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Perchè il primo ostacolo del Presidente Mattarella sarà l’Italicum

FQ

 

Alla fine, Renzi e Berlusconi hanno avuto gran parte di quello che volevano dalla riforma elettorale, ovvero si sono messi d’accordo su quello che era davvero importante per loro. La ministra Boschi, che raramente sa di cosa parla e che, dunque, non per caso è spesso lodata dal noto saggio di Lorenzago, Roberto Calderoli, ha affermato che con questa legge non ci saranno più “inciuci” (a malincuore uso la loro mediocre e riprovevole terminologia). Scampato il pericolo di un maxinciucio presidenziale, ci prepariamo a verificare a futura memoria. Al momento, è possibile dire che, primo, l’Italicum ha solo qualche somiglianza con il testo inizialmente introdotto in Parlamento. Dunque, il Parlamento ha svolto un compito, nella misura del possibile, di effettivo miglioramento. Secondo, l’Italicum continua a essere una brutta legge.

 
La legge elettorale Renzi-Boschi

 
Per adesso accontentiamoci di sapere che, primo, la legge elettorale dei miracoli Renzi-Boschi produrrà un vincitore la sera stessa delle elezioni. Poverini i tedeschi, gli inglesi, i francesi e persino i greci i cui rispettivi, molto diversi, sistemi elettorali producono vincitori soltanto alle calende greche. O no? Tuttavia, se ci sarà, come probabile, un ballottaggio fra le due liste più votate, nessuna delle quali abbia superato il 40 per cento, per conoscere il vincitore, gli italiani dovranno dolorosamente aspettare un paio di settimane. Secondo, la legge elettorale dei miracoli garantirà la governabilità che, evidentemente, Renzi, Boschi, Del Rio e Madia sono consapevoli di non riuscire a garantire in questa legislatura. O no? Soprattutto la legge elettorale dei miracoli, terzo, porrà fine agli inciuci anche se essa stessa è finora il più visibile prodotto dell’inciucio Renzi- Berlusconi, e degli inciucini in Commissione Finocchiaro-Calderoli. Qualcuno, poi, non i loro giuristi di riferimento, spiegherà a Renzi et al. che gli inciuci non riguardano la formazione delle coalizioni di governo (minima vincente, come si dice nel lessico politologico, la coalizione fatta da Tsipras, ma bella e limpida proprio no), ma il fare e approvare insieme brutte politiche pubbliche e istituzionali di cui, per l’appunto, la legge elettorale costituisce un esempio clamoroso. Del Senato parleremo un’altra volta.

 
Perchè l’Italicum non è una buona legge

 
Questo Italicum, che piace anche ad alcuni politologi pragmatici e calabrache, i quali sostengono addirittura che è simile alle loro proposte del gennaio 2014, mentre in realtà è parecchio diversa, ma non importa, è persino migliorato. Continua a non essere una buona legge per almeno quattro motivi e mezzo. Primo, circa il 70 per cento dei parlamentari saranno comunque nominati dai capipartito e capicorrente, quindi obbedienti e ossequienti nei confronti dei loro severi e burberi nominatori, mandando a benedire l’assenza del vincolo di mandato. Inoltre, che il capolista in un collegio sia il rappresentante di quel collegio è tutto da vedere, soprattutto se sarà, e accadrà spesso, un/a paracadutato/a. Chi sa che cosa penseranno i candidati che si faranno un mazzo tanto sul territorio per ottenere le preferenze e che, se eletti, verranno trattati, neanche come figli, ma come nipoti di un dio minore. Secondo, le candidature multiple, fino alla possibilità di essere presenti, sicuramente come capilista, in dieci collegi, rimangono un intollerabile obbrobrio, un unicum dell’Italicum.
Questi, però, sono i due punti sui quali Renzi e Berlusconi, interessati a esercitare un ferreo controllo sui loro parlamentari, si sono trovati d’accordo. Attendiamo anche di conoscere quella che è più di un’opinione del Presidente Mattarella, padre del Mattarellum e devastatore del Porcellum. Terzo, anche se il premio di maggioranza dovrà essere assegnato con il ballottaggio, esiste il rischio che sia vinto da una lista che al primo turno abbia ottenuto poco più del 25 per cento dei voti. I giudici costituzionali, immagino Mattarella compreso, potrebbero obiettare che la loro sentenza aveva detto molto di diverso, chiedendo una soglia decente. Quarto, con la scelta della lista e non della coalizione come aspiranti al premio di maggioranza sia Renzi che Berlusconi hanno mandato un messaggio chiaro ai cespugli di sinistra e di destra: entrate subito con noi, altrimenti vittoriosi o no vi terremo lontani dal governo e dalle cariche che spettano all’opposizione. I grillini dissenzienti l’hanno capita e si sono avvicinati al Nazareno. Li seguiremo fino alla loro eventuale probabile ricandidatura nel generoso Partito della Nazione.
Infine, c’è un ultimo punto discutibile, forse grave, ma non riprovevole, anzi, che potrebbe diventare divertentissimo. Con gli attuali rapporti di forza, il ballottaggio potrebbe anche avere luogo fra il Pd e il Movimento Cinque Stelle consegnandoci per sempre al laboratorio del Dr. Jekyll che ha già avuto modo di vedere la sua creatura all’opera a Parma e a Livorno (città modello per la trasposizione del “sindaco d’Italia). Non ci resta che augurare la vittoria allo schieramento che avrà candidato, s’intende, non come capilista, il maggior numero di gufi saggi (e residenti nei loro collegi). Ce ne sono. Ne conosco almeno uno.

Pubblicato il 3 febbraio 2015

L’Italicum 2 di Renzi & B. è incostituzionale

Il sussidiario

Intervista raccolta da Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net

“L’Italicum è una legge ad partitum, fatta cioè per venire incontro alle esigenze del Pd di Renzi. A essere molto sospetto è però il fatto che Berlusconi si sia prestato a questo gioco”. Ad affermarlo è Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica alla Johns Hopkins University di Bologna. Nel corso dell’ottavo incontro in undici mesi, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi hanno trovato un accordo parziale sulla legge elettorale, confermando il premio di maggioranza per chi vince il ballottaggio o supera una determinata soglia, alzata dal 37 % al 40%.

Non crede che senza una soglia al di sotto della quale non scatta il premio di maggioranza, un partito possa ottenere il 55% dei seggi con, mettiamo, il 25% dei voti?

Se avvenisse così naturalmente il problema sarebbe enorme, e la Consulta interverrebbe affermando che un premio di quel genere senza una soglia minima che deve essere molto al di sopra del 25% è sicuramente incostituzionale. In pratica però sappiamo anche che il Pd conta di arrivare al 40% dei voti, e quindi il premio sarebbe più contenuto.

Quindi il premio di maggioranza va bene così?

No, perché le leggi non si fanno tenendo conto della realtà nel momento in cui si legifera, ma di qualsiasi situazione possibile. Non può quindi esserci un premio di maggioranza così elevato. Questo è un sistema che può funzionare adesso, ma che può rappresentare una gravissima distorsione se per esempio il Pd subisse una scissione di proporzioni non marginali.

L’Italicum è una legge ad personam per il Pd di Renzi?

Direi che è una legge elettorale “ad partitum”. A sorprendere però è che Berlusconi accetti una situazione di questo tipo. Ma soprattutto non va bene il fatto che un partito in un sistema multipartitico decida che deve comunque avere i seggi per governare da solo. In tutta l’Europa, con l’eccezione della sola Spagna, ci sono governi di coalizione che sono automaticamente più rappresentativi dei governi di un solo partito.

Il ballottaggio garantisce comunque una maggiore rappresentatività al secondo turno?

Il ballottaggio non garantisce tanto una rappresentatività, quanto il potere degli elettori. Al secondo turno saranno loro che decidono chi ottiene il premio di maggioranza. Sappiamo però anche che al ballottaggio la percentuale degli elettori, abitualmente, è di molto inferiore rispetto alla percentuale di elettori al primo turno.

Come si possono coniugare rappresentatività e governabilità?

Il primo passo è eliminare il Porcellum come ha fatto la Corte costituzionale e il secondo è buttare via la legge elettorale scritta da Renzi. Una volta che ci saremo liberati di quelle due leggi si potranno ottenere rappresentatività e governabilità. Purché per governabilità si intenda un governo sufficientemente stabile, in qualche modo legittimato dagli elettori, ma capace di prendere decisioni. Se ci guardiamo intorno, sicuramente la Germania ha una legge elettorale che garantisce rappresentatività e governabilità.

Le preferenze danno davvero agli elettori la possibilità di scegliere?

E’ chiaro che gli elettori di Forza Italia non potrebbero scegliere nulla, perché nel migliore dei casi Berlusconi avrebbe 100 seggi (al momento ne conta 90) e quindi tutti i parlamentari di Forza Italia sarebbero nominati dal Cavaliere. Nel caso del Pd invece ci sarebbe uno spazio per il gioco delle preferenze. Supponendo che il Pd avesse il 55% dei seggi, cioè circa 340 deputati, 100 sarebbero nominati da Renzi e gli altri 240 uscirebbero dal gioco delle preferenze.

Che cosa si aspetta Berlusconi in cambio del suo sì alla legge elettorale dettata da Renzi?

Nessuno di noi può pensare che Berlusconi abbia smesso di volere una riforma della giustizia punitiva nei confronti della magistratura, nonché una qualche riduzione di pena. A maggior ragione dopo che ieri sono stati condannati Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora, e che ci ricorda che esiste un problema relativo anche al processo Ruby.

Pubblicata il 14 novembre 2014

Nuovo Senato: rumore e sostanza

Sarebbe sbagliato liquidare la riforma del Senato affermando con William Shakespeare “molto rumor per nulla”. Il rumore c’è stato, forte, non soltanto per colpa dell’ostruzionismo degli oppositori, ma anche della cattiva conduzione del Presidente del Senato fin troppo pressato dal governo e dal Partito Democratico. Senza essere epocale, la riforma del Senato ha sostanza. Evitando un lessico sbagliato – il bicameralismo italiano non è affatto perfetto, ma paritario-, il Ministro Boschi ha ottenuto la necessaria differenziazione fra le due Camere. Lo ha fatto in maniera farraginosa con un esito in parte criticabile, ma migliorabile nelle prossime letture, andando nella direzione di una Camera che rappresenti le autonomie territoriali. Nessuna seconda Camera nelle democrazie parlamentari europee dà (né toglie) la fiducia al governo. Nessuna seconda Camera è elettiva. La più forte e meglio funzionante delle seconde camere è certamente il Bundesrat che meritava di essere imitato: 69 rappresentanti nominati tutti dalle maggioranze che hanno vinto in ciascun Land. La composizione del Senato italiano delle autonomie sarà, invece, alquanto eterogenea e confusa: 74 rappresentanti dei Consigli regionali, alquanto squalificati dai troppi scandali, 21 sindaci, scelti da quegli stessi consigli, 5 senatori nominati per sette anni dal Presidente della Repubblica, più, almeno transitoriamente (auguri di lunga vita), gli attuali senatori a vita e gli ex-Presidenti della Repubblica.

Persa la fiducia, il Senato delle autonomie avrà competenze nelle materie regionali (da definirsi con più precisione una volta riformato il Titolo V della Costituzione), sui diritti, sulle modifiche costituzionali, sulla legge di bilancio che potrà rinviare alla Camera dei deputati per il voto definitivo. I nuovi Senatori parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica. Tuttavia, non è ancora stato stabilito da chi sarà composta l’assemblea di quegli elettori. Il grande rischio è che, fra i nominati dai Consigli regionali e, se l’Italicum non introdurrà il voto di preferenza, i deputati nominati dai partiti, per di più con il partito o la coalizione vittoriosa, “premiata” con un centinaio di seggi aggiuntivi, emerga una maggioranza pigliatutto. La proposta di includere anche gli Europarlamentari nell’assemblea che eleggerà il Presidente della Repubblica non è stata accettata, ma sarà riconsiderata alla Camera. A mio parere, cambierebbe poco. Meglio sarebbe stato accettare la proposta di elezione popolare diretta del Presidente (un modo per dare potere a un elettorato al quale se ne sta togliendo parecchio) sia come norma sia dopo tre votazioni parlamentari inconcludenti consentendo il ballottaggio di fronte all’elettorato fra i due candidati più votati. La riforma approvata sancisce finalmente l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, da anni ente tanto inutile quanto costoso, e delle provincie.

Approvata da 183 Senatori sui 321 che hanno diritto di voto (315 più 5 senatori a vita più un ex-Presidente della Repubblica), a questo stadio la riforma, non avendo ottenuto i due terzi dei voti favorevoli, potrebbe essere sottoposta ad un referendum costituzionale facoltativo. Male fanno sia il Ministro Boschi sia il Presidente del Consiglio Renzi ad affermare che, comunque, il governo chiederà (sicuro di vincerlo) il referendum. Chiesti dal governo, i referendum diventano sgradevoli plebisciti. Dovranno, se lo desiderano, chiederlo un quinto dei parlamentari di una Camera (quindi anche gli attuali Senatori) oppure 5 Consigli regionali oppure 500 mila elettori. Il governo ha rinunciato, almeno temporaneamente, ad aumentare il numero di firme per chiedere i referendum e ha consentito l’introduzione del referendum propositivo con il quale i cittadini “scrivono” una legge da sottoporre a tutti gli elettori. Seppur parecchio pasticciata, la modifica della composizione e dei compiti del Senato è una riforma accettabile. Tuttavia, la sua combinazione con una legge elettorale alquanto brutta dovrà essere effettuata tenendo in grande considerazione i freni e i contrappesi da porre a chi vince e aumentando il potere degli elettori.

Pubblicato AGL 9 agosto 2014

Riforme e più potere agli elettori

Il testo della riforma del Senato, considerevolmente cambiato rispetto a quello presentato dal governo, indica che il dibattito e le critiche servono ad apportare miglioramenti. Anche la legge elettorale approvata alla Camera dei deputati dovrebbe essere cambiata in molti punti. Il governo recalcitra richiamandosi al patto del Nazareno fra Renzi e Berlusconi, ma sembra che neppure il leader di Forza Italia sia pienamente soddisfatto della stesura attuale. E’ improbabile che si riesca a ricominciare da capo anche se la riforma elettorale è alquanto brutta, molto bizantina e dà pochissimo potere agli elettori. Il fatto nuovo è rappresentato dall’esistenza di un progetto di riforma, piuttosto tardivo, formulato dal Movimento Cinque Stelle che desidera discuterne con il PD (e con il Ministro delle Riforme). D’impianto totalmente proporzionale, il progetto delle Cinque Stelle non è recepibile. Però, da un lato, suggerisce che il Movimento ha deciso di entrare nella logica della politica che richiede trovare alleati per fare approvare le proprie proposte. Dall’altro, potrebbe essere utilizzato per cambiare alcuni aspetti nient’affatto marginali della riforma elettorale governativa.

La motivazione di tutti gli emendamenti deve essere quella di dare più potere agli elettori. Il primo elemento da riformare è il più semplice. Già variamente richiesta alla Camera e contenuta nel progetto delle Cinque Stelle, l’introduzione di una preferenza per ovviare alla bruttura partitocratica delle liste bloccate, che l’elettore può solo ingoiare, merita di essere accettata, magari ricordandosi che milioni d’italiani aprirono la strada della riforma elettorale approvando la preferenza unica nel referendum del 9 giugno 1991. Il secondo elemento, appena meno importante, è direttamente conseguente: abolizione della possibilità di candidature multiple che garantiscono l’elezione a qualcuno, ma ingannano l’elettore che si troverebbe a votare un candidato che poi sceglie un altro collegio. Il terzo ritocco, molto espressivo, consiste nella formulazione di un’unica soglia di sbarramento per l’accesso al Parlamento (direi, come in Germania, 5 per cento), non, come nel progetto, tre soglie cervellotiche e prive di giustificazioni plausibili. Soltanto i partiti che superano il 5 per cento su scala nazionale, non importa se si coalizzano oppure no, entrano alla Camera dei deputati. Gli altri, se vogliono, ci proveranno la prossima volta.

Infine, il ritocco più importante, davvero qualificante riguarda l’attribuzione del premio di maggioranza. La percentuale alla quale si ottiene il cospicuo premio di maggioranza in seggi, che consente al vincitore di governare, è stata, dopo qualche tentennamento rivelatore, fissata al 37 per cento dei voti espressi. L’impennata europea del Partito Democratico di Renzi che lo ha portato al 40,8 per cento sembra preoccupare gli altri contendenti. Le Cinque Stelle da sole non ci arriveranno mai, ma neppure Forza Italia, senza scontare la grande capacità di Berlusconi di aggregare alleati, può sperare di ritornare ad essere competitiva. Tuttavia, la soluzione non è, come si dice, alzare l’asticella, anche perché le leggi elettorali non debbono né essere formulate né essere cambiate con riferimento a tornaconti immediati e/o prevedibili che fortunatamente l’elettore spesso scompagina. In linea con il precetto democratico di dare più potere agli elettori esiste una bella soluzione facilmente praticabile. Saranno gli elettori stessi ad attribuire il premio di maggioranza in un ballottaggio fra i due partiti oppure le due coalizioni più votate al primo turno. Questa modalità incoraggerà anche gli elettori il cui partito preferito non si trova fra i primi due a tornare alle urne per scegliere, visti i leader rimasti in lizza e valutati i loro programmi, a chi vogliono attribuire quel premio in seggi che consentirà a chi vince di governare con un’ampia maggioranza parlamentare. E sarà meglio per tutti.

Pubblicato Agl 25 giugno 2014

La tormentata storia non è finita

I tre emendamenti sulla parità di genere, bocciati alla Camera, avrebbero semplicemente fatto aumentare il numero delle parlamentari donne nominate. Non avrebbero cambiato le modalità e la qualità rappresentanza politica. Il cuore pulsante della legge elettorale approvata alla Camera, il punto forte dell’accordo fra Renzi e Berlusconi sono le liste bloccate, vale a dire il potere che i due leader extraparlamentari si sono consapevolmente attribuito di nominare tutti i loro parlamentari, uomini e donne, a prescindere dal loro genere. Quindi, anche grazie alla sua ampia maggioranza in Direzione, se vuole, in occasione delle prossime elezioni, Renzi potrà comunque procedere alla selezione di tutti i parlamentari del Partito Democratico, accrescendo a suo piacimento il numero di donne. A protezione delle liste bloccate, la maggioranza alla Camera ha respinto anche l’introduzione del voto di preferenza che “rischierebbe” di portare all’elezione di parlamentari non del tutto graditi né a Renzi né a Berlusconi, comunque, non del tutto subordinati in quanto in grado di conquistarsi voti per le loro capacità personali e per i loro rapporti con l’elettorato che, incidentalmente, se, come sostengono gli oppositori del voto di preferenza, implicassero il ricorso alla corruzione, sarebbero immediatamente sanzionati dalla Legge Severino.
Paradossalmente, i tanto criticati deputati PD che hanno votato contro la parità di genere e contro le preferenze (su nessuna delle tematiche ha davvero senso chiedere e imporre la disciplina di partito poiché entrambe ricadono opportunamente sotto la salvaguardia costituzionale dell’assenza di vincolo di mandato) hanno “salvato” la legge voluta da Renzi e da Berlusconi. Però, di conseguenza, sono rimasti vivi e vitalissimi anche tutti gli elementi discutibili: tre complicate soglie percentuali per accedere al Parlamento; le candidature multiple, addirittura fino ad otto circoscrizioni; un complicato algoritmo per la ripartizione dei seggi; un premio di maggioranza cospicuo che sarà come minimo di novanta seggi; un ballottaggio eventuale che, se nessuno dei partiti/coalizioni supererà il 37 per cento dei voti, da un lato, attribuirà al vincente un premio ancora più grande e, dall’altro, clausola che considero positiva, consentirà agli elettori di deciderlo loro il vincente.
Con tutti questi cervellotici meccanismi, alcuni dei quali, a parere di un certo numero di giuristi autorevoli e, per quel che conta, anche mio, non rispondono affatto alle obiezioni della Corte Costituzionale, la legge che approda al Senato rimane esposta quantomeno alla ripresentazione sia degli emendamenti sulla parità di genere sia di quelli per l’introduzione delle preferenze. Per di più, i senatori non saranno per niente contenti di votare una legge sotto la spada di Damocle della loro estinzione ovvero della trasformazione del Senato in un camera non elettiva, composta quasi esclusivamente da sindaci.
Alla fine, con tutta probabilità, Renzi otterrà la legge che ha formulato e che ha voluto negoziare, anzitutto e soprattutto, senza necessità alcuna, con il capo extraparlamentare della resuscitata Forza Italia. Certo, il segretario del PD non potrà vantarsi della sua velocità. Infatti, quando verrà approvata in via definitiva, la legge elettorale sarà comunque in ritardo di circa due mesi sulla sua tabella di marcia. Sarà anche difficile che Renzi possa esaltare la qualità di questa legge, erroneamente definita l’unica possibile. Poi, dovrà interrogarsi a che cosa è servito ridare un ruolo politico importante a Berlusconi. Infine, sarà anche obbligato a prendere atto che neppure un capo del governo velocissimo può accelerare i procedimenti legislativi, a maggior ragione poi quando si cimenterà con le leggi costituzionali relative al Senato e al Titolo V della Costituzione. Insomma, la storia della riforma della legge elettorale non soltanto non è affatto finita, ma promette di essere ancora tormentata e di non regalare apprezzabili gratificazioni personali, politiche e istituzionali al capo del governo italiano e neppure agli elettori.

Pubblicato AGL (Agenzia giornali locali. Gruppo editoriale L’Espresso) 12 marzo 2014