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In difesa delle idee

Corriere di Bologna

Qualche punto fermissimo. Non esiste nessun “caso Panebianco”. Esiste una università, una facoltà, una città che per vent’anni non hanno saputo elaborare nessuna strategia di contrasto ad organizzazioni, peraltro e notoriamente soltanto in parte, composte da studenti. Esiste anche un’ampia zona torbidamente grigia di “colleghi” che distinguono e sottilizzano, separano e comprendono, parzialmente giustificano (“sì, però”), che s’inventano il “disagio sociale”, che mettono sullo stesso piano la lezione, per quanto controversa possa essere (e Panebianco, lo affermo a suo merito, è controverso: dice e scrive, contro il mediocre senso comune, qualcosa d’importante che può sicuramente essere discusso) e le intimidazioni e le violenze che dovrebbero essere sempre bandite, non solo in università. Comunque, chi ricorre a intimidazioni e violenze dovrebbe sempre essere disposto a pagarne il prezzo. La legge può essere violata, ma, fintantoché esiste, implica che coloro che la violano accettino, anzi rivendichino, di essere puniti a norma di legge. E qualcuno ha il dovere di fare rispettare e applicare la legge.

Non raccontiamo(ci) che chi ha fatto irruzione nell’aula dove Panebianco insegnava voleva imporre un dibattito, era disposto a discutere di idee, di guerra e di pace. Tutt’al contrario. Sapendo poco di quegli argomenti (il professore che è in me non riesce a resistere a questa laica constatazione), i contestatori volevano impedire a Panebianco di insegnare. Tacciandolo di “guerrafondaio” volevano delegittimarlo a priori, e definitivamente. La solidarietà va espressa a Panebianco, non nonostante quello che dice, ma proprio per quello che dice e scrive affinché possa continuare a dirlo e a scriverlo. Al proposito, vale ancora e tuttora la posizione espressa da Voltaire (sì, un illuminista di circa tre secoli fa) che difendeva la libertà di parola di tutti coloro che non la pensavano come lui e che lui non la pensava come loro.

Sono sicuro che il mio allievo (sì, intendo rivendicare la mia qualifica di relatore della sua tesi di laurea) Angelo Panebianco non desidera affatto fare della contestazione nei suoi confronti un caso emblematico. Prima la smetteranno meglio sarà. Toccherà agli studenti dei suoi corsi decidere, di volta in volta, se come quanto interloquire con lui (e con le sue, che non sono soltanto “idee”, ma conoscenze): il modo corretto di agire e più produttivo. Sono l’Ateneo di Bologna, la Facoltà di Scienze Politiche, l’opinione pubblica, cittadina e non, che dovrebbero volerne fare un caso emblematico: l’emblema di come si sconfessano e si sconfiggono i violenti e di come si protegge e si esercita la libertà di insegnamento. Tutto il resto è insopportabile e pericolosa ipocrisia.

Pubblicato il 25 febbraio 2016