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La corruzione è lo specchio di una società che la tollera @DomaniGiornale

Fare politica è costoso, un po’ dappertutto. Richiede un investimento iniziale, ma anche da alimentare periodicamente, non piccolo: tempo, energie e denaro. La tanto, troppo sbandierata “passione” è importante, aiuta nei momenti difficili, ma non è mai sufficiente. Fare politica può anche essere un modo per arricchirsi: fama, prestigio, riconoscimenti, persino soddisfazioni quando si ha la capacità e la possibilità di formulare e attuare politiche che giovano ad una comunità, agli elettori, al sistema politico, sociale, economico (la Nazione?). Anche senza conoscerne le preziosissime teorizzazioni, molti concordano con Max Weber. Magari la distinzione fra vivere per la politica e vivere di politica è troppo drastica. Certamente, però, Weber non pensava affatto e non avrebbe in nessun modo condonato chi, volendo vivere di politica, avesse utilizzato qualsiasi suo ruolo per estrarre illecitamente vantaggi personali, anche ricorrendo alla corruzione, dalle sue attività.
“Politici d’affari” fanno la loro comparsa in molti sistemi politici, non necessariamente in tutti. Nei regimi autoritari, la corruzione è insita, quasi la norma. La si scoperchia non appena cambiano i governanti. Nelle democrazie le differenze fra sistemi sono notevoli. Possono derivare sia dalle strutture: istituzioni, burocrazia, partiti, sia dalle mentalità più o meno disponibili ad accettare qualche dose di corruzione. Quindi, nei casi di frequente e diffusa corruzione in politica, non è sufficiente guardare esclusivamente alla politica, ma anche ai valori della società e relativi comportamenti.
La reazione sdegnata della società italiana, ancorché nient’affatto unanime, e le inchieste della magistratura, a partire da Mani Pulite portarono a una situazione nella quale la corruzione politica sembrava potesse diventare un fenomeno marginale, limitato. Di recente, invece, hanno fatto la loro comparsa casi gravi da Bari a Torino, in Sicilia e altre fattispecie (anche di ministri e sottosegretari, il conflitto di interessi è intrinsecamente portatore di corruzione), da ultimo, ieri, in Liguria dove si ipotizza una rete ampia e diversificata, quasi un sistema, che coinvolge Giovanni Toti, il Presidente della Regione Liguria e numerosi operatori economici anche di vertice. Per mia salvezza personale, mi cautelo subito con l’espressione “la giustizia faccia il suo corso” e completo “massima fiducia”. L’orologio della giustizia funziona come può, ma gira, gira costantemente.
Uomini e, in misura minore, donne, forse perché sono numericamente meno presenti e meno potenti, corrotti/e se ne trovano dappertutto, ma con enormi differenze fra paesi: quasi assente in Scandinavia e limitata nei sistemi anglosassoni tranne che negli USA, già non più “anglosassone”, che tutte le ricerche riscontrano e documentano. In qualche caso a tenerla bassa serve il controllo politico e sociale: partiti che la ripudiano e sistematicamente escludono chi è incline a praticarla; elettori informati e indignati che la puniscono con il voto; mass media che la raccontano senza sconti e senza favori (favoreggiamenti). In altri, è l’ambiente circostante che ne rende intollerabile il costo non solo politico: esclusione rapida e definitiva dalle cariche, ma anche reputazionale: messa al bando con vergogna da qualsiasi attività pubblica. In Italia, c’è molto da fare su entrambi i terreni, a cominciare dalle interazioni sociali di partenza, in famiglia, nelle scuole, fra gruppi di pari. Coloro che corrompono e coloro che si lasciano o addirittura si fanno corrompere non sono “furbi”. Sono malfattori le cui attività inquinano la vita di tutti, violano qualsiasi principio etico, mettono le fondamenta, costruiscono e perpetuano l’ingiustizia sociale. Questo è l’altissimo costo della corruzione, soprattutto quella politica.
Pubblicato il 8 maggio 2024 su Domani
Chi vuol essere europeo?

Condivido pensieri e preoccupazioni che non riesco a fare passare sui giornali e a introdurre nei salotti televisivi. Ovviamente, vi si può dare più sostanza. Si possono anche sfidare nel ragionamento e negli obiettivi. Ne sarei (abbastanza) lieto.
Sostengo da tempo che il modo migliore di cambiare la politica italiana consiste nel diventare più europei. Quindi, per esempio, niente Italicum e niente “Sindaco d’Italia”, due ricette non solo pessime, ma provincialissime. Bisogna, invece, guardare a come funzionano le democrazie, parlamentari e semipresidenziali (Francia, Portogallo, Polonia), non necessariamente per imitarle, ma per cogliere quanto di buono (e non buono) c’è.
Più europei significa acquisire comportamenti che chiamo virtuosi poiché hanno prodotto risultati molto apprezzabili per le popolazioni dei rispettivi paesi. La massa di dati disponibili è enorme, troppo spesso poco e male utilizzata. L’Indice della Corruzione percepita, sempre vicinissimo alla corruzione effettiva, colloca l’Italia agli ultimi posti fra i paesi dell’Unione Europea. Lo stesso vale per l’Indice della Libertà Economica. Poiché spesso gli italiani si vantano di vivere in uno dei paesi (pardon, nazioni) più belli al mondo, noto con dispiacere che questo vanto non si traduce, secondo l’indice apposito, in Felicità dove siamo al trentesimo posto.
La maggior parte degli studiosi e, forse, anche di coloro che si impegnano in politica ritiene che la politica debba servire a migliorare la vita dei cittadini/e. Da trentatrè anni le Nazioni Unite usano l’Indice di Sviluppo Umano per classificare le nazioni. Composto da tre dimensioni: conoscenza (anni di scolarizzazione); salute (aspettativa di vita); benessere economico (reddito medio pro capite), l’Indice di Sviluppo Umano classifica nel migliore dei modi quanto i sistemi politici, le classi politiche, sono riusciti a garantire ai loro cittadini. Due terzi degli Stati europei sopravanzano l’Italia che, complessivamente, si colloca al trentesimo posto.
Alla luce di questi dati, nient’affatto congiunturali, la lezione mi pare chiara e semplice. Diventare più europei significa ridurre il peso della corruzione, non solo politica; garantire e ampliare la libertà economica; estendere il sistema dell’istruzione e della formazione professionale; intervenire sulla distribuzione del reddito; fare pagare equamente e progressivamente le tasse. Soltanto sulla sanità e quindi sulle aspettative di vita possiamo già rilevare una posizione italiana sostanzialmente di eccellenza.
Sulla base di quanto ho scritto, è evidente che sono le preferenze politiche e programmatiche a fare la differenza. I partiti, le coalizioni, i governi hanno obiettivi diversi che perseguiranno con la forza numerica che l’elettorato darà loro e con le capacità professionali e le competenze dei loro rappresentanti in parlamento e al governo. Anche queste capacità e le rispettive attività possono essere valutate, ad esempio, con riferimento, ai titoli di studio e alle esperienze, amministrative e professionali, pregresse. Tuttavia, il criterio complessivo più importante mi pare debba essere quello della probabilità con la quale le scelte politiche effettuate faranno avvicinare l’Italia ai paesi più avanzati e più virtuosi dell’Unione Europea. C’è molta strada da fare.
Pubblicato il 13 luglio 2023 su PARADOXAforum
La corruzione almeno dimostra che il parlamento europeo non è inutile @DomaniGiornale


Da Bruxelles (e Strasburgo) viene una lezione sicura, che pare sfuggire a troppi commentatori: il Parlamento europeo è tutt’altro che un organismo marginale e inutile. Al contrario, oltre a dare rappresentanza a centinaia di milioni di cittadini europei, è un importante luogo di decisioni politiche, sociali, economiche, culturali. Per questa ragione, una serie di attori esterni tenta di condizionarlo con una molteplicità di strumenti leciti e illeciti che, comunque, non lo rendono affatto paragonabile alle stalle di Augia. Solo partendo da questa facile, innegabile constatazione diventa possibile capire una serie di fenomeni. In primo luogo, l’esistenza di, sembra, più di 12 mila lobbisti iscritti nell’apposito albo si giustifica proprio con la volontà di un numero molto alto di gruppi, associazioni, enti e, naturalmente, anche, senza nessuna sorpresa, paesi, che vogliono non solo comunicare le loro preferenze agli europarlamentari, ma influenzarne le scelte.
In qualche modo, un po’ tutti i parlamenti democratici debbono fare i conti con il lobbismo. L’Europarlamento, proprio per la sua natura di Parlamento multinazionale e sovranazionale, ha addirittura bisogno di essere aperto a fonti che gli comunichino informazioni utili, certo non esenti da suggerimenti operativi particolaristici. Qui, semmai, si annida l’insidia della esposizione alle proposte dei lobbisti e della resistenza alle loro pressioni che soltanto parlamentari selezionati bene, competenti, aiutati da assistenti preparati sono in grado di effettuare, combinando senza retorica, gli interessi del loro partito e del loro paese con quelli dell’Unione Europea. Anche quelle che possono apparire decisioni di scarsa importanza, ad esempio, la denominazione di prodotto di origine controllata, tocca una pluralità di interessi dei produttori e dei consumatori. Facilmente immaginabile è quanto le nient’affatto semplici dichiarazioni sulla protezione e la promozione dei diritti dei cittadini, sull’esistenza e il funzionamento della rule of law vengano considerate dagli Stati sotto osservazione nocive al loro prestigio, alla loro economia, alla legittimità dei loro non democratici governi.
Tenendo conto di queste premesse, è possibile valutare la gravità della corruzione di, al momento, una, ancorché potente, eurodeputata, di un ex-eurodeputato di lungo corso, di un assistente particolarmente intraprendente”. Diradato il primo polverone, da un lato, saranno la magistratura e lo stesso parlamento a procedere alle indispensabili sanzioni. Dall’altro, l’Europarlamento sarà obbligato riflettere sulle sue attuali inadeguate misure di prevenzione. Fin d’ora sarebbe opportuno che tutti s’interrogassero sia sulla diffusione dei fenomeni di corruzione sia sul paragone fra i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo. Non sarà quest’ultimo a uscirne screditato.
Pubblicato il 21 dicembre 2022 su Domani
“Come formare le classi dirigenti” Modulo X del Master Anticorruzione “Economia della devianza” 11dicembre #Roma
lunedì 11 dicembre, dalle ore 14 alle ore 17
Facoltà di Economia – Università di Roma Tor Vergata
Aula Scacchi, primo piano, Edificio B
Via Columbia 2Come formare le classi dirigenti
Gianfranco Pasquino
Professore Emerito dell’Alma Mater di BolognaNello Rossi
Avvocato Generale presso la Corte di Cassazionemodera il giornalista Filippo Cucuccio
Il dibattito tra il Prof Pasquino e il Dott. Rossi tenderà a mettere in evidenza i problemi di devianza che si manifestano nella formazione della classe dirigente e di quella politica in particolare, nonché le relative conseguenze.
Lungo il percorso di ricostruzione di questo aspetto un’attenzione specifica sarà dedicata anche alle patologie tipiche della magistratura. Sulla scorta del quadro così definito saranno fornite, infine, soluzioni propositive da adottare nel futuro prossimo.
AUDIO Presentazione “Patologia della corruzione parlamentare” #Torino
venerdì 8 settembre ore 18
CIRCOLO DEI LETTORI
Piero Calamandrei
Patologia della corruzione parlamentare
Introduzione di Gianfranco Pasquino
edito da Edizioni di Storia e Letteratura
interventi di Paolo Borgna, Magda Negri e Gianfranco Pasquino
ASCOLTA
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INVITO Presentazione “Patologia della corruzione parlamentare” #Calamandrei #Bologna 20settembre
Dialogo tra
Enrico Franco e Gianfranco Pasquinoin occasione della presentazione del libro
Piero Calamandrei
Patologia della corruzione parlamentare
Introduzione di Gianfranco Pasquino
Edizioni di Storia e Letteratura (2017)mercoledì 20 settembre ore 18
Libreria Coop Zanichelli
piazza Galvani 1/H
Bologna
INVITO “Patologia della corruzione parlamentare” di Piero Calamandrei #Torino #CircoloLettori
venerdì 8 settembre ore 18
CIRCOLO DEI LETTORI
via Bogino 9
Torinopresentazione del libro
Piero Calamandrei
Patologia della corruzione parlamentare
Introduzione di Gianfranco Pasquinoedito da Edizioni di Storia e Letteratura
intervengono
Paolo Borgna
Magda Negri
Gianfranco Pasquino
Il volume raccoglie i due scritti in cui Piero Calamandrei mostra, con l’usuale profondità di pensiero e chiarezza di stile, come giustizialismo e discredito della politica siano non solo tratti della vita pubblica odierna, ma fenomeni di lungo corso, che affondano le radici nella storia della nazione.
L’indispensabile e criticabile rappresentanza parlamentare
Riflettere su come i cittadini delle democrazie sono rappresentati e sono governati può essere un esercizio scientificamente gratificante. Quando l’esercizio è effettuato da un grande maestro del pensiero giuridico, come fu Piero Calamandrei, può condurre ad approfondimenti, valutazioni, proposte di rimedi tutti meritevoli di assoluta considerazione. Poiché l’Italia era, ai tempi di Calamandrei ed è rimasta, nonostante alcune malposte, malintenzionate e malfatte proposte di riforma, in parte mai giunte in porto, in parte opportunamente bocciate dall’elettorato, una democrazia parlamentare, gli scritti qui presentati mantengono una straordinaria attualità e pertinenza. Certo, nei più di cinquant’anni trascorsi si sono avuti molti cambiamenti, in particolare, per quel che riguarda i partiti e i loro rappresentanti eletti in parlamento e nelle modalità stesse di fare politica. Tuttavia, i due scritti di Calamandrei qui ripubblicati continuano ad essere molto più che semplici suggestive riflessioni. Sono una guida per addentrarsi nel parlamentarismo, per orientarvisi, per leggervi gli sviluppi, per individuare i problemi aperti e per proporne, lucidamente e sobriamente, i rimedi possibili. (dall’Introduzione di Gianfranco Pasquino)
Il sistema corrotto che ci infetta
Poco importa se a Roma Carminati, Buzzi e altri abbiano dato o no vita a un’associazione a delinquere di stampa mafioso. Quello che conta è che le loro attività sono state scoperte e che organizzatori e protagonisti sono stati condannati. Certo, non sarà facile per Roma togliersi di dosso l’etichetta “Mafia Capitale”, ma non è un problema di parole. Purtroppo, è qualcosa che affonda le sue radici nel contesto romano e che deriva da quello che è, e forse è sempre stata, la politica in Italia. Non si può e non si deve dimenticare il famoso titolo dell’inchiesta di Manlio Cancogni pubblicata nel 1955 sul settimanale l’Espresso “Capitale corrotta nazione infetta”. La condanna di coloro che si definivano il “mondo di mezzo”, veri procacciatori di affari, operanti fra gli amministratori del comune, la burocrazia romana e imprenditori e cooperative dei più vari generi non può oscurare che quasi negli stessi giorni, ieri e, quasi sicuramente, anche domani altri casi di rapporti che mi limiterò a chiamare impropri sbucavano un po’ dappertutto sul territorio dello stivale. Per quanto ci sia da rallegrarsi per l’operato dei magistrati, anche se, talvolta, manifestano difformità di giudizi non del tutto spiegabili, c’è molto più da dolersi dello stato della politica, locale e nazionale. Se tutte le classifiche internazionali da qualche decennio pongono l’Italia in posizioni elevate quanto alla corruzione politica, cioè dicono che la politica è corrotta, che chi vuole entrare in contatto con i politici sa che cosa deve aspettarsi, che cambiano i politici, persino le generazioni, ma non si vedono miglioramenti, allora il tempo è venuto per la richiesta di soluzioni che vadano al cuore del problema.
Quando i partiti erano forti, i politici giustificavano il loro appropriarsi di risorse per finanziare il partito, l’organizzazione, lo spesso ipertrofico apparato. Il finanziamento statale avrebbe dovuto porre fine al fenomeno. Invece, partiti indeboliti e in molti luoghi sostanzialmente inesistenti, da un lato, non sono in grado di controllare i comportamenti dei loro esponenti e di eliminare rapidamente le cosiddette mele marce; dall’altro, diventano facile preda di persone e gruppi che li usano non soltanto come ascensore per il potere politico, ma come strumento per l’arricchimento personale. Il fenomeno non si limita al livello locale, naturalmente. Anzi, dal livello municipale e regionale, politici di successo si affacciano al Parlamento arrivando, fra favori, scambi, uso di risorse di neanche tanto dubbia origine, persino al governo. Diventano, in questo modo, troppo forti perché un debole raggruppamento possa privarsi di loro, dei soldi che portano, dei rapporti che hanno intessuto, delle reti elettorali che hanno costruito e alimentato. Il fenomeno potrebbe essere contenuto se i burocrati fossero in grado di resistere alle pressioni e, spesso, alle minacce. Se si sentissero protetti e non a rischio di perdere il posto e di terminare la carriera. Sarebbe anche possibile ipotizzare un mondo virtuoso nel quale le associazioni di imprenditori e operatori economici escludessero dai loro ranghi e bandissero tutti coloro che competono non usando qualità e efficienza, ma “entrature”, favoritismi, corruzione. Qui sì la moneta cattiva scaccia quella buona, ma perché chi opera secondo le regole non sente il bisogno di denunciare chi quelle regole platealmente viola?
È vero, ho descritto non “il mondo di mezzo”, ma un altro mondo. Non è, però, un mondo utopistico, irrealizzabile, che non esiste da nessuna parte. Anzi, statistiche più che decennali rivelano che sono proprio le democrazie meno corrotte, senza nessuna sorpresa tutte quelle dei paesi nordici e degli Stati anglosassoni, con gli USA in coda, a presentare gli indici più elevati di qualità della politica e della vita. Per entrare in quel mondo e rimanerci serve uno sforzo collettivo, a cominciare proprio dalla classe politica e a continuare con i cittadini esigenti, vigili, intransigenti. Non è solo la capitale ad essere corrotta, ma il paese che può essere migliorato/salvato esclusivamente con uno sforzo collettivo, intenso, coordinato. Ne siamo molto lontani.
Pubblicato AGL 22 luglio 2017
“Patologia della corruzione parlamentare” di Piero Calamandrei. Introduzione di Gianfranco Pasquino
L’indispensabile e criticabile rappresentanza parlamentare
Riflettere su come i cittadini delle democrazie sono rappresentati e sono governati può essere un esercizio scientificamente gratificante. Quando l’esercizio è effettuato da un grande maestro del pensiero giuridico, come fu Piero Calamandrei, può condurre ad approfondimenti, valutazioni, proposte di rimedi tutti meritevoli di assoluta considerazione. Poiché l’Italia era, ai tempi di Calamandrei ed è rimasta, nonostante alcune malposte, malintenzionate e malfatte proposte di riforma, in parte mai giunte in porto, in parte opportunamente bocciate dall’elettorato, una democrazia parlamentare, gli scritti qui presentati mantengono una straordinaria attualità e pertinenza. Certo, nei più di cinquant’anni trascorsi si sono avuti molti cambiamenti, in particolare, per quel che riguarda i partiti e i loro rappresentanti eletti in parlamento e nelle modalità stesse di fare politica. Tuttavia, i due scritti di Calamandrei qui ripubblicati continuano ad essere molto più che semplici suggestive riflessioni. Sono una guida per addentrarsi nel parlamentarismo, per orientarvisi, per leggervi gli sviluppi, per individuare i problemi aperti e per proporne, lucidamente e sobriamente, i rimedi possibili. (dall’Introduzione di GP)
«Questo è un argomento che, per trattarlo col dovuto rispetto, bisognerebbe scriverne in latino; in un latino settecentesco da vecchio trattato di medicina, colla descrizione dei sintomi e varietà della malattia, e qualche bella tavola illustrativa: De variis in Parlamento corruptelae modis atque figuris Tractatus».
Così, con l’ironia ben nota ai suoi lettori, scriveva Piero Calamandrei nel primo dei due scritti qui riproposti: usciti entrambi nell’arco di un decennio, tra il ’47 e il ’56, ma ancora oggi di un’attualità evidente in ogni loro riga, essi mostrano, con l’usuale profondità di pensiero e chiarezza di stile, come giustizialismo e discredito della politica siano non solo tratti caratteristici e complementari della nostra vita pubblica odierna, ma fenomeni di lungo corso, che affondano le loro radici nella storia della nazione.
Piero Calamandrei
Patologia della corruzione parlamentare
Introduzione di Gianfranco Pasquino
Edizioni di Storia e Letteratura (2017)
Per un esito sano, non eterodiretto, ricostituente #IoVotoNO
E’ difficile dire come la vittoria del NO verrebbe considerata in sede internazionale. È molto facile, invece, mettere in rilievo come la campagna elettorale del “Sì” si stia svolgendo all’insegna dell’allarmismo e di per sé contribuisca fortemente ad alimentare le preoccupazioni internazionali, tutte, comunque, da valutare e soppesare con cura.
Gli operatori economici stranieri, i governanti europei e non, la Commissione Europea che conta, eccome, non si aspettano tanto le riforme costituzionali, ma riforme economico-sociali: fisco, lavoro, istruzione, giustizia. Tutto quello che serve a rendere efficiente, dinamico, flessibile il cosiddetto “sistema-paese”. Quasi niente di questo dipende dalla nuova disciplina del referendum, dalla reintroduzione della supremazia statale sulle regioni, dall’abolizione del già largamente defunto CNEL, dalla brutta riforma del Senato che mai fu un ostacolo alla decisionalità di governi che sapevano quel che volevano. Molto dipende da politiche inadeguate. Le tempeste finanziarie si abbattono su paesi non “costituzionalmente” deboli, ma che sono inquinati e inguaiati dalla corruzione, dalla criminalità organizzata, da un enorme debito pubblico. Cercare nella Costituzione vigente il capro espiatorio del malaffare dei politici e delle loro incapacità è semplicemente sbagliato. Assolutamente non convincente.
Per stemperare il brutto clima creato da otto mesi di deliberatamente urticante campagna elettorale condotta dal capo del governo alla ricerca di un plebiscito sulla sua persona, quel capo del governo dovrebbe chiarire che, se sconfitto, si dimetterà affidando il seguito, proprio come vuole la Costituzione italiana, alla saggezza e ai poteri del Presidente della Repubblica. Non solo Renzi non si opporrà ad una sua rapida sostituzione, senza aprire le porte a qualsivoglia crisi al buio, ma l’agevolerà e contribuirà ad una fulminea soluzione (potrei aggiungere e auspicare come hanno fatto i Conservatori a Londra, ma la distanza fra Firenze e Londra in materia di fair play costituzionale mi pare immensa).
Votare sì a brutte riforme, nessuna delle quali promette davvero maggiore partecipazione e influenza dei cittadini sulla politica, solo perché ci si sente sotto ricatto, interno, e sotto pressione esterna, mi pare il peggiore dei modi per pervenire ad un funzionamento più efficace del sistema politico italiano.
Pubblicato il 22 ottobre 2016 sul sito Welfare Network




















