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«Ma Schlein su Ue e Ucraina non è chiara. Chi le è contro la sfidi invece di criticarla» #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, commenta il voto in Toscana e analizza quanto accade nel Pd, con Paolo Gentiloni che negli scorsi giorni ha chiesto a Schlein «un chiarimento» con il M5S. «Penso che Schlein volte prende posizioni che non mi piacciono ma per sfidarla servono posizioni chiare e precise che al momento ha solo una piccola minoranza guidata da Pina Picierno – dice – Dopodiché un partito deve avere una linea molto chiara sulle questioni più spinose come appunto l’Europa e l’Ucraina, cosa che in questo momento non avviene».

Professor Pasquino, in Toscana Giani ha stravinto e il Pd è ampiamente primo partito: segno che Schlein può dormire sonni tranquilli alla guida dei dem?

I toscani, come i calabresi e i marchigiani, votano sulle questioni che riguardano la Regione e scelgono il loro candidato presidente in base alla persona. Tutto il resto, cioè i Pro Pal, l’idea che possa in qualche modo contare la politica internazionale sulle questioni interne e regionali, esiste solo nella bolla mediatica. Detto ciò, Schlein è la segretaria eletta attraverso le primarie e gli sfidanti se vogliono devono chiederne le dimissioni e proporre le primarie come controllo sul suo operato.

Eppure nel fine settimane Paolo Gentiloni ha detto che serve un «chiarimento» con il M5S sull’Europa, sull’Ucraina, insomma sulla politica estera: che ne pensa?

Penso che Schlein volte prende posizioni che non mi piacciono ma per sfidarla servono posizioni chiare e precise che al momento ha solo una piccola minoranza guidata da Pina Picierno. Dopodiché un partito deve avere una linea molto chiara sulle questioni più spinose come appunto l’Europa e l’Ucraina, cosa che in questo momento non avviene.

Il guru dem Goffredo Bettini dice invece che serve un chiarimento interno al partito, più che con il M5S: che ne pensa?

Bettini non voglio commentarlo. Mi chiedo perché debbano rivolgersi a un guru esterno. Un partito, come diceva il compagno Gramsci, è un intellettuale collettivo e sicuramente la linea al Pd non può darla Bettini ma neanche Cacciari o Canfora. E neanche Albanese.

Casa riformista può essere il progetto centrista che manca alla coalizione?

Il centro è un luogo geografico, per diventare un luogo politico dovrebbe avere politiche chiare e specifiche che invece vengono messe in secondo piano dagli ego di Renzi e Calenda ma anche di Lupi, dall’altra parte. Quindi i centristi possono avere qualche voto, ma non sono decisivi. Come sarebbero invece i Cinque Stelle che però perdono voti di qua e di là con Conte che ha preso posizioni estremiste che renderanno difficile un governo con il Pd.

In Campania De Luca dice che il Pd sta buttando al vento tutti i suoi voti regalando la Regione al M5S per sostenere Fico: ha ragione?

No, perché quando si fanno le alleanze bisogna cedere qualcosa. E Fico è il meno grillino possibile, ha poco a che vedere con Conte, ha imparato moltissimo facendo il presidente della Camera e sostanzialmente è un progressista. Non è un grillino imprevedibile con punte di antipolitica. Insomma, Fico ha complessivamente la consapevolezza della complessità della politica e non è un terribile semplificatore come il grillino medio.

Renzi insiste sul fatto che il campo largo può vincere solo con un centro forte, che faccia da contraltare al M5S… Ribadisco: al centro ci si va in maniera politica. Bisogna trovare tematiche attraenti anche per elettori grossomodo moderati di centro ma che devono andare bene anche al Pd. Perché attenzione: il lavoro che il Pd deve fare non è spostarsi al centro ma trovare tematiche giuste per allargare il proprio bacino elettorale. E ci sono due tematiche sulla quali mi pare che non ci siamo.

Cioè?

La prima è quella dell’ordine pubblico, sulla quale sinceramente non mi ritrovo con il Pd di oggi. Spaccare vetrine per sostenere la Palestina è una stronzata, tecnicamente parlando. L’altra è che questo paese ha bisogno di crescere in maniera significativa e quel che conta è l’istruzione. In questo Paese non ci sono investimenti in istruzione ma bisognerebbe sapere come sfruttare tutte le nuove potenzialità a cominciare dall’IA. Non serve assumere insegnanti e basta, ma serve assumere insegnanti specifici e formati. Se non ci sono bisogna prepararli in maniera molto urgente e se ci sono bisogna assumerli, pagarli meglio e farli circolare.

Pubblicato il 14 ottobre 2025 su Il Dubbio

Un’altra sinistra è possibile, ma bisogna scompaginare @DomaniGiornale

Nelle Marche il Presidente uscente, Francesco Acquaroli, ha ottenuto 50 mila voti di più dello sfidante, Matteo Ricci, europarlamentare in carica da un anno per dieci anni visibilissimo sindaco di Pesaro. Nelle Marche ha votato il 50 per cento degli iscritti nelle liste elettorali. Più di 600 mila elettori hanno preferito astenersi. Una parte di loro sicuramente non è stata in grado di andare a votare per ragioni personali, professionali, congiunturali. Una parte ha consapevolmente              deciso di non andare a votare. Una parte non è stata né raggiunta né convinta dai candidati e dai loro partiti ad andare a votare. Eppure, la scelta sembrava importante.

   Anche se è giusto interrogarsi sul guaio giudiziario che si era aperto intorno a Ricci, altrettanto giusto chiedersi quanto mettere al collo la bandiera della Palestina possa essere stato controproducente, ancora più interessante sapere quanti elettori abbiano deciso di appoggiare il centro-destra marchigiano per evitare contraccolpi sul governo nazionale, la risposta più soddisfacente suggerita dai numeri è che la coalizione del centro-sinistra non ha saputo mobilitare abbastanza elettori.

Tenacemente e testardamente, coerentemente, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha dichiarato che, comunque, quella del campo largo è la coalizione da perseguire: TINA (There Is No Alternative). Per chi ragiona a bocce ferme è vero: i componenti possibili e necessari sono quelli e non si vedono in giro altri attori portatori di voti. Ma politica è, rimanendo nella mia metafora, sapere giocare con quelle bocce e con i giocatori cercando di creare movimento e entusiasmo. Insomma, facendo sì che una parte almeno degli spettatori decida di dare attivamente il suo contributo, di entrare in campo. Invece, gli elementi poco incoraggianti, se non addirittura scoraggianti sembrano prevalere.

   Da un lato, una parte dei Democratici fa fatica a ingoiare la necessità di un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, ma non riesce a proporre qualcosa di diverso. Dall’altro lato, il capo delle 5 Stelle cerca quasi scientificamente di sfruttare tutte le tematiche che siano controverse all’interno del PD, a cominciare da quelle che riguardano le politiche europee, non soltanto la difesa. Tutti, poi, percepiscono che fin troppo spesso Giuseppe Conte lascia trapelare la sua ambizione di tornare a Palazzo Chigi. Anche se palesemente non sostenuta dai numeri, questa ambizione sicuramente turba non pochi elettori e consente a troppi male intenzionati commentatori di usarla contro Schlein. In qualsiasi contesto democratico, la Germania è da decenni l’esempio migliore, indiscussa è la candidatura a capo del governo del/la leader del partito che ottiene più voti. Altrimenti, si ha ricatto, anche quando non esplicito, che sicuramente inquieterebbe non pochi elettori. Infine, sicuramente fanno problema anche coloro, come spesso Carlo Calenda, che si oppongono a qualsiasi alleanza con i 5 Stelle, ma mancano della capacità di supplire al venir meno di quei voti. Però, è anche vero che è probabile che almeno una parte di elettori pentastellati nel momento della verità voterebbe comunque per una coalizione contro il governo. Peraltro, nelle Marche i numeri indicano che molti elettori già pentastellati hanno scelto di non andare alle urne forse memori del non lontano passato renziano di Matteo Ricci.

È molto probabile che le coalizioni volute da Schlein vinceranno in Toscana, Puglia e Campania, ma il rischio è che di conseguenza gli interrogativi scomodi proprio sulla qualità dei campi larghi vengano fatti sparire. Certo, l’obiettivo grosso è costituito dalle elezioni politiche nazionali del 2027. Bisognerebbe sapere fare, come scrisse e più volte disse quel grande uomo di sinistra che fu Vittorio Foa, la mossa del cavallo. Scompaginare. Uscire da quella che non sempre è una confort zone per andare a battibeccare con gli astensionisti. Meglio cominciare subito.

Pubblicato il 1° ottobre 2025 su Domani

Il Terzo polo? Mai esistito. Azione scommette sul Pd, gli ex Fi torneranno a casa #intervista @ilgiornale

Intervista raccolta da Massimo Malpica

Azione in Liguria vira a sinistra, strizza l’occhio al «campo largo» e nel partito di Calenda l’ala liberale non nasconde il «mal di pancia»: c’è chi giura che qualcuno – Mara Carfagna su tutti sia pronto a cambiare aria. «Dire che vira a sinistra mi pare eccessivo», spiega al Giornale Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna. «Diciamo semmai che Calenda ha scelto di entrare in una coalizione che ha necessariamente bisogno anche dei suoi voti. E che con i suoi voti – e forse anche con quelli di Renzi potrebbe essere competitiva e chissà, anche vincere».

Però anche Enrico Costa, su X, critica l’endorsement a Orlando, che secondo lui «contraddice il lavoro in chiave garantista» di Azione negli ultimi anni.

«Orlando non mi pare un giustizialista, mi sembra che sia una persona fondamentalmente seria ed equilibrata. Non credo che si debba discutere di Orlando, ma se Azione ritiene di dover far parte di quel campo largo adesso lo chiamo come loro anche io oppure no. Capisco le perplessità di Carfagna e di Gelmini, capisco un po’ meno quelle di Costa, perché Costa mi pare molto duro su posizioni che, secondo me, c’entrano poco con Azione».

Resta il fatto che la mossa sembra spaccare il partito, e che gli ex azzurri minacciano di far le valigie: Carfagna avrebbe parlato di distanza «siderale» dal sostegno dato al candidato del Pd.

«A me spiace che la distanza della Carfagna sia siderale: prendo atto che chiunque può andarsene da un partito, ma non necessariamente con i suoi voti, che potrebbero invece rimanere lì ed essere utilizzabili. In una certa misura però capisco che chi è stato di Forza Italia preferisca forse ritornare lì. E tutto sommato questo sarebbe un chiarimento. Perché Azione è in una posizione un po’ intermedia, e anche un po’ ambigua qualche volta».

Quindi la rottura aiuterebbe un riposizionamento più chiaro di Azione. Ma a quel punto che cosa resterebbe del Terzo polo?

«Non è mai esistito, ce lo raccontavano loro e voi giornalisti ci avete creduto. Hanno solo fatto un’operazione politica comprensibile, e che per un po’ è servita visto che sono entrati in Parlamento. Ma lo schieramento partitico italiano era già multipolare. Che loro pensassero di occupare un posto di centro, fare un polo, e poi decidere di volta in volta a quale forno – a quale polo – rivolgersi, era assolutamente irrealistico. E anche sbagliato dal punto di vista del miglioramento del funzionamento del sistema».

L’altro fantasma che aleggia sull’accordo ligure è la pregiudiziale di Azione contro i Cinque Stelle: scomparsa anche questa?

«Domanda difficile. La pregiudiziale anti-Conte la capisco. Dopodiché capisco anche che Conte ha delle pregiudiziali contro chi non lo vuole. È che vedo nel M5s un grande casino, e quindi non so come ne usciranno. Insomma, Calenda fa bene a scommettere sul fatto che sono costretti a cercare un’alleanza con il Pd e anche con lui. In queste condizioni chi ha 3, 4 o 5 per cento dei voti conta moltissimo. Se Calenda riesce a liberarsi di alcune scorie, che non sono Gelmini o Carfagna, e se riesce a definire un po’ meglio il suo concetto, conta parecchio. Quanto agli ex di Forza Italia».

Dica.

«È comprensibile che tornino verso la casa madre, verso Forza Italia, che un po’ rappresenta l’elemento moderato della coalizione, l’elemento affidabile, anche europeista».

Pubblicato il 9 settembre 2024 su Il Giornale

Pasquino: «Pd, che errore avere tenuto ai margini la cultura politica socialista» #intervista @Avantionline

Intervista raccolta da Giada Fazzalari

“Solo restando ancorati all’Europa la sinistra e il Pd possono trovare ispirazione per creare una cultura riformista “vera”, anche radicale, che oggi manca nello scenario politico italiano” – dice Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, uno dei più intelligenti e acuti pensatori e intellettuali italiani del secondo dopoguerra. Per Pasquino, che tratteggia un affresco dell’Italia politica, il Terzo Polo, vicino alla rottura, è “una cosa poco interessante, un accordo di potere tra Renzi e Calenda che è servito a qualcuno di loro per rientrare in parlamento e per far perdere la sinistra e il Pd alle elezioni”, mentre il Governo, fatto di persone “con poca esperienza e spesso poca competenza, pratica misure che gettano fumo negli occhi ma sostanzialmente non ha fatto nulla che rimanga”.
“Il lavoro intellettuale
Cos’è, come si fa, a cosa serve”
(Ed. Utet) è il libro di Gianfranco Pasquino in uscita il prossimo 2 maggio 2023

Calenda – Meloni, un incontro che non si doveva fare

L’incontro chiesto dal sen. Calenda, capo del partito Azione, e gentilmente concesso dalla Presidente del Consiglio Meloni si presta a molte considerazioni di metodo e di merito non tutte positive. Se l’oggetto era sostanzialmente la Legge di Bilancio e le eventuali correzioni, allora la sede non doveva essere Palazzo Chigi, ma il Parlamento. In una democrazia parlamentare qualsiasi confronto e qualsiasi accordo, ma anche i contrasti e le prese di distanza debbono avvenire in Parlamento. La sovranità del popolo, Meloni dovrebbe saperlo, si esprime attraverso i suoi rappresentanti in Parlamento. Inoltre, in Parlamento la discussione è aperta a tutti, visibile e gli accordi/disaccordi sono destinati ad essere trasparenti. In questo modo, il “popolo”, la nazione vengono informati, imparano, saranno in grado di valutare quanto proposto, eventualmente accettato dal governo e dalla sua maggioranza e, presumibilmente spesso, respinto con quali motivazioni. In Parlamento si dipana la conversazione politica che è il sale della democrazia.

   Dunque, Calenda e Meloni hanno scelto il metodo sbagliato che, in qualche modo, è destinato a destare legittimi sospetti sulla disponibilità di Calenda a sostenere alcune scelte di Meloni e sulla disponibilità di Meloni a reciprocare con cosa non so. Cronisti dei lavori parlamentari sapranno raccontarci di scambi più o meno sorprendenti. Andranno quegli scambi a migliorare la Legge di Bilancio? Se i miglioramenti sono conformi sia alle politiche volute dalla Presidente del Consiglio sia agli interessi di Calenda che, in teoria, dovrebbe essere (stare?) all’opposizione, sarà indispensabile valutare i costi di quegli accordi per il Bilancio dello Stato ovvero per le tasche, vado sul politichese, degli italiani.

   Calenda accusa le opposizioni del PD e del Movimento 5 Stelle di preconcetti e di rigidità che le renderanno sterili e non porteranno nulla di buono a coloro, persone e imprese, che le hanno votate. Non si vede il fondamento di questa accusa che potrà essere verificata soltanto sugli emendamenti che verranno introdotti in Parlamento e sulle argomentazioni dalle quali saranno accompagnati e sostenuti. Molto spesso Meloni ha rivendicato la novità dell’esistenza di “una maggioranza chiara, un programma comune e un mandato popolare”. Il suo incontro con Calenda segnala la possibilità che nella maggioranza esistano tensioni oscure che sono particolarmente sentite da Forza Italia, che non tutti gli elementi programmatici sono davvero condivisi, e allora, forse, supplirà Calenda, e che il mandato popolare ottenuto dal centro-destra possa essere ritoccato grazie a qualche apporto centrista. Insomma, da un lato, ai propri fini di visibilità e forse anche di egocentrismo, e, dall’altro, con l’obiettivo di avere una carta in più da giocare nei momenti di possibile difficoltà, rispettivamente Calenda e Meloni finiscono per favorire il ritorno di una politica di confusione nei ruoli e nelle responsabilità. Un ritorno che preferiremmo non vedere.      

Pubblicato GEDI il 1° dicembre 2022

Pace: il racconto di due piazze

Due piazze: Roma e Milano, due concezioni di pace alquanto diverse. Nella piazza di Roma, più frequentata anche perché più accessibile geograficamente, il significato di pace era la cessazione del conflitto senza nessuna considerazione per la responsabilità della Russia di Putin e delle sue conseguenze: equidistanza. Nella piazza di Milano c’era più consapevolezza che, pacifisti o no, il compito prevalente e l’impegno di tutti dovrebbero tradursi nel riconoscimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina e del suo diritto a difendersi dall’aggressione russa. Nella piazza di Roma, Conte, che si è espresso contro l’invio di armi all’Ucraina, è stato variamente applaudito. Il segretario del Partito Democratico Letta, favorevole a sostenere gli ucraini senza riserve, è stato variamente contestato. Nella piazza di Milano era visibile la presenza di Azione di Calenda e Renzi chiaramente schierati a sostegno degli ucraini e di Zelensky. Curiosamente, però, da entrambe le piazze erano state bandite le bandiere di partito come se agli elettori, agli italiani non si debba/possa fare sapere chiaramente che cosa pensano i partiti da loro votati.

Nelle piazze si esprimono prevalentemente, deliberatamente e consapevolmente le proprie emozioni. Infatti, soprattutto a Roma grande è stata l’esibizione di sentimenti da parte degli oratori e dei manifestanti. Dalle piazze non è né possibile né logico attendersi raffinate analisi strategiche e geopolitiche. Tuttavia, dopo molti mesi di guerra sulla quale non sono affatto mancate le informazioni di ogni tipo, ritengo che sia lecito condividere alcuni punti che non possono giustificare in nessun modo la tanto vantata equidistanza. Che la Russia abbia aggredito l’Ucraina non può essere messo in dubbio. Che l’Ucraina abbia diritto a difendersi dovrebbe essere condiviso da tutti. Che i negoziati potrebbero iniziare un minuto dopo la cessazione delle azioni belliche russe pare innegabile. Stupisce che pochi mettano in evidenza che l’Ucraina è una democrazia, per quanto, come molte democrazie, imperfetta, e che la Russia è un regime autoritario e palesemente oppressivo e repressivo.

   Coloro che sostengono l’esistenza di responsabilità dell’espansionismo della Nato e degli stessi ucraini dovrebbero interrogarsi, come fanno i polacchi e gli estoni, come hanno fatto i finlandesi e gli svedesi accedendo alla Nato, sulle conseguenze per l’Europa di un’eventuale vittoria russa. Porre la pace, intesa come cessazione del conflitto, al disopra di qualsiasi altra considerazione significa, l’avrebbe sicuramente detto il grande sociologo tedesco Max Weber, rinunciare all’etica della responsabilità anteponendo le emozioni all’uso della ragione. Passato il momento delle emozioni, preso atto di desideri non del tutto coincidenti e non egualmente accettabili, è augurabile che i dirigenti politici si adoperino con l’Unione Europea per una pace che ristabilisca e soprattutto rispetti i diritti degli ucraini aggrediti. Una pace giusta.

Pubblicato AGL il 7 novembre2022

Il neo Presidente La Russa ha ringraziato apertamente i senatori della minoranza che lo hanno votato.  Vicepresidenze delle Camere e delle Commissioni ci diranno poi chi erano i destinatari di quei ringraziamenti

I ringraziamenti espliciti, quasi plateali rivolti dal neo-eletto Presidente del Senato Ignazio La Russa ai senatori/senatrici che non fanno parte della maggioranza per averlo votato mandano due segnali politicamente molto significativi. Da un lato, comunicano a quei senatori/senatrici che sono benvenuti e che, quando ci sarà l’occasione, saranno adeguatamente ricompensati. Che i loro voti, palesi e segreti, continueranno ad essere più che bene accetti. In estrema sintesi, dietro l’angolo è nata quella che potremmo definire una maggioranza eventuale. Dall’altro, le parole del Presidente La Russa fanno sapere a Berlusconi, che ha imposto la scheda bianca/astensione ai parlamentari di Forza Italia, che i “buchi” da lui/loro lasciati possono essere riempiti rapidamente e in maniera abbondante con appoggi esterni. In un modo da non sottovalutare, i ringraziamenti di La Russa indeboliscono grandemente il potere di ricatto che Berlusconi strenuamente tentava di utilizzare sulla formazione del governo Meloni con la richiesta di un Ministero importante per la sua fedelissima (parola non mia di cui confesso non capire fino in fondo il significato) Licia Ronzulli.

   Per quel che riguarda il centro-destra, il resto, vale a dire altre trame, vantaggi, reazioni, altri ricatti, altre convergenze più o meno inaspettate, lo si vedrà quando (e se) e con quanti voti verrà eletto il Presidente della Camera, che dovrebbe essere un deputato della Lega. Chi siano i senatori/senatrici che più o meno generosamente hanno deciso l’elezione di La Russa precisamente non lo sappiamo. Tuttavia, potremo avere qualche elemento conoscitivo e esplicativo in più, forse persino decisivo, quando verranno eletti gli uffici di Presidenza della Camera e del Senato.

   Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, in quanto rappresentanti i due gruppi più numerosi non hanno nessuna intenzione di cedere le vicepresidenze a Azione. Dunque, se il voto segreto premiasse un candidato/a espressione dell’area Calenda-Renzi diventerà fin troppo facile sostenere che si è prodotto uno scambio. La moralità non è il terreno su cui si fonda la politica né in Italia né, in maniera minore, altrove. Molte altre cariche istituzionali sono disponibili a cominciare dalle prestigiose e potenti Presidenze delle Commissioni. Altri scambi sono possibili e probabili dai quali, però, le opposizioni in ordine sparso risulteranno inevitabilmente e imprevedibilmente indebolite.

Al tempo stesso, però, l’imminente governo del centro-destra avrà al suo interno una componente (Forza Italia) amaramente insoddisfatta, non convinta, a meno di avere ottenuto molto nella formazione del governo, dell’obbligo politico di agire in maniera disciplinata e solidale. Poiché sono note anche le mire di Salvini per un Ministero, gli Interni, per il quale la Presidente del Consiglio in pectore ha già fatto sapere di preferire un’altra, non specificata, personalità, se ne può concludere che sul governo Meloni già si addensano non pochi pesanti nuvoloni.

Pubblicato AGL il 14 ottobre 2022

Patto per una buona campagna elettorale e un buongoverno

Nel molto frammentato panorama partiti(ni)co italiano qualsiasi accordo che conduca a aggregazioni politiche ampie è da salutare con favore. Il patto elettorale e politico stilato da Partito Democratico, da Azione e da +Europa va nel senso giusto. Anche qualora non riuscisse a sconfiggere le destre, tutta avanti nei sondaggi, lo schieramento di sinistra e centro avrà una presenza numerica e politica importante nel ridimensionato Parlamento italiano. Sarà in grado di svolgere un’opera efficace di controllo su quanto farà il governo (a guida Meloni?), di controproporre sulla base delle sue proposte programmatiche, di mantenere utili legami di rappresentanza con l’elettorato, non soltanto il suo. Comprensibilmente criticato, perché temuto, dalle destre, il Patto fortemente voluto da Enrico Letta non è pienamente apprezzato neppure nella sua area di riferimento, quel campo largo nel quale il segretario del PD avrebbe voluto impegnare più giocatori. Ambizioni personali e vecchi e nuovi rancori continuano a essere presenti e dannosi non solo per i dirigenti che li nutrono, ma soprattutto per l’elettorato una parte del quale non è disponibile ad affidarsi a chi non garantisce stabilità politica e convergenza programmatica, ma si esibisce in distinguo e litigi permanenti, spesso l’unico modo per farsi notare.

In quanto ai programmi, alle cose da fare per l’Italia, il Patto ha una caratterizzazione abbastanza precisa. Lo sfondo è dato dall’europeismo e dall’atlantismo, mai così rilevanti per fare fronte all’aggressione russa in Ucraina e alle sue pesanti conseguenze politiche e economiche. Poi, praticamente su tutte le materie più importanti, Letta, Calenda e Bonino hanno opportunamente scelto di fare riferimento a quella che viene chiamata Agenda Draghi, ovvero a quanto il governo di ampia coalizione guidato da Mario Draghi stava facendo e aveva progettato di portare a compimento. Naturalmente, quell’Agenda non deve essere intesa come esaustiva e immodificabile. Lo stesso Presidente del Consiglio avrebbe introdotto modifiche e variazioni derivanti da mutate situazioni. D’altronde, anche a fini nient’affatto criticabili di accrescimento del suo consenso elettorale, il Partito Democratico ha assoluta necessità di potenziare gli interventi sociali che sintetizzerò nell’espressione “riduzione delle diseguaglianze”, anche economiche. Però, molti sanno che la ricetta migliore per ridurre le diseguaglianze è costituita dalla crescita economica, ambito nel quale toccherà a Calenda sprigionare il suo tasso di innovazione finora più declamato che tradotto in indicazioni concrete.

Fuori da accuse, recriminazioni, diffusione di notizie manipolate o semplicemente false, senza ipocrisie e senza illusioni, sembra arrivato il tempo del confronto, anche aspro, fra le destre e il Patto fra centro e sinistra, non soltanto sulle cose da fare, ma anche sulla competenza e sulla credibilità di chi si candida a farle. Potrebbe ancora scaturirne una campagna elettorale apprezzabile.

Pubblicato AGL il 4 agosto 2022

A tutti gli ombrelloni d’Italia

Già li vedo questi italiani e italiane al mare: Dopo avere affrontato la spietata prova costume, si stanno sottoponendo ad una nuova serie di esami, quelli che, scrisse memorabilmente Eduardo De Filippo, non finiscono mai. I vicini di ombrellone, neppure fossero tutti professori di sociologia, scienza politica, economia, addirittura alla LUISS, stanno iniziando l’esame comparato dei programmi dei partiti. È un esercizio al tempo stesso difficilissimo e faticosissimo. Infatti, ci sono ancora partiti che credono che buono è il programma lungo e esaustivo sul quale hanno messo a lavorare i loro benintenzionati intellettuali di riferimento. Però, anche i lungoprogrammisti hanno imparato che, se vogliono avere un impatto e attirare attenzione bisogna che facciano lo sforzo quasi sovrumano per l’intellettuale italiano tradizionale, più o meno organico, della sintesi: uno, tre, massimo cinque tweet con le apposite faccine e gli hashtag più impensabili.

   Di tanto in tanto, chi ascolta gli scambi da un ombrellone all’altro si accorge che, no, quegli italiani e quelle italiane, non leggono indiscriminatamente tutti i programmi. Anzi, alcuni proprio li scartano subito. Altri vanno alla ricerca di qualcosa di originale. Qualcuno di loro dice che sono tutti un po’ eguali e che, purtroppo, nel migliore dei casi espongono il titolo di quello che promettono, ma non dicono come lo faranno, quando, con quali costi, quali obiettivi, quali conseguenze. Qualcun altro dice che tutti i politici promettono e nessuno mantiene. Visto che cosa hanno fatto al governo? Nasce una discussione vera e accanita sul fatto, sul non fatto e sul malfatto. Fa la sua comparsa anche il misfatto: chi è responsabile della caduta del governo Draghi che, “poverino”, faceva del suo meglio ed era molto apprezzato all’estero, nell’Unione Europea e non solo? Ma, allora, sostengono alcuni nuovi arrivati, interessati ad una discussione che si è molto animata, bisogna riprendere l’agenda Draghi o andare oltre?

   Solo Draghi, è l’opinione dei più saggi, saprebbe portare avanti e a compimento la sua agenda con i necessari aggiustamenti. Diventa difficile credere che Draghi possa essere reclutato da Calenda per attuare i dodici punti formulati dall’affannatissimo iperattivo eurodeputato del PD. Sicuro, invece, sottolineano con tono di sufficienza, alcuni elettori del Nord, riconoscibili dal loro accento, che verranno da Berlusconi le proposte più innovative: 1 milione di alberi, 1000 Euro come pensione minima. Le ha sempre sparate grosse e mai mantenuto le promesse. È venuto il tempo di Giorgia, affermano altri bagnanti. Tutto questo alla faccia dei politici che dicono che i programmi vengono prima delle persone. Che, alla fine, per una parte decisiva di elettorato finisca per contare di più la credibilità dei leader e delle candidature piuttosto che proposte programmatiche ripetitive, confuse, irrealistiche?  Buon bagno a tutti/e.

Pubblicato AGL il 27 luglio 2022

Letta deve aprire il campo largo a tutti quelli affidabili @DomaniGiornale

La strada è tracciata o, quantomeno, indicata: “campo largo”. Il centro-destra non è compatto né nel momento elettorale, come dimostrato dagli esiti delle elezioni ammnistrative, né qualora arrivasse al governo (ma su questa eventualità non mi avventuro) diviso com’è su scelte importanti a cominciare dall’Unione Europea. Tuttavia, continua ad avere più voti del centro-sinistra. Il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, tiene la barra e incassa qualche non marginale risultato. Certo, continuare a credere nel Movimento Cinque Stelle richiede una straordinaria pazienza e anche molta generosità. Tuttavia, dovrebbe stare diventando sempre più chiaro ai pentastellati, di ieri e di oggi, per quelli di domani servirà una buona campagna elettorale, che, da solo, il Movimento 5 Stelle non va da nessuna parte. Meglio, si avvia verso la quasi totale irrilevanza, Insomma, il PD è alleato essenziale per le Cinque Stelle. Merito di Letta è di non farlo pesare in attesa che il Conte titubante ne prenda pienamente atto e non faccia nessun avventuroso giro di tarantella.

   I Cinque Stelle sono necessari, ma non sufficienti a fare un campo largo capace di ottenere tutti i voti richiesti per arrivare alla maggioranza assoluta di seggi in Parlamento. Dunque per allargare l’attuale campo, con il PD che, non dimentichiamolo, oltre il 21-22 per cento su scala nazionale sembra non essere in grado di andare, è imperativo trovare altri alleati. Alcuni, ad esempio, Più Europa, sanno che, anche programmaticamente, i Democratici sono non solo il referente da privilegiare, ma la loro àncora di sicurezza. Altri, penso ad Italia Viva, sono piuttosto (è un eufemismo) inaffidabili ed è difficile che si emendino. Altri ancora, come Azione di Calenda, pongono una preclusione dirimente: niente Cinque Stelle nel campo largo. In questo modo, però, la sconfitta appare garantita.

   La formulazione della strategia che porti alla crescita e le sue modalità stanno tutte nelle mani di Letta. Mi sembra che nel PD non siano molti (anche questo è un eufemismo) coloro che, invece di badare alla conservazione del loro personale seggio, si dedichino all’elaborazione di idee e magari anche a un sano e impegnativo lavoro sul territorio, questo sì diventato largo assai dopo la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari. Sono giunto alla conclusione, parzialmente rivedibile dopo le dure lezioni della storia, che Letta deve tenere aperti gli ingressi nel suo campo largo a tutti coloro che garantiscano europeismo e impegno convinto e effettivo all’attuazione integrale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Deve promettere che il governo del quale il Partito Democratico sarà comunque il perno s’impegnerà nella crescita culturale e economica dell’Italia. Chi non volesse assumere congiuntamente questo impegno non è un alleato affidabile, e allora sarebbero/saranno guai per tutti.

Pubblicato il 15 giugno 2022 su Domani