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Elezioni per acclamazioni? No. Meglio di no.

Nessuna acclamazione è mai una procedura democratica. Non è trasparente, come la democrazia vorrebbe. Non consente di attribuire responsabilità personali a ciascuno/a dei votanti. Permette a chi vorrebbe dissentire di nascondersi in maniera codarda e di non farsi/lasciarsi contare (e di continuare a contrattare). L’elezione voluta dalla neo-segretaria del Partito Democratico Elly Schlein dei capigruppo alla Camera (Chiara Braga) e al Senato (Francesco Boccia) è stata una brutta pagina. Peraltro, chi fa politica dovrebbe ricordare due precedenti acclamazioni non proprio virtuose: la rielezione di Craxi a segretario del Partito socialista a Verona nel 1984 e l’indicazione di Romano Prodi come candidato alla Presidenza della Repubblica nell’aprile 2013 da parte dell’assemblea dei parlamentari del PD (101 dei quali poi non lo votarono). Curiosamente, sulla scia di questo comunque deplorevole e tuttora deplorato episodio, proprio la Schlein ottenne la sua prima visibilità creando il movimento “Occupy PD”. A proposito dell’acclamazione di Craxi, il grande filosofo politico Norberto Bobbio la bollò come “democrazia dell’applauso” e qualche mese dopo pubblicò uno dei suoi libri più famosi: Il futuro della democrazia (Einaudi 1984).

Politicamente, l’acclamazione avvenuta nell’Assemblea del PD porta con sé alcune implicazioni comunque negative. Prima implicazione: la segretaria è convinta di essere molto forte e di riuscire a decidere a prescindere dai cosiddetti “mal di pancia”. Sopravvaluta se stessa e i suoi sostenitori. Seconda implicazione: la minoranza è a disagio, vero o procurato, ma non se la sente di esporsi, di proporre proprie candidature e di imporre un dibattito. Rilutta a contarsi e si trincea dietro un applauso che cela grande ipocrisia. Terza implicazione: non importa conoscere le modalità con le quali i due neo-capigruppo intendono guidare i deputati e i senatori del Partito Democratico. Hanno silenziosamente accettato di essere la cinghia di trasmissione della segretaria. Non vorranno e non avranno autonomia che, invece, per affrontare le peripezie dei dibattiti e delle decisioni parlamentari, è spesso assolutamente essenziale. Infine, ultima implicazione, la minoranza cercherà di “strappare” posti in altre sedi, probabilmente nella segreteria che, invece, essendo la War Room della segretaria, non dovrebbe vedere contrapposizioni correntizie.

   Per alcuni inestinguibili “romantici”, come chi scrive, l’acclamazione colpisce al cuore qualsiasi sforzo di costruzione, mantenimento e funzionamento della democrazia di partito nel partito. Per un Partito che si definisce “Democratico” non è solo una grave contraddizione. È una brutta (ri)partenza; è una pessima smentita. Fra il troppo potere divisivo delle correnti e il troppo potere incontrollato della Segretaria, tertium datur, c’è una vera terza via: dibattiti trasparenti, confronti fra fra idee, persone, proposte, votazioni su alternative. Questa, sì, è democrazia.  

Pubblicato AGL il 31 marzo 2023


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