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Una bella giornata per noi (e per Enrico Letta)

“Berlusconi”, ha detto memorabilmente il grande politologo Giovanni Sartori, “viene dal varietà”. E’ molto probabile che ci debba ritornare presto. Nel frattempo, però, ha tentato quello che lui, che notoriamente canta in francese, chiamerebbe un coup de théâtre: un colpo di scena. Preso atto che una parte non piccola, almeno venti, forse trenta, senatori di quel che fu il Popolo della Libertà, avrebbero comunque votato la fiducia al governo Letta, con una dichiarazione, imprevista, ma dimessa, senza cattiverie e senza sorrisi, Berlusconi ha annunciato anche il suo voto favorevole sventando così la conta pubblica e imbarazzante di coloro che lo avevano già sostanzialmente lasciato: i “traditori” nel lessico molto sobrio de “Il Giornale”. Spera, forse, di indebolire il Presidente del Consiglio e la sua azione e di rendere breve la vita del governo, ma i dati oggettivi suggeriscono che la mossa di Berlusconi è, anzitutto, il segnale di un’inequivocabile sconfitta che il capo del Popolo della Libertà ha cercato di impedire che diventasse numericamente lampante e insostenibile. Per Letta, invece, la dichiarazione di Berlusconi, che lo aveva fino alla notte prima malamente e duramente criticato e che voleva mandarlo a casa, è un ottimo viatico che si aggiunge a molti altri elementi positivi.
La maggioranza a sostegno di Letta al Senato è diventata, con l’apporto di coloro che non si sentono più parte del Popolo della Libertà, decisamente e, quel che più conta, limpidamente, autosufficiente. Non ci sono senatori comprati; ci sono senatori che, sfidando l’ira di Berlusconi (e di Sallusti) e le sue eventuali rappresaglie, hanno deciso di mantenere la fiducia in Letta. A favore dell’appoggio a Letta, della stabilità politica e della continuità dell’azione di governo, si era già espressa una parte sicuramente maggioritaria della società italiana: tutt’e tre i sindacati e la Confindustria, molte associazioni professionali e la Chiesa. Inoltre, tutti i sondaggi hanno rilevato che, a prescindere dalla loro collocazione politica, la grande maggioranza degli italiani ha fiducia in Letta e desidera che il suo governo rimanga in carica. Persino l’Europa, in diverse forme, dalla telefonata di Angela Merkel e dagli auguri del Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ai mercati e allo spread ha espresso il suo voto a favore di Letta. Per la prima volta è possibile affermare che si è manifestata in Italia una società civile non inquadrata dai partiti e non mobilitata e “mediata” da loro, e neppure dai senatori delle Cinque Stelle diventati tutti irrilevanti.
Letta può andare molto fiero di avere suscitato tanto inaspettato consenso. Certamente, è anche consapevole che deve rispondervi con adeguate politiche economiche e sociali, non più sabotabili da Berlusconi, che rimettano in moto la produzione industriale e che creino occupazione. Lasciando da parte le considerazioni futuribili secondo le quali starebbe facendo la sua ricomparsa la Democrazia cristiana si può, al contrario, intravedere, dietro la sconfitta di Berlusconi (che, fra qualche settimana, sarà privato del seggio senatoriale), la possibile nascita di un partito di centro-destra effettivamente moderato. Letta non ha nessun interesse ad aderire a quel partito e non ne trarrebbe vantaggi politici e istituzionali. Dopo la fiducia, ma soprattutto grazie alla sua determinazione, non a scapito della coerenza, e all’impegno con il quale ha, in pratica, reso più solido e autonomo il suo governo, Letta è anche diventato molto più forte nel suo stesso partito. A dicembre verrà eletto il nuovo (ennesimo) segretario del Partito Democratico. Forse sarà Matteo Renzi. Sicuramente, se gli venisse mai in mente di destabilizzare il governo guidato da un esponente del PD, il nervosetto neo-segretario non otterrà il sostegno di nessuno dei Democratici. E’ stata davvero una bella giornata per Enrico Letta: fiduciato e confermato come Presidente del Consiglio e diventato quasi inattaccabile nel Partito Democratico. E’ una bella giornata anche per chi crede che la stabilità politica è la condizione irrinunciabile per qualsiasi azione di governo lungimirante.