd l’ha rottamata. Ma se Veltroni e D’Alema erano da rottamare, perché pescare vecchi nomi per ruoli che vorrebbero facce nuove? fl problema è che Renzi non ha una prospettiva complessiva di come rinnovare il Pd. Mi preoccupa sentire che la nuova classe dirigente nascerà dai comitati referendari. Così fa fuori la sinistra.
Il Pd perderebbe ancor più la connotazione di sinistra?
Per me, l’ha già persa.
Renzi punta al partito della Nazione?
L’idea è tremenda, lui di tanto in tanto la smentisce. Abbiamo già visto la De, che occupava solidamente il centro impedendo l’alternanza, ma per la democrazia ci vuole competitivita. Come segretario Pd ha concentrato nelle sue mani il potere, lo stesso ha fatto come premier. Ma almeno eviti di usarlo male, imponendo emendamenti canguro e voto di fiducia che limitano il dibattito parlamentare, come per le unioni civili. E su una materia non di governo, ma che investe il nostro modo di pensare.
Come finirà?
Sono politologo, non astrologo. Renzi ha capito che non deve consentire a M5S di gridare vittoria. Probabilmente toglierà la stepchild per far passare il resto.
E l’attacco all’Europa?
L’idea di riacquistare un ruolo sulla scena europea è buona, ma realizzata male. Lo scontro frontale non produce niente di positivo, anche Cameron ha ottenuto poco e ha più potere di Renzi. Quando si critica bisogna avere una soluzione e degli alleati. Lui non ha né l’uno né l’altro, chiede solo maggiore flessibilità, cosa non molto popolare a Bruxelles. Bene l’operazione di imporre la Mogherini per la politica estera Ue, ma perché poi non la sostiene?
Nello duello Renzi-Monti chi vince?
Nessuno ne esce vincitore, ma ha ragione Monti perché conosce meglio l’Europa e la sua burocrazia. È una visione da tecnocrate? Non so, forse va corretta, ma comunque va ascoltato.
Pubblicato il 23 febbraio 2016
Tutti ossessionati dal controllo degli eletti: si combattono ma invece sono molto simili
Intervista raccolta da Luca De Carolis per Il Fatto Quotidiano
“Il Pd e il M5s sono modelli simili, in entrambi i casi i leader vogliono controllare i propri eletti. E il tasso di democrazia interna è molto basso”. Gianfranco Pasquino, politologo, ha da poco pubblicato La Costituzione in trenta lezioni(Utet).
Quello tra dem e 5 Stelle è anche uno scontro tra due schemi di partito, uno vecchio stile e uno molto più moderno?
C’è molto di vecchio in questo confronto. Su entrambi i fronti vogliono controllare i propri eletti. Il Pd ha nominato i propri parlamentari e pretende che seguano la linea dei vertici. In caso contrario, non verranno ricandidati. Nel M5S invece Grillo e Casaleggio si affidano al reclutamento on line, sul quale però possono avere un controllo limitato. E allora ecco la multa. Di fatto i Democratici e i 5 Stelle applicano forme di coercizione.
Molti evocano l’articolo 67 della Costituzione, in base al quale i parlamentari non sono sottoposti a vincolo di mandato.
Con questi metodi, sia il Pd che i 5 Stelle dimostrano di ignorarlo.
Prima obiezione: la multa del M5S vale per i futuri eletti al Comune di Roma.
La multa è nulla, una stupidaggine. Non è esigibile in nessun tribunale.
Seconda obiezione: dem e 5 Stelle hanno concesso libertà di coscienza sulla stepchild adoption.
La libertà di coscienza mi sta bene, ma su votazioni trasparenti, non su decisioni con il voto segreto. E comunque chi vota secondo coscienza dovrebbe spiegare ai cittadini le sue ragioni, nel dettaglio.
Volano accuse incrociate sulla penale del M5S. Secondo lei perché l’hanno decisa?
Innanzitutto non trascurerei le pulsioni autoritarie di Casaleggio. Poi vale sempre il principio di Mao Tse-Tung, “colpirne uno per educarne cento”. Infine, la multa deve dare un’impressione di solidità, di saldezza della leadership.
Il Pd afferma che serve una legge sui partiti.
È giusto, ma non dovrebbero perdere troppo tempo. Esiste un ottimo disegno di legge, depositato una decina di anni fa da Valdo Spini (ex Psi, Ds e Si-nistra democratica, ndr) che regolamentava la democrazia interna nei partiti e il loro finanziamento.
Il M5S denuncia: vogliono imporci le loro regole.
Imporre non è mai giusto, ma sarebbe opportuno che un movimento con un così grande consenso si doti di meccanismi più democratici.
E il Pd?
Il Pd all’opposto dovrebbe essere molto più severo nell’applicare le proprie regole interne, o nel crearne di nuove. Un inquisito farebbe meglio a saltare un giro, per dire.
Pubblicato il 10 febbraio 2016
Unioni Civili. Serve trasparenza
La famiglia è uno dei pilastri sui quali si costruisce, si mantiene, si riproduce una società. Dappertutto. Le modalità con le quali si dà vita ad una famiglia, la si scioglie, la si costituisce in maniera diversa, sono cambiate nel tempo. Il matrimonio è una di quelle modalità, ma, forse, in qualche paese è già una scelta minoritaria, spesso effettuata tardi e con molteplicità di motivazioni. Una di queste motivazioni è costituita dall’accesso, assolutamente legittimo, a tutte le forme di assistenza e previdenza che vanno sotto il nome di welfare. Né la formazione di una famiglia tradizionale: uomo, donna, figli propri, né le unioni civili fra persone dello stesso sesso che adottano i figli dei due contraenti configurano dei diritti. Sposarsi e convivere stabilmente sono facoltà, opportunità, attività che ciascuno può liberamente esercitare oppure no. Una società democratica e aperta, liberale ha il dovere di consentire che le persone scelgano come preferiscono vivere la loro vita. Nessuno obbliga nessuno e nessuno deve impedire agli altri di decidere quali tipi di rapporti intrattenere. Allo Stato è lecito chiedere che riconosca tutte le modalità di convivenza che non violino né la Costituzione né le leggi esistenti e che consentano il massimo di “felicità” possibile senza intaccare la felicità, le convinzioni e le preferenze degli altri. La linea distintiva non corre fra coloro che credono in una fede e coloro che non hanno fede. Passa fra coloro che desiderano garantire a tutti di scegliere secondo le loro credenze e preferenze e coloro che pretendono di imporre le loro credenze e preferenze.
Per quanto riguarda i figli, in particolare le adozioni, il punto dolente dell’attuale scontro, fuori e dentro il Parlamento, sono due le bussole che servono ad orientare anche il legislatore. La prima bussola si trova nell’art. 29 della Costituzione italiana. E’ costituita dal dovere dei genitori di “mantenere, istruire, educare i figli anche se nati fuori del matrimonio”. Difficile, al limite della Costituzionalità, non richiedere, anche a conviventi dello stesso sesso che abbiano deciso di contrarre un’unione civile, l’adempimento degli stessi obblighi nei confronti dei figli avuti in precedenza. Anzi, proprio l’unione civile costituisce la garanzia, rafforzata dalla libera scelta dell’adozione, che quegli obblighi saranno mantenuti da entrambi i soggetti dell’unione civile. Nulla di tutto questo attenta alla sacralità, se si vuole usare questo termine, alla coesione, all’importanza, al benessere della famiglia classica. Sarebbe, poi, un artificio fin troppo facile mettere in rilevo che questo tipo di famiglia è in crisi poiché la crisi non viene certamente superata dalla diffusione delle unioni civili, ma non viene neppure aggravata dal loro riconoscimento. Quanto alla seconda bussola per orientarsi in una tematica complessissima non può che essere quella della condizione dei minori, dei bambini. La possibilità di adottare i figli nati prima della formazione di una unione civile ha come scopo quello di rendere buona e migliore la vita di quei bambini altrimenti destinati a rimanere in un limbo sociale con tutte le conseguenze negative in termini economici, di dignità, di rapporti interpersonali. Certo, bisogna che il legislatore tracci con grande precisione il confine fra la stepchild adoption e le pratiche di utero in affitto.
Infine, proprio perché, un po’ dappertutto nel resto dell’Europa, da tempo le unioni civili sono riconosciute e regolamentate, in molti casi accompagnate dalla possibilità di adottare la prole del compagno/compagna, è importante che il Parlamento italiano operi, non ricorrendo né alla disciplina di partito né al voto segreto, ma in totale trasparenza. In argomenti delicati e controversi, carichi di ideali e di valori, è opportuno che i parlamentari si assumano apertamente la responsabilità del loro voto, in coscienza e in scienza, vale a dire spiegando perché ritengono preferibile una scelta rispetto ad un’altra. Darebbero un importante contributo alla crescita culturale di quell’insieme di famiglie dei più diversi tipi che si chiama società civile.
Pubblicato AGL 2 febbraio 2016
