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La dura battaglia di Berlino (e dell’Europa) all’ombra dei sovranismi globali @DomaniGiornale

Pensata per dargli visibile legittimità, conferirgli maggiore autorevolezza e garantirgli significativa stabilità in carica l’elezione a maggioranza assoluta del Cancelliere della Germania ad opera del Bundestag ha ieri mattina offerto l’opportunità ad alcuni parlamentari tedeschi di esprimere nel segreto dell’urna i loro peggiori umori e malumori. Recepito il messaggio comunque inquietante di indisciplina, il democristiano Friedrich Merz è stato eletto cancelliere nel pomeriggio dalla coalizione CU/CSU+SPD. Sbagliato, quindi, prendere questo caso come un esempio di crisi della democrazia. Più che giusto e opportuno continuare a interrogarsi sui problemi di funzionamento e sulle sfide alla/e democrazia/e. Infatti, è molto plausibile che quella quindicina di voti mancati a Merz nella prima votazione provengano da parlamentari democristiani che sarebbero disponibili a trattare con Alternative für Deutschland, in qualche modo a coinvolgerla, anche adesso che è stato accertato che è una pericolosa formazione di estrema destra.
Quella che mi pare l’illusione già sperimentata, anche, drammaticamente, in Germania, di ridimensionare il consenso, meglio ridurre i voti, di chi vuole erodere i principi democratici, pur se non condivisa dalla maggioranza degli elettori tedeschi, circola anche in altri regimi democratici. Democrazia non significa affatto il governo di tutti né che al governo vadano i partiti in base alla loro forza elettorale. Non significa neppure che i numeri debbano obbligatoriamente essere l’elemento decisivo per la partecipazione al governo.
Le coalizioni di governo si formano intorno ad un programma condiviso che, nel caso tedesco, è stato debitamente approvato dagli iscritti dei due partiti contraenti. Il capo del partito di maggioranza relativa, ovvero, comunque, l’esponente designato da quel partito, diventa Cancelliere, capo del governo. Le proposte programmatiche di AfD in particolare riguardo all’Unione Europea, alla politica estera e a ad alcuni temi economici, non erano/sono soltanto distanti da quelle democristiane e socialdemocratiche, ma le contraddicono platealmente, verticalmente, deliberatamente. Elementi neanche troppo nascosti, se non di vero e proprio nazismo, certamente di pericolose tendenze autoritarie e repressive, hanno fatto più che capolino non solo nella propaganda elettorale del partito, ma nelle dichiarazioni di molti esponenti di primo piano. AfD non trova alleati (come, il paragone è appropriato, il Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia).
Fare valere la Costituzione e i suoi fondamenti ideali e valoriali contro i nemici della democrazia è una scelta non soltanto necessaria, ma politicamente e eticamente doverosa. Venire meno da parte dei democratici, da un lato, alla protezione del regime democratico da interferenze esterne e, dall’altro, alla promozione di tutte quelle misure che rendano migliori i processi democratici, a cominciare dalla formazione di un governo coeso e operativo, sarebbe gravissimo, addirittura esiziale.
Senza retorica la Germania occupa uno spazio geografico, economico, politico e culturale centrale nell’Unione Europea. Insostituibile. La tenuta della sua democrazia e il funzionamento delle sue istituzioni sono cruciali anche per tutti gli Stati-membri. Il modello politico tedesco di Cancellierato e di federalismo ha a lungo funzionato in maniera esemplare e i due maggiori partiti hanno saputo utilizzarlo al meglio. Quel modello politico è positivamente responsabile della affermazione della Germania come gigante economico. Non a caso le sue difficoltà politiche si sono riversate anche sullo stato dell’economia.
Non è spingersi troppo in là sostenere che a fronte dei sovranismi USA e della Russia e degli egoismi nazionalistici di ritorno in troppi altri paesi, soltanto una maggiore integrazione europea, approfondimento e accelerazione, è in grado di portare la democrazia al necessario livello superiore. Questa è la battaglia in corso, in Germania e altrove.
Pubblicato il 7 maggio 2025 su Domani
Bandire i banditi della democrazia? La mozione contro AfD vista da Pasquino @formichenews

Giusto sfidare i dirigenti e i militanti di AfD sul piano del rispetto della democrazia, anche nel linguaggio e negli obiettivi dichiarati. Più problematico mettere al bando un partito che gode di seguito notevole. Sembrerebbe una misura disperata di chi ha perso la fiducia nelle sue capacità di riconquistare con la conversazione democratica quegli elettori “sbandati”. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica e Accademico dei Lincei
La democrazia è pluralismo e competizione. Lasciate che 10, 100, 1000 gruppi, associazioni, partiti nascano, si confrontino, tessano le loro tele, vincano, perdano, scompaiano, rinascano. I loro confronti, incontri, scontri si svolgano in pubblico, coram populo e il popolo decida se aderire a quale associazione, se votare quale partito, da chi farsi interpretare e rappresentare. Ma, il problema è, lo so benissimo, l’ho studiato, con quali modalità debba avvenire la competizione. I regimi autoritari pongono limiti stretti, soprattutto nei confronti di coloro che sfidano i detentori del potere politico e che potrebbero sconfiggerli e sostituirli. Le democrazie debbono essere il più aperte possibile, ma almeno un limite invalicabile hanno l’obbligo politico ed etico di porlo. Nella competizione a qualsiasi livello, la violenza fisica, l’intimidazione, l’aggressione, l’uso delle armi non sono accettabili e debbono essere sanzionate e punite. Reagendo con forza e con restrizioni, alcune democrazie europee (la Cecoslovacchia, il Belgio, la Finlandia), come ha splendidamente documentato Giovanni Capoccia (Defending Democracy: Reactions to Extremism in Interwar Europe, Johns Hopkins University Press, 2005), hanno respinto con successo la sfida dei sostenitori del nazismo all’interno dei loro paesi.
Oggi, la domanda è: chi si richiama, in forme più o meno esplicite, al nazismo (o al fascismo o al franchismo) deve essere messo al bando, escluso dalle elezioni (i ludi cartacei nel lessico di Mussolini) e le relative organizzazioni disciolte (XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana relativa al partito fascista)? Un (in)certo numero di parlamentari tedeschi chiedono che Alternative für Deutschland (AfD) venga messa al bando. Sicuramente, quel partito non fa mistero della sua provenienza e dei suoi obiettivi. Però, le democrazie non possono discriminare in base a affermazioni, dottrine, ideologie. Anzi, la convinzione dei democratici è che la forza delle loro idee sconfigge anche coloro che la democrazia vorrebbero distruggere. Soltanto il ricorso ripetuto alla violenza può legittimare la messa al bando e lo scioglimento di un’organizzazione. Fu così in Italia nel novembre 1973 per Ordine Nuovo fondato e guidato da Pino Rauti. Non pochi di quegli attivisti, lo stesso Rauti, ebbero poi una carriera politica nell’accogliente alveo della democrazia italiana.
La Carta Fondamentale (Grundgesetz) tedesca ha consentito che nel 1952 la Corte Costituzionale bandisse il Partito Socialista del Reich in quanto neo-nazista. I diversi successori ebbero sempre scarsissimo successo alle urne, al massimo sfiorando, come il NPD, la clausola del 5 per cento. AfD è già andata molto al di sopra del 5 per cento in alcuni Länder, attestandosi intorno al 30 per cento quasi triplicando i voti delle elezioni nazionali del 2021. Giusto sfidare i dirigenti e i militanti di AfD sul piano del rispetto della democrazia, anche nel linguaggio e negli obiettivi dichiarati. Più problematico mettere al bando un partito che gode di seguito notevole. Sembrerebbe una misura disperata di chi ha perso la fiducia nelle sue capacità di riconquistare con la conversazione democratica quegli elettori “sbandati”. Il dibattito sulla richiesta di messa al bando potrà chiarire molti punti. Forse servirà anche come insegnamento agli elettori.
Pubblicato il 1° ottobre 2024 su Formiche.net

Lezioni tedesche #elezioni #Germania
La lettura numerica delle importanti elezioni tedesche è semplice, ma è stata complicata da commentatori impreparati e male attrezzati. C’è un sicuro perdente, il candidato della CDU/CSU, Armin Laschet con il suo partito che ha visto il deflusso dell’8 per cento dei voti. C’è un vincente, il candidato della SPD, Olaf Scholz, che ha ottenuto più voti di tutti, ma pur sempre solo poco più di un quarto dell’elettorato tedesco che ha votato. Ci sono i Verdi che, pur essendo cresciuti, sono rimasti, a causa di errori della loro candidata, al di sotto delle previsioni, e i Liberali, che pure appena lievemente aumentati, cantano vittoria perché divenuti sostanzialmente necessari per qualsiasi coalizione di governo. La Sinistra ha perso parecchio e l’estrema destra (AfD) è stata ridimensionata. Entrambe staranno ai margini. La lettura politica è affidata non solo a quello che i protagonisti hanno detto e stanno comunicando, ma alle esperienze, molte e significative del passato.
Tocca al leader del partito che ha ottenuto più voti iniziare le consultazioni/contrattazioni con i potenziali alleati. Quindi, sarà il socialdemocratico Scholz a cercare la collaborazione con i Verdi e con i Liberali, sapendo che entrambi si sentono e sono indipensabili e più che disponibili. La formazione di un programma di governo condiviso richiederà tempo, non solo per le distanze intercorrenti proprio fra Verdi e Liberali, sia sull’ambiente sia sull’economia, ma anche perchè gli uni e gli altri non hanno precedenti collaborazioni di governo e sono giustamente diffidenti. Gli incontri richiederanno molto tempo anche per produrre reciproche comprensioni, smussare gli angoli, precisare gli impegni e soprattutto mettere nero su bianco gli accordi raggiunti da tradurre in politiche pubbliche. Nel frattempo, la Germania continuerà ad avere un governo composto da CDU/CSU e SPD, guidato da Angela Merkel e con Scholz Ministro delle Finanze che è il Ministero al quale aspirano i Liberali, forse un po’ troppo ordoliberisti/liberali a parere tanto della SPD quanto dei Verdi.
Giungere alla formazione del governo prima di Natale è sicuramente possibile, anche auspicabile. Tuttavia, molti ricordano che, nonostante la sua lunga esperienza e grande pazienza, Angela Merkel non riuscì a mettere d’accordo Verdi, allora più deboli, e Liberali. Dovette formare una Grande Coalizione, la terza, con i socialdemocratici, che vide la luce nel marzo 2018 più di sette mesi dopo le elezioni. Una coalizione simile che, comunque, dovrebbe essere guidata dal socialdemocratico Scholz, appare oggi ancora numericamente possibile, ma politicamente improbabile sia per carenze di leadership sia, soprattutto, perché il dato sicuro è che la maggioranza dei tedeschi ha votato per cambiare. Proprio su quanto e quale, oltre quello dei protagonisti politici, cambiamento, SPD, Verdi e FDP sono disposti a accettare e effettuare, che loro e gli analisti debbono riflettere rifulgendo da terribili semplificazioni (come quella di leggere con occhi italiani una storia molto tedesca).
Pubblicato AGL il 29 settembre 2021
Il braccio di ferro della Merkel
Premesso che le Grandi Coalizioni non sono il male assoluto, ma una modalità di formazione dei governi nelle democrazie parlamentari, CDU e SPD hanno perso voti non perché protagonisti della Grande Coalizione 2013-2017, ma per le politiche che hanno attuato/sostenuto, in materia d’immigrazione e di politica economica e sociale nell’Unione Europea. Immediatamente ripudiata dal molto sconfitto Martin Schulz, candidato della SPD, la Grande Coalizione è tuttora numericamente possibile. Potrà persino diventare politicamente praticabile. Su un punto, però, Schulz ha ragione da vendere: non si può lasciare il ruolo di opposizione parlamentare (e sociale) ad Alternative für Deutschland. Sbagliano la maggioranza dei commentatori quando molto sbrigativamente etichettano l’AfD come movimento/partito populista. No, primo, non tutto quello che non piace ai democratici sinceri e progressisti è populismo, brutto, cattivo e irrecuperabile. Secondo, la piattaforma programmatica di AfD comprende almeno tre tematiche: i) la difesa dei tedeschi, quelli che parlano il tedesco, hanno precisato alcuni dirigenti del partito, contro l’immigrazione eccessiva e incontrollata accettata/incoraggiata dalla cancelliera Merkel; ii) una posizione più dura in Europa contro gli Stati-membri che sgarrano, ma anche minore disponibilità ad andare a soluzioni quasi federaliste; iii) qualche, talvolta eccessiva, pulsione che non accetta tutta la responsabilità del passato nazista e che, talvolta, ne tenta un (odioso, l’aggettivo è tutto mio) recupero.
Facendo leva solo sulle “pulsioni”, nel passato, partiti di stampo neo-nazista erano riusciti ad arrivare nei pressi della soglia del 5 per cento, rimanendo esclusi dal Bundestag. Insomma, almeno l’8 per cento degli elettori dell’Afd, che ha ottenuto quasi il 13 per cento dei voti, è contro l’Unione Europea com’è e i migranti. Questa posizione è condivisa dai quattro di Visegrad, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Poiché due terzi dei voti di AfD provengono dai Länder della Germania orientale è lecito dedurne che non è stato fatto abbastanza per superare democraticamente culture nazionaliste e xenofobe che i regimi comunisti avevano superficialmente mascherato. Non si cancelleranno quegli infausti retaggi colpevolizzando gli elettori di AfD quanto, piuttosto, premendo sulle contraddizioni interne al movimento/partito. Con ogni probabilità, Angela Merkel farà una coalizione con i Verdi, affidabilmente europeisti, e con i Liberali, blandamente europeisti, direi europeisti à la carte, inclini a sfruttare tutti i vantaggi di cui la Germania già gode pagando il prezzo più contenuto possibile. Qui, rientra in campo, la Cancelliera con il suo potere istituzionale, con il suo appena intaccato prestigio politico, con la sua ambizione personale mai sbandierata a entrare nella storia.
Il lascito del suo mentore, Helmut Kohl, cancelliere per 16 lunghissimi e importantissimi anni 1982-1998, è consistito sia nel successo della quasi fulminea riunificazione sia nella sua infaticabile azione europeista della quale il Trattato di Maastricht e l’Euro sono i due più luminosi risultati. Vorrà la Cancelliera uscire a testa alta dal suo lungo periodo di governo avendo operato per spingere l’Unione Europea ancora più avanti in termini economici e sociali, se non anche politici? L’asse franco-tedesco non può in nessun modo essere messo in discussione. Allora, l’interrogativo è se, consumata la Brexit, Italia e Spagna sapranno cogliere l’opportunità di inserirsi costruttivamente nei rapporti fra la Germania della Merkel e la Francia di Macron. La consapevolezza che nessuno dei grandi problemi, economici e sociali, può essere risolto dagli Stati nazionali e dai “sovranisti” più o meno populisti potrà costituire l’elemento comune per inaugurare le politiche europee necessarie. È un compito per il quale la Merkel, politicamente indebolita, ma oramai liberata dall’esigenza di prossime campagna elettorali, è in grado di attrezzarsi e di svolgere.
Pubblicato AGL il 26 settembre 2017