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L’Assemblea costituente dei migliori
Da qualche tempo, numerose sono le lamentele sulla bassa qualità della classe dirigente italiana, in particolare, della classe politica. Naturalmente, ciascuno dei critici, a sua volta, membro della classe dirigente, esclude se stesso e la maggioranza dei suoi colleghi dalle critiche. Proprio la presenza di Mario Draghi al vertice del governo certifica e accentua l’inesistenza di una classe politica adeguata. Non è sempre stato così. Anzi, una riflessione sui componenti dell’Assemblea costituente offre la possibilità di capire come si possa reclutare una buona classe politica capace di rappresentare al meglio un paese.
In totale i Costituenti furono 556 dei quali soltanto 21 donne: 9 della Democrazia cristiana, 9 del Partito comunista, 2 del Partito socialista e 1 dell’Uomo qualunque. Anche se non è giusto sostenere che erano tutti uomini e donne di partito, qualifica che sarebbe subito stata respinta dai 30 rappresentanti del Fronte dell’Uomo Qualunque, i Costituenti erano stati selezionati dai dirigenti dei rispettivi partiti e del Fronte e eletti anche, forse, soprattutto, in quanto rappresentanti di quelle liste. Dunque, vi si trovavano dirigenti di partito: Alcide De Gasperi, Lelio Basso, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Ugo La Malfa, che avrebbero avuto una lunga carriera politica. C’erano molti che avevano combattuto il fascismo, finendo in carcere anche per diversi anni, come Vittorio Foa e Umberto Terracini poi presidente dell’Assemblea Costituente. Altri avevano avuto un ruolo importante nella Resistenza: Ferruccio Parri, Antonio Giolitti, Luigi Longo. Alcuni erano stati esuli come Leo Valiani in Francia e diversi comunisti in Unione Sovietica.
Le biografiche politiche dei Costituenti segnalano anche che un certo numero di loro, fra i quali Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75 incaricata di redigere il testo costituzionale, era stato eletto in Parlamento per alcuni anni prima dell’avvento del fascismo. La componente della Democrazia cristiana era molto variegata. Accanto ai professorini, Fanfani, Lazzati, Dossetti, Moro, alcuni dei quali provenienti dalla Federazione Universitaria Cattolici Italiani, si trovarono esponenti delle professioni, avvocati e banchieri, persino alcuni notabili locali, cioè persone note e apprezzate nelle loro comunità. Poiché bisognava scrivere una Costituzione democratica, tutti i partiti decisero di fare eleggere nelle loro fila autorevoli professori capaci di dare un apporto scientifico altrimenti non disponibile: Piero Calamandrei per il piccolo Partito d’Azione, oltre ai professorini Costantino Mortati indipendente nella Democrazia Cristiana, Concetto Marchesi per il Partito Comunista, Francesco De Martino per il PSI, Tomaso Perassi per il Partito repubblicano.
Non socialmente rappresentativi, per estrazione sociale, titolo di studio, esperienze di vita, i Costituenti sono un esempio difficilmente imitabile di come si crea una classe politica. Nient’affatto specchio della società italiana, offrirono la migliore rappresentanza politica possibile: indicarono una strada e delinearono come intraprenderla.
Pubblicato AGL il 3 giugno 2021
Modificare l’Italicum si deve
Finita la piccola, inferiore alle aspettative, bagarre del rimpicciolito Senato, giá si ricomincia a parlare di modifiche all’Italicum, legge elettorale approvata all’inizio di maggio cioé poco piú di sei mesi fa. Forse il Senatore a vita Giorgio Napolitano avrebbe fatto meglio a esprimere le sue perplessità in materia e il suo invito a modifiche nella lunga fase di gestazione della legge elettorale. Non avrebbe dovuto stupire lui né i critici e gli estimatori del Ministro Boschi che esiste un collegamento fra riforma del Senato e legge elettorale per la Camera. Da soli, il ministro e il suo Presidente del Consiglio non erano in grado, ma probabilmente neppure volevano, cogliere il collegamento poiché le loro riforme elettorali e costituzionali sono all’insegna dello spezzatino. A sua volta, Forza Italia si é accorta tardivamente che le conseguenze di alcuni elementi dell’Italicum sembrano fatte apposta per impedirle di arrivare al ballottaggio. Le sparse minoranze del Partito Democratico non hanno combattuto nessuna vera battaglia per conquistare un sistema elettorale migliore. Hanno preferito scaramucce di poco conto e nessun impatto cosicché Renzi e Boschi hanno avuto quello che volevano, non tutto, trovandosi, peraltro, obbligati a non pochi cambiamenti nei dettagli della legge rispetto al non impeccabile testo originario, ma parecchio resta ancora da fare. D’altronde, il “tutto” che i renziani perseguivano finiva per essere sostanzialmente un Porcellum appena ripulito che l’attualmente silente Corte Costituzionale non avrebbe potuto e non dovrebbe digerire.
I piccoli aggiustamenti di cui si discute in questi giorni di rilassatezza post-Senatum sono sostanzialmente cosmetici tranne uno. Il premio in seggi dato alla coalizione vincente e non, come è ora scritto nella legge, alla lista é un ritocco importante ancorché non decisivo. La struttura rimane quella di un sistema elettorale proporzionale modificato (alcuni direbbero snaturato) da un premio di maggioranza che rischia anche di essere cospicuo. Con l’Italicum così com’è non si puó fare di meglio, ma sicuramente abolire le candidature multiple, fino a dieci collegi, é una semplice misura di decenza político-elettorale. Quanto ai capilista bloccati é un punto renzian-boschiano irrinunciabile, indispensabile per garantire loro il controllo del gruppo parlamentare alla Camera dei Deputati.
Temo che sia troppo tardi per fare quella che Vittorio Foa chiamerebbe la “mossa del cavallo”: spiazzare tutti riproponendo, come ha fatto Stefano Folli in un commento su “Repubblica”, una versione del maggioritario francese: doppio turno in collegi uninominali. Per di più, Folli é fin troppo buono. Vorrebbe anche garantire ai piccoli partiti, molti dei quali, in quanto figli minori di scissioni trasformistiche, proprio non se lo meritano, un diritto di tribuna. Bastasse questo per “andare in Francia”, il sacrificio lo si potrebbe fare. Si otterrebbe un sistema elettorale, non cosmeticamente, ma sostanzialmente diverso e sicuramente migliore del non collaudato Italicum.
Nel frattempo é auspicabile che si esprimano tutti coloro che hanno, per tempo, espresso critiche e manifestato riserve. Non é neppure esagerato, data l’importanza del tema “legge elettorale” in una democrazia che vorrebbe cambiare i rapporti fra cittadini ed eletti, ascoltare che cosa ha in mente Napolitano. Insomma, senza nessun rischio di essere accusato di tramare contro la Repubblica, anche il relatore del Mattarellum, sistema elettorale non perfetto, ma nettamente migliore dei suoi due successori, potrebbe farci sentire il suo autorevole parere.
Se il Presidente Mattarella, non soltanto perché parla dal Colle, ma anche alla luce del suo passato (come sarebbe bello sapere come ha votato il giudice costituzionale Mattarella sia sulla “non reviviscenza” del Mattarellum nel 2010 sia sulla macellazione del Porcellum nel 2014), intervenisse, la sua autorevole voce riuscirebbe ad avere un impatto di cui molti, ancorché non tutti, gli sarebbero grati. Potrebbe essere il momento che “definisce” la sua Presidenza. Ovviamente, per chi sa ascoltare e correggersi.
Pubblicato AGL il 19 ottobre 2015