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I giudici e la miopia dei politici

In nessuna democrazia in nessun momento della loro storia, i parlamentari e i governanti si sono mai fatti scrivere la legge elettorale dai giudici, neppure da quelli costituzionali. In nessuna sono mai giunti a stabilire che, come hanno inserito nell’Italicum, la legge elettorale da loro formulata e approvata, addirittura con ricorso da parte del governo Renzi al voto di fiducia, dovesse essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale prima di essere utilizzata. In nessuna democrazia la legge elettorale è rimasta oggetto del contendere per vent’anni e più (con il “più” che rischia di continuare). Questa è la situazione italiana in attesa della sentenza sull’Italicum che i giudici costituzionali hanno, credo lo si debba sottolineare, rinviato un po’ troppo nel tempo così come avevano lasciato vivere una legge, il Porcellum, considerata incostituzionale quasi nella sua interezza, addirittura per tre elezioni nazionali.

Non contenti della loro inadeguatezza di riformatori elettorali (a quella dei riformatori costituzionali hanno già ovviato gli elettori del NO nel referendum), parlamentari e governanti hanno trascorso quasi cinquanta giorni in attesa della sentenza della Corte fornendo materiale ai cosiddetti retroscenisti affinché almeno i cittadini che leggono i giornali fossero informati delle loro preferenze particolaristiche. Ripetutamente è stato scritto che Renzi non vuole rinunciare al premio di maggioranza, ma neppure al ballottaggio. La posizione di gran parte del Partito Democratico sembra essere favorevole a un ritorno al Mattarellum che, fra l’altro, avrebbe il pregio di accertata costituzionalità. Salvini con la sua Lega e i Fratelli d’Italia accettano il Mattarellum che li renderebbe entrambi preziosi alleati di chi volesse costruire una coalizione di centro-destra. Da soli, non andrebbero da nessuna parte. Pur avendo vinto due elezioni su tre con il Mattarellum, ma erano altri tempi, Berlusconi, già considerato, con qualche esagerazione, l’artefice del bipolarismo italiano, dichiara alta e forte la sua preferenza per una legge elettorale proporzionale. Commentatori e retroscenisti si affrettano a scrivere che quella preferenza è motivata dal desiderio di risultare indispensabile alla formazione di un governo che escluda il Movimento Cinque Stelle. Anche Alfano è favorevole alla legge proporzionale purché non le s’introduca una troppo alta soglia percentuale per l’accesso al Parlamento. Il Movimento 5 Stelle, al quale i sondaggi attribuiscono la prevalenza in caso di ballottaggio su scala nazionale, sia per non cercare alleati sia, forse, per timore di andare al governo, s’inventa un legalicum, legge proporzionale, che gli darebbe notevole peso in Parlamento consentendogli di rimanere duro e puro, quasi di governare, come, sbagliando, dissero molto tempo fa i comunisti, dall’opposizione.

Nell’imbarazzato silenzio delle due maggiori responsabili dell’Italicum: la sottosegretaria Maria Elena Boschi, già Ministro delle Riforme Istituzionali, e chi l’ha sostituita in quella carica, vale a dire Anna Finocchiaro, già Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, sempre schierata a sostegno di tutte le scelte di Renzi in materia elettorale e costituzionale, nessuna voce si leva a difesa del potere degli elettori e della rappresentanza politica dei cittadini italiani. Periodicamente, quasi tutti i parlamentari diventano garantisti, rigorosamente a difesa dei loro colleghi, preferibilmente dello stesso partito, e deplorano la magistratura che supplisce e soppianta la politica. Adesso, sappiamo il perché della supplenza e della invadenza dei giudici. Su quello che è il meccanismo più importante di un regime democratico che serve a tradurre i voti in seggi, parlamentari e governanti non riescono a ragionare oltre i loro obiettivi miopi, particolaristici, legati alle contingenze e alle carriere. Qualcuno potrebbe anche paventare che, dovendo applicare la sentenza della Corte Costituzionale, i parlamentari non soltanto ci metteranno un sacco di tempo a scrivere una legge elettorale decente, ma soprattutto faranno molti pasticci. È un timore fondato.

Pubblicato AGL il 23 gennaio 2017

Tre sistemi elettorali a confronto: Mattarellum, Porcellum e Italicum

paradoxaforum

Restaurare non è mai una scelta apprezzabile soprattutto perché, quando sono coinvolti uomini e donne, e non statue e quadri, è impossibile riavvolgere il tempo. Cambiano gli uomini, cambiano le donne, entrambi imparano, il tempo passa e crea nuove situazioni. Dunque, non si “restaurerà” il Mattarellum che abbiamo conosciuto e che, utilizzato in tre elezioni, produsse esiti di volta in volta migliori. Riflettendo su vent’anni di elezioni e tre sistemi elettorali, è possibile fare meglio.

Qui cercherò in maniera sintetica di esaminare gli effetti del Mattarellum e del Porcellum paragonandoli a quelli proposti e promessi dall’Italicum che mai fu. Un sistema elettorale, tutti i sistemi elettorali debbono essere valutati, anzitutto, con riferimento al potere che danno agli elettori, in secondo luogo, con riferimento al Parlamento che eleggono, in terzo luogo, con riferimento alla formazione del governo. Il potere degli elettori varia a seconda che possano votare solo per un partito oppure anche per il candidato che li rappresenterà oppure anche per la coalizione preferita. Nelle democrazie parlamentari, gli elettori non votano mai per il governo. Il loro voto dà vita ad un parlamento nel quale si formerà il governo che da quel parlamento potrà essere “rimpastato” oppure sostituito nella sua interezza.

Tenendo a mente questi cinque elementi (scelta dei candidati, voto ai singoli partiti, elezione dei parlamentari, indicazione delle coalizioni, formazione del governo), è possibile costruire un indice che misuri il potere elettorale complessivo dei cittadini. A ciascun elemento sarà assegnato un punteggio che va da 0 (nullo) a 3 (massimo), con punteggi intermedi che indicano un potere ridotto (1) o medio (2). L’indice di “potere degli elettori” andrà, dunque, da 0 (nessun potere agli elettori) a 15 (massimo potere elettorale).

Partiamo dal Mattarellum. Questo sistema consentiva di votare per i candidati nei collegi uninominali e, alla Camera, anche per liste di partito. Dal momento che gli imperativi elettorali spingevano alla formazione di coalizioni pre-elettorali a sostegno dei candidati nei collegi uninominali, gli elettori avevano anche la possibilità di scegliere fra coalizioni che si candidavano al governo. La tabella che segue sintetizza questi elementi.

tabella-1

Nel caso dei candidati il punteggio non può essere il più elevato poiché grande fu il numero dei candidati paracadutati, quindi, 2. Per quel che riguarda le coalizioni sempre si trasformarono in governi. Quindi, 3. Le coalizioni “mascheravano”, almeno in parte, i partiti, quindi, punteggio 2 per il voto di partito. Nel caso del Parlamento, tenendo conto dell’alto numero dei trasformisti, il punteggio deve essere non più di 1. Soltanto inizialmente i governi furono espressione delle coalizioni. In nessuna delle tre elezioni 1994, 1996, 2001, il governo che aveva iniziato la legislatura riuscì a concluderla. La composizione dei governi cambiò, rispettivamente: molto nel 1996, abbastanza nel 2001, poco nel 2006 (punteggio 2).

Molto diversi sono stati gli effetti del Porcellum, un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione che ottiene il più alto numero di voti e liste bloccate.

Con il Porcellum, gli elettori erano confinati a tracciare una crocetta sul simbolo della coalizione e nulla più in questo modo acconsentendo all’elezione dei candidati nell’ordine deciso dai capipartito (punteggio 0). I simboli dei partiti coalizzati erano visibili (punteggio 1), ma nell’opzione di voto la coalizione ha sicuramente avuto il sopravvento (punteggio 2). Anche i parlamenti eletti con il Porcellum (2006, 2008, 2013) sono stati caratterizzati dalla comparsa di un alto numero di trasformisti (punteggio 1). I governi ai tempi del Porcellum sono stati molti. Pochi derivanti dall’esito elettorale: Prodi 2006-2008 e Berlusconi 2008-2011. Altri nacquero in corso d’opera: Monti 2011-2012; Renzi 2014-2016; Gentiloni 2016-2017. Il governo Letta 2013-2014 è un mix, soltanto in parte conseguenza dell’esito elettorale (punteggio 1).

Per quel che riguarda l’Italicum, la legge che, secondo Matteo Renzi (e i suoi corifei), “tutta l’Europa ci avrebbe invidiato e metà Europa avrebbe imitato”, stiamo parlando, tecnicamente, di un aborto: una legge nata morta. Tuttavia, mentre attendiamo la probabilmente inutile e sicuramente tardiva sentenza della Corte Costituzionale, possiamo valutare quelli che sarebbero stati i suoi potenziali effetti.

All’incirca il 60 per cento dei parlamentari diventerebbe tale per designazione dei capipartito/capicorrente (punteggio 1). I rimanenti avrebbero dovuto conquistarsi i voti di preferenza (disprezzatisssimi da molti corifei). Gli elettori sono costretti a votare i partiti (punteggio 2). Il parlamento potrebbe comunque esibire un alto numero di trasformisti (punteggio 2). Nessuna coalizione avrebbe interesse a formarsi (punteggio 0). Al ballottaggio gli elettori attribuirebbero un premio in seggi che consentirebbe/obbligherebbe il partito vittorioso a governare (punteggio 3). In buona misura questo sistema avrebbe, da un lato, fortemente distorto la rappresentanza politica e enormemente ridimensionato il ruolo del Parlamento, dall’altro, avrebbe prodotto la fuoruscita dal modello di governo parlamentare delineato nella Costituzione italiana.

Il punteggio complessivo comparato, per i tre sistemi elettorali, è indicato nella figura 1.

Figura 1

Figura 1

Alla luce di questa graduatoria comparata, c’è molto da lavorare per soprattutto per quei riformatori elettorali che mirino, ancora una volta, presuntuosamente, a inventare qualcosa che tutta l’Europa ci invidierebbe, invece di imitare il meglio che in Europa funziona da almeno cinquanta e più anni.

Pubblicato i 19 gennaio 2017 su ParadoXaforum

Legge elettorale, basta con i déjà vu

Il fatto

Una buona legge elettorale deve soddisfare due requisiti essenziali: dare poter agli elettori, dare rappresentanza ai cittadini. L’Italicum che, con le candidature multiple, i capilista bloccati, l’eccessivo premio di maggioranza, il divieto di coalizioni pre-elettorali e di apparentamenti per il ballottaggio, è un Porcellinum, ovvero un Porcellum al ribasso, non soddisfa né l’uno né l’altro dei due requisiti. Non so che cosa deciderà la Corte Costituzionale, ma spero vivamente che i due Professori Giudici, Giuliano Amato e Augusto Barbera, che mi affidarono il capitolo sui “Sistemi elettorali” per il loro long e bestseller Manuale di Diritto Pubblico, gli diano un’utile occhiatina.

Le leggi elettorali non si debbono fare né per agevolare la vittoria di un partito/schieramento né per impedire la vittoria degli oppositori. Invece, sia il Porcellum di Calderoli sia l’Italicum di Renzi-Boschi-D’Alimonte hanno cercato di conseguire entrambi i deplorevoli obiettivi. Sarebbe troppo facile sostenere, come ipocritamente faranno molti, che bisogna procedere dietro un velo d’ignoranza. Il velo è stato strappato cosicché si vede facilmente la molta ignoranza esistente fra la maggior parte dei sedicenti riformatori elettorali. Qualcuno, però, ha imparato che nessuna legge elettorale formulata per favorire un partito automaticamente consegue il suo esito e che le cambiate circostanze producono proprio gli esiti non desiderati. Più precisamente, il premio in seggi da conquistare al ballottaggio è stato riproposto dai renzian-boschiani poiché sembrava garantire, a giudicare dall’esito delle elezioni europei, una facile vittoria per di più con l’individuazione del vincente (obiettivo davvero ambitissimo che cambia la vita degli elettori) la sera stessa delle elezioni (in verità, a causa del ballottaggio, una o due settimane dopo). Adesso che la distribuzione dei voti e gli esiti di 19 ballottaggi su 20 nelle elezioni municipali di giugno suggeriscono che vincerebbe il Movimento Cinque Stelle, il ballottaggio è visto come un incubo dagli ex-riformatori e da Giorgio Napolitano, ma, molto comprensibilmente, come un’opportunità da mantenere da parte delle Cinque Stelle.

Per uscire da questa logica dei premi ad partitum, bisogna buttare a mare l’Italicum e cominciare, non ricominciare poiché dovremmo avere imparato molto e saperne abbastanza, un nuovo discorso. Senza pensare che noi italiani siamo in grado di inventarci una legge elettorale ottima (aggettivo appioppato all’Italicum proprio dall’ex-Presidente del Consiglio Renzi), che tutta Europa c’invidia e che mezza Europa imiterà (sempre parole sue), dovremmo interrogarci su che tipo di sistema politico e di governo siano adatti a una democrazia parlamentare. Potremmo anche riflettere, magari con l’aiuto eccezionalmente energico (sic) del Presidente Mattarella, sul fatto che il Mattarellum ha avuto, insieme con alcuni inconvenienti, anche molti meriti, per esempio, avere agevolato l’alternanza fra coalizioni. I collegi uninominali, soprattutto se accompagnati dal requisito della residenza per evitare i paracadutati, offrono potere agli elettori e opportunità di reale rappresentanza politica. Il recupero proporzionale, meglio se come quello del Senato, consente anche a partiti non grandi di accedere al Parlamento. Infine, un Mattarellum rivisto e aggiornato è facile da formulare e non difficile da applicare poiché il disegno dei collegi uninominali deve essere appena ritoccato.

Naturalmente, chi guarda oltre il velo della sua ignoranza e della sua partigianeria non può non vedere che sia il sistema tedesco definito “rappresentanza proporzionale personalizzata” con soglia del 5 per cento per l’accesso al Parlamento e con metà deputati eletti in collegi uninominali, ha dato ottima prova di sé. Prevengo l’obiezione: non è vero che produce Grandi Coalizioni che sono l’esito di scelte dei partiti. Anche il sistema maggioritaria a doppio turno (non ballottaggio fra due soli candidati) in collegi uninominali utilizzato in Francia risponde ai due requisiti che ho sopra considerato essenziali. Ha funzionato più che soddisfacentemente anche poiché accompagnato dall’elezione popolare del Presidente della Repubblica. E’ più competitivo della proporzionale tedesca e, quindi, più rischioso per candidati e partiti, ma in cambio offre enormi opportunità agli elettori di fare contare spesso in maniera decisiva il loro voto anche per la formazione e il successo di coalizione che si candidino al governo del paese.

Quello che, fin dai primi passi sulla strada di un’altra legge elettorale, considererei intollerabile è la pretesa di mascherare l’irrefrenabile voglia di trovare la legge che favorisca i suoi formulatori, come la nobile ricerca di un meccanismo che dia potere agli elettori quando, invece, è fatta per salvare quel che resta dei partiti regalando loro in maniera incontrollabile un tot di seggi distribuiti ai più ossequienti dei candidati. Non c’inganni il déjà vu che non funziona proprio più.

Pubblicato l’8 dicembre 2016

Ma i collegi sono una bella riscoperta

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Intervista raccolta da Monica Rubino

ROMAI collegi uninominali? Quelli sì che sono una buona modifica“. Per Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza della politica all’Università di Bologna, è questo il merito principale della proposta di riforma della legge elettorale avanzata dal Pd.

I collegi uninominali al posto delle liste bloccate quindi le piacciono.

Sono una bella riscoperta, senza dubbio. È lì che si crea un rapporto vero tra candidati e elettori, ma si può fare di più.

E come?

Inserendo una piccola clausola, ossia il “requisito di residenza”, che potrebbe recitare così: “Per essere candidati in un collegio uninominale bisogna avere abitato in quella zona per almeno tre anni”. Così evitiamo i paracadutati dall’alto.

Trova giusto eliminare il ballottaggio?

No, è una pessima idea. Senza il ballottaggio l’Italicum è castrato. Anche se secondo me dovrebbe essere non fra due partiti ma fra due coalizioni, che rappresentano meglio l’elettorato e smussano gli angoli estremi delle proposte programmatiche fatte dalle forze che le compongono.

E che ne pensa dell’ipotesi di assegnare il premio di governabilità alla coalizione invece che alla lista?

Questo invece va bene. Però bisognerebbe consentire la formazione di coalizioni pre-elettorali ben definite e stabilire soglie certe.

Ha detto sì già a due punti su tre. Come giudica infine la proposta di elezione diretta dei neosenatori?

Sa qual è la questione? Che se anche vincesse il No al referendum, comunque una legge elettorale per il Senato andrà fatta. La soluzione sarebbe presentare le candidature dei senatori nelle Regioni. In questo modo avremmo veri eletti su scala regionale.

Pubblicato il 7 novembre 2016

Referendum, il politologo Pasquino: “Renzi ha rifiutato dibattito con me a RadioRai e mio invito è stato cancellato”

Il fatto

Intervista raccolta da David Marceddu per ilfattoquotidiano.it

Il professore era stato chiamato per un confronto sul tema della riforma a Radioanch’io, ma poche ore prima è stato informato che il presidente del Consiglio non voleva il confronto: “Da premier può decidere se e con chi dibattere. Ma nel momento in cui ritiene di essere il dominus di queste riforme, allora dovrebbe dibattere”

“Giovedì 6 ottobre alle 17 la Rai m’invita a RadioAnch’io con Matteo Renzi. Alle 19.40 la Rai stessa mi comunica che il presidente del Consiglio non vuole fare il dibattito”. A raccontare i fatti è lo stesso Gianfranco Pasquino, politologo di fama mondiale e senatore per tre legislature tra le fila della sinistra indipendente. Non solo quindi la fatwa contro La7 (con l’ordine ai renziani di boicottare i programmi della rete). Questa mattina come da (nuovo) programma il premier ha parlato da solo in trasmissione, criticando tra l’altro “il clima da caccia all’uomo mediatica contro chi la pensa diversamente dal No”. Peccato che proprio premier, secondo quanto riferito dal professore, non ha voluto il contraddittorio. Pasquino a ilfattoquotidiano.it ha detto: “Se avessi potuto parlare gli avrei fatto notare alcune contraddizioni della sua Riforma”. Schierato per il No al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre, da mesi il professore fa dibattiti in tutta Italia (“Un’ottantina per ora lungo tutto il Paese, da Sciacca ad Alessandria”) per combattere una riforma che, a parere suo, non porterà alcun miglioramento nella vita dei cittadini.

Che cosa avrebbe chiesto al presidente del consiglio se avesse potuto partecipare al dibattito radiofonico?
Gli avrei fatto notare alcune contraddizioni della sua Riforma. Per esempio gli avrei chiesto che cosa ci fanno in un Senato delle Regioni 5 senatori nominati per sette anni dal presidente della Repubblica? Gli avrei fatto notare che il parlamento italiano finora ha fatto più leggi e in tempi più brevi del bicameralismo tedesco o francese o inglese.

È stato chiamato qualcuno a sostituirla alla trasmissione?
No, c’è stata mezzora di scambio con il conduttore, che peraltro ha fatto delle ottime domande. La mia critica non è al conduttore, ma a chi ha accettato l’imposizione del presidente del Consiglio.

Crede che Renzi abbia evitato di averla in trasmissione perché è in difficoltà?
Premetto che Renzi da premier può decidere se e con chi dibattere. Obama non va mica ai dibattiti alla Cnn. Ma nel momento in cui il nostro presidente ritiene di essere il dominus di queste riforme, allora dovrebbe dibattere. Detto questo, non so quanto sia in difficoltà. Durante i dibattiti qualche volta sembra che non capisca le obiezioni e quindi va avanti dicendo le solite cose facilmente contestabili: “Ce lo chiede l’Europa”, “È da 30 anni che aspettiamo”, “Bisogna velocizzare”. Ma raramente queste cose gli vengono contestate. Lui va avanti, interrompe, prosegue oltre i tempi: ha adottato una tattica che conosciamo perfettamente. Nei dibattiti c’è sempre un prevaricatore. Lui è un prevaricatore, che però ha la carica di presidente del consiglio”.

Non capisce le obiezioni?
Credo che qualche volta vada avanti perché non voglia rispondere, qualche volta invece non sa. Sul merito è debole. Per esempio alla domanda del referendum: Volete voi il superamento del bicameralismo paritario, la risposta può essere sì. Ma la domanda vera è se questo superamento, contenuto nella riforma Renzi, sia il migliore possibile? E la risposta è no”

Quando parla di “prevaricatore” si riferisce al dibattito televisivo con Gustavo Zagrebelsky?
Quel dibattito ha dimostrato che Renzi controlla meglio le sue espressioni in tv perché più irruento. Zagrebelsky cercava di ragionare più a fondo e forse avrebbe potuto farsi insegnare qualche cosa su come si sta in tv. La sostanza può essere travolta dall’irruenza.

Gli italiani come risponderanno a questa irruenza? Come andrà il referendum?
Dovunque io vada c’è grande interesse a cercare di capire. La riforma ha indubitabilmente degli elementi di complessità e già questo contraddice il fatto che questa riforma sia quella della semplificazione. Questa riforma non semplifica ma complessifica. Molti italiani decideranno nell’ultima settimana prima del voto e forse anche la mattina stessa. E le informazioni le riceveranno dai loro genitori, dai loro amici e dai loro figli, o dai loro colleghi di lavoro. L’umore collettivo si costruisce attraverso rapporti tra persone.

Che disegno ci vede dietro questa riforma costituzionale?
Non credo che ci sia un disegno: queste sono riforme occasionali, contingenti. Nella riforma berlusconiana del 2005 il disegno era chiaro: rafforzare il capo del governo e dare contemporaneamente più potere alle regioni. Qui in questa riforma non c’è invece alcun disegno: il Senato non c’entra niente con il Cnel. Il Senato non c’entra nulla con i referendum. Il Senato c’entra molto poco con la trasformazione del titolo V. Sono 4 riforme episodiche che stanno insieme finché ci sarà l’Italicum”.

Le piace questa legge elettorale?
Salverei solo il ballottaggio, per il resto la definirei un ‘porcellinum’. Tra l’altro se Renzi continua a dire che questa legge elettorale è ottima, ma è disposto a cambiarla, qualcuno gli vada a dire che questa è una contraddizione. Perché se secondo lui è ottima la dovrebbe difendere sino all’ultimo”.

Pubblicato il 7 ottobre 2016

Provaci ancora, Matteo

La terza Repubblica

“Dovrebbero anche i ‘legislatori’ (‘cit.’) abituarsi a pensare che norme approvate per convenienza contingente producono talvolta l’effetto esattamente inverso a quello ipotizzato.” Prendo le mosse da questa frase di Massimo Pittarello, quasi un invito, per riflettere su due tematiche. La revisione di alcuni articoli della Costituzione e il dibattito sulla riforma Italicum della legge elettorale Porcellum sono due splendidi esempi di interventi mal fatti con conseguenze controproducenti.

Si gabella la trasformazione del Senato, in realtà l’umiliazione della sua composizione e delle sue funzioni, nonché la drastica riduzione dei suoi poteri, come una modalità indispensabile per dare stabilità al governo e migliorare il suo funzionamento. La parola magica è governabilità, a scapito della parola, meno magica, ma più pregnante e più appropriata ad una democrazia parlamentare: rappresentanza. Trasformare il Senato in Camera delle Regioni non darà migliore e più rappresentanza alle regioni, semmai ai fatiscenti partiti, ma ne darà meno agli elettori che non potranno più votare i Senatori né, eventualmente e democraticamente, bocciarli. Non esiste nessun trade off fra governabilità e rappresentanza. La seconda se ne va; la prima, vale a dire la governabilità, che, certamente, non dipende dalla riduzione della rappresentanza politica, non si sa se verrà. Tuttavia, potrebbe venire dalla legge elettorale.

Però, la legge elettorale Italicum, proclamata ai quattro venti come una grande e originale conquista che tutta l’Europa ci avrebbe invidiato e che metà Europa si sarebbe affrettata a imitare, viene ora variamente ripudiata. Non da Renzi, che, novello Ponzio Pilato dopo averla fatta approvare a colpi di fiducia, si dichiara disponibile ad accettare le variazioni introdotte dal Parlamento. Non sapendo nulla di sistemi elettorali paragona l’Italicum alla legge per i sindaci, dimenticando le differenze sostanziali che intercorrono fra le due leggi. La legge per i sindaci consente la formazione di coalizioni pre-elettorali, l’Italicum, no; la legge per i sindaci non ha candidature bloccate per i consiglieri comunali e, meno che mai, contempla pluricandidature, l’Italicum, sì; la legge per i sindaci consente gli apparentamenti fra il primo turno e il ballottaggio, l’Italicum, no; il ballottaggio è fra due candidati alla carica di sindaco, nell’Italicum è fra due partiti/liste. Se cade il sindaco, il consiglio comunale si scioglie e si torna a votare. Se cadrà il Presidente del Consiglio, salvo forzature deprecabili, non si andrà a nuove elezioni, ma il Presidente della Repubblica cercherò di formare una maggioranza, non una qualunque, ma operativa in Parlamento esattamente come avviene in tutte le democrazie parlamentari (ma come non si può fare nei consigli comunali).

La “contingenza” qui è chiara: il ballottaggio rischia di condurre il Movimento Cinque Stelle alla vittoria e al governo del paese. Dunque, eliminiamolo “per convenienza” di parte/di partito, anche se il ballottaggio è proprio quello strumento che, inesistente nel Porcellum e unico nell’Italicum, conferisce reale potere agli elettori.

A questo punto, tirando le somme sorge spontanea, mi affido ad uno dei più biechi modi di dire italiani, una domanda: se chi ha fatto la legge Italicum corrisponde esattamente a chi ha approvato le riforme costituzionali e sostiene che la legge elettorale deve essere profondamente cambiata, non è possibile dedurre che anche le riforme costituzionali, dopo una sobria riflessione, debbano essere profondamente cambiate? Troppo tardi per cambiarle, non resta che bocciarle, molto pacatamente e molto serenamente. Contrariamente a quel che dice il loquace Renzi, la partita non finisce affatto qui. Tutte le democrazie sono tali anche perché sanno correggere i loro errori.

Pubblicato il 29 settembre 2016

Non dei populisti, ma del popolo (referendario) bisogna avere paura

Larivistailmulino

Una replica alla Nota di Michele Salvati

Referendum cinico e baro. Fabbrini sostiene, e Salvati concorda convintamente, che i «no» ai referendum partono sempre avvantaggiati, addirittura, molto spesso, vincono. Entrambi non menzionano, però, che, fuori d’Italia, questo non è accaduto in due casi-contesti chiave. In Francia, quando nel 1958 l’incauto e avventuroso de Gaulle fece votare il popolo sulla Costituzione della Quinta Repubblica, vinse proprio lo oui. Poi, quando nel 1962, a completamento e perfezionamento della Repubblica semipresidenziale, il generale-presidente sottopose a referendum l’elezione diretta del presidente della Repubblica ne conseguì un altro chiaro e forte oui. La Gran Bretagna rincara la dose della confutazione: Brexit. Infatti, contro la «teoria» di un’inadeguata politologia hanno vinto i sostenitori del yes, we leave. Quanto all’Italia potrebbe essere sufficiente ricordare che nel 1993 gli elettori votarono «sì» addirittura a otto referendum, cinque dei quali su materie elettorali-istituzionali. Insomma, le prove empiriche di quello che sostiene Fabbrini e che supporta Salvati sembrano, «diciamo», debolucce. Per di più, il governo Renzi, che entrambi appoggiano pancia a terra – ma non possono dirlo – li ha anche parecchio delusi. Infatti, il referendum costituzionale, inconsapevole dei loro (allora inespressi) pareri, lo ha fermamente voluto il capo (del governo), spingendolo ai limiti non della personalizzazione, ma del plebiscitarismo.

Se Renzi e Boschi non avessero insistito, probabilmente non avremmo nessun generosissimo – poiché le riforme sono state approvate da una maggioranza parlamentare – referendum altrimenti impossibile poiché il variegato, articolato e disorganizzato fronte del «no» le 500 mila firme proprio non è riuscito a raccoglierle. Tuttavia, il governo che afferma di volere la partecipazione dei cittadini, ha anche invitato gli elettori all’astensione sul referendum relativo alle trivellazioni, facendolo fallire per mancanza di quorum. Avesse collocato la data insieme alle amministrative di giugno, questo governo così impegnato nel ridurre i costi della politica sarebbe riuscito a risparmiare un centinaio di milioni di euro. Purtroppo, persino l’opportunismo istituzionale bisogna prima o poi pagarlo.

Il peggio, però, è che, Renzi e Boschi hanno esagerato nel loro entusiasmo partecipazionista referendario. Infatti, i due giovani riformatori, non contenti del referendum abrogativo così com’è, ne formulano una disciplina aggiuntiva, rendendolo più difficile da chiedere (800 mila firme), ma più facile per il conseguimento del quorum commisurato alla percentuale di votanti alle precedenti elezioni politiche, quindi più esposto al fatidico «no».
Poi, però, esagerano e introducono altre fattispecie referendarie (non meglio precisati referendum «propositivi e d’indirizzo»), ovvero moltiplicano le possibilità attraverso le quali le élite oscurantiste mobiliteranno il popolo (scelgano i lettori a quale animale assimilarlo) contro le élite buone che vogliono soltanto portare in questo malandato Paese (attualmente ottava potenza industriale al mondo) «magnifiche sorti e progressive». A sventare il pericolo letale, ringraziando fin d’ora la prudenza (sic?) della Corte costituzionale che ha rinviato la decisione, sarà poi indispensabile togliere il ballottaggio dall’Italicum.
Hai visto mai che il popolo faccia vedere le stelle alle élite degli algoritmi confindustriali, dei banchieri internazionali, dei governanti ex rottamatori? E dei politologi e dei loro amici.

Pubblicato il 20 settembre 2016

Una legge elettorale, non un trucco

Per mesi, prima e dopo la sua approvazione, i renziani, in Parlamento, nell’accademia, fra i giornalisti, hanno detto, ripetuto, assicurato che l’Italicum è una buona legge elettorale, la migliore possibile “nelle condizioni date”. Poi, le condizioni, vale a dire, qualche sondaggio favorevole alle Cinque Stelle e molte loro vittorie ai ballottaggi nelle amministrative, sono cambiate. Renzi ha dichiarato che, se il Parlamento ne era in grado, lo cambiasse pure l’Italicum. Rimproverato da Napolitano, che vorrebbe soprattutto eliminare il ballottaggio, Renzi ha poi affermato che in tre mesi si può fare un’altra legge elettorale (ma l’Italicum non era la migliore possibile?) cosicché hanno ricominciato a proliferare ipotesi più o meno sensate di nuove leggi elettorali. Tutti sanno, però, che non se ne farà niente prima della sentenza della Corte Costituzionale attesa per il 4 ottobre che potrebbe fissare dei paletti e quindi orientare una legge decente.

L’Italicum era e rimane una legge elettorale pessima per tre motivi. Primo, perché tra candidature multiple e capilista bloccati dà pochissimo potere agli elettori di eleggere i loro rappresentanti in Parlamento. Secondo, perché vietando coalizioni e apparentamenti finisce per attribuire un cospicuo premio in seggi a un partito (allo stato degli atti o il Partito Democratico o il Movimento Cinque Stelle) che al primo turno avrà ottenuto al massimo il 30 per cento dei voti. Terzo, e fondamentale, perché le leggi elettorali non si tagliano e non si cuciono con riferimento alle contingenze, alle situazioni, alle convenienze di uno o più partiti. L’Italicum era cucito sul PD di maggio (2014, quando, alle elezioni per il Parlamento europeo, ottenne sorprendentemente più del 40 dei voti) che durò poco. Nelle nuove contingenze, cambiano le convenienze e per lo stesso PD diventa necessario ritoccare la legge.

Se qualcuno pensa, in realtà, quasi tutti, in maniera più, ma spesso meno competente, ci provano, di rifare una legge per avvantaggiare qualcuno, non sarà facile trovare accordi in Parlamento. Sarebbe, comunque, politicamente (gli accordi possono cambiare) e democraticamente (le buone leggi elettorali danno potere agli elettori non ai dirigenti di partito) sbagliato ritagliare la nuova legge per favorire oppure per svantaggiare qualcuno. Non seguirò nessuno dei sedicenti riformatori molti dei quali hanno già sbagliato nel passato e danno la garanzia di continuare a sbagliare nel futuro. Non prenderò neppure in considerazione la proposta delle minoranze del Pd che vorrebbero scambiare la revisione dell’Italicum con il voto alle riforme costituzionali (che sono brutte e andrebbero bocciate comunque). Sosterrò, invece, una tesi semplice nella speranza che, da qualche parte, in Parlamento, alla Corte Costituzionale, ma anche alla Presidenza della Repubblica, ci siano uomini e donne disposti ad ascoltare e ad agire di conseguenza.

Il principio fondamentale per scrivere una buona legge elettorale è quello empirico/pragmatico. In Europa esistono da tempo due sistemi elettorali che funzionano molto soddisfacentemente: quello tedesco (dal 1949), proporzionale personalizzata con la clausola del 5 per cento per accedere al Bundestag, e quello francese (dal 1958), maggioritario o doppio turno in collegi uninominali. Sono due ottimi sistemi, facilmente “trasportabili” nel contesto italiano, che hanno assicurato rappresentanza, potere degli elettori, governabilità e che, aggiungo e sottolineo, non danno un esito in partenza (s)favorevole a nessuno dei partiti italiani.

Vogliamo, invece, guardare alla storia elettorale italiana? Utilizzato tre volte, 1994, 1996 e 2001, il Mattarellum, maggioritario in collegi uninominali che eleggevano tre quarti dei parlamentari più un quarto di eletti secondo una ripartizione proporzionale, ha consentito agli elettori di esercitare vero potere politico, non ha svantaggiato nessuno (due vittorie di Berlusconi, una del centro-sinistra), ha dato vita all’alternanza al governo. Non precostituisce la vittoria di nessuno. Con pochi ritocchi, fra i quali l’eliminazione delle liste civetta, il Mattarellum, mi auguro, difeso e sostenuto anche dal Presidente della Repubblica, che ne fu il relatore, potrebbe essere facilmente resuscitato. Tutto il resto non è soltanto un chiacchiericcio ozioso e fastidioso. E’ un ennesimo deplorevole tentativo di truccare le carte del gioco elettorale.

Pubblicato AGL il 14 settembre 2016 con il titolo E’ urgente riformare l’Italicum

L’Italicum non va bene ma il ballottaggio sì

Corriere della sera

Se ne sono accorti quasi tutti, anche coloro che si erano intestarditi a scriverlo così: l’Italicum non è la migliore delle leggi elettorali possibili. Forse, non è neppure un legge elettorale passabile. Delle clausole più discutibili e controverse dell’Italicum deciderà la Corte Costituzionale, sembra il 4 ottobre. Presumo che non lascerà passare né le candidature multiple né i capilista bloccati. Sono entrambe componenti deplorevoli ereditate dal Porcellum che riducono grandemente la libertà di scelta dell’elettore. Il vero punctum dolens, però, soprattutto da quando si profila una possibile vittoria del Movimento Cinque Stelle, è costituito dal ballottaggio, vera innovazione rispetto al Porcellum, fra le due liste più votate al primo turno qualora nessuna raggiunga, allo stato della distribuzione dei voti, esito altamente improbabile, il 40 per cento. Ed è proprio il meccanismo del ballottaggio che molti, nel PD e nei suoi dintorni, vorrebbero eliminare.

Dissento fortemente per due ottime ragioni. La prima è che le leggi elettorali non si cambiano e, naturalmente, neppure si scrivono, con riferimento alle contingenze, in base a calcoli particolaristici e opportunistici, inevitabilmente caduchi quali piume al vento. La seconda ragione attiene più specificamente ai pregi del ballottaggio. Qui non interessa sapere quanto grande o quanto moderato sarà il premio in seggi che andrà a chi vince. Conta, invece, che il ballottaggio conferisce grande potere agli elettori. Saranno, infatti, proprio loro a stabilire con il voto a chi vogliono affidare il compito di governarli. Lo faranno dopo una campagna elettorale non soltanto al primo turno, ma soprattutto nell’intervallo fra il primo turno e il ballottaggio, nella quale i candidati e i dirigenti dei partiti, a cominciare dai loro segretari, avranno spiegato i programmi, indicato le priorità, proposto le soluzioni, precisato i costi e, utilmente, a mio parere, rivelato anche i nomi dei probabili ministri.

Se fosse eliminato l’assurdo divieto di fare “apparentamenti”, vale a dire di associarsi ad uno o all’altro dei duellanti, coloro fra i partiti e le liste che vogliono appoggiare l’uno o l’altro dovrebbero anche dire per quali ragioni lo fanno e gli operatori dei mass media dovrebbero insistere a chiederlo, esplorando tutti i particolari del caso. Il ballottaggio che, fra l’altro, gli elettori italiani conoscono e apprezzano per le opportunità che offre loro nell’elezione dei sindaci, avrebbe effetti positivi sull’informazione, sulla necessità di costruzione del programma, sulla trasparenza e anche sulla mitica accountability, la responsabilizzazione, fenomeno chiave delle democrazie meglio funzionanti. Coloro che assumono cariche di governo si sentiranno obbligati a rendere conto agli elettori e all’opinione pubblica di quello che hanno promesso e anche delle persone che hanno scelto per formulare le soluzioni e attuare le priorità.

Soprattutto, gli elettori non saranno semplici spettatori. Dovranno a loro volta accettare la responsabilità di avere scelto una squadra piuttosto che un’altra. Sapranno di dover valutare il fatto, il non fatto e il malfatto per non commettere errori politici gravi la volta successiva quando il mutamento nell’opzione di voto anche di pochi di loro produrrà l’alternanza al governo, altro fenomeno chiave delle e nelle democrazie. In assenza di ballottaggio, tutto questo diventa molto più difficile, sostanzialmente improbabile. Se fosse soppresso il ballottaggio non soltanto l’Italicum risulterebbe “evirato”, ma gli elettori vedrebbero svanire il concretissimo potere di scegliersi il governo e, certamente, crescerebbe la loro insoddisfazione politica.

Pubblicato il 5 settembre 2016

Italicum e “SÌ”: nessun baratto è possibile

Il fatto

Non c’è proprio niente da scambiare fra un Italicum malamente rielaborato dalla minoranza del PD e un “sì” alle revisioni costituzionali malamente fatte approvare dal Parlamento e peggio difese dal PD e dai suoi, neppure adeguatamente informati, costituzionalisti e improvvisati politologi. Non è vero che le due riforme vanno insieme e non è neppure vero che evirando l’Italicum del ballottaggio e riducendo un pochino il premio di maggioranza avremmo una legge elettorale decente. Da un lato, la minoranza del PD combatte una battaglia sbagliata; dall’altro, la maggioranza si impunta e, per bocca del ministro Boschi, cerca di riscattare un Parlamento che ha compresso nel corso della discussione sulle riforme e stravolto con la pasticciata e confusa riforma del Senato. Boschi dimenticando oppure proprio non sa che nella Costituzione italiana i referendum sono lo strumento a disposizione dei cittadini per controllare le leggi approvate dal Parlamento e, con maggioranze apposite, farle decadere . Se, davvero, vogliamo trovare un nesso fra legge elettorale e modifiche costituzionali, allora bisogna fuoruscire dal mantra di una governabilità assurdamente identificata con la stabilità del governo la cui maggioranza parlamentare sarà gonfiata dai molti seggi garantitigli dal premio dell’Italicum.

Il problema delle democrazie contemporanee si chiama crisi di rappresentanza politica. Molto dipende dai partiti, la cui capacità rappresentativa sarebbe sicuramente accresciuta se i suoi parlamentari fossero eletti in collegi uninominali dove debbono conquistarsi i voti interloquendo con gli elettori e rispondendo del loro operato (come ho già scritto infine volte “del fatto, del malfatto e del non fatto”). La rappresentanza dei collegi non si ha, come sostiene la Ministro Boschi, con i capilista bloccati. In politica, la rappresentanza è esclusivamente quella elettiva. Naturalmente, il Senato nominato dai Consigli regionali, ma Napolitano sostiene che si tratta di elezione indiretta (alla quale, comunque, sfuggirebbero i cinque Senatori, questi sì residui di un passato che il governo sostiene di volere cancellare, nominati dal Presidente della Repubblica), non darà nessuna rappresentanza agli elettori. Nel migliore dei casi, quei Senatori cercheranno, se desiderano essere rieletti, di seguire le preferenze, che certamente saranno comunicate loro di volta in volta puntigliosamente dai loro “grandi” (è solo un modo di dire) elettori. Non eletti dai cittadini delle diverse regioni saranno costitutivamente impossibilitati a dare qualsivoglia rappresentanza al territorio. Per di più, mai quei Senatori di nuovo conio si degneranno di rispondere, a elettori che non hanno nessun potere su di loro, dei propri comportamenti politici e istituzionali che consentono loro di eleggere due giudici costituzionali e di avere enorme voce in capitolo su tutta la politica europea dell’Italia.

Mentre la Ministro Boschi si affanna a chiedere il sì per non sconfessare il lavoro del Parlamento, confondendo il Parlamento con la sua maggioranza spesso coartata e, per quel che riguarda la minoranza del PD, molto colpevolmente arrendevole (oppure incapace di articolare alternative convincenti), Renzi sfida il Parlamento, se lo vuole e se ne sarà capace, a cambiare la legge elettorale quasi non fosse la sua legge, quella sulla quale si è ripetutamente impuntato. Come riuscirà mai un Parlamento di nominati, almeno la metà dei quali sa, per esperienza personale e diretta, che la disciplina e l’ossequio, il conformismo e la subordinazione sono le carte da giocare per essere ri-nominati oppure quantomeno ri-candidati, è un mistero inglorioso. Non è detto che il prossimo Parlamento sia strumento della “governabilità” chiesta dalla Confindustria, da alcuni grandi (come sopra) banchieri, ignari di Costituzioni e leggi elettorali, e da “Civiltà Cattolica”, governabilità che, sarà il caso di ricordarlo e di rimarcarlo, dipende soprattutto dalle capacità dei governanti. E’ sicuro, invece, che il Parlamento che verrà non offrirà affatto migliore rappresentanza politica all’elettorato italiana alle cui associazioni, nel frattempo, sarà stata somministrata la non proprio democratica medicina della disintermediazione.
Pubblicato il 12 agosto 2016