Home » Posts tagged 'Unione Europea' (Pagina 3)
Tag Archives: Unione Europea
Il disordine mondiale e le chance dell’Europa @DomaniGiornale

Il problema del nuovo disordine politico internazionale è che, per fattori strutturali e fattori contingenti, non esiste nessuno in grado di prendere l’iniziativa. In subordine, ma di poco, i due conflitti più gravi sono nelle mani di uomini che sanno che il loro futuro politico dipende dal quando e dal come le “loro” guerre (operazioni militari speciali, però, non dello stesso tipo) termineranno. Per quanto sostenere che gli USA sono una potenza oramai declinata sia eccessivo (e prematuro), non c’è dubbio che il fattore strutturale più importante nel disordine mondiale è l’incapacità degli USA di tornare a svolgere un ruolo quasi egemonico. Il fattore contingente, ovvero la campagna elettorale presidenziale, una volta conclusasi, fa poca differenza chi vincerà, non avrà comunque quasi nessun effetto strutturale risolutivo. Neppure ridurrà l’incertezza.
La Cina è e sembra voler rimanere un attore importante senza assumersi nessun ruolo “ricostruttivo”. La sua espansione è lenta, continua, ma non ha di mira un nuovo ordine, semmai un riequilibrio di potere più marcato a scapito degli USA. Potremmo cercare di gettare la croce sull’Unione Europea, ma significherebbe credere, sbagliando, che l’UE abbia risorse tali da farne una Superpotenza, oggi e domani. Prendere atto che non è e non potrà essere così non condanna all’impotenza. Al contrario, suggerisce la necessità di un maggiore e meglio coordinato impegno comune fra gli Stati-membri. Stigmatizzare l’ordine sparso degli europei deve accompagnarsi alla prospettazione di iniziative diplomatiche rapide e vigorose.
Netanyahu non porta la responsabilità di avere scatenato una guerra di aggressione come quella di Putin contro l’Ucraina, ma tutti sanno che non potrà rimanere capo del governo un minuto dopo la cessazione del conflitto con Hamas e con i suoi troppi sostenitori in Medio-Oriente e dintorni. È anche lecito pensare che, per quanto difficilissima, la sua sostituzione in corso d’opera avvicinerebbe una tregua produttiva. La, al momento assolutamente improbabile, sostituzione di Putin potrebbe condurre all’apertura, voluta da quella parte del gruppo dirigente russo che teme la satellizzazione in corso a vantaggio della Cina, di una nuova fase diplomatica (lo scambio di uomini e donne fra Russia e USA non è stato accompagnato da nessun tipo di riflessione aggiuntiva? Non è stata seguita da nessuna presa d’atto che si può andare oltre, con vantaggi reciproci?) con esiti imprevedibili, vale a dire tutti da scoprire e fronteggiare.
Vedremo presto se la nuova Alta Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione, Kaja Kallas, già primo ministro dell’Estonia, riuscirà a dare vigore alla voce e alla presenza dell’Unione, dei suoi ideali e dei suoi interessi, nel sistema internazionale. Gli ostacoli sono molti a cominciare da quelli che in modo diverso frappongono alcuni capi di governo europei: Orbán che si esibisce in una sua personale diplomazia, Macron con la sua interpretazione del ruolo insubordinabile della Francia, Giorgia Meloni che punta molto, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, su rapporti bilaterali che le danno più visibilità che sostanza (e lei lo sa).
Anche nelle relazioni internazionali la pur comprensibile fretta a fronte dei massacri è cattiva consigliera. Poiché, però, sappiamo che quel che cambierà a Washington dopo il 5 novembre imporrà a tutti i protagonisti di riposizionarsi, sarebbe molto opportuno se in Italia e nell’Unione Europea si manifestasse fin d’ora un forte impegno alla elaborazione di una pluralità di scenari alternativi. Meno lamentazione più immaginazione è il minimo che si possa chiedere.
Pubblicato il 7 agosto 2024 su Domani
Sovranista e vittimista. La premier in UE è irrilevante @DomaniGiornale

No, non intendo minimamente affermare che Giorgia Meloni è un gigante, ma, nonostante il buon successo elettorale della sua pluricandidatura specchietto all’Europarlamento e il suo attivismo (esibizionismo?) frenetico sullo scacchiere europeo e mondiale, adesso è visibile che almeno un piede d’argilla ce l’ha. La sua strategia barcolla a livello delle nomine nelle istituzioni europee e le ha già creato un po’ di nervosismo. Per di più, i leader che contano sembrano non curarsi di questo nervosismo e di non avere nessuna intenzione di includerla.
Di alcuni elementi della sua debolezza la Presidente del Consiglio porta la responsabilità. Se i giovani Fratelli d’Italia inneggiano al fascismo e lo salutano rumorosamente e allegramente con il braccio destro teso è perché pensano che questi comportamenti siano non solo accettabili, ma utili a fare carriera. A chi nel suo paese deve contrastare rigurgiti di destra, però, giustamente e coerentemente non piace neanche l’estrema destra altrui. Cancellare il riferimento semplice e limpido all’aborto nel comunicato conclusivo del G7 sarà anche stato un omaggio, un regalo a Papa Francesco, ma gli altri capi di governo lo hanno considerato un arretramento sgradevole e sgradito imposto furbescamente dalla padrona di casa di quel G7.
Nelle grande maggioranza delle capitali europee, più in generale in democrazia, gli attacchi alla libertà di stampa e le intimidazioni ai giornalisti da parte dei governi vengono considerati un fenomeno brutto, riprovevole, censurabili. Esistono precedenti sui quali Orbán, violatore seriale, sarebbe opportunamente in grado di informare Meloni. Comunque, la procedura di rilevazione di come e quante sono già state le infrazioni del governo italiano, sta sfociando in un documento ufficiale che non sarà un buon biglietto da visita di Meloni per incidere sulle nomine di coloro che guideranno l’Unione Europea nei prossimi cinque anni.
Sorprendente è che Meloni tuoni contro il “pacchetto” preconfezionato. Primo, la necessariamente faticosa confezione è tutt’altro che compiuta. Secondo, dappertutto le coalizioni democratiche si formano intorno a pacchetti di programmi e di persone. I potenziali alleati esprimono le loro preferenze, valutano quelle altrui, convergono su esiti che siano i meno insoddisfacenti e promettano di essere i più funzionali possibile. Ciascuna carica ha un peso (ma, sì, c’è anche un Van Cencelli a Bruxelles) ed esiste l’usato più o meno sicuro. Per essere ammessi nel circolo dei decisori non è sufficiente una manciata di seggi in più se quella manciata non è decisiva per dare vita alla maggioranza assoluta. Ma soprattutto gli appartenenti a quel circolo condividono da più decenni le regole fondamentali e l’obiettivo: “più Europa”, un’Unione più stretta.
Hanno avuto e avranno dissapori e differenze di opinioni e di tempistica, ma non hanno mai perso di vista la stella polare. Ovviamente, non possono permettersi quello che non è lusso, ma uno sviamento: accettare chi sostiene e argomenta la concezione “meno Europa”. Restituire ad alcuni stati membri le competenze che vorrebbero potrebbe comunque essere tecnicamente difficile. Politicamente devastante, sicuramente inaccettabile, questa prospettiva non può non escludere chi la argomenta dal processo di selezione delle personalità alle quali affidare l’Unione. Nella misura in cui Meloni sostiene il passaggio dall’Unione che c’è alla Confederazione da fare, non le sarà concesso di agire da quinta colonnina. Se non avrà idee e proposte, se non nominerà persone qualificate, se non parteciperà in maniera competente e non ricattatoria (come fanno alcuni sovranisti) lei e la Nazione Italia sprofonderanno nell’irrilevanza. Non mi rallegro, ma prendo preoccupatamente atto.
Pubblicato il 19 giugno 2024 su Domani
Più sovranità all’Europa per salvarci dall’irrilevanza @DomaniGiornale

L’Italia “consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” (art. 11). Non c’è dubbio che alcuni dei Costituenti pensassero anche ad un organismo simile all’Unione Europea, e già ci stavano lavorando. Degna di nota, anche alla luce degli scontri più recenti e, in particolare, della campagna elettorale dei “minuseuropeisti”, è l’espressione “limitazioni di sovranità”(nazionale). Oggi sappiamo che quelle limitazioni sono molte e significative, ma non sono interpretabili come cessioni senza ritorno, senza riacquisizioni, possibili, ma costose: Brexit docet. Sappiamo anche che le limitazioni di sovranità alle quali ciascuno Stato-membro ha acconsentito e ancora acconsentirà, ad esempio, in materia di difesa, contemplano la condivisione della sovranità al livello di competenza conseguito nell’Unione. Riappropriarsi di alcune parti di sovranità implica, di conseguenza, escludersi dalla condivisione, dalla compartecipazione. Altri decideranno, ed è molto improbabile che lo facciano tenendo conto delle posizioni nazionali/ste ovunque siano formulate. Del tutto logico che la mancata presenza si traduca in influenza nulla o quasi.
Peraltro, già attualmente, in non poche occasioni, neppure la presenza dell’Italia conta se chi la rappresenta non possiede alcune qualità essenziali: un alto livello di preparazione sui dossier da discutere, competenza personale, credibilità del proprio sistema paese nella traduzione fedele e rapida delle decisioni prese, capacità di costruire coalizioni maggioritarie con i rappresentanti di altri Stati-membri. Tutto questo è noto ai capi di governo, ai Commissari, agli europarlamentari degli altri Stati-membri che traggono le somme di quanto gli italiani sanno, possono, vogliono, riuscirebbero a fare. Meno Europa, dunque, viene inevitabilmente interpretata, non come Meloni desidera, ovvero uno o più passi verso l’improbabile costruzione di una Confederazione, ma come disimpegno e come la frapposizione di ostacoli al processo decisionale europeista con la crescita dei costi, in termini di tempi, energie e anche fondi, per tutti, a scapito di tutti.
Gli oppositori dell’Europa che c’è, si collochino con Meloni oppure si mettano con Salvini, non sono affatto impegnati nell’elaborazione di alternative politiche e decisionali in una pluralità di settori che, come Meloni dichiara spesso, vadano nel senso dell’ampliamento degli ambiti nei quali si applicherà la sussidiarietà. Non vogliono (ri)conquistare potere con la relativa responsabilità. Vogliono evitare che l’Unione giudichi, con i canoni da tempo accettati e vigenti, le loro politiche sociali, culturali, comunicative, le modalità con le quali funziona il loro sistema giudiziario. Quanto fatto da Orbán, il suo decantato illiberalismo, è quello cui aspirano: meno libertà di pensiero, di stampa, di circolazione, meno diritti civili.
Senza inutili e controproduttivi infingimenti, coloro che stanno dalla parte di “più Europa” debbono ricordare e sottolineare che la Costituzione prevede e consente le relative limitazioni di sovranità nazionale che servono a fare crescere e potenziare la sovranità europea, proprio come ha detto il Presidente Mattarella, e che gli europei siamo noi. Debbono anche continuare a mettere in evidenza che le risposte europee più efficaci, come avvenuto in occasione del Covid e vaccini, si producono nelle aree più integrate. Qualsiasi sfida, se non globale, comunque sovranazionale, può essere affrontata e sconfitta non da sovranità nazionali che si muovono in ordine sparso e talvolta conflittuale, mors tua vita mea, ma da sovranità condivise e concordi. Allora, il prestigio e l’orgoglio identitario e nazionale si giocheranno sulla bontà delle soluzioni proposte e sull’abilità di attuarle. Questo mi pare il terreno più appropriato per il confronto fra sovranisti e (più)europeisti.
Pubblicato il 5 giugno 2024 su Domani
INVITO Elezioni, Difesa, Politiche e Costituzione per l’Unione Europea #20maggio #Bologna
Presentazione del volume: Altiero Spinelli, “La mia battaglia per un’Europa diversa”, a cura di Guido Montani, Edizioni Società Aperta, 2024
Lunedì 20 maggio 18
Aula seminari della Biblioteca di discipline economico-aziendali “Walter Bigiavi”
Via delle Belle Arti 33 – Bologna
La vera sfida è fra chi vuole più Europa e chi meno @DomaniGiornale

Più Europa vuole significare molte cose diverse, tutte utili, alcune urgenti e importanti, giustamente impegnative. Può anche essere un modo per presentare una lista e per fare campagna elettorale. Le elezioni europee non dovrebbero essere ridotte ad un duello televisivo del quale, francamente, chi crede che la politica, in particolare quella italiana, non abbia bisogno di personalismi, può profittevolmente fare a meno. Semmai, l’alternativa il 9 e 10 giugno è con maggiore nettezza rispetto a tutte le elezioni precedenti, proprio fra chi vuole più Europa, sì, anche decisamente nel senso federale, e chi vuole fare retrocedere l’Europa, esplicitamente i sovranisti di destra e, furbescamente, anche non pochi sovranisti che si autocollocano a sinistra. Le argomentazioni dei sovranisti sono meno Europa affinché le nazioni non perdano le loro identità e i loro, aggiunta mia, egoismi nazionalisti che non sono mai forieri di pace e neanche di prosperità poiché implicano conflitti/guerre commerciali, tariffarie et al.
Più Europa è quanto, seppure con remore e inadeguatezze, con retropensieri e timori, l’attuale maggioranza nel Parlamento europeo ha perseguito e spesso conseguito. Dovrebbero gli esponenti e i partiti di quella maggioranza rivendicare quanto fatto nel, da molti punti di vista, drammatico quinquennio 2019-2024. Sottolineare quello che è mancato risulta produttivo se non è soltanto pur benemerita assunzione di responsabilità, ma è proposta di come e su quali ambiti e terreni andare avanti. Certo, chi crede nella necessità di una difesa comune non dovrebbe candidare uomini e donne che Giovanni Sartori definiva “ciecopacisti”, ma chi a quella difesa crede e sa contribuire. La difesa comune è tematica che non deve affatto togliere attenzione e spazio ai problemi economici, alla competitività, ma anche alla sanità e alla tassazione e a tutto quello, ovvero molto di quanto argomentato nelle ricognizioni effettuate da due ex-capi di governo italiani: Enrico Letta e Mario Draghi, e relative proposte. Riconoscimento molto gratificante alle capacità e alle storie personali e professionali di due italiani che a più Europa credono e per più Europa hanno coerentemente lavorato.
Più Europa significa anche non solo prendere atto che un certo numero di paesi geograficamente europei desiderano fortemente entrare nell’Unione Europea attualmente esistente che ritengono di enorme aiuto alla loro democrazia e ai loro sistemi economici e sociali. Significa anche che la consapevolezza che la missione intrapresa dai fondatori di questa Europa, citerò Altiero Spinelli e Jean Monnet, insieme a Robert Schumann, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Paul-Henri Spaak, mirava all’unificazione politica dell’intero continente. Decenni dopo il Presidente francese François Mitterrand disse che la “sua” Europa andava dall’Atlantico agli Urali. Più Europa significa anche accogliere questa sfida.
Infine, la mia interpretazione di più Europa non si limita a, userò tre verbi suggestivi del linguaggio europeista di qualche tempo fa, ma a mio parere tuttora validi e pregnanti per indicare un percorso europeo: allargare, approfondire, accelerare nel difficile equilibrio che implicano. Significa anche che ciascuno Stato-membro dovrebbe diventare più europeo al suo interno. Meno spendaccione e un po’ frugale, ma c’è molto di più, ad esempio, combattere e ridurre la corruzione, grande male infettivo, e migliorare la qualità della sua democrazia anche guardando alle istituzioni e ai sistemi di partiti che funzionano meglio. In materia il provincialismo italiano nel dibattito sul premierato ha raggiunto livelli insopportabili, comunque derivanti da conoscenze comparate insufficienti, per l’appunto da meno Europa, malamente e colpevolmente meno europee.
Pubblicato il 15 maggio 2024 su Domani
Giustizialisti buoni e garantisti cattivi: a ognuno il suo (e qualcosina di più) #paradoXaforum

“C’è un tempo per essere giustizialista e c’è un tempo per essere garantista”. Sto con l’Ecclesiaste, ma aggiungo: “ci sono casi che richiedono giustizialismo e casi che meritano garantismo”. E, allora, bisogna sapere distinguere e riuscire a convincere gli altri che la mia distinzione ha valore.
Partirò con la notazione che il garantismo a campo largo è fatto apposta per salvare tutti i propri compagni di merende al prezzo, ritenuto largamente sopportabile, spesso atto pagare ad altri, di lasciare esenti da qualsiasi intrusione della legge anche i compagni delle altrui merende. Da un lato, questo garantismo comunica la possibilità della tolleranza/immunità per comportamenti probabilmente scorretti, spinti in una zona grigia nella quale è meglio non guardare, fino a dare l’idea di un permissivismo/lassismo che si diffonde a permeare la società, l’economia, la cultura giungendo a troppe manifestazioni di religiosità. Dall’altro, inevitabilmente, difficile dire quanto consapevolmente, questo garantismo erode l’autorità dello Stato e delle istituzioni. Le loro procedure e le loro regole possono essere violate senza conseguenze. Sono elastiche. Possono essere interpretate con notevole discrezionalità che talvolta sfiora l’arbitrio.
Nel giustizialismo si trovano, invece, coloro che danno un’interpretazione inflessibile e immutabile dei principi fondamentali che regolano i rapporti fra le persone e fra quelle persone e le istituzioni. La legge eguale per tutti, “giustizialmente” interpretata, colpisce malamente tutti coloro che sono diseguali per una varietà di elementi sempre esistenti, in particolare, per assenza di risorse economiche, culturali, di visibilità (troppa che potrebbe giustificare il dare loro una lezione; poca che potrebbe consentire un trattamento esagerato senza che vada agli onori/disonori della cronaca), di relazioni sociali. Chi viene lasciato solo è più esposto ai rigori della legge.
Trattare i diseguali in maniera diseguale richiede un legislatore in grado di individuare almeno le più importanti fattispecie di diseguaglianza disturbante e delineare i trattamenti specifici. Vale la pena tentare tenendo a bada gli sconfinamenti garantisti e le esagerazioni giustizialisti. Tuttavia, nell’ottica di un sistema politico, che può anche essere sovranazionale come l’Unione Europea, ’è un elemento che richiede maggiore attenzione e più approfondita considerazione di altri: il potere, più precisamente il potere politico. Non che il potere economico, il potere sociale, il potere culturale, il potere religioso non si accompagnino anch’essi alla probabilità di elargire favoritismi, ma solo il potere politico è in grado di incidere su tutti i cittadini. Solo il potere politico si estende e si spande su tutto il sistema politico intervenendo anche nei confronti degli altri poteri, assegnando vantaggi e/o sottraendo risorse.
Chi ha più potere ha, volente o nolente, più responsabilità. Deve accettare più responsabilità, politiche, sociali, giudiziarie. Nessuno dei suoi comportamenti scorretti può essere condonato. Con il potere politico può meglio difendersi dai giudici e dai giustizialisti. Con quel potere politico può anche, a (in)determinate condizioni, continuare nel reato. No, i detentori di potere politico, di governo e di rappresentanza, non sono cittadini come gli altri. Pertanto, non debbono essere trattati come cittadini qualsiasi (i quali, peraltro, sono un insieme molto variegato). Il potere politico non deve essere usato per giustificare l’irresponsabilità, per sfuggire dalle responsabilità. Non è giustizialismo esigere che chi occupa cariche politiche le liberi per difendersi senza sfruttare quel plus che il potere politico inevitabilmente comporta. Si può esigerlo; si può farlo.
Pubblicato il 22 Aprile 2024 su PARADOXAforum
Nel mondo che brucia la UE deve essere bussola @DomaniGiornale

Quello che è particolarmente preoccupante in questa fase della storia del mondo è che vediamo l’accumularsi di problemi molto diversi fra loro, prodotti da condizioni diverse in luoghi diversi per i quali molte parte indicano una pluralità di responsabili. Intravvediamo qualche complicato emergere di soluzioni che rimangono conflittuali e non trovano l’approvazione delle parti in causa. Rincorriamo qualche novità, qualche volta esagerandola, che nel migliore dei casi apre spiragli che non lasciano intravedere una strategia abbozzata almeno nelle sue linee generali. Non si può e non si deve chiedere agli ucraini di alzare bandiera bianca, ma nessuno, tranne forse la Cina, è in grado di chiedere a Putin di porre fine al conflitto. La Cina è seduta lungo il corso di un fiume dove pensa, forse spera, magari progetta di vedere “passare” Taiwan, mentre la sua economia non cresce più, ma aumenta la repressione a Hong Kong. Appena riconsacrato, Putin che, come tutti gli autocrati, fonda il suo potere anche sulla promessa di ordine e sicurezza (più una rilanciata grandezza) vede la sua capitale ferita da un attacco terroristico con gravissime conseguenze.
La sua ricerca di un capro espiatorio nell’Ucraina come mandante non sembra funzionare, ma probabilmente ha finora impedito che gli venga chiesto conto, da un circolo ristretto che mantiene un po’ di potere intorno a lui, dell’avere ignorato la tempestiva segnalazione dell’intelligence USA di un attacco terroristico. La reazione israeliana all’aggressione di Hamas del 7 ottobre continua mirando a ripulire dalla presenza di terroristi i cunicoli di Gaza la cui lunghezza è stata stimata fra le 300 e le 500 miglia. Repressione e oppressione senza soluzione hanno conseguenze imprevedibili, ma non risolutive. L’aumento dell’antisemitismo è tanto inquietante quanto accertato, ma rimane deprecabile.
Il Presidente Biden, giustamente e comprensibilmente teme che una parte non trascurabile dell’elettorato islamico USA finora orientato a favore dei Democratici, lo possa abbandonare decretandone la sconfitta in due/tre stati chiave in bilico e riportando alla Casa Bianca Donald Trump, certamente non un negoziatore non un pacificatore. L’astensione USA sul voto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a favore del cessate il fuoco è un messaggio sia a quell’elettorato sia ad Israele, ma il suo impatto non va oltre il breve termine se non sarà accompagnato da veri e propri negoziati per i quali nessuno finora ha indicato le modalità iniziali e una prospettiva plausibile. Israele sembra opporsi alla soluzione dei due Stati, comunque difficilissima da tradurre in pratica senza la totale smilitarizzazione di Hamas. Nel variegato mondo dei paesi arabi peraltro non si vede grande entusiasmo per la formazione di uno stato palestinese. In questo panorama complesso caratterizzato da opzioni diverse 400 e più milioni di cittadini dell’Unione Europea andranno a votare per l’istituzione democratica, l’Europarlamento che ne rappresenterà e esprimerà per cinque anni le preferenze, le aspettative, anche gli interessi. Senza compiacermi di nessuna critica moralista/buonista, ritengo che sia non soltanto logico, ma assolutamente opportuno che la grandi famiglie politiche europee, preso atto dello stato del mondo, dei due gravi conflitti ai suoi confini, della persistenza del terrorismo di matrice islamica, procedano ad una diagnosi approfondita e suggeriscano soluzioni alle quali saranno gli europei stessi a contribuire. Sicurezza reciproca, ricostruzione materiale, ma anche di rapporti, visione di un futuro di autonomia ma anche di cooperazione: per tutto questo vale la pena di impegnarsi, sempre. Se non ora, quando?
Pubblicato il 27 marzo 2024 su Domani
L’Europa nel mondo di domani #TavolaRotonda #1marzo #Roma convegno IL PARLAMENTO EUROPEO: VERSO QUALE EUROPA? Accademia Nazionale dei Lincei

CONVEGNO LINCEO
IL PARLAMENTO EUROPEO: VERSO QUALE EUROPA?
29 FEBBRAIO -1° MARZO 2024
Venerdì 1° marzo
Tavola rotonda: L’Europa nel mondo di domani
Interventi:
Giuliano AMATO (già Presidente della Corte Costituzionale)
Gianfranco PASQUINO (Linceo, Università di Bologna)
Alberto QUADRIO CURZIO (Presidente Emerito dell’Accademia Nazionale dei Lincei)
Nel giugno 2024 si terranno per la decima volta le elezioni a suffragio universale per il Parlamento
Europeo. L’attuale è una fase storica molto delicata per l’Unione Europea: la guerra in Ucraina, i postumi
della pandemia da Covid 19, la turbolenza dei mercati finanziari, la crisi ambientale e le difficoltà della
transizione energetica, l’accentuarsi degli squilibri territoriali tra Nord e Sud e Est e Ovest, la crisi
dell’equilibrio mondiale e l’affermazione in molti stati membri di movimenti populisti neo-nazionalisti
producono crescenti difficoltà nei rapporti tra gli stati membri e tra questi e l’Unione Europea, mettendo
in discussione la sua stessa architettura istituzionale.
Si pone quindi l’esigenza di un esame attento e sobrio della situazione sul piano della riflessione scientifica prima che si sviluppi la campagna elettorale.
PROGRAMMA DEL CONVEGNO
Le elezioni decisive e il “momento Spinelli” @DomaniGiornale

“Non avremmo voluto mai prendere questo provvedimento, ma ce lo chiede l’Europa”. Questa frase l’abbiamo sentita tantissime volte pronunciata con faccia mesta da molti politici, più da coloro che stanno al governo che dagli oppositori. La chiamerò la sindrome dell’alibi. “No, questo, fosse per noi, se solo potessimo, lo faremmo subito e di più, ma le regole europee ce lo vietano. Purtroppo, dobbiamo rinunciarvi, ma la colpa è dell’Europa”. Questa è, invece, precisamente la sindrome della capra espiatoria (sic). Entrambe le sindromi sono simultaneamente presenti nel dibattito italiano. Probabilmente godranno di un’impennata non appena, presentate le liste e le candidature, anche quelle civetta, comincerà la campagna per l’elezione del Parlamento europeo.
Troppo spesso, se non, addirittura, quasi sempre, gli europeisti non reagiscono in maniera efficace. Non sanno, come suggerirebbero gli esperti di comunicazione politica, controinquadrare (frame) le tematiche salienti e dettare una diversa agenda del discorso politico. Tanto per cominciare l’Europa siamo noi, non è un qualcosa di separato da e di estraneo alle nostre vite, di ieri, di oggi, e ancor più, di domani. Siamo noi che eleggiamo gli europarlamentari italiani; è il nostro governo che nomina il rappresentante italiano nella Commissione, i nostri ministri in tutti i comitati interministeriali addetti alle politiche di settore e la Presidente del Consiglio che fa parte per l’appunto del Consiglio dei capi di governo. Se le decisioni che sono prese in queste istituzioni non tengono conto delle proposte italiane e vanno a scapito degli interessi nazionali potrebbe non essere un complotto dei poteri forti europei tutti coalizzati per oscure ragioni contro l’Italia. Sarebbe opportuno, piuttosto, interrogarci sulla qualità delle nostre proposte, sulla capacità dei nostri rappresentanti di creare coalizioni per proteggere e promuovere nel quadro europeo i nostri interessi, sulla credibilità del, come si dice con espressione che merita di essere analizzata e chiarificata, “sistema paese”.
Qualsiasi alibi e qualsiasi tentativo di gettare le colpe su una o più capre espiatorie peggiorano la situazione dei paesi e dei loro dirigenti che vi fanno ricorso. Nel rapporto democratico fra governanti e cittadinanza, agli europeisti si offre l’opportunità e corre l’obbligo di mettere in evidenza quanto l’Unione Europea è progredita, nonostante enormi e drammatiche sfide, una delle quali, l’aggressione russa all’Ucraina, è tuttora in corso, un’altra, la pandemia da Covid, è stata sconfitta proprio grazie al coordinamento in sede europea e alle risorse messe in comune. Europeismo per gli italiani che ci credono e vogliono più Europa significa rifarsi agli scritti e alle azioni impetuose, incessanti, infaticabili di Altiero Spinelli e alle prospettive da lui delineate e perseguite: l’unificazione politica dell’Europa. Spinelli sapeva guardare indietro e rallegrarsi dei risultati ottenuti, senza mai però accontentarsi. Lo farebbe anche nelle condizioni, difficili, attualmente date. Ha subìto e subirebbe delle sconfitte, ma proprio come il politico per vocazione così brillantemente individuato da Max Weber, direbbe: “Non importa, ricominciamo”, avendo imparato e svolto un’opera di pedagogia politica europeista a tutto campo.
Nel processo di unificazione europea, complicato, faticoso, contrastato, aperto a una molteplicità di soluzioni, esiste spesso un “momento Spinelli”. È quello nel quale i progressisti hanno il compito di unire le forze e mobilitare cittadini in nome di quel molto che l’Europa ha già fatto per noi e di quel di più che c’è e rimarrà ancora da fare con il contributo essenziale dei cittadini europei. Le elezioni dell’Europarlamento 2024 sono sicuramente quel “momento”.
Pubblicato il 14 febbraio 2024 su Domani
L’egemonia culturale si conquista con la competizione delle idee non occupando posti di potere
Da quando l’egemonia culturale si conquista, non producendo idee, ma, occupando posti? Da quando l’egemonia culturale è un prodotto nazional-sovranista che pensa di poter fare a meno di confrontarsi con il mondo globalizzato e con le idee e i valori dell’Unione Europea? Ripensare l’egemonia in chiave di competizione in democrazia e per la democrazia, oggi (e ieri).