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Riforme e più potere agli elettori

Il testo della riforma del Senato, considerevolmente cambiato rispetto a quello presentato dal governo, indica che il dibattito e le critiche servono ad apportare miglioramenti. Anche la legge elettorale approvata alla Camera dei deputati dovrebbe essere cambiata in molti punti. Il governo recalcitra richiamandosi al patto del Nazareno fra Renzi e Berlusconi, ma sembra che neppure il leader di Forza Italia sia pienamente soddisfatto della stesura attuale. E’ improbabile che si riesca a ricominciare da capo anche se la riforma elettorale è alquanto brutta, molto bizantina e dà pochissimo potere agli elettori. Il fatto nuovo è rappresentato dall’esistenza di un progetto di riforma, piuttosto tardivo, formulato dal Movimento Cinque Stelle che desidera discuterne con il PD (e con il Ministro delle Riforme). D’impianto totalmente proporzionale, il progetto delle Cinque Stelle non è recepibile. Però, da un lato, suggerisce che il Movimento ha deciso di entrare nella logica della politica che richiede trovare alleati per fare approvare le proprie proposte. Dall’altro, potrebbe essere utilizzato per cambiare alcuni aspetti nient’affatto marginali della riforma elettorale governativa.

La motivazione di tutti gli emendamenti deve essere quella di dare più potere agli elettori. Il primo elemento da riformare è il più semplice. Già variamente richiesta alla Camera e contenuta nel progetto delle Cinque Stelle, l’introduzione di una preferenza per ovviare alla bruttura partitocratica delle liste bloccate, che l’elettore può solo ingoiare, merita di essere accettata, magari ricordandosi che milioni d’italiani aprirono la strada della riforma elettorale approvando la preferenza unica nel referendum del 9 giugno 1991. Il secondo elemento, appena meno importante, è direttamente conseguente: abolizione della possibilità di candidature multiple che garantiscono l’elezione a qualcuno, ma ingannano l’elettore che si troverebbe a votare un candidato che poi sceglie un altro collegio. Il terzo ritocco, molto espressivo, consiste nella formulazione di un’unica soglia di sbarramento per l’accesso al Parlamento (direi, come in Germania, 5 per cento), non, come nel progetto, tre soglie cervellotiche e prive di giustificazioni plausibili. Soltanto i partiti che superano il 5 per cento su scala nazionale, non importa se si coalizzano oppure no, entrano alla Camera dei deputati. Gli altri, se vogliono, ci proveranno la prossima volta.

Infine, il ritocco più importante, davvero qualificante riguarda l’attribuzione del premio di maggioranza. La percentuale alla quale si ottiene il cospicuo premio di maggioranza in seggi, che consente al vincitore di governare, è stata, dopo qualche tentennamento rivelatore, fissata al 37 per cento dei voti espressi. L’impennata europea del Partito Democratico di Renzi che lo ha portato al 40,8 per cento sembra preoccupare gli altri contendenti. Le Cinque Stelle da sole non ci arriveranno mai, ma neppure Forza Italia, senza scontare la grande capacità di Berlusconi di aggregare alleati, può sperare di ritornare ad essere competitiva. Tuttavia, la soluzione non è, come si dice, alzare l’asticella, anche perché le leggi elettorali non debbono né essere formulate né essere cambiate con riferimento a tornaconti immediati e/o prevedibili che fortunatamente l’elettore spesso scompagina. In linea con il precetto democratico di dare più potere agli elettori esiste una bella soluzione facilmente praticabile. Saranno gli elettori stessi ad attribuire il premio di maggioranza in un ballottaggio fra i due partiti oppure le due coalizioni più votate al primo turno. Questa modalità incoraggerà anche gli elettori il cui partito preferito non si trova fra i primi due a tornare alle urne per scegliere, visti i leader rimasti in lizza e valutati i loro programmi, a chi vogliono attribuire quel premio in seggi che consentirà a chi vince di governare con un’ampia maggioranza parlamentare. E sarà meglio per tutti.

Pubblicato Agl 25 giugno 2014


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