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Il concorso di bellezza che prescinde dai contenuti @DomaniGiornale

La tentazione è forte. Vorrei sostenere che raramente si è vista una discussione partita tanto male come quella attuale sulla sostituzione/elezione del segretario del Partito Democratico. Poi penso alle precedenti discussioni, che sono almeno quattro, e non ne trovo nessuna che abbia in qualche modo preparato condizioni tali da garantire qualche miglioramento. Tuttavia, un elemento di novità c’è. Più che nel passato il Partito Democratico, ovvero i suoi dirigenti si stanno facendo condizionare dai mass media e dai social. La sostanza è che, subito, senza nessuna riserva né eccezione, il dibattito è andato sui nomi dei potenziali successori (anche donne, ma solo in via subordinata) di Zingaretti a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Ancora una volta la successione sembra, direbbero gli americani, un “concorso di bellezza”. Candidati e candidabili non parlano. Sfilano. Nel frattempo, i mass media ipotizzano, lasciano filtrare indiscrezioni, scrutano i tweet e così via. Nessuno dei candidati reagisce. Anzi, tutti si acquattano. La circolazione del nome, certamente degno di considerazione, di Enrico Letta, mi spinge subito a dire che, comunque, la sua candidatura non può e non deve essere intesa né, in primis, da lui né da nessun altro come un “risarcimento”.

   A mio modo di vedere, l’inadeguatezza di tutto il dibattito è strutturale: la mancata comprensione di quello che è in gioco. Credo alle parole di Zingaretti (ricordo anche quelle di Veltroni nel 2009). Se ne è andato a causa degli attacchi mal-”destri” alla sua persona, quello che non veniva detto nelle sedi appropriate e veniva fatto circolare alle sue spalle. Di questo modo di svolgere la vita di un partito c’è certamente da vergognarsi. Infatti, in discussione non è il programma di governo e neppure le, inevitabili, alleanze alle quali i critici di Zingaretti non avevano suggerito nessuna alternativa. In discussione erano i posti (le “poltrone” ditevelo fra voi), ma allora un partito soddisfacentemente strutturato discuterebbe delle modalità decisionali e dei criteri di selezione. In mancanza di questo, la parola passa inevitabilmente alle correnti (ah, già, debbo scrivere “sensibilità” o “anime” salvo poi scoprire che alcune di quelle anime hanno dei “mal di pancia”) e i capi corrente vanno a fare i ministri.

   Insomma, in discussione dovrebbe essere il Partito Democratico in quanto tale, organizzazione di uomini e donne che sono presenti e attive sul territorio, aperto a una pluralità di istanze, capace di ascoltarle, ma anche di contrapporvisi (siano Sardine o altri animali), di selezionarle e eventualmente di reclutare i/le più capaci dei portatori. Naturalmente, incontro e selezione hanno bisogno di qualche criterio, forse di una bussola, vale a dire, che un Partito ha elaborato, anche con conflitti interni, aperti e leali, senza minacce e senza ricatti, qualcosa che personalmente chiamo cultura politica. Se quella è la cultura politica di un partito che intende collocarsi “dalla parte delle persone”, non, impossibile, tutte, ma quelle svantaggiate, i riferimenti alle diseguaglianze, in particolare le più odiose, quelle che privano di opportunità, sarà prominente in quella cultura politica. Ma un partito dovrà organizzarsi per raggiungere gli svantaggiati, non soltanto per “ascoltarli” e poi andare via. Dovrà mantenere i contatti, persino, un tempo i partiti di sinistra lo facevano, per reclutare potenziali dirigenti dai ranghi dei più attivi fra gli svantaggiati. Sarà probabilmente un partito con presenze e strutture differenziate, qualcuno direbbe “federalista”. Quel partito non distribuirà le cariche con riferimento alle sensibilità, ma ai voti ottenuti in competizione fra gli iscritti, da valorizzare, senza aggiunta di parvenus esterni, per quei dirigenti che saranno valutati in base ai loro (in)successi, uno dei quali è quello di un partito che si allarga, che vince e convince. Appena ascolterò qualcosa che riguardi la riflessione, la costruzione, l’azione di un partito siffatto penserò che quel potenziale segretario può essere preso in considerazione.

Pubblicato il 11 marzo 2021 su Domani

M5S? Non è alla fine della sua avventura, anzi… La versione di Pasquino @formichenews

Il Movimento 5 Stelle si era illuso, per gravi, e insuperate, carenze di cultura politica, di essere immune dal conflitto di idee che si traduce in “anime” (non belle) e che non sono giunte a sintesi con Di Maio né, quasi sicuramente, ci arriverebbero con Di Battista. No, non sono ancora arrivati sull’orlo dell’abisso. Avranno modo e tempo di fare altri errori e di recuperare.

Il commento di Gianfranco Pasquino

Quando all’interno di un movimento/partito qualcuno si mette a parlare dell’esistenza di anime diverse, di “sensibilità” diverse e di altre piacevolezze retoriche e ipocrite, mi rassereno. È un terreno che conosco, già arato e praticato da quasi tutti i partiti italiani. Nel passato, alcuni, però, non avevano peli sulla lunga. Quelle anime non esageratamente sensibili erano e si lasciavano chiamare correnti, espressione di un pluralismo che, a determinate condizioni, svolge più di un compito importante. Elettoralmente, attrae un numero considerevole di voti pescando in settori sociali diversificati. Politicamente, suscita un confronto/scontro di idee, di proposte, di soluzioni. Poi, aggregazioni mutevoli di quelle correnti guideranno il partito a vittorie e sconfitte, e, allora, cambieranno le aggregazioni. Nulla di particolarmente nuovo sotto le (Cinque) Stelle se non fosse che si erano illuse, per gravi, e insuperate, carenze di cultura politica, di essere immuni dal conflitto di idee che si traduce in “anime” (non belle) e che non sono giunte a sintesi con Di Maio né, quasi sicuramente, ci arriverebbero con Di Battista.

Fin dall’inizio della loro avventura, comunque, da valutare di successo, a prescindere da come finirà (non è affatto detto che finisca presto), di anime ce n’erano inevitabilmente molte. Per loro fortuna, il predicatore Grillo sapeva parlare a tutte e prometteva abbastanza credibilmente latte e miele. Qualche eretico c’era e veniva opportunamente messo alla porta. Gli altri componevano (o nascondevano) i loro dissensi all’ombra di una piattaforma, con procedure da selva oscura. Quando, però, la scelta che bisogna assolutamente fare diventa binaria: sì/no, alla Tav, alla Gronda di Genova, al rinnovo della concessione a Atlantia, al MES (senza condizionalità), allora le differenze appaiono, ma non necessariamente “esplodono”.

Tranne gli ortodossi, che non hanno bisogno di “caratterizzarsi”, le altre anime un po’ mugugnano un po’ criticano, ma di alternative specifiche, precise, strategiche non riescono proprio a formularne. D’altronde, i due sì che contano: al governo con Salvini, al governo con il PD, li hanno già pronunciati. Tertium non datur. Infatti, quel che resta sono le forche caudine elettorali sotto le quali, almeno la metà di loro non dovrebbe arrivare avendo completato i famigerati due mandati. L’altra metà non riuscirebbe, secondo i sondaggi, a passare. Epperò, come la legge ferrea della politica insegna da tempo, qualche visibilità personale è meglio acquisirla, qualche messaggio ai potenziali sostenitori è opportuno mandarlo, qualche dissenso (a scelte non troppo chiare) bisogna esprimerlo. Se, poi, si è fuori dal governo, allora è un gioco da bambini prendere posizione contro.

Naturalmente, la corda non va tirata troppo perché finché il Movimento è la somma di molte anime e dei loro animatori conta, ottiene voti e cariche, influenza le scelte e le decisioni. Le anime perse e sparse vanno ineluttabilmente alla deriva. Molti, dentro il Movimento, a cominciare dal Fondatore e Garante, lo sanno. Altri si lasciano trascinare da loro istinti battaglieri e, forse, di rivalsa. Gli errori li pagherebbero/pagheranno tutti i pentastellati. No, non sono ancora arrivati sull’orlo dell’abisso. Avranno modo e tempo di fare altri errori e di recuperare. Quosque tandem? Almeno fino al prossimo commento.

Pubblicato il 19 giugno 2020 su formiche.net

Nei partiti abbiamo già visto correnti di opinione e correnti di potere. Adesso vediamo persone che si muovono seguendo un leader che promette cariche e rielezione…

È frequente e anche positivo che in un partito esista una pluralità di opinioni, si formulino più proposte, si prospettino più soluzioni. È anche possibile che i portatori di opinioni, proposte, soluzioni simili si organizzino, agiscano insieme. Le correnti diventano, però, deleterie, quando si organizzano non per contribuire all’elaborazione e attuazione di una linea politica, ma per dare cariche a persone che, proprio perché sono senza idee, si spostano seguendo un leader “promettente”: propensione italiana tuttora Piuttosto Diffusa (PD).