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Il caso Salvini

Nel dibattito in Senato sul concedere o no al Tribunale dei Ministri di Catania l’autorizzazione a procedere contro l’ex-Ministro degli Interni Matteo Salvini, non pochi  Senatori hanno fatto ricorso a formule logore e a considerazioni sbagliate. La più logora delle formule è “gli avversari politici si sconfiggono nelle urne e non per via giudiziaria”. Nessuno si è sentito di sostenere che se gli avversari politici violano le leggi, ad esempio, anche soltanto in materia di campagna elettorale e del suo finanziamento, oppure la Costituzione, per esempio, in materia di diritti, è non soltanto opportuno, ma sicuramente doveroso che vadano comunque sotto processo. La legge è eguale per tutti. Punto.

Nella sua difesa, il sen. Matteo Salvini ha fatto ricorso ad un po’ di vittimismo: perché solo lui e non gli altri ministri quando la decisione fu presa? (domanda più che legittima che potrà ripetere nel processo); un po’ di familismo: l’acuto dolore dei suoi figli nel leggere sulle prime pagine dei giornali gravi accuse al loro papà e la saggezza della nonna che ripeteva “male non fare paura non avere”; un po’ di populismo: con lui saranno processati milioni di italiani per bene che vogliono controllare e impedire l’immigrazione clandestina. Se Salvini è così sicuro di avere operato, non solo per il bene dell’Italia e degli italiani, ma rimanendo nell’ambito delle patrie leggi, il processo, al quale aveva detto di volere andare a testa alta, sarà utilissimo tanto a scagionarlo quanto a definire le prerogative e gli eventuali limiti giuridici e costituzionali del potere che spetta al Ministro degli Interni.

L’affermazione più pesante è venuta nella conclusione dell’arringa dell’avvocato Giulia Bongiorno, attualmente senatrice della Lega: “Se voterete a favore saremo al crepuscolo della democrazia parlamentare e della separazione dei poteri”. Tutt’al contrario. Infatti, nelle democrazie parlamentari i poteri sono largamente condivisi fra le istituzioni. Il Parlamento dà e toglie la fiducia al Governo. Le leggi sono scritte dai governi e approvate, o respinte, dai parlamentari. Cinque giudici costituzionali sono eletti dal Parlamento e cinque sono nominati dal Presidente della Repubblica. Last but not least, la magistratura valuta che i comportamenti di tutti siano conformi alle leggi approvate dal Parlamento. Nessuno è al di sopra delle leggi e tutti i poteri sono chiamati a rispondere responsabilmente delle loro attività anche di fronte agli altri poteri. La “responsabilizzazione” (accountability) è la virtù democratica per eccellenza. La dignità della politica, per la quale ha urlato un accorato appello il sen. Casini, si (ri)conquista e si difende, non sottraendo chi ha cariche politiche a qualsiasi controllo, ma da parte loro esercitando il potere responsabilmente. Concluderò con una delle espressioni più logore e più frequentemente pronunciate: “la giustizia faccia il suo corso” (meglio se completandolo prima delle prossime elezioni politiche).

Pubblicato AGL il 14 febbraio 2020

I puri a 5Stelle sacrificano le convinzioni alle convenienze

Democrazia diretta significa che i cittadini-elettori (chiedo scusa: il “popolo”) decide direttamente, senza intermediari, sulle tematiche più importanti. Soltanto chi pensa che 52.417 attivisti (che hanno partecipato alla consultazione online n.d.r.) siano effettivamente rappresentativi di circa 9 milioni di italiani che hanno votato il Movimento il 4 marzo 2018, può sostenere che la consultazione online è stata un esempio di democrazia diretta. Due elementi sono certi. Da un lato, i dirigenti del Movimento hanno scaricato sugli attivisti la responsabilità di una decisione molto importante: autorizzare o no il Tribunale dei Ministri di Catania a processare Salvini; dall’altro, è stata travolta l’autonomia dei senatori delle Cinque Stelle, meglio, la loro possibilità di votare secondo coscienza (e conoscenza), vale a dire sulla base della loro valutazione dei fatti. Quel che più conta è che il principio che le Cinque Stelle avevano dall’opposizione variamente declamato: non concedere mai l’immunità agli inquisiti, sia stato sacrificato alla ragion, non di Stato, ma di governo. “Salvare” il Ministro degli Interni Matteo Salvini che, incidentalmente, avrebbe potuto salvarsi da sé nel processo, per non mettere a rischio il governo. Sacrificare le convinzioni alle convenienze: questo hanno fatto gli attivisti anche perché, naturalmente, avevano chiaramente capito che questa era la preferenza dei loro dirigenti e ministri. La consultazione online contiene qualche importante “insegnamento”. Coloro che ne sanno o ne dovrebbero sapere di più, i senatori che avevano accesso alle carte, non hanno potuto/voluto discuterne con coloro che hanno premuto il loro bottone senza essere riusciti ad avere informazioni aggiuntive specifiche. Si è deplorevolmente dimostrato che, in un caso di notevole delicatezza, la democrazia diretta interpretata come una procedura per prendere rapidamente le decisioni ha dei limiti gravissimi. Inoltre, forse inconsapevolmente forse deliberatamente, portata fuori del Parlamento, la procedura decisionale adottata dalle Cinque Stelle costituisce uno sfregio alla democrazia rappresentativa. Non è possibile sapere che cosa avrebbero desiderato e scelto gli elettori delle Cinque Stelle, ma è sicuro che a nessuno dei loro senatori potrà essere imputata qualsiasi responsabilità per la decisione assunta. Quei senatori non potranno spiegare il loro voto e non dovranno renderne conto a nessun elettore. Delegare le decisioni importanti alla piattaforma online –non mi chiedo neppure se siano possibili manipolazioni né se dovrebbero essere gli attivisti e non i dirigenti a decidere cosa sottoporre al voto e quando- significa che i rappresentanti eletti non sono chiamati a svolgere nessun ruolo significativo e che, di conseguenza, il Parlamento, come suggerito qualche mese fa da Davide Casaleggio, finirebbe per rivelarsi inutile. La democrazia semi-diretta mette malamente fine alla democrazia rappresentativa e diventa democrazia pilotata.

Pubblicato AGL il 19 febbraio 2019

Stracciare la democrazia rappresentativa #m5s #Rousseau #Salvini #Diciotti

Chini sulle carte che hanno ricevuto dai loro rappresentanti nella Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato, i circa ottantamila attivisti del Movimento 5 Stelle le dedicano la domenica a leggerle attentamente per decidere come dovranno votare i loro rappresentanti. Il primo punto da fermare è che non è in gioco una sentenza né di assoluzione né di condanna del Ministro. Molto più semplicemente, ma è importante ripeterlo ancora e sempre, si tratta di stabilire se concedere al Tribunale dei Ministri di Catania di processare il Ministro Salvini. Nel processo, il Ministro avrà modo di spiegare fino in fondo il senso dei suoi comportamenti riguardo la nave Diciotti e i migranti a bordo, del cui sequestro di persona è accusato. Potrà altresì chiarire che stava agendo per preminenti interessi nazionali e quali erano/sono questi interessi nazionali. Se assolto, evento del tutto possibile, conseguirà la legittimazione a proseguire nei suoi comportamenti inflessibili. Gli attivisti delle Cinque Stelle potrebbero anche giungere alla conclusione di negare al Tribunale dei Ministri l’autorizzazione a processare Salvini poiché sono convinti dell’esistenza di una persecuzione nei suoi confronti (fumus persecutionis). Sarà comunque importante sapere quanti attivisti voteranno e quale sarà la distribuzione dei voti. Qui, però, dobbiamo riflettere sul significato di questo voto. Da un lato, il capo politico del Movimento Cinque Stelle Di Maio sottrae l’esercizio libero e informato del voto ai suoi senatori nella giunta e lo conferisce ad una platea di attivisti non sappiamo quanto rappresentativi dei circa dieci milioni di elettori del marzo 2018. Dunque, non siamo di fronte ad una situazione di democrazia diretta attraverso la quale gli elettori fanno sentire e pesare la loro voce. Certamente, viene brutalmente sfigurata la democrazia rappresentativa. Fa la sua comparsa surrettizia e anticostituzionale il “vincolo di mandato”. Gli eletti vengono privati del loro potere di decidere e diventano semplice tramite di decisioni prese altrove senza nessuna garanzia di maggiori conoscenze, superiori competenze, migliore rappresentatività da parte dei decisori, cioè gli attivisti che voteranno. I senatori ridotti al ruolo di passacarte saranno sollevati da qualsiasi responsabilità non avendo esercitato nessuna autonomia. In Giunta non dovranno argomentare il loro voto né sarà necessario spiegarlo ai milioni di elettori delle Cinque Stelle e, più in generale, come avviene nelle democrazie, all’opinione pubblica. Nel migliore dei casi, mettendoci molta buona volontà e auto-illudendoci, questo voto sarebbe un esempio di “democrazia degli attivisti”. Non può essere spacciato come una modalità di democrazia diretta, ma sicuramente è uno sbrego alla democrazia rappresentativa. Per chi vuole provare che il Parlamento è destinato ad essere considerato inutile asservire i parlamentari a decisioni prese dall’esterno è certamente un grande passo avanti.