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Arbitrio, censura, furto? Cosa è successo al profilo X di Pasquino @formichenews @Elon Musk @X

GIANFRANCO PASQUINO POLITOLOGO

Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e professore emerito di Scienza Politica, si interroga sulle ragioni che hanno portato alla sospensione del suo profilo su Twitter, con una lettera aperta rivolta proprio al suo proprietario Elon Musk

Illustre Ing. Musk,

so che lei è impegnatissimo, ma credo che debba essere messo a conoscenza di un fatto increscioso perpetrato da suoi troppo zelanti impiegati immagino italiani. Senza nessun preavviso hanno sospeso il mio account: @GP_ArieteRosso, accusandomi di avere violato le regole. Non mi hanno detto quali regole. Alla mia richiesta di essere precisi, ad esempio, di inviarmi qualche mio tweet offensivo, che inciti all’odio e alla violenza, che esprima sostegno ad attività terroristiche oppure anche solo che travisi più o meno la realtà, hanno opposto il silenzio. Sono stato privato non soltanto della possibilità di comunicare con i miei 18mila e 300 followers, ma persino di fare sapere loro che Twitter mi ha in effetti non sospeso, ma addirittura cancellato. Questa sì è una violazione grave. Mi avete tolto e mi state negando il sacrosanto diritto di parola. Freedom of speech, direste voi americani. Sembra che i suoi collaboratori italiani non la conoscano, ma, forse, vogliono decidere loro chi la può esercitare e chi no.

Farò, quindi, per uso e consumo di tutti, l’elenco di coloro che si sono lamentati dei miei tweet e mettendosi insieme, “cospirando”?, mi hanno screditato. Poiché ho ripetutamente sostenuto l’Ucraina contro l’aggressione russa, i putiniani d’Italia mi considerano giustamente un nemico e sono certamente contenti se vengo silenziato. Stanno con loro gli antisemiti e i sostenitori di Hamas che considero un’organizzazione terrorista da sconfiggere e distruggere insieme con i loro ben arredati tunnel le cui spese sono state pagate con fondi destinati ai palestinesi. Sostengo senza nessun tentennamento, e l’ho ripetutamente scritto, la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo e la libertà di tutti di scegliere come terminare una vita che ci sia diventata impossibile sostenere. Papisti, fondamentalisti e bigotti stanno da un’altra parte e comprensibilmente sono lieti di tapparmi la bocca, pardon, di cancellarmi l’account. Con lo spirito dei tempi, lei potrebbe replicarmi: “molti nemici molto onore”. Non mi basta.

Ho spesso denunciato con sarcasmo gli errori dei giornalisti. Si figuri che ancora oggi c’è chi scrive saccentemente che è evidente che “la storia non è finita, come affermato da Fukuyama”. Immagino e spero che lei, Musk, sappia che Fukuyama ha sostenuto che nel 1989  è finita la storia della contrapposizione fra le liberaldemocrazie, vittoriose, e i comunismi realizzati, sprofondati. Da allora è cominciata tutta un’altra storia da lui brillantemente monitorata e spiegata. Nella nuova storia sta anche Donald Trump sgradito a Fukuyama e criticato nei miei tweet. Anche in questo caso è presumibile che i trumpiani dello stivale si siano molto lamentati.

Caro Musk, se non vorrà farmi rispondere con le motivazioni che giustifichino la non riattivazione del mio account sarò molto deluso, ma, almeno mi faccia restituire i miei tweet. L’appropriazione mi pare del tutto scorretta, arbitrio e furto mi paiono una accoppiata micidiale, e poi sono l’unica prova del reato o dell’innocenza. Attendo.

Pubblicato il 10 maggio 2024 su Formiche.net

Lo strano caso del profilo su X bloccato a Pasquino #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Da giorni il noto accademico ha l’account sospeso: “I miei tweet sarcastici, mi diano una spiegazione”

Succede che a Gianfranco Pasquino, Accademico dei Lincei, professore emerito di Scienza politica a Bologna, autore di decine di volumi sui quali si sono laureati migliaia di scienziati politici, insomma un’istituzione in ambiti accademici, X, già twitter, ha sospeso l’account. Non per poche ore, non per un malinteso o per verificare una password obsoleta, ma per violazione delle regole del social sul contenuto dei post. Senza ulteriori spiegazioni, ormai da oltre dieci giorni, su quale o quali dei tweet del professore avrebbero violato il regolamento, e cosa fare eventualmente per porvi rimedio.

«Una mattina mi sono svegliato e come faccio abitualmente ho aperto la mail, guardato chi mi aveva scritto e poi ho aperto twitter – racconta Pasquino – o meglio, ho provato ad aprire, perché al posto della solita schermata ho trovato una pagina nera e un messaggio in cui c’era scritto che avevo violato le regole e per questo mi avevano sospeso». Il tutto una ventina di giorni fa, senza alcuna risposta ai chiarimenti sollecitati. «Tra le violazioni suggerite dal social ci sono antisemitismo, messaggi di odio e violenza, sfruttamento sessuale minorile, abusi, violenze. Comprese azioni terroristiche estremistiche e così via – continua il professore – Insomma, quanto di più lontano, ovviamente, dai miei valori e dai miei comportamenti, compresi quelli che abitualmente uso sui social».

E così uno dei più stimati professori universitari in Italia si è ritrovato senza possibilità di avvertire i suoi oltre 18mila follower sul perché di questa “scomparsa” da X.

«Due di loro si sono offerti volontari per provare a capire quello che è successo, senza risultati – insiste – Si tratta questa di una violazione della libertà di parola? Qualcuno mi direbbe di no perché si tratta di un’azienda privata e quindi possono fare quello che vogliono. Ma è comunque ingiusto, soprattutto per i miei follower».

Cosa può essere successo, dunque? La risposta più plausibile è che diverse persone abbiano segnalato  no o più tweet di Pasquino fino a provocare la sospensione dell’account.

«Nei miei tweet spesso sono sarcastico, è vero, prendo in giro i renziani, ho criticato il papa per l’atteggiamento ambiguo sulla guerra in Ucraina, ho scritto che la premessa di qualsiasi accordo in Israele è la distruzione di Hamas – spiega l’accademico – Tutti messaggi in cui tuttavia non c’era astio, per di più senza alcun avvertimento che quei tweet potevano in qualche modo non rispettare il regolamento. È una cosa totalmente arbitraria e tecnicamente è una censura. C’è stato silenzio totale anche sull’eventuale tempistica di motivazione. Non posso neanche sapere di che cosa mi accusano, oltre ovviamente a chi».

Qualche dubbio può venire per la parte politica di Pasquino, che come lui stesso spiega «di certo non è quella di Trump e nemmeno di Elon Musk», ammettendo che questo lo fa pensare. Ma lungi dal parlare di complotti, rimane l’account bloccato e soprattutto la scomparsa di qualsiasi messaggio riconducibile a X che ne spieghi i motivi.

Insomma per Pasquino non rispondere per nulla «non è una scortesia, è un vero e proprio torto» e per questo il professore spiega di volerne parlare «il più possibile». Anche facendo seguire la questione da un legale? «In quel caso mi parrebbe di esagerare, ma quello che voglio portare all’attenzione dell’opinione pubblica è l’arbitrio con il quale l’azienda fa queste scelte, togliendo la parola a qualcuno che aveva 18mila follower e che in qualche modo informava, non disinformava, come faceva invece Trump. In ogni caso, accetto consigli e vi ringrazio per questa chiacchierata», conclude Pasquino.

Pubblicato il 8 maggio 2024 su Il DUBBIO

Libertà di parola, arbitrio, censura, X: un caso non troppo personale @DomaniGiornale

Una ventina di giorni fa improvvisamente, che vuole anche dire senza nessun preavviso, aprendo il mio X (ex-Twitter) ho scoperto che il mio account: @GP_ArieteRosso, era stato sospeso. Non avrei più potuto postare nessun contenuto, “ritwittare”, scrivere “like”, creare un nuovo account. Nessuna motivazione del perché di questo veto, una vera censura, tranne l’accusa vaghissima, derivante da “una attenta valutazione”, di avere violato le regole d‘uso di X alle quali venivo rinviato. Nel caso pensassi ad un loro errore mi si concedeva di fare appello. L’ho fatto qualche giorno dopo. Da dieci giorni attendo una risposta che non arriva. Non arriva. Mi sono dedicato ad una lenta e attenta lettura dei comportamenti ritenuti inaccettabili che motivano, conducono e giustificano la sospensione. Li elenco: violenza verbale; promozione di attività violente e cariche di odio in tutte le varianti, razziale, religiosa, di genere, di età, di disabilità, di malattie gravi (?); sfruttamento sessuale minorile; condivisione di contenuti offensivi e istigazione a farlo; l’essere autore di “attacchi terroristici, estremistici violenti o violenti di massa”; incoraggiamento al suicidio. Nessuna notizia più precisa di quali fra questi ignobili comportamenti i miei cinguettii abbiano suggerito, sostenuto, sottoscritto, incoraggiato. Non vedo nessuna possibilità di difesa contro accuse che non sono chiaramente formulate e accompagnate da evidenze, ovvero dai tweet nei quali avrei violato le regole.

Non so per quanti anni sono stato presente su twitter né, impossibilitato ad accedervi, sono in grado di dire quanti post ho scritto, a quanti ho apposto “like”, quanti ne ho ripostato. Credo di avere una buona capacità di sintesi. Faccio ricorso a non poco sense of humor, “castigat ridendo mores”, fino al sarcasmo. Sicuramente, non rinuncio a prendere posizione, ma, tutte le volte che lo reputo necessario, motivo quanto scrivo e faccio gli opportuni rimandi alle fonti. Non sono un influencer, ma avevo circa 18 mila trecento followers, che ringrazio, un certo numero dei quali disposto a e capace di criticarmi, di chiedermi conto del detto, del non detto, del mal detto. Naturalmente, non mancavano gli “incursionisti”, per lo più poco originali, che facevano riferimento soprattutto al deterioramento mentale dovuto alla mia età e all’essere (stato) comunista (invece, nel bene e nel male, no). La variante di rosso che preferisco, limpidamente scritta anche nel mio profilo, è il granata. Qualcuno chiedeva che cosa avessi mai insegnato ai molti studenti di scienza politica nel corso della mia lunga carriera accademica. Facevo post anche in inglese e in spagnolo e in quegli idiomi rispondevo quando necessario e opportuno. Infine, postavo i miei impegni di conferenze e televisivi e i riferimenti agli articoli pubblicati, ovviamente anche quelli sul “Domani”, e qualche rara foto.

Fin dall’inizio ho bollato “l’operazione militare speciale” russa come l’aggressione del despota autoritario Putin al sistema politico democratico, certo non privo di problemi, dell’Ucraina. Ho criticato il papa stratega non equidistante quando tempo fa attribuì la responsabilità della guerra alla Nato accusata di avere “abbaiato” (verbo di Francesco) ai confini della Russia. Ho scritto che la distruzione dell’organizzazione terroristica Hamas è il prerequisito di qualsiasi soluzione che porti a due popoli due Stati. Ho spesso sottolineato che una vittoria di Trump avrebbe conseguenze devastanti per la democrazia non solo negli USA e per il già scosso ordine politico internazionale. Mi sono costantemente dichiarato europeista convinto, ma non cieco.       

 Mi è stato suggerito che il bando del mio account ad opera di X potrebbe essere stato sollecitato da un certo numero di putiniani (e sedicenti pacifisti), dai filopalestinesi, dai sovranisti. Qui sorge il problema più generale. Senza esagerare, poiché impedirmi di usare X non priva molte persone della libertà di essere informati, ma soltanto dell’opportunità di sapere come la pensa GP_ArieteRosso, il problema della libertà di espressione del pensiero si pone, eccome. C’è qualcuno che, a sua totale discrezionalità: come, quando, per tutto il tempo che vuole, ha il potere di togliere l’accesso ad una piattaforma a chi non gli piace. Scrivo queste parole nella giornata mondiale della libertà di stampa, su un quotidiano i cui giornalisti il governo fa tutto il possibile per intimidirli e quando Reporters sans frontières rende pubblico il rapporto che rileva che l’Italia è scesa di sei posti nella classifica relativa alla libertà di informazione: dal 40esimo al 46esimo posto.

   Qui ho posto un problema che va ben oltre il mio personale inconveniente. Concludo con le parole di Walter Cronkite (1916-2009), probabilmente il migliore, per equilibrio, efficacia narrativa, credibilità, degli anchormen USA: that’s the way it is, Saturday, May 4, 2024.

Pubblicato il 7 maggio 2024 su Domani

Zuckerberg può oscurare Trump a difesa di Facebook @DomaniGiornale

Il quesito è relativamente chiaro. È lecito che Mark Zuckerberger, fondatore e proprietario di Facebook e da qualche tempo anche di Instagram, blocchi e cancelli, per sempre o anche solo per un periodo di indefinito, l’account del Presidente Donald Trump (o di un qualsiasi altro utente)? Con più di una motivazione e dopo la rimozione di alcuni post menzogneri e violenti, Zuckerberg ha deciso di sì. Si tratta di un caso di intollerabile censura politica oppure di una decisione completamente legittima?

   I critici di quella che ritengono essere una censura politica sostengono che l’informazione, anche quella che passa attraverso Facebook e Twitter, deve circolare liberamente. Peraltro, si è spesso rumorosamente sostenuto che quel tipo di “informazione” può, anzi, deve, essere soggetto a un rigoroso processo di fact-checking. Per quale ragione, quindi, a Zuckerberg dovrebbe essere negata la facoltà, il diritto di discriminare fra gli utenti, impedendogli di bloccare il Presidente degli USA perché ritiene le opinioni da lui espresse insultanti e pericolose? Coloro che ne approvano l’operato, sostengono che, come e più di qualsiasi altro utente, Zuckerberg, proprietario della piattaforma sulla quale avviene lo scambio di informazioni e contenuti ha il diritto, meglio la facoltà, di bloccare chiunque lui ritenga sgradito e che il Presidente degli USA non deve essere trattato in maniera diversa, privilegiata. I critici aggiungono che Facebook è un servizio pubblico che deve essere e rimanere disponibile per tutti e mai sottoposto a blocchi/censure politicamente motivate. I sostenitori sottolineano che il servizio fornito da Facebook è aperto al pubblico, ma, primo, non è un servizio pubblico e, secondo, obbedisce a criteri definiti dalle leggi vigenti. Uno di questi criteri riguarda l’ordine pubblico. Chi incita alla violazione dell’ordine pubblico e istiga alla violenza può (deve) essere bloccato e, naturalmente, anche processato secondo le leggi esistenti.

   In una società liberal-costituzionale è accettabile e legittimo introdurre divieti addirittura ad personam? In particolare, le democrazie hanno il diritto di difendersi anche riducendo lo spazio pubblico e la sua accessibilità? Un conto sono i privati cittadini che hanno sempre la facoltà di scegliere con chi comunicare e stabilire relazioni e chi escludere, anche dopo averli visti all’opera, dalla loro rete di relazioni personali e sociali. I critici della decisione presa da Zuckerberg gli negano la facoltà, concessa agli altri cittadini, di scegliere chi bloccare e chi no, affermando che Zuckerberg ha il dovere “pubblico” (in virtù di che cosa? forse che i direttori dei giornali e delle reti televisive non filtrano tutti i contenuti?) di consentire a tutti di esprimere e fare circolare le loro opinioni.

   Ė mia opinione che le democrazie, se hanno imparato qualcosa da molte amare esperienze, debbano difendersi dai loro nemici, ad esempio, da coloro che, potendo, limiterebbero drasticamente la libertà d’informazione all’insegna dello slogan degli assaltatori di Capitol Hill: murder the media , espressione autorizzata dallo stesso Trump che aveva più volte minacciato di censurare per legge i social. Lo debbono fare con riferimento alle leggi esistenti, ma anche, eventualmente, con la formulazione di leggi approvate seguendo le procedure democraticamente previste e sancite. Debbono anche riconoscere a tutti i cittadini di fare ricorso alla legittima difesa contro le fake news, contro i “fatti alternativi”, contro l’istigazione alla violenza. Chi ritiene che Zuckerberg abbia violato qualche legge può chiederne l’incriminazione. Chi ritiene che tragga profitto da una sua posizione dominante può chiedere che l’Autorità USA per le Comunicazioni (Federal Communication Commission) intervenga. Quello che non può essere fatto è imporre a chi offre un servizio di accettare tutti i clienti senza eccezione alcuna, ad esempio, obbligando un ristoratore ad accogliere e servire anche quei clienti che gli spaccano i tavoli, le sedie, le suppellettili e incitano gli altri avventori a fare la stessa cosa.

   Zuckerberg difende la sua creature Facebook. Ha il diritto di accogliere/respingere coloro che usano quegli strumenti per manipolare le informazioni e per incoraggiare la violenza. Le sue decisioni, gradite o sgradite, non sono inoppugnabili, ma vanno valutate con riferimento non alle sue e alle nostre preferenze politiche, ma alle leggi esistenti. Esclusivamente quello è il level playing field, il campo che non tollera favoritismi.

Pubblicato il 12 gennaio 2021 su Domani

I commenti e la “farina” dei giudizi

Faccio molta fatica a vedere dove sta lo scandalo se un commentatore del “Financial Times” scrive che le riforme costituzionali di Renzi sono “un ponte verso il nulla”. Faccio molto meno fatica, ma provo parecchio fastidio, quando la stampa italiana, i suoi commentatori, i guru televisivi riportano con grande rispetto ed esagerato provincialismo qualsiasi affermazione delle banche d’affari USA, delle agenzie di rating, di qualche ambasciatore, di alcuni professori di storia (ma non di geografia) non particolarmente noti per essere esperti della complicata politica italiana. Nessuno che si chieda mai da dove traggono le loro opinioni i diversi commentatori della politica italiana, compresi, sia chiaro, i corrispondenti delle varie testate estere? Possibile che nessuno sappia e dica alto e forte che molto dipende dalle fonti alle quali attingono i giornalisti che, spesso, in questa come in troppe altre occasioni, fanno affidamento su qualche battuta scambiata al telefono con uno, lo dirò proprio così, di noi, incontrato per caso, sembrato simpatico e persino autorevole, ma i cui giudizi dovrebbero pur sempre, non tanto essere accompagnati da giudizi contrapposti, ma da un minimo di controllo sulla loro corrispondenza alla realtà?

È plausibile che faccia male io a sostenere che tanto il “Wall Street Journal” e la banca d’affari JP Morgan quanto l’Ambasciatore USA e l’agenzia di rating Fitch hanno sostanzialmente utilizzato poche affermazioni raccogliticce piuttosto che ricorrere a informazioni e dati che nel loro paese verrebbero accuratamente controllate? No, sono i giornalisti italiani che sbagliano a riportare queste opinioni senza chiedere, basterebbe anche una semplice telefonata, grazie a quale fonte: persona, libro, ricerca, sondaggio, Facebook e Twitter, sono state elaborate quelle interpretazioni e, nel caso del referendum, le valutazioni sia delle riforme costituzionali sia, non soltanto qualora risultasse vittorioso il NO, delle conseguenze.

Naturalmente, alcuni degli studiosi italiani di politica e di economia sono noti all’estero. Vengono più o meno spesso intervistati. Scrivono articoli e pubblicano libri, in inglese, il che accresce le loro probabilità di essere letti. Tuttavia, per ottenere il doppio esito di influenzare le opinioni altrui ed essere citati è indispensabile che le loro opinioni e le loro ricerche siano affidabili e, in misura, più o meno grande, comunque sempre variabile, appaiano convincenti, dotate di potere esplicativo. Nel pieno della crisi 1992-1994, il famoso, abitualmente definito “autorevole”, settimanale inglese “Economist” mi intervistò, si appropriò della mia valutazione: “La crisi è creativa”, e la utilizzò, senza citarmi. Molti, in Italia, invece, citarono l’Economist per lo più in maniera approvativa. Se, adesso, il “Financial Times” indirettamente utilizza come fonte un lungo commento, di cui sono stato autore unitamente a Andrea Capussela, pubblicato e visibile sul sito della London School of Economics, non posso che esserne lieto. Condivido quasi tutte le valutazioni che l’autore dell’articolo del FT dà delle riforme costituzionali di Renzi, ma non sono un’eminenza grigia e neppure un suggeritore. L’articolo è e rimane (apprezzabile) farina del sacco dell’autore inglese. Chi non condivide produca altra, controllabile e migliore farina!

Pubblicato AGL 7 ottobre 2016

Articolo 138. Referendum o plebiscito?

testata

Ho letto una bellissima frase di Emma Bonino:

penso sempre che siamo persone d’altri tempi, possibilmente quelli futuri“.

Dice e ripete il governante Renzi, aggiunge e insiste la Ministra Boschi: “chiederemo un referendum sulle riforme istituzionali”. Dovranno spiegare come poiché l’art. 138 è assolutamente limpido nella sua statuizione relativa a chi e quando può chiedere un referendum su riforme costituzionali. Anzitutto, il referendum non può tenersi se le riforme sono state approvate in seconda lettura dai due terzi della Carnera e del Senato. Incredibilmente, il governo Renzi ha addirittura fatto balenare l’opportunità di impedire agli eventuali due terzi di manifestarsi nel voto affinché si possa tenere il referendum! A proposito dei due terzi, qualche ineffabile costituzionalista non-riformatore ha addirittura suggerito che l’art. 138 fosse riformato imponendo per l’approvazione di qualsiasi riforma costituzionale una maggioranza di due terzi con l’esito molto probabile che nessuna riforma sarebbe mai approvata oppure soltanto quelle di bassissimo livello, piccole variazioni, “razionalizzazioni” in politichese. Semmai, dovrebbe essere proprio il contrario: riforme approvate da qualsiasi maggioranza sono tutte sottoponibili a referendum.

Fermo deve restare che qualsiasi referendum costituzionale è facoltativo, mai obbligatorio. Spetta, se lo desiderano, a un quinto dei parlamentari oppure cinque consigli regionali oppure cinquecentomila elettori, richiedere il referendum. Da nessuna parte sta scritto nella Costituzione italiana, che non ha ancora settant’anni…, che il governo ha la facoltà e il potere di imporre un referendum sulle sue riforme. Sì, lo so che i corifei di Renzi-Boschi, i costituzionalisti di corte (aspiranti alla Corte costituzionale) diranno gonfiando il petto e impostando la voce, pardon il twitter, che non sarà il governo a chiederlo, ma il Partito Democratico. La sostanza non cambia. Anzi, forse, peggiora. Il segretario del Partito Democratico farà quello che annuncia il Presidente del Consiglio. Imporrà ad un quinto dei “suoi” parlamentari e a cinque consigli regionali di attivarsi. No, non avrà voglia di (fare) raccogliere le firme. Non esageriamo. Lette le carte (sì, è un’allusione a un precedente fatto di bugie e di inganni), i parlamentari del PD, molti più di un quinto sicuramente, per offrire lo spettacolo di una forza unita e convinta, chiederanno il referendum costituzionale. Poi si mobiliteranno per andare a spiegare ai loro elettori, che, però, trattandosi di parlamentari nominati, manco li conoscono, i contenuti di un eccellente pacchetto. Debbo chiedere scusa una seconda volta. Niente parlamentari sul terreno, on the ground. Andranno Renzi e Boschi in televisione, forse addirittura a RaiTre, pacificata, in radio, in interviste, anche a “Sorrisi e Canzoni”. Poi ci saranno valanghe di tweet e qualche messaggio non troppo lungo, appena sgrammaticato, su Facebook. “Italiani, confermate che felicità è passare dal bicameralismo perfetto al bicameralismo striminzito e pasticciato”. No, no: non voglio fare una lezioncina su parole e concetti. Ce lo chiede l’Europa di fare le riforme, magari chiamandole con il nome giusto, e bicameralismo perfetto è, come capisce facilmente chi appena appena si mette a pensare, senza correre, espressione sbagliata. Bicameralismo paritario, simmetrico, indifferenziato.

Il nome giusto di un referendum con il quale il capo del governo chiama il popolo a scegliere fra le riforme fatte da lui e l’opposizione che, almeno in quella forma, non le vuole, è plebiscito. Da un lato, il sedicente riformatore che dice di rappresentare il popolo (oh, sì, c’è anche una striscia di populismo nell’appello plebiscitario); dall’altro, quelli che remano contro. Resta da vedere se almeno il Ministro Boschi chiederà ai cittadini di andare a firmare anche per il referendum abrogativo della legge elettorale Italicum ovvero se il suo partito userà i suoi potenti mezzi. Coerenza vorrebbe che sì, proprio l’Italicum più di qualsiasi altra legge, poiché è quella che regola i fondamentali rapporti fra i cittadini e i loro rappresentanti, fosse sottoposta al giudizio degli elettori. Non si può abrogare in toto, ha ripetutamente sentenziato la Corte Costituzionale, nessuna legge elettorale. No problem. L’on. Boschi, ne sono sicuro, chiederà saggiamente il ritaglio abrogativo dei tre punti più controversi, in ordine crescente di importanza: le candidature multiple; il premio di maggioranza alla lista; e i capilista bloccati. Insomma, il cammino delle riforme è tutt’altro che terminato. Discutendone apertamente sia per il plebiscito sia per il referendum abrogativo, usciremo tutti meglio informati che è proprio quello che Renzi e Boschi dall’alto della loro cultura politica e istituzionale desiderano per noi italiani.

Articolo scritto per il Laboratorio della contemporaneità della Casa della Cultura